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2015/11/25

Dieci cose che non dovresti mai dire a lui



In coppia le parole spesso feriscono quanto i gesti perché arrivano dritto al cuore e fanno male, soprattutto quando in gioco è l'orgoglio maschile. Gli uomini spesso faticano a esprimere le loro emozioni, a causa di un'educazione che impone ai bambini maschi di non piangere perché “si deve essere forti”. In realtà ogni persona è estremamente sensibile quando viene punta sul vivo, ecco perché è importante usare molto tatto. Scopri le frasi che è meglio evitare con lui:

1 “Non mi hai fatto mai provare un orgasmo” - La frase è sbagliata per due ragioni. Per comunicare in maniera empatica e litigare senza farsi male è importante puntare l'attenzione su se stessi anziché sull'altro. Dunque meglio dire “Io non ho mai provato…”, anziché accusare l'altro con “Tu mi hai...”. Inoltre, sebbene possa essere la verità, perché parlare della questione dopo mesi, magari nel bel mezzo di un litigio? Meglio affrontare il problema subito, con toni pacati e una maggiore sensibilità.

2 “Non guadagni abbastanza” - Può anche essere che i conti di casa abbiano bisogno di una sistemata, ma con questa frase non otterrai grossi guadagni. Il motivo? Secoli di storia hanno caricato sulle spalle degli uomini il peso della responsabilità di saper provvedere a moglie e figli. Con una frase del genere gli trasmetti il pensiero che lui non sia in grado di farlo. E uccidi la sua autostima.

3 “Hai troppi peli sulla schiena e nessuno in testa” - Pensiamo sul serio che le donne siano le uniche a essere ferite da certe frasi? Non è così. Quando si tratta della nostra bellezza siamo tutti bisognosi di rassicurazioni. Perché i difetti che vediamo allo specchio con la lente di ingrandimento del nostro giudizio bastano per farci sentire brutti e inadeguati. Aiuta il partner a puntare sulle sue risorse, anziché farlo sentire sbagliato.

4 “Tua mamma ti ha educato malissimo” - Senza alcun dubbio ogni genitore genera un modello educativo, estremamente personale, di cui è possibile individuare lati più o meno funzionali. Mettere a confronto le diverse storie familiari e creare il vostro modello di famiglia è essenziale per il benessere della coppia, l'mportante è farlo senza offendere e con molto tatto. Quando usiamo le parole per colpire gratuitamente l'altro la comunicazione autentica si interrompe e il litigio è dietro l'angolo.

5 “Sono molto più alta di te” - Non importa quanto sia alto un ragazzo, dirgli che è basso, anche se è colpa delle scarpe, ferisce il suo ego. È un ottimo modo di farlo sentire piccolo e molto diverso dai boscaioli possenti e muscolosi (e anche se non lo è, molti ragazzi hanno il complesso dei boscaioli possenti e muscolosi).

6 “Per me sei come un fratello” - Praticamente hai appena detto: "Sono molto legata a te e il nostro rapporto è importante per me", ma quello che capiamo è: "Non ti trovo per nulla attraente sul piano sessuale". Anche se nel nostro intimo sappiamo cosa intendi, ci brucia lo stesso.

7 “La tua ragazza ti mantiene” - E' una frase ottima se vuoi offendere più persone al contempo. O stai insinuando che non siamo abbastanza di mente aperta, oppure stai toccando un tasto dolente. E comunque ci piace stare con una ragazza che ha successo.

8 “Dobbiamo parlare” - È un grande classico: dietro questa frase di lei c'è il solenne tentativo di innescare una reazione creando una grande aspettativa, a cui invece corrisponde… la più totale apatia da parte di lui, che inevitabilmente sbufferà annoiato. Se hai qualcosa che ti sta a cuore, dilla! Affronta di petto il discorso in un momento appropriato e attacca subito con l'argomento che più ti interessa.

