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2012/12/01

Cosa cambia per la Palestina oggi?



Ha vinto la Palestina, era ora. Pensate che il voto del Palazzo di Vetro abbia un valore solo simbolico, o potrebbe avere anche effetti concreti? Il punto di vista di Israele e indubbiamente la prossima e immediata reazione potrebbero condizionare i prossimi scenari in una guerra solo di nervi fra due entità con differente peso in una regione geografica abituata a clima caldo tutto l’anno e non soltanto per motivi geografici? 

Il riconoscimento ha diverse implicazioni pratiche che metteno in imbarazzo Israele e disturberanno il funzionamento delle diverse agenzie delle Nazioni Unite. Nonostante le premesse, le promesse e le paure e nemmeno a sorpresa Netanyahu non l’ha presa bene. Il primo ministro israeliano, oltre a ringraziare i paesi che si sono espressi contro appoggiando Israele in una guerra di nervi più che di armi ha annunciato la costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania. 

E ti pareva. Niente di nuovo all’orizzonte, lo scenario nella regione non cambia affatto e ne cambierà in un prossimo futuro perchè in effetti la Palestina non viene ammesso al club riservato dei Paesi membri ma solo come osservatore dell’ONU, guardare non parlare e probabilmente nuppure toccare la realtà anche se qualche volta riguarderà decisioni prese contro il proprio Paese. In concreto per la Palestina cambia veramente poco. 

L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Ron Prosor aggiunge come corollario alle rimostranze Israeliane che “Abbas preferisce i simboli alla realtà. Preferisce volare a New York invece di venire a Gerusalemme per negoziare“ mentre Limes spiega perché l’ammissione all’ONU è una vittoria simbolica, ma non rappresenta una soluzione, la Palestina, non ha amici all’ONU, infatti se escludiamo la Bulgaria non può contare su Stati amici come Israele, non altrettanto importanti, ricordiamoci che  la gran parte del mondo arabo usa la questione palestinese come diversivo per distrarre la popolazione dai problemi di legittimità interni o per acquisire popolarità a buon mercato. 

E sempre la Palestina non è in grado di minacciare militarmente l’esistenza di Israele; sarebbe sufficiente andarsi a contare le vittime palestinesi in tutti i conflitti ufficiali e ufficiosi fra le due compagini per comprendere come la forza militare di Israele, vicino forse scomodo per il piccolo neonato Paese nello scacchiere mediorientale è costantemente superiore a quella palestinese, in grado di colpire obiettivi e mietere un numero di vite maggiore di quello delle vittime israeliane. 

Semmai la spaccatura tra le due maggiori fazioni del movimento palestinese, Fatah e Hamas, si è indubbiamente amplificata negli anni, giungendo dal 2006 ad assumere anche geograficamente il carattere di una spartizione, una Fatah “governa” a Ramallah, dove risiede il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) Abu Mazen, e in tutta la Cisgiordania mentre Hamas ha il predominio sulla Striscia di Gaza. Piccole e insignificanti soddisfazioni per un Paese che invece dovrebbe cercare di unire le forze per avere maggiori possibilità di far valere la propria voce in un ambito dove gli appoggi sono in prevalenza americani nei confronti dell’unico Stato non islamico.

Con questo punto di vista e le suddette circostanze viene difficile pensare che il riconoscimento dell’Onu possa avere qualche effetto sulla soluzione della questione palestinese. Costruisce certamente un precedente, porterà a un isolamento di Israele nel breve periodo, probabilmente anche sotto il profilo diplomatico ma se questo porterà l’ANP a perdere i soldi delle tasse raccolti da Israele e probabilmente anche quegli aiuti occidentali che hanno permesso a Fatah di arricchirsi e istituzionalizzarsi al potere bisogna considerare che la Palestina dovrà inventarsi un nuovo sistema per finanziare la politica e il funzionamento dello Stato partendo da nuovi sistemi e azioni senza per questo disturbare più di tanto lo scomodo vicino. 

