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2012/11/26

Apparenze e realtà


Ho scritto un testo su un noto forum, non mi concentrerò sul forum, si trattava solo di un mezzo per affermare un mio punto di vista, evidenziare un pensiero assillante, eppure volevo essere breve, volevo riassumere alcuni concetti, confrontarli, sentirli miei e allo stesso tempo negarne la paternità, serviva a dare un significato ai questi pensieri, a quello che osservo e che leggo, agli attaggiamenti della gente virtuale che mi circonda, forte dell’essere invisibile e quindi temeraria.


Nulla è come sembra, nulla è come appare perché nulla è reale? La realtà è soggettiva, e pertanto nulla è come appare (come sembra) perché siamo noi a dare l'interpretazione alla nostra realtà che cambierà da soggetto a soggetto! Se nulla è reale e se tutto appare diverso a ognuno, a questo punto nulla appare allo stesso modo a tutti!. Se la realtà non esiste, ogni cosa, ogni singola cosa è soggettiva, e qui si spiegano i diversi ragionamenti da persona a persona, le opinioni che non collimano, e le infinite discussioni per avere ragione.

È allora tutta una questione di apparenza, a qualcuno puo' sembrare semplicemente apparenza, a qualcuno  e spero tanti, contenuti.
I contenuti del sito principale in primo luogo e di del forum forum in seconda fase.
Che messaggio sublimale scaturisce da questo sito?
Che vuole significare?
Gli Italiani? popolo di santi, poeti e navigatori, o meglio: popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori.
Gli italiani che viaggiano, gli italiani che emigrano e quelli che tornano, gli italiani che sognano di partire ma che non partono mai, gli italiani che vorrebbero e non possono e quelli che possono ma non vogliono.

Siamo tutti italiani, figli dello stesso virtuale uomo preistorico che ha preso possesso dello stivale italico dichiarandolo proprio, da lui, virtualmente, siamo arrivati noi.
E noi, in barba alla sua conquista quest'Italia vogliamo lasciarla perchè ormai stiamo male, ce la sentiamo stretta, non più a misura d'uomo, che dico? non più a misura d'italiano.
E quando partiamo e colonizziamo, diventiamo imprenditori di successo, professionisti, c'inventiamo mestieri che nemmeno sognavamo potessero esistere, diventiamo gente che conta a cui nessuno puo' dir nulla, tanto di cappello signori, sono italiani.

E poi che succede, si va su un forum e tutti a pianger miseria, a parlare di umiltà di lavoro nero, di lavoro dignitoso.
Il successo non è più per noi ma se altri ne dispongono è motivo d'invidia, non un modello da seguire ma un cattivo esempio da additare.

Ma siete proprio sicuri che debba essere davvero cosi'?


2012/11/25

Arroganza e Democrazia

Il termine democrazia deriva dal greco δμος (démos): popolo e κράτος (cràtos): potere, e etimologicamente significa governo del popolo.
Il concetto di democrazia non è cristallizzato in una sola versione o in un'unica concreta traduzione, ma può trovare ed ha trovato la sua espressione storica in diverse espressioni ed applicazioni, tutte caratterizzate per altro dalla ricerca di una modalità capace di dare al popolo la potestà effettiva di governare. Questa la definizione. Ineccepibile salvo che per un dettaglio, non si parla infatti di una parte del popolo ma di tutto il popolo altrimenti una citazione l’avremmo evidenziata. Nulla.
Quindi la democrazia non è il governo di una parte del popolo ma di tutto il popolo.
Approfondiamo il concetto.
Scorrendo le pagine dei vari siti web che trattano l’argomento, scopriamo che le forme di democrazia sono molteplici. Si continua a utilizzare il termine democrazia però anche quando democrazia non è più.
Perchè?
Perchè la Democrazia inventata dai Greci era di tipo diretto, quindi rendeva merito al nome, il popolo, tutto, governava, poteva esercitare il potere di decidere delle cose che riguardavano la comunità, la città di Athene in quel caso.
Mi si dirà che nella Grecia antica la popolazione era costituita da meno individui di quanti sono ai giorni nostri. A quel tempo mettere d’accordo 20/30,000 individui era relativamente semplice, può essere che non si riunissero tutti insieme nello stesso anfiteatro a discutere, come sembrerebbe certo che alla vita politica non partecipassero ne gli schiavi e neppure le donne e naturalmente i giovani sotto un determinata età. Pertanto alla fine il numero di cittadini che costituivano l’ossatura della democrazia erano sufficientemente contenibili nell’agorà, nella piazza a cui il termine fa riferimento.
Non voglio entrare nel merito delle altre formule di democrazia e nemmeno soffermarmi sull’organizzazione di quella diretta, l’espressione della volontà del popolo e la forma per esprimerla e farla valere nelle decisioni importanti.

Vorrei invece analizzare il contesto democratico dei giorni nostri dove una massa di individui, con un minimo del 50%+1 impone le proprie scelte alla rimanente massa del 50%-1 e non accetta alcuna ingerenza ne controproposta da parte dell’altrui schieramento.
Mi direte che non corrisponde alla verità perchè ci sono i rappresentanti della maggioranza e della minoranza che amministrano la cosa comune, quindi la democrazia e decidono secondo il volere del popolo.

Non è affatto vero.
È un’infame menzogna.
Vi spiego perchè.

Nell’antica Grecia il popolo non governava attraverso la domocrazia, in effetti non governava affatto, il popolo si limitava a discuterne nella piazza, detta agorà e il suo potere e decisioni venivano utilizzate dai rappresentanti dell’assemblea del popolo e messi in pratica.
La democrazia non era una forma di governo ma esclusivamente una forma simbolica per indicare il potere detenuto dal popolo. Vorrei aggiungere che il termine democrazia non fu utilizzato per indicare la volontà del popolo,  pare trattarsi invece di una espressione dispregiativa utilizzata dagli avversari del sistema di governo pericleo. Infatti kratos, più che il concetto di governo (designato da archìa) rappresentava quello di "forza materiale" e, quindi, "democrazia" voleva dire, pressappoco, "dittatura del popolo". Il popolo sovrano, e solo esso, dettava le regole ai propri rappresentanti affinché fossero eseguite. Il popolo forniva le linee guida di governabilità e impartiva gli ordini necessari.