9 “I tuoi amici sono degli adolescenti” - Tu come reagisci quando qualcuno critica i tuoi genitori o le tue amiche? Meglio evitare cattiverie gratuite. D'altro canto potrebbe anche darsi che alcuni tuoi pensieri corrispondano al vero. In questo caso evita frasi generiche come “Non li sopporto, sono odiosi”: trasmetti l'idea esatta facendo capire al partner il tuo punto di vista attraverso un comportamento preciso, o una frase riportata. Senza sentirsi aggredito, il partner potrebbe trovare affinità con ciò che dici e analizzare la situazione con più obiettività. Perché nella maggior parte dei casi la differenza non è in ciò che diciamo, ma nelle parole che utilizziamo.

10 “Non cambierai mai” - Questa frase inchioda l'altro ai suoi errori, non lascia speranza. Tu pensi di poter dare il meglio di te di fronte a qualcuno che ti ha già giudicato e condannato? Purtroppo sono parole che sfuggono facilmente durante i litigi più accesi, ma la loro potenza può essere devastante. La prossima volta morditi la lingua e se proprio devi dire qualcosa urla “So che puoi cambiare, dimostramelo”.

2015/11/22

Il valore della vita


Scusatemi ma non avrei molta voglia di scrivere sugli attentati di Parigi e delle reazioni che dilagano in Europa, lo faccio quasi come “dovere” alle tante persone che mi leggono.

Non ha molto senso infatti aggiungere molte altre parole ai tantissimi commenti, anche perché sento dentro di me un’angoscia profonda, un senso di inutilità nel vedere come già pochi giorni dopo i nuovi 129 innocenti morti ammazzati a Parigi (e 224 esplosi in volo 15 giorni fa, 80 saltati in aria a Beirut e migliaia di altri innocenti in mezzo mondo dalla Siria alla Nigeria di cui non parla nessuno), neppure finita la consueta retorica del lutto, l’Italia ha subito cominciato con i soliti distinguo. “Siamo in guerra? Si, cioè no, ma, però, forse, tuttavia, non so…” 

Nessuno chiede che si vada a bombardare qualcuno (anche perché non ne abbiamo i mezzi) ma almeno si fosse presa qualche decisione concreta, anziché coltivare solo la speranza che i terroristi continuino a preferire altri obiettivi. 

Ma guardate la sconsolante realtà, i numeri nudi e crudi: l’anno scorso su circa 200,000 immigrati clandestini arrivati in Italia più della metà di loro non si sa neppure il nome, la nazionalità, tanto meno si hanno le impronte digitali: spariti (o fatti sparire) nel nulla, mai esistiti. Certo che è difficile che i terroristi arrivino sui barconi, ma certamente tra quei disperati senza volto molti saranno adescati perché diventino almeno fiancheggiatori dei terroristi e altri lo diventeranno convintamente perché emarginati nella vecchia Europa e messi a contatto con abissali ingiustizie, ma anche perché - arrivati irregolari - restano senza lavoro, speranze, possibilità di crescere. 

E’ così che si crea quella zona grigia in cui poi naturalmente crescono i potenziali kamikaze che spesso sono già nati in Europa, ma rimasti ai margini della società. Ha un bel dire il ministro Alfano che siamo pronti. Ministro, non ci prenda in giro: visiti un po’ le periferie delle città dove caseggiati e quartieri interi sono occupati da anni non si sa da chi, in una anarchia sovrana e dove la polizia neppure entra: vale per i quartieri di camorra vale per le periferie di tante città dove la comunità islamica è addirittura diventata prevalente perché gli italiani se appena potevano ne sono scappati. 

Stessa “zona franca” per quei centri di estremismo islamico che di fatto nessuno controlla perché - anche quando si espelle un singolo Iman che predica l’odio e la morte agli infedeli - nessuno realmente sa né riesce a sapere chi frequenta quelle moschee, chi annuisca, chi si nasconda. Da anni migliaia e migliaia di espulsioni “ufficiali” ma tutti sappiamo che (quasi) tutti sono poi rimasti qui vivendo in clandestinità e creando altri problemi. 

La Francia è attaccata direttamente per tanti motivi, noi per ora siamo fortunatamente in ombra ma solo perché obiettivi minori e non per chissà quale politica di “intelligence”. La realtà è che le nostre forze dell’ordine sono insufficienti, vilipese, mal pagate, poco addestrate, con una età media di oltre 40 anni, senza mezzi né armi sofisticate, senza specifica preparazione antiterrorismo. Gente che rischia la pelle – e lo sa – senza avere alle spalle una copertura adeguata né tecnica nè di appoggio concreto della pubblica opinione. Avete visto a Bologna domenica scorsa: a 24 ore dalle violenze gli arrestati erano già tutti fuori, come sempre. 