Perchè ora come ora la Palestina ha un minimo di riconoscimento in sede ONU e non può più permettersi di condurre campagne infinite di terrorismo senza la certezza di farla franca ancora una volta. Ora che esiste è obbligata a rispettare le stesse regole che Israele rispetta in seno alla stessa organizzazione mondiale di cui entrambe con diversi titoli fa nno parte. La Palestina potrebbe sfruttare il suo nuovo status per denunciare Israele al Tribunale penale internazionale o alla Corte internazionale di giustizia, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite è vero ma da adesso in poi anche Israele potrà fare altrettanto e la Palestina dovrà subirne le conseguenze e prendersi la propria fetta di responsabilità.

Sappiamo bene che gli argomenti di diritto internazionale non hanno particolare influenza sulle decisioni dello Stato ebraico. L’eventuale sospensione degli aiuti occidentali potrebbe avere effetti indesiderati per gli Usa e l’Europa, dovendo affrontare in casa propria il peso delle lobbies ebraiche che detengono il potere e la ricchezza di entrambe le regioni goepolitiche, inoltre si assisterebbe all’aumento della popolarità di Hamas, con maggiori ingerenze da parte di finanziatori con abiti differenti tendenti al bianco e religione non apprezzata in quell’ambito, non sicuramente dopo i fatti dell’11/9 ne in quelli recenti finanziari con recrudescenza dell’instabilità, aumento dell’indebitamento finanziario e esposizione nei confronti delle nuove potenza arabe importanti, Qatar in primis seguito a ruota da Abu Dhabi. 

Il riconoscimento ottenuto all’Onu rappresenta l;eredità di Abu Mazen al popolo palestinese ma non scuote le fondamenta della questione israelo-palestinese. 
La soluzione di questa passa per Washington e per le maggiori capitali mediorientali, non per il Palazzo di Vetro di New York. L’Europa infine non ha perso l’occasione di dimostrare la mancanza di una politica estera unitaria, la dimostrazione di una totale mancanza di coesione l’abbiamo sperimentata con nessun accordo preliminare, con posizioni contrarie della Germania e l’astensione di Londra, l’approvazione della Francia scontato e quello dell’Italia a sorpresa, l’Italia che ospita sul proprio territorio la maggiore comunità ebraica d’Europa. 

A qualcuno verrà sicuramente a memoria che ben tremila delegati affollano il parlamento di Bruxelles, a nessuno è venuto in mente che questo atteggiamento non piace ai cittadini che essi rappresentano che a tutti chiedono coesione e sicurezza, sicurezza messa in pericolo non già da un voto che forse aveva anche ragione di esistere, intendo con un risultato potivo per la Palestina, ma dalla partecipazione in ordine sparso delle delegazioni e l’espressione del voto ancora più inaspettato e inconcepibile. Evidente che l’Unione Europea non possiede quell’unità e quella volontà politica necessarie alla proiezione di una identità e di una personalità sulla scena mondiale. Il tempo in cui i Paesi europei avevano una visione comune sembra ormai lontanissimo.

E l’America? Dopo la vittoria di Obama e del pericolo immediato per tutta l’economia mondiale che essa rappresenta, dobbiamo evidentemente assistere a dei successi che non intaccano minimamente la granitica consapevolezza del gigante americano, sappiamo benissimo che per gli americani gli israeliani sono abitanti di un Paese lontano, loro sono semmai presi dalle vicende interne. E poco importa se al momento non hanno pensato al futuro dei loro figli, un futuro per altro richiamato proprio da Obama nel suo discorso di re-insediamento. 

Potrebbe essere un errore di campo fatale perché non c’è futuro per un mondo insicuro come quello disegnato da Obama in questi ultimi quattro anni questione araba compresa. Gli arabi, anzi il mondo islamico rappresenta la spina nel fianco di qualsiasi amministrazione americana degli ultimi 40 anni di storia, ricordiamoci di Monaco 1972. La vittoria di Obama rappresenta un pericolo per il mondo civile, e la decisione sulla Palestina pur con il voto contrario degli americani contribuirà a rendere ancora più insicuro il futuro di una regione abitata da quasi ventisei milioni di individui agitati da sentimento di odio nei confronti di un solo unico Paese e dei suoi alleati. 