Leggo su un sito che ne tratta in modo esauriente che i sostenitori del regime ateniese utilizzavano comunque altri termini per indicare come una condizione di parità fosse necessaria al buon funzionamento di un sistema politico: "isonomia" (ovvero eguaglianza delle leggi per tutti i cittadini) e "isegoria" (eguale diritto di ogni cittadino a prendere parola nell'assemblea). Peraltro, a queste forme di eguaglianza si legavano i principi di parresìa (libertà di parola) ed eleutherìa (libertà in genere).
Forme di equaglianza, diritto, libertà anche di parola.
Comunque la si rigiri la frittata arriviamo alla stessa soluzione: i più forti governano a scapito dei più deboli senza lasciar loro il diritto di espressione.
Non parliamo ovviamente dell’antica Grecia ma dei giorni nostri e, in particolare, giusto per lavare i panni sporchi in famiglia, del nostro parlamento e dei politici che, ahinoi, abbiamo eletto a rappresentarci.
Dove sono stati generati costoro? Da dove deriva il potere che noi cittadini siamo stati capaci di concedere questi individui ora che sentiamo il bisogno e desiderio di toglierglielo?
Sarebbe un lungo discorso da affrontare, lo riassuno a grandi linee.

Il primo parlamento democraticamente eletto e’ del 930 d.c. in Islanda, seguito a breve distanza da una simile organizzazione dei nativi americani, quale grande esempio abbiamo ricevuto, e in premio l’uomo bianco è quasi riuscito anche a sterminare quel popolo, degno esempio di una forma di governo che noi, poveretti uomini bianchi, non siamo mai stati capaci di applicare, islandesi esclusi naturalmente. E arriviamo alla rivoluzione francese e poi via via passando da varie e alternate fasi ai giorni nostri. La forma di democrazia, si ostinano a chiamarla tale, però non deriva dall’originale utilizzata nell’antica Grecia ma da una fomula di trasformazione che trasferiva il potere diretto e indiretto dal popolo ai suoi rappresentanti anche non eletti ma nominati da un esecutivo solo apparentemente nominato dal popolo. Che assurdità potreste farmi notare. Esatto assurdità e siamo stati noi elettori a concedere loro il diritto di sottrarci la possibilità di scegliere quali dovevano essere i nostri rappresentanti. Di fatto siamo governati da qualcuno che il popolo non ha eletto ne voluto, con leggi e programmi che il popolo non vuole ne gradisce e costretti a pagare tasse per spese che compensino spese che nessuno di noi ha mai autorizzato.

Ma che razza di democrazia sarebbe questa? Allora era meglio quando c’era il Re, almeno sapevamo benissimo chi fosse il respondabile del nostro malumore, il bersaglio preferito del nostro astio, la cartina tornasole della situazione economico-finanziaria italiana. Così com’è ora con uno stuolo di politici che non riescono a scollarsi dalla poltrona ricevuta in regalo, non più in prestito, in regalo perchè una volta presa non se ne vanno più, vedere una luce seppur flebile alla fine del tunnel diventa un miraggio.
Pertanto anche le parole di un certo Monti sulla vicina fine del tunnel sembrano messe li apposta per confondere o illudere l’italiano che forse dalla democrazia, la democrazia salvatrice, non si era mai usciti.

Io dissento, mai entrati volevate dire?

Un po’ di storia. Durante i lavori dell'Assemblea Costituente Piero Calamandrei affermò che nel "popolo dei morti", ossia nell'eccezionale tributo di vite umane pagato alla seconda guerra mondiale, si doveva scorgere la più importante fonte di legittimazione della rinata democrazia italiana ed europea. Analizzando questa prospettiva, qualcuno intravvide l’evidenza che il passaggio alla Repubblica fu uno svolgimento storico più corale, e anche più contraddittorio, di quello solitamente prospettato dalla tradizione che accentua il ruolo preminente della resistenza armata, tralasciando, nella transizione alla democrazia, la violenza dei bombardamenti angloamericani, a lungo taciuta nel rispetto del paradigma della "guerra giusta", e sui suoi effetti politici di breve e lungo periodo.

Perchè tacere, per quale motivo il popolo non doveva sapere di quello che pure succedeva al nostro vicino di casa, nelle città della nostra regione dove italiani e nonostante tutto, morivano ancora in nome di una guerra che non è mai stata nostra. Quale poteva essere l’equazione affinchè l’italiano medio potesse affermare che era stato salvato dalla politica? La politica e la democrazia non esistono, siamo noi entrambe, sono l’estensione di un pensiero di trasformismo filosofico che ci porta verso uno status di maniacale masochismo tale da farci eleggere gli aguzzini e poi criticarli per giustificare il malumore, chiedere a gran voce al grande puffo in cima al colle di rimuovere i cattivi e poi torniamo alle urne per rieleggere non già i partiti che sono solo delle scatole con etichette che di volta in volta vengono sostituite per dare l’impressione che tutto cambi, no, noi rieleggiamo gli stessi aguzzini che nella precedente lagislatura si sono resi complici dei furbi e dei ladri, dei disonesti e dei razziatori della cosa pubblica a loro esclusivo vantaggio e in totale disprezzo del cittadino elettore.
Ma quale democrazia è questa, qui si parla di arroganza della politica, una politica che non ci rappresenta più da almeno 50 anni. Non sono solo in questa tesi, altri e più titolati di me filosofi e uomini di scienza e cultura, l’hanno abbracciata prima di me.
Di che si tratta? Quale tesi?

La mia posizione riguardo la frase infelice di Calamandrei nonchè l’affermazione non è in totale sintonia. Primo non è chiaro per quale motivo il passaggio alla Repubblica possa sembrare un evento corale, storico siamo d’accordo ma corale? Sappiamo benissimo che il referendum costituzionale del 2 giugno 1946 fu fortemente voluto dagli inglesi e americani anche se non dichiararono mai apertamente la richiesta, si impegnarono assiduamente affinchè fosse istituito. Poi si volle giustificarlo con la volontà degli italiani di decidere sul loro futuro mentre sappiamo benissimo che non fu assolutamente così. Il gruppo dei Monarchici, a quel tempo ancora forti e compatti, attribuì al referendum brogli e manovre dimostrate anche se nessuna vera prova fu fornita, ci fu qualche episodio dubbio, anche quelle schede già barrate pro repubblica ritrovate in un campo alla periferia di Roma, non furono però giudicate sufficienti altrimenti avrebbe dovuto essere invalidato. C'era però qualcosa di più di semplici supposizioni: ci furono dei ricorsi, il governo non attese l'esito del ricorso e dichiarò la vittoria per la Repubblica in tutta fretta, nessuna coralità dunque ma il disegno egemone di chi accarezzava già l’idea di una democrazia esclusivamente nel nome ma non nei fatti.