Per rafforzare le nostre forze armate e di polizia servirebbero fondi che non ci sono e non si vogliono trovare in un’Europa che non è ancora riuscita ad escludere le spese per la sicurezza dai “patti di stabilità”. La realtà è che oggi le nostre “teste di cuoio” italiane sono pochissime e - salvo forse che nelle grandi città - impiegherebbero ore ad arrivare sul luogo di un attacco. 

Non solo, per “fiutare” gli esplosivi servono mezzi, cani, apparecchiature automatiche posizionate ovunque e non le abbiamo. Se un kamikaze volesse farsi esplodere su un “Frecciarossa” in una galleria farebbe un macello e non l’avrebbe controllato nessuno. Se qualcuno avvelenasse un acquedotto, come reagiremmo? Situazioni come queste sono potenzialmente migliaia, ma siamo del tutto impreparati a fronteggiarle anche come mentalità. 

Siamo deboli perché innanzitutto siamo sconfitti e deboli dentro e riflettiamo su quanti ventenni oggi si impegnerebbero veramente per difendere il proprio paese. Pochissimi, temo, perché non hanno esempi, certezze, ideali dopo essere cresciuti senza la minima tensione emotiva su queste tematiche, anche perché dove sarebbero gli esempi, tipo Falcone o Borsellino ?. 

Ma guardateli i nostri grandi strateghi: adesso viene buono perfino Putin, quello che tre mesi fa era all’indice e si ridicolizzava Berlusconi se andava a trovarlo. Tutti strateghi: i francesi che hanno abbattuto Gheddafi e volevano far fuori anche Assad, gli americani che hanno armato i ribelli di mezzo mondo con armi che adesso gli si rivoltano contro. 

Ricordiamoci che se era per Obama Damasco sarebbe stata rasa al suolo soltanto 2 anni fa e oggi sarebbe probabilmente la capitale dell’ISIS che – dobbiamo pur ammetterlo – spara anche con armi e munizioni italiane vendute a terzi e dirottate in Siria. Interventi? Nessuno. Guardateli tutti, che pena vederli inchinarsi ai Sauditi (vero, Mr. Renzi?) che sotto sotto appoggiano proprio l’ISIS prostituendosi per un po’ di petrolio. 

Guardate l’inutilità dell’ONU che non ha neppure il coraggio di prendere una posizione che sia men che retorica. Ma quando si aspetta ad intervenire con quei paesi che apertamente fiancheggiano il terrorismo e metterli al bando, costringerli a prendersi le loro responsabilità? Il punto fondamentale è, in questa situazione, quanto siamo disposti a perdere della nostra libertà personale in cambio di maggior sicurezza. In Francia si decide, da noi no. 

Qui sta il punto, altrimenti sono solo le solite chiacchiere, così come il dover amaramente prendere atto che se certamente non tutti i musulmani sono terroristi e altrettanto vero che quasi tutti i terroristi sono musulmani e questo è un inequivocabile dato di fatto che si fa finta di dimenticare mentre aspettiamo, almeno in Italia, di vedere finalmente salire la protesta dei musulmani “moderati” contro le nefandezze compiute in nome del Corano e la espulsione dei violenti dalle loro comunità. 

Sarà interessante vedere la prevista manifestazione “moderata” a Roma, ma anche quella già preannunciata a Milano di segno opposto e vedremo chi protesterà “a favore dei musulmani”, magari ci saranno anche i centri sociali, mentre a Porta Porta secondo un sondaggio (fatto al telefono, e i possibili terroristi non rispondono al telefono!) il 12% dei musulmani italiani giustifica comunque le azioni terroristiche, ovvero teoricamente in Italia ci sono più di 200.000 “amici” dei boia: quanti risultano al Ministero? . 

Dedicate infine un minuto di vita a leggere quello che scrive Antoine e forse, nel buio che attraversiamo, comprenderemo da che parte stia oggi la civiltà e l’umanità delle persone.