Aleggia un’ombra sul futuro mondiale basta dare una occhiata alle agenzie arabe e persiane e alla loro malcelata soddisfazione. Non potevano sperare di meglio, anche i regimi islamici totalitari vecchi e nuovi (Iran, Egitto e Tunisia) sanno che non avranno nulla da temere da quel presidente neppure quando si astiene dal votare contro Israele e a favore della Palestina perchè alla fine a loro della Palestina non interessa poi molto. 

Cosa cambia ora in Medio Oriente? Dipende da alcune cose. La prima e forse più importante questione che risentirà di questa rielezione di Obama è la vicenda del nucleare iraniano. Se sono vere le voci che vogliono contatti diretti tra Iran e USA prepariamoci a un durissimo braccio di ferro tra Gerusalemme e Washington. Israele, come ha ribadito Netanyahu, non permetterà all’Iran di dotarsi di armi nucleari dietro al paravento dell’uso civile. Al contrario, Obama sembra credere alla favoletta del nucleare ad uso civile ed è tentato di trattare con gli Ayatollah. Un attacco israeliano alle centrai nucleari iraniane, già rinviato più volte e persino interrotto in una occasione, potrebbe scombinare i piani iraniani e americani. Lo vedremo presto, molto presto credo.

E per la Palestina riesploderanno le polemiche degli ultimi mesi in tutta la loro virulenza. C’è da giurare che Obama tornerà alla carica per spingere verso un accordo tra arabi e israeliani. Solo che l’accordo che vogliono gli arabi non è proprio un accordo nel vero senso della parola, che prevede due parti e due posizioni diverse, loro pretendono semplicemente di imporre a Israele le loro volontà. 

Ora però la questione potrebbe cambiare con Obama che ha quattro anni davanti a se con l’impossibilità di ricandidarsi probabilmente smetterà di essere “simpatico”. Potrebbe finalmente alzare la voce, e porre la questione sul piatto del contenzioso iraniano. Tenere buono Israele con l’Iran in cambio di un supporto per la questione palestinese. Il problema però è che per Israele la questione palestinese non è affatto di vitale importanza come invece lo è la vicenda del nucleare iraniano. 

Sappiamo che gli assetti geopolitici in Medio Oriente sono a rischio ogni giorno, non esistono accordi alla luce del sole, tutto avviene nelle stanze buie delle rispettive cancellerie e nei centri di controllo, l’ordine di colpire gli iraniani potrebbe partire in ogni momento mentre scrivo questo pezzo e cogliere impreparati tutti i Paesi coinvolti in un senso o nell’altro in questo scenario con un alto pericolo esplosivo. 

Guardiamo tutti a Obama  che sposta l’asse del proprio interesse verso Ankara con un’occhio al Cairo. Credo, anzi ne sono certo che altro non siano che goffi tentativi di accontentare quelle potenze e distrarre l’occhio attento della diplomazia non statunitense da altre e sottili questioni guarda caso tutte legate al petrolio e suoi derivati. Perchè diciamocelo seriamente, l’Unione Europea non ha ancora imparato la lezione e non ha diversificato le proprie fonti energetiche per rendersi indipendenti dal mondo arabo, in primo luogo l’Italia, che, con il voto a favore della Palestina ha evidenziato ancora il proprio interesse verso l’oro nero che, sempre per caso, è saldamente nelle mani di quelle stesse popolazioni a maggioranza mussulmana come i palestinesi. 

Cosa cambia per la Palestina oggi? Tutto e niente, dipende dai punti di vista. Di certo oggi il riconoscimento dello Stato di Palestina passa obbligatoriamente per il riconoscimento da parte palestinese di Israele come Stato ebraico. Stiamo a vedere la prossima mossa di chi sarà e quali saranno i coinvolgimenti dei vari Paesi nello scacchiere internazionale. Forse contrariamente alla regola, in questo caso "Tutti i mali verranno per nuocere?"


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