Sappiamo comunque che che la casa regnante italiana era invisa sia a gran parte del ceto politico uscito dalla Resistenza - la questione dell'appoggio di Vittorio Emanuele II al fascismo non si poteva risolvere così, in amicizia, con una semplice successione - sia a molti degli Alleati e sappiamo quanto la Gran Bretagna fosse diventata particolarmente ostile ai Savoia. Tutto ma non coralità e nemmeno democrazia ma arroganza, l’arroganza di chi sapeva, aveva già in mente un piano per rodere la sovranità del popolo italiano e portarlo a essere succube in casa propria di una casta politica arrogante. I fatti di questi ultimi mesi non fanno che supportare questa tesi.

Al popolo italiano hanno lasciato solo gli occhi per piangere. I diritti sociali sono annullati, e quelli costituzionali soppiantati col governo tecnico. La sovranità e' un'aspirazione. Un anno con Mario Monti e' stato terribile: e' morta la democrazia in nome dell’arroganza e per questo decine di milioni di uomini e donne che hanno paura del domani e avvertono il vuoto attorno. Maledici il mondo, in casi così. E in effetti e' globale il terrorismo economico che ha distrutto le capacità decisionali degli Stati. Oggi siamo governati da poteri irresponsabili, ci comandano centrali finanziarie che decidono decimando ogni forma democratica. Ad opporsi dovrebbero essere i popoli; ma sono annichiliti nella protesta e rischiano di diventare strumento di violenze come quelle che si sono registrate in questi giorni. Poliziotti contro studenti, poveri contro poveri; a far da mazzieri i Black block e da cospiratore quel gruppo Bilderberg al quale Monti non si vergogna di presenziare. La protesta sociale ormai divampa. I governi, a partire da quello italiano, infliggono mazzate che tolgono il respiro a chiunque tenta di sopravvivere; non c'e' spazio per sperare nel futuro finché non arriva una classe dirigente capace di dire basta agli impostori che ci impongono il loro credo, il dogma della loro finanza indistruttibile.

Che rapporto intercorre tra la cosiddetta libertà degli antichi e la libertà dei moderni? L’unico modo di intendersi quando si parla di democrazia è davvero quello di considerarla come un insieme di regole che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure? È lecito esportare la democrazia? Il nostro è veramente il secolo della fine delle ideologie? Dove finisce la democrazia e inizia l’arroganza politca del prendere tutto e lasciare solo briciole? Per quale motivo siamo costretti a prendere tutto ciò che l’arroganza della politica vuole venderci anche  acaro prezzo e non siamo capaci di ribellarci per respingere al mittente le richieste? 

2012/11/15

Il Legionario

Ve la ricordate quella canzone di Renato Rascel che faceva “Mamma voglio fare il corazziere…”. Per chi non se la ricorda e per tutti quelli che non sanno chi fosse Renato Rascel posso dire che l’attore italiano, nonchè cantante, assomigliava nell’altezza al ministro Brunetta, mentre la canzone fu per molti mesi un’irrefrenabile ritornello in bocca a tutti, se poi ascoltate il mitico Rascel che la canta sono sicuro non smettereste di ridere.
Perchè dovrebbe essere chiaro, i corazzieri sono le guardie della presidenza della Repubblica, quegli spilungoni che spesso vediamo nelle rappresentazioni a volte grottesche, del potere del nostro beneamato presidente della Res Pubblica che ha tutto fuorchè essere pubblica visto che è un possedimento privato della casta. Che poi sia lui o qualcun altro del passato e del futuro si parla sempre di figure che vengono e vanno, quando arrivano al Quirinale poi spariscono nel nulla e nell’oblio, mentre loro, i corazzieri, restano. A piedi o a cavallo, degna rappresentazione di un’Italia composta di piccoli politici, di piccoli cantanti, di piccoli imprenditori, piccoli tutti di altezza e in qualche caso di spessore.
Perchè ho iniziato parlando del piccolo grande uomo Rascel e della sua canzone a proposito dei Corazzieri? Perchè oggi voglio parlarvi della Legione Straniera ma anche di imbecilli. Come possono andare d’accordo la Legion e gli imbecilli? Il mondo è pieno di imbecilli lo sappiamo come sappiamo che la madre degli imbecilli è sempre incinta che grossomodo significa che non mancano e mancheranno mai, ma che c’imbroccano con la Legione?

Bella domanda che merita una adeguata risposta: nulla.
E allora perchè li ho accomunati nello stesso pensiero?

Andiamo per gradi. La storia italiana insegna, potremmo parlare allo stesso modo della storia americana, francese, tedesca, russa o cinese, in quello non siamo soli, dicevo insegna che da sempre nel nostro paese ci sono stati eroi, prima di essere ricordati come eroi gli individui erano soldati e prima ancora ragazzi come i nostri figli. Ragazzi con tanti ideali, con buone idee e soluzioni per cambiare il mondo, giovani che l’avrebbero sicuramente cambiato se solo ne avessero avuto l’occasione. L’occasione per i nostri nonni e padri, parlo dei miei, per la maggioranza di chi mi legge potrei dire nonni e bisnonni, venne con le ultime due grandi guerre. Furono molti i volontari che partirono e, purtroppo, anche molti quelli che non tornarono, sopraffatti da un nemico più forte e preparato o dal freddo e privazioni, dalle malattie, dai tradimenti dagli atti di coraggio propri o di altri, dalla guerra.

Dalla fine della nostra guerra, l’ultima che ha coinvolto in prima fila il nostro paese, molti giovani in cerca di riscatto, o semplicemente inseguendo un ideale, sono partiti per arruolarsi come volontari in eserciti che combattevano piccole guerre ovunque nel mondo. Parlo di guerre a noi lontane, in Algeria, in Vietnam, in Indocina, in sud America e in Africa. Soldati diventati mercenari per scelta o ideali che hanno riempito in qualche modo pagine su pagine di storia e qualche volta di eroismo. I nostri migliori giovani partiti alla guerra e mai ritornati. In quel contesto si posiziona la Legione Straniera che ha origini lontane, ultracentenarie.