2015/11/17

Non avrete il mio odio, avete perso

Questo post vuole essere un tributo a un marito e a una moglie vittima della ferocia dei terroristi islamici. Un odio senza fine. Non l'ho scritto io, ma chi l'ha scritto ha avuto il coraggio di dire quello che pensava e sputare in faccia a quei criminali tutto il proprio disgusto. Non li odierà mai, siamo certi, ma nemmeno li amerà e l'indifferenza fa ancora più male.

“Non avrete mai il mio odio”. Antoine Leiris titola con queste parole la lettera indirizzata agli assassini di sua moglie. La donna ha perso la vita durante gli attentati di venerdì 13 a Parigi e il marito, rimasto solo con il figlio di 17 mesi, si è rivolto direttamente ai terroristi su Facebook. A loro non vuole dare la soddisfazione di avere la sua rabbia, di comandare le sue emozioni. Ha voluto scrivere una lettera aperta ai terroristi. Eccola:

"Venerdì sera avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore. 

Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete. Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa. 

L'ho vista stamattina. Finalmente, dopo notti e giorni d’attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di corta durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai. 

Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo. Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo petit garçon vi farà l'affronto di essere libero e felice. Perché no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio".

Scritto da Antoine Leiris, Paris, 17/11/2015

2015/11/15

Coerenza


Vi immaginate se negli anni ’70 un primo ministro italiano fosse andato in Cile a salutare il generale Pinochet? Impensabile, ma nessuno ha mosso ciglio né sollevato il problema per la recente visita del premier Matteo Renzi in Arabia Saudita. 

C’era da festeggiare la commessa ad imprese italiane per costruire parte della metropolitana di Riyadh e soprattutto i sauditi galleggiano su un mare di petrolio quindi tutti zitti, eppure basta entrare su Wikipedia per verificare come sotto il comando autoritario della dinastia saudita in Arabia si faccia rispettare rigorosamente la legge della dottrina wahabita (un'interpretazione fondamentalista del Corano). 

Il risultato è che molte libertà fondamentali della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo non esistono e la pena di morte ed altre pene sono state applicate spesso senza un regolare processo.

L’Arabia Saudita è uno di quegli stati in cui le corti continuano a imporre punizioni corporali, inclusa l'amputazione delle mani e dei piedi per i ladri e la fustigazione per alcuni crimini come la "cattiva condotta sessuale" e l'ubriachezza. L'Arabia Saudita è anche uno dei paesi in cui si applica regolarmente la pena di morte, incluse le esecuzioni pubbliche effettuate tramite decapitazione. 

Le donne saudite subiscono forti discriminazioni in molti aspetti della loro vita, compresa la famiglia, l'educazione, l'occupazione e il sistema giudiziario. Sulle strade pubbliche alle donne non era permesso fino a poco tempo fa di andare in bicicletta ed è loro tuttora vietata la guida di autoveicoli. 

L’Arabia è stata tra le ultime nazioni a dichiarare fuorilegge la schiavitù, ma nonostante questa proibizione formale persistono casi di schiavitù e di traffico di esseri umani. 

L'attività sessuale fuori dal matrimonio eterosessuale è illegale. La punizione per l'omosessualità, travestimento da donna o coinvolgimento in qualche cosa che faccia pensare all'esistenza di una comunità gay organizzata varia dall'imprigionamento alla deportazione (per gli stranieri), alle frustate e all'esecuzione. La libertà di parola e di stampa è limitata per proibire la critica al governo o l'approvazione dei valori "non-islamici". Il governo vieta ufficialmente la televisione satellitare, i sindacati e le organizzazioni politiche che sono proibite, così come le dimostrazioni pubbliche. 

L'Arabia Saudita proibisce tutte le manifestazioni e i culti religiosi tranne l'Islam ed è vietato celebrare una funzione religiosa non musulmana. Il governo può cercare nelle case di chiunque e arrestare o deportare i lavoratori stranieri che possiedono icone o simboli religiosi, come ad esempio il vangelo o un rosario. “Pecunia non olet” ma anche in questi atteggiamenti vi è la conferma della nostra subordinazione paurosa e silenziosa all’estremismo islamico perché – non dimentichiamolo - di fatto l’ ISIS è finanziata anche dai principi sauditi.