 La Legione Straniera è sempre stata un corpo militare a se stante all’interno dell’esercito Francese, sebbene soldati provenienti da diverse nazioni abbiano fatto parte dell’esercito transalpino,  solo la Legione Straniera è sempre stata un corpo formato esclusivamente da soldati non Francesi. Le sue origini risalgono al 9 marzo 1831, quando il Re Luigi Filippo d’Orleans, ultimo sovrano Francese, riunì in un unico corpo, tutti i militari “stranieri” facenti parte del suo esercito. Per facilitare l’ingaggio in questo corpo, bastava recarsi al reclutamento fornendo nome e cognome, questo per molti rappresentava una nuova opportunità di rifarsi una vita.

Le origini a volte fosche dei Legionari, contribuirono a creare un “fascino misterioso”. Questo reparto operò per la prima volta in Algeria il 27 aprile 1832, perchè un regolamento dell’epoca, prevedeva che questo reparto composto di soldati stranieri, poteva operare solo all’estero.  Questo primo gruppo ebbe, però vita breve, dopo essere stato ceduto alla Spagna, quasi tutti i suoi effettivi perirono nella guerra contro le truppe Carliste. Nel dicembre 1835, in Francia,  fu ricostituito un nuovo corpo della Legione Straniera, precluso  ai cittadini Francesi, il corpo era formato da uomini provenienti da diversi paesi, per questo si rese indispensabile “adottare” la lingua francese. Questo corpo nuovamente ricostituito,  fornì prova del proprio valore nel 1843, sempre in Algeria,  contro i ribelli guidati dall’emiro Abd-el-Kader. 

Il menzionato paese Africano si lego indissolubilmente nel bene e nel male alla Legione Straniera fino al 1962. Presso la località di Sidi-bel-Abbès, a sud di Orano, vi era la sede centrale e, come ho potuto constatare nel periodo in cui ho lavorato in Algeria, sparse nel deserto del Sahara, molte altre sedi o avamposti.
La Legione Straniera fu impiegata anche in Crimea tra il 1854 e il 1856, distinguendosi nella battaglia di Alma, per poi partecipare alla presa di Sebastopoli.   
Pochi però sono a conoscenza che i Legionari combatterono pure in Italia: il 4 giugno del 1859 si scontrarono con gli Austriaci, attaccarono con la baionetta e li misero in fuga. Il giorno successivo i soldati della Legione Straniera entrarono a Milano.

A quel tempo erano di base in Algeria, colonia in mano ai Francesi, presso Sidi-bel-Abbès ove ritornavano dopo ogni spedizione. In anni successivi gli orizzonti operativi del corpo militare si allargarono, nel 1863 un corpo di spedizione sbarcò presso Veracruz, in Messico. Qui fu scritta una delle pagine più epiche della Legione Straniera, un piccolo plotone di sessantacinque uomini comandati dal capitano Danjou resistettero per ben dieci ore in un piccolo fortino a Camerone, contro oltre 800 ribelli. Gli ultimi sei legionari rimasti in vita, si lanciarono contro il nemico. Solo sedici legionari feriti sopravissero alla prigionia.

Da quel momento il 30 aprile di ogni anno, è la festa del corpo per ricordare l’impresa Messicana. Inoltre dovete sapere che la mano di legno del capitano Danjou è conservata come una preziosa reliquia presso il museo della Legione Straniera. 

Fu solo nel 1870 che la Legione, nonostante il divieto imposto  dal regolamento del corpo, fu impiegata sul suolo Francese. Dopo la sconfitta di Sedan per opera dei Prussiani, l’imperatore Napoleone III, decise di impiegarli nel corso di una battaglia sulla Loira per contrastare l’avanzata del nemico, sebbene il corpo si battè con grande valore, non bastò a evitare la sconfitta.

Reclute dei Legionari in punizione, notare le macchie sugli slip,
sono in quella posizione da ore, qualcuno non ha retto!
Da quel momento la storia del corpo militare divenne parte integrante della storia francese, tanto da essere decorata con la Lègion d’Honneur. La Francia, normalizzata la situazione, riprese le sue conquiste coloniali, mandando a combattere la Legione Straniera in Sudan, Madagascar e Marocco. Proprio in questa nazione nacque il mito del Legionario, ripreso diverse volte in pellicole cinematografiche. Nel corso della Prima Guerra Mondiale, si ripeterono le condizioni per un nuovo impiego del Legionari sul suolo francese, il corpo fu diviso in due parti, una operava nelle colonie d’Africa, l’altra in Europa. Una consuetudine già adottata all’epoca, e tuttora vigente,  era l’esenzione per i legionari stranieri di combattere contro i propri compatrioti. Nel corso della Grande Guerra, i legionari di nazionalità Tedesca furono impiegati nel nord dell’Africa, proprio per evitare di combattere contro il proprio paese natale. Al termine della Prima Guerra Mondiale, i legionari furono impiegati nell’irrequieto nord Africa, e fu qui che allo scoppio del secondo conflitto mondiale gran parte dei Legionari si trovavano, schierandosi in seguito con De Gaulle e l’esercito Alleato.

I Legionari operarono in Libia e Tunisia, combattendo contro L’Africa Korps e gli Italiani della Folgore. In Francia contribuirono alla liberazione del paese.  Alla fine del conflitto, la Legione Straniera crebbe nuovamente  di numero, in particolar modo con soldati tedeschi, ma questo fu anche il periodo più critico del corpo, chiamato  a combattere in Indocina, nella sanguinosa battaglia di Dien Bien Phu. In seguito i “venti” d’indipendenza, interessarono le colonie Africane, l’Algeria divenne indipendente nel 1962, e conseguentemente la Legione Straniera abbandonò dopo ben 119 anni di presenza, la base di Sidi-bel-Abbès. Con la perdita della “sede storica”, si rese necessaria una riorganizzazione della Legione, la sede principale fu stabilita a Aubagne, più altre tre basi sempre in Francia, Corsica compresa.

Arrivando ai giorni nostri, i Legionari furono impiegati in Ciad, Zaire, Libano, Somalia, nell’ex Yugoslavia e Afganistan. In tutta questa storia di gloria reale o mistificata non potevano mancare gli italiani. Il nostro popolo ha sulle spalle una lunga storia di guerre. I romani conquistarono il mondo, le fila dell'esercito romano era costituito in massima parte da mercenari e non tutti furono romani, in seguito ci siamo trovati a dover combattere contro gli usurpatori del suolo natio, contro la Chiesa, contro gli Asburgo e i Francesi e poi Napoleone e ogni nuovo conquistatore era una guerra, una scaramuccia e gli italiani sempre li a subire. Diviene persino logico essere coinvolti dal fascino della Legione Straniera, in seguito amplificato dal cinema, e la vicinanza del nostro paese con la Francia lo ha reso possibile, alla portata di molti, ha determinato la presenza di un grande numero di Italiani in questo corpo militare.  Solo la Germania ha avuto una presenza maggiore (come unità)  di quell’Italiana, e questo da sempre. Tra i nomi noti che hanno militato nella Legione Straniera, ci sono stati: Ricciotti Peppino nipote di Garibaldi, Giuseppe Bottai, ministro dell’istruzione durante  il fascismo, e lo scrittore Curzio Malaparte.
Oggi arruolarsi oggi nella Legione Straniera è facile anche se con regole severe, lasciano poco spazio a chi va tanto per provare. Sono ancora molte  le persone che chiedono di far parte della Legione Straniera. 

Oggi come ieri il fascino della guerra, della dura vita militare, delle parate, dell’odore di morte e del sangue attira i giovani che vogliono riscattarsi magari da una vita non all’altezza delle proprie aspettative. Purtroppo la formula di arruolamento lascia la porta aperta anche a chi fugge dalla legge del proprio paese, agli assassini, ai criminali di tutte le razze e estrazioni sociali anche se le regole sono cambiate c'è ancora spazio per questo. Del resto molti degli ex-legionari italiani sono stati in seguito condannati per aver compiuto efferati atti terroristici in patria, per aver causato la morte di altri individui, per aver continuato a vivere o cercare di vivere annusando il sapore amaro e metallico del sangue. Un sapore che non si dimentica mai e che molti, liberati con o senza onore dopo almeno cinque anni di arruolamento vanno a cercare ancora dove ci sono guerra. 

Sono ex-legionari molti dei contractors delle agenzie che operano in luoghi difficili, era un ex legionario un collega di Fabrizio Quattrocchi, una guardia di sicurezza privata, che fu poi assassinata da insorti islamisti della "Falange di Maometto" in Iraq nel 2004.
Anche se, ripetto al passato non sono più ammesse persone che si sono macchiate di reati gravi non tutti i legionari sono casti e puri come giovincelli alla prima uscita, l’ambiente è forgiato da una vita militare dura, a volte invadente, ti toglie il respiro. Ti annulla la volontà, diventi una macchina da guerra assetata di sangue, di potere. Chi ritorna è distrutto dentro, sordo a ogni stimolo esterno, il pensiero fisso di morte pervade gli individui. Molti cercano la guerra come unica ragione di vita e se non la trovano ne creano una personale. 

Le pagine dei nostri giornali sono piene di storie come questa. Come non ricordare Andrea Ghira, uno degli autori della strage del Circeo? Che dire di Giampiero Mariga ex militante di un’organizzazione paramilitare fascista chiamata Ordine Nuovo? E Guglielmo Sinigaglia coinvolto nelle indagini per la strage di Ustica nel 1980? 

Le stesse reclute dei  legionari puniti, evidenti le macchie sul fondo
 dei pantaloni e mutande, qualche problema di incontinenza? 
E gli imbecilli? Adesso parliamo degli imbecilli. Della Legione Straniera ho riempito qualche paginetta, con gli imbecilli me ne basta giusto mezza. Sono quelle persone che hanno i coglioni di pensare di andare a far la guerra con la Legione Straniera ma ignorano completamente quello che veramente succede, tant’è che gli italiani che disertano ogni anno sono oltre il 60% su poco meno di un centinaio che si arruolano. Sessanta imbecilli? Non necessariamente, sono quasi tutti giovani, per essere arruolato devi essere fra i 18 e i 40 anni, (17 anni per certe nazionalità), cercano gloria e fama, sfuggono da situazioni difficili, cercano il riscatto. Poi arrivano e si ritrovano tutti insieme a Aubagne, in corsi di formazione al limite della sopravvivenza, non parlano una parola di francese, i modi sono duri e i militari dell’addestramento anche. Sono molti quelli che si ritirano, alcuni disertano, altri vengono scartati. Gli imbecilli sono quelli che credevano fosse facile, che bastassero muscoli e una buona dose di menefreghismo per la propria vita e quella degli altri e invece si ritrovano a desiderare con forza il ritorno alla vita appena lasciata, vogliono scappare dall’inferno nel quale sono capitati e tornare a vivere.

Chi resta? Sono sempre quelli che non hanno più nulla da perdere, che a casa loro fanno la fame, che fuggono da guerriglia e terrorismo, da malattie e terrore, dal razzismo tribale e paura per il domani, chi fugge sono solo gli stessi imbecilli che su certi forum scrivono che avrebbero deciso di partire, che cercano compagni di viaggio per arrivare fino ad Aubagne, che ne hanno necessità per dividere le spese, per condividere questa esperienza, che  dichiarano non senza una vaga sensazione di angoscia che potrebbe anche essere l'ultima volta in cui vedranno l'Italia. Che provocano e sfidano chi non ha le loro stesse idee affermando che non bisogna non essere "normali" ma ci vogliono i "coglioni”.

Chi ha i coglioni parte da solo, non aspetta gli altri, chi ha i coglioni se ne frega di tutto quello che li circonda se hanno un ideale che li muove, che li guida e se veramente vogliono cambiare vita c’è di meglio che andare a servire un altro paese che ti paga due lire per mandarti a morire, le scelte migliori caro imbecille ci sono, esistono. 

Se proprio cerchi il rischio, l'adrenalina nelle vene, la paura di morire puoi andare in Palestina a combattere per la libertà di un popolo, in Georgia, in Afganistan. Nello stesso Iraq dove nonostante tutto si muore ancora, quelle sono scelte migliori se è la guerra che si cerca. Se invece si cerca la pace allora il mondo è pieno di gente che ha bisogno di un gesto, di un piccolo aiuto. Pensa a combattere la fame nel mondo, a Haiti, ai poveri in Bangladesh, alle popolazioni del Sahel, alle troppe genti africane che ancora combattono le guerre dei poveri per conquistarsi un pezzo di pane o l'acqua, contro le malattie e la fame, quella vera, quelle sono le guerre che puoi combattere e quando torni in patria esserne orgoglioso

Vuoi partire imbecille? Buon viaggio! Non tornare dopo 3 mesi però aspetta almeno cinque anni e, se puoi, non tornare affatto, non abbiamo bisogno di coglioni come te.

2012/11/09

La Pentola a Pressione

Una pentola a pressione (non una pentola di coccio) è una tecnologia relativamente vecchia che consente alcuni alimenti di cuocere in meno tempo di quanto richiesto dai metodi convenzionali. Una pentola a pressione è posta sul fornello e il contenuto all'interno della pentola a pressione, cuoce. La pressione maggiore creata dalla tecnologia della pentola a pressione riduce drasticamente i tempi di cottura e il vapore creato serve per intenerire gli ingredienti.


L'immagine di una pentola a pressione evoca un'analogia confrontabile con la mia vita. Utilizzando la semplice descrizione di una pentola a pressione, noto che alla gente piace 'velocizzare le cose' (in particolare le cose sgradevoli), utilizzando metodi non convenzionali che possono essere delle scorciatoie, mi vengono in mente i furbetti italici ma sarei limitativo. Purtroppo ovunque si vada possiamo trovare un individuo che adotta la procedura della pentola a pressione per velocizzare la propria vita e rendere se stesso inviso agli altri che lo circondano.

La pentola a pressione che ci rappresenta idealmente insieme è esposta al calore delle sfide, le scelte non sempre facili, le decisioni che possono cambiarci la vita e il rapporto di coppia e il contenuto della nostre vite può 'cuocersi' anzitempo. 

Cottura a pressione è infatti "ridurre drasticamente il tempo di cottura e può ammorbidire gli ingredienti" (la nostra vita).

Molte tecnologie utilizzano il concetto di pressione per fornire il loro prodotto. "Sensori di pressione" sono gli amici fidati, in una varietà di industrie sono utilizzati per indicare quando c'è un punto sicuro di ebollizione e vanno ascoltati.
In campo automobilistico gli pneumatici sulle nostre auto hanno 'tappi a pressione" rappresentano i confini che impediscono una perdita di aria e se non 'limitata' può portare a diminuzione della pressione, alla perdita di affetto all'appiattimento di un rapporto di coppia, il settore delle costruzioni utilizza 'la pressione a vapore per cuocere il calcestruzzo' reppresenta l'esperienza per assicurare una maggiore longevità alle strutture, irrobustirle quando sono esposte agli elementi, l'industria della salute usa 'bende di pressione' sono agenti di guarigione, consulenti per controllare l'emorragia, ridurre il gonfiore, forniscono il supporto per un arto rotto e assorbono i liquidi.
Equilibrio


Quattro pensieri:

1.Le stagioni della vita sono nella pentola a pressione, tutto può accadere - Smettetela di piagnucolare.

2. Il 'capo cuoco' ha utilizzato meno calore nella vostra vita, ma voi avete ignorato questo calore - Confidate in Dio.

3. Se collaborate con Dio si riduce il vostro tempo di cottura - Siategliene grati.

4. Il risultato di una stagione sotto pressione è una vita tenera - Siate pronti a incoraggiare quelli 'in cottura'.

La vita è una sola, abbiatene cura.


2012/11/08

Attenzione ai Comportamenti: La Diffamazione Online

Internet e molti servizi on line consentono di esprimere il proprio pensiero in molteplici modi: si pensi a social network come Facebook e Twitter oppure a siti di giornalismo partecipativo, e così via.

Però, a volte esprimere la propria opinione può comportare conseguenze spiacevoli se si superano alcuni limiti: quali sono?

Quando, on line, si arriva a commettere il reato di diffamazione?
Quando possiamo parlare di una vera e propria diffamazione a mezzo Internet?

La diffamazione colpisce tutti!

Dal Codice Penale Italiano (ultima edizione disponibile online)

Art. 594 Ingiuria
Chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 1032. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 2065, se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l'offesa sia commessa in presenza di più persone (NdR: come per esempio in un forum).

Art. 595 Diffamazione
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1032. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità (NdR: incluso quindi un forum pubblico), ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 4130. Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

Oggigiorno è normale passare parte della propria vita digitale su forum, gruppi di discussione e social network (come Facebook), che ormai rappresentano a tutti gli effetti strumenti di espressione della propria personalità. In questi ambienti virtuali spesso si parla, come al bar, dei più svariati argomenti, talvolta anche in modo approssimativo facendo poca attenzione a ciò che si scrive e dimenticandosi che il forum, a differenza della chat, è uno strumento asincrono (in quanto i messaggi vengono scritti e letti in momenti diversi) che lascia la comunicazione per sempre, o quasi, in rete.
Raccontare l’opinione che si ha di un individuo o ancor di più delle esperienze negative su un prodotto o un servizio, è un atteggiamento che non piace, soprattutto alle aziende, che fanno del parere degli utenti il cavallo di battaglia del proprio web-marketing.

D’altra parte è anche vero che trattandosi di discussioni che avvengono online, molti utenti coperti dal loro nick-name e forti del fatto di trovarsi dietro a un computer, si lasciano andare a commenti molto coloriti o accuse del tutto gratuite pensando che la rete sia una zona franca dove sia ancora possibile dire (o meglio scrivere) quello che si vuole. Infatti, capita sempre più spesso che gli autori in buona fede di commenti critici e informali, scritti magari di notte sul forum, siano trascinati in un procedimento penale.

Molti potrebbero obiettare che in Italia e soprattutto su Internet, ognuno è libero di esprimere la propria opinione e che scrivere sui boards rientra nel più ampio esercizio della libertà di pensiero.
In realtà non è del tutto vero, facciamo chiarezza!
La diffamazione è un reato strettamente connesso alla persona e al diritto all'onore di cui ogni individuo è titolare ed è previsto dall’articolo 595 c.p. (vedasi citazione sopra).

Esso dispone che chiunque, fuori dai casi di ingiuria, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032,00 €. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065,00 €. Quindi mentre il reato di ingiuria previsto dall'articolo 594 c.p. punisce chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente, il reato di diffamazione punisce chi offende l'altrui reputazione in modo "indiretto" parlando con più persone e riferendosi, appunto, a una persona che non è materialmente presente.

Trascuriamo i casi in cui ci si può trovare di fronte a un concorso di reato e soffermiamoci solo sulla diffamazione che può realizzarsi in due modi, a "mezzo di stampa telematica" o a " mezzo di Internet". Del primo caso si è già parlato molto sui media nazionali, sia a seguito delle sentenze riguardanti la responsabilità di riviste telematiche, sia tra molte polemiche per il caso del blog sottoposto a un regime equivalente (Trib. Aosta 26/05/2006). Oggetto di questo post, invece, è l’ipotesi che può capitare all'utente comune quando scrive su un forum o su un newsgroup per sua passione o interesse personale.

Il terzo comma dell’articolo 595 c.p contempla la diffamazione online come circostanza aggravante della diffamazione perchè realizzata tramite internet che viene considerato un mezzo di pubblicità, perchè idoneo e sufficiente a trasmettere un messaggio diffamatorio a una pluralità di soggetti. Perchè il reato si realizzi è richiesta la presenza necessaria e contemporanea dei seguenti elementi: l'offesa alla reputazione di un soggetto determinato o determinabile, la comunicazione di tale messaggio a più persone e la volontà di usare espressioni offensive con la consapevolezza di offendere (c.d. dolo generico).

La reputazione è l'interesse tutelato da parte del legislatore e viene intesa come quella stima di cui l'individuo gode in seno alla società per le caratteristiche che gli sono proprie. Per ledere la reputazione quindi sono necessarie espressioni non vere, offensive, denigratorie o espressioni dubitative, insinuanti, allusive, sottintese, ambigue, suggestionanti, se per il modo con cui sono dette fanno sorgere nel lettore un plausibile convincimento sull’effettiva rispondenza a verità dei fatti falsi narrati. La vittima oggetto della diffamazione deve essere invece una persona determinata o determinabile. L'individuazione dell'effettivo destinatario dell'offesa è condizione essenziale ed imprescindibile per attribuire all'offesa una rilevanza giuridico-penale.

La diffamazione è un reato istantaneo che si consuma con la "comunicazione a più persone". Trattandosi ad esempio di un forum, tale elemento si realizza con il postare il proprio messaggio e si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione ingiuriosa e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state immesse sul web, nel momento in cui il collegamento viene attivato (Cass. pen. Sez. V, 21/06/2006, n. 25875). Da sottolineare come si configuri anche nel caso in cui il board non fosse pubblico ma richiedesse una registrazione per leggere i messaggi.

Ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico nei delitti di diffamazione, non è necessaria l'intenzione di offendere la reputazione della persona, ma basta la volontà di utilizzare espressioni offensive con la consapevolezza di offendere. Come è facile notare questo tipo di atteggiamento, direttamente rilevabile in base alle frasi e al significato delle parole oggetto di diffamazione, è uno degli elementi che permette di tracciare il limite tra diritto di critica, tutelato ampiamente dalla libertà di pensiero, e la disciplina delittuosa.

L’articolo 21 della Costituzione dispone che "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione" ma tale diritto incontra dei limiti specifici qualora l'opinione espressa giunga a ledere l'altrui onore e reputazione. Quindi il diritto di critica e la libertà di opinione non possono essere equivocate con la libertà d’insulto, di offesa, di diffamazione dell'altra persona. Un principio costante della giurisprudenza è che la critica, per quanto forte e spregiudicata possa essere, non debba mai diventare insulto, dileggio, disprezzo della persona. Qualora ciò avvenga non si è più in presenza di una critica ma di una diffamazione!

Per ciò che riguarda l’imputabilità non dimentichiamoci che la responsabilità penale è personale, pertanto l’hosting provider che consente agli utenti di accedere ad un newsgroup non può essere ritenuto responsabile per i messaggi che passano attraverso i propri elaboratori. Ciò in quanto il provider si limita a mettere a disposizione degli utenti lo "spazio virtuale" dell'area di discussione e non ha alcun potere di controllo e di vigilanza sugli interventi che vi vengono man mano inseriti (Trib. Lucca, 20/08/2007). Allo stesso modo il gestore del forum sarà, caso mai, responsabile solo della negligenza di controllo oppure per la mancata rimozione del commento denigratorio, dopo che gli sia stato fatto notare ed esso sia realmente offensivo.

Diversamente la giurisprudenza ha avuto modo di individuare anche il confine tra critica e diffamazione che emerge dal rispetto di principi quali la continenza espositiva, la verità e la pertinenza dell’informazione. Pertanto, l’autore di messaggi su forum o newsgroup che con i suoi commenti critichi prodotti o servizi, utilizzando un linguaggio educato, non denigratorio o insinuante senza la volontà e la consapevolezza di offendere, non potrà temere nessun tipo di azione legale rientrando la sua condotta nelle libertà di espressione e di critica garantite dal dettato costituzionale.

Un Forum è sempre un luogo pubblico, dove la gente si trincera dietro un nick e crede o pensa che tutto sia possibile, anche offendere, a creare malcontento e fastidi agli altri utenti, fosse anche contro una sola persona, riconoscibile o meno.
Ciò non toglie che tale persona, cioè chi offende, debba comunque comportarsi secondo le regole del Paese ove risiede. E non mi si venga a dire che magari si risiede all'Estero perchè le norme italiane sono molto blande rispetto a quelle di certe nazioni europee e americane.

Quindi attenti, il rispetto reciproco è la base per una sana discussione, che porti dei validi contenuti e aiuti a chi approccia questo ambiente per sapere, conoscere, dividere, condividere e trarne il massimo giovamento.
Se ritenete che il messaggio di un utente non sia corretto allora scrivetegli in privato e elencategli tutte le vostre ragioni perchè ritenete abbia scritto un messaggio erroneo, sarà poi sua cura correggersi.

Se lo fate voi potreste incorrere in una denuncia penale anche rilevante.

E non pensiate che le autorità non siano in grado di entrare in un semplice forum e cogliere tutti gli aspetti relativi a ciascuno degli utenti, quali nomi e cognomi, email, indirizzi, IP e quant'altro necessario per l'identificazione di chi ha commesso il reato e la conseguente rubricazione alle autorità preposte.
Del resto la Polizia Postale italiana ormai riesce a ottenere tutte le necessarie informazioni anche da un colosso della mistificazione come Facebook.

2012/11/07

La Rompicoglioni

La Rompicoglioni

Il rompicoglioni, o nel caso specifico la rompicoglioni o scassamaroni per non pronunciare un termine volgare che fa rabbrividire le persone è una persona fastidiosa e petulante. 
"Scassare", dal latino "quassare" (intensivo di "quatere", "scuotere") è sinonimo di "rompere", e anche la seconda parte delle due parole si equivale: in entrambi i casi si tratta di organi importantissimi e delicati, anche dal punto di vista simbolico. Nell'apparato riproduttivo maschile risiedono la Potenza e la Fertilità, e dunque il Potere. 

Se poi si pensa che queste "parti nobili" sono fonte di un piacere non da poco, si comprende come chi, come la rompicoglioni, attenta all'integrità e al benessere di esse ci fa il danno più grande che possiamo ricevere. All'inizio la rompicoglioni non si rivela per quello che è. Al contrario, parte bene: è presente, attiva, stimolante. 
Insomma, entra in rapporto. 

Poi però eccede: la rompicoglioni (o "il": il termine, in questa società fallocratica e fallocentrica, è assolutamente bisex) non possiede il senso della misura. Torna continuamente alla carica, senza tener conto del feedback che gli arriva dagli altri. 
Più che il contenuto delle sue argomentazioni, quello che urta della rompicoglioni è la modalità con cui le porta avanti: la sua insistenza diventa inesistenza di possibilità di successo. 

Nonostante la flessibilità e la tolleranza altrui, il suo atteggiamento rompe: "scassa" davvero tutto. Il motto della rompicoglioni è: "repetita juvant". Peccato (per lei) che non sia così: l'insistenza non paga. Quando si dice (o si chiede) qualcosa, è Ok accertarsi che sia stata compresa: ma per questo bastano due volte, non di più. Se poi l'altro non dà corso alla richiesta, è perché non può, o non vuole farlo. Insistere (detto più crudemente: scassare i …..), ottiene il solo scopo di esasperare l'altro, alterando il rapporto (si pensi alle dinamiche genitori/figli). 

Ma se alla gente la rompicoglioni non piace, va detto che la cosa è reciproca: la gente non piace alla rompicoglioni. Lei gli altri non li guarda nemmeno. Se lo facesse, si accorgerebbe che il proprio stile da bulldozer non dà alcun risultato, e cambierebbe strategia. Ma lei non vede niente: va avanti per la sua strada, concentrata esclusivamente su di sé. 

A volte la rompicoglioni dà l'impressione che il suo vero obbiettivo non sia ottenere ciò che chiede in modo insistente, ma non ottenere: o addirittura, essere presa a calci per la sua eccessiva insistenza. Nella sua scarna socialità, la rompicoglioni non deve essere confusa con la determinata, che fa della battaglie di principio che la portano all'isolamento, e qualche volta ad essere soggetta a mobbing.

L'Italiano

Nessuna popolazione di nessun paese dell'area europea si lamenta e si lagna come fanno gli italiani.
All'Italiano medio interessano poche cose, tutte vicine a lui e chiama questo gruppo di cose Italia. Tutto il resto puo' anche scomparire, l'importante che queste cose rimangano. Non esiste Patria, Nazione, Stato o Popolo, non esiste una cultura del Pubblico, del condiviso, del bene collettivo. Non siamo nemmeno un popolo, ma un insieme di famiglie, di citta' al massimo. Siamo l'unico popolo che non si incazza per cose che basterebbero a far capovolgere qualsiasi altro Stato. O meglio, a parole sono tutti incazzati, al bar specialmente, sui social forum o su forum come questo, a parole naturalmente. poi a fatti tutti hanno paura di fare qualcosa, tutti hanno troppo da perdere. Troppo cosa? Una vita vera? Certo, non tutti possono permettersi di mollare tutto e cambiare Paese o Continente, questi "non tutti" sono gli stessi che non provano nemmeno a cambiare il posto in cui sono. Nonostante questo ci si lamenta sempre.

A lamentarsi l'Italiano e' bravissimo. In casa propria come altrove.
L'Italiano e' in grado di adattarsi a tutto, sempre e al peggio ancora. Una situazione che oggi e' di merda e domani lo sara' di piu', non cambiera' di una virgola per l'Italiano, semplicemente perche' non la vede. Non la vede perche' non la vuole vedere.

Io mi sento Italiano, sono nato in Italia. Non condivido pero' quasi niente con queste persone che per anni hanno lasciato in mano di pochi un paese intero, fregandosene se va tutto a puttane e allo stesso tempo riuscendo a far finta che vada tutto bene, nonostante tutto. Un cocktail, una macchina pulita il Sabato sera, una camicia alla moda e un lavoro "sicuro".

Il lavoro sicuro, altra str***ata: semplicemente non esiste piu', e' un concetto superato, andato, vecchio. Anche se hai un contratto, l'azienda puo' chiudere da un momento all'altro.
Gli Italiani sono assolutamente indietro, mentalmente, socialmente, economicamente, su tutto. Qualsiasi infrastruttura, modo di pensare, settore pubblico, modo di fare le cose e' vecchio. I nostri "leader" sono bambini idioti che litigano tutto il giorno per cose inutili e inesistenti e gli Italiani stanno a guardare, a volte, perfino, divertendosi, senza capire che nella vita reale la loro vita se ne sta andando e, quel che e' peggio, quella dei loro figli.
L'Italiano siede davanti alla TV da talmente tanto tempo che ormai non riesce a distinguerla dalla realta'.

Puoi tranquillamente uccidere un Italiano semplicemente mostrandogli una troia nuda che balla durante una moviola e lui stara' fermo e tranquillo a prendersi l'ennesima coltellata. O l'ennesimo c***o in culo, a seconda dei vostri gusti.
E' peggio l'assassino o chi lo copre chiudendo gli occhi?

L'Italiano di oggi sbava per un contratto da ottocento euro al mese senza benefit di alcun genere, credendo di essere arrivato in cima. E' disposto ad archiviare ogni titolo di studio pur di lavorare per qualcuno, credendo anche di fargli un favore. L'Italiano ha paura di uscire dall'Italia come un leone ha paura di uscire dalla gabbia in cui e' cresciuto, anche se trova la porta aperta, sposando il ragionamento "la gabbia almeno e' sicura, la fuori, chi lo sa...". L'Italiano si lamenta di tutto, ma aspetta sempre che qualcuno risolva i problemi al posto suo, perche' farlo in prima persona sarebbe un ulteriore problema.

L'Italiano e' quella famosa rana in quella pentola piena d'acqua che diventa sempre piu' calda.
L'Italiano e' arrivato ad essere orgoglioso dell'Italia (pochi purtroppo) pur non sapendo elencare i motivi per cui esserlo, escludendo il cibo. L'Italiano ignora mille segnali negativi in favore di uno positivo. Quello che i clinici chiamano delirio.

Quando qualche cinese lo mangera' come antipasto salato, allora forse smettera' di lamentarsi. Solo che ormai, qualcuno lo stara' gia' masticando, magari trovandolo perfino mediocre.