2015/11/09

Le Bufale Renziane



Luigi Federico Signorini non è l’ultimo arrivato ma è il vicedirettore generale di Bankitalia. Durante un’audizione in Senato sulla Legge di Stabilità, ha dichiarato che "La Banca d' Italia stima in 70 miliardi i debiti commerciali della pubblica amministrazione, il doppio - se non di più - di quello che sarebbe fisiologico, con un ulteriore deciso incremento sul 2014". 

Vi ricordate quel simpaticone di Matteo Renzi che nel settembre 2014 da Bruno Vesta aveva dichiarato e promesso al popolo festante che le pubbliche amministrazioni avrebbero d’allora in poi pagato con sollecitudine tutti gli arretrati? Semplicemente non è stato così, era e resta una “bufala” renziana che però pesa su centinaia di migliaia di aziende molte delle quali durante questo anno hanno dichiarato fallimento proprio per i crediti inevasi verso le pubbliche amministrazioni.

Ci stanno fregando, sappiatelo

2015/11/03

Piove, governo ladro...


L'eterna storia del potere, sordo alla sofferenza dei più deboli sin dalla più remota antichità, ha collegato un dono di Dio quale è la pioggia all’indebito arricchimento dei potenti.
Già quasi 5.000 anni fa, al  tempo della quarta dinastia dell’antico regno egiziano, il Faraone Cheope, descritto da Erodoto come un tiranno che, avido di denaro per i suoi lussi, avrebbe schiavizzato il suo popolo per erigere il proprio monumento funebre (la famosa piramide maggiore), aveva collegato direttamente l’ammontare delle tasse alle precipitazioni che determinavano le esondazioni del Nilo, il cui limo rendeva il terreno agricolo più fertile da dare due raccolti all’anno.
Nell’antica Roma i magistrati venivano pagati con grano, vino e olio. I soldati ricevevano parte di queste derrate con l’aggiunta, secondo un peso prestabilito,  di sacchi di sale (da cui la parola salario) proveniente dalle saline del Mar Adriatico attraverso la Via Salaria. Se nei giorni di paga pioveva, il sale si impregnava d’acqua con la conseguenza che pesando di più ne veniva distribuito di meno. Per questo i soldati imprecavano contro il sistema che in pratica era un arricchimento indebito dell’Erario, coniando, secondo la leggenda, come prima forma di protesta nei confronti del potere, l’espressione: piove, governo ladro!

Nel Medio Evo e nel Rinascimento la tassazione, che contava una miriade di gabelle, fu estesa alla raccolta di acqua piovana in cisterne, alimentate da grondaie e scolatoi dei palazzi nobiliari, sicché ai poveri non era consentito nemmeno di poter godere di un dono gratuito del cielo.

In tempi più vicini, dopo l’effimero regno d’Italia di Napoleone, quando il Lombardo-Veneto era sotto il dominio austriaco, il Governo di Vienna, introducendo una specie di IRPEF ante litteram, aveva reso le tasse rigidamente proporzionali al raccolto per cui ai contadini non veniva dato scampo: un’annata piovosa significava inevitabilmente un raccolto più abbondante con conseguente aumento delle tasse. 

All’arrivo delle piogge gli agricoltori si affrettavano a nascondere le poche derrate di riserva ed a imprecare: piove, governo ladro! E il granduca di Toscana, ricordando l’esperienza dei romani sull’importanza capitale del sale, mise una tassa aggiuntiva sulla sua produzione dando luogo alla nascita del monopolio di Stato, estinto in Italia solo 100 anni dopo con legge del 1966. Poiché la pesa veniva effettuata sempre nei giorni di pioggia, che aumentava il peso del sale, ai produttori non restava che ribellarsi con la stessa espressione di scherno ed ingiuria.

Ma tale forma di protesta ebbe anche una connotazione politica quando i mazziniani avevano predisposto, nel 1861 a Torino, una dimostrazione antimonarchica. Il giorno fissato ci fu un tremendo temporale, che colpì la città senza alcun preallarme e la manifestazione abortì. Di qui il Pasquino, rivista satirica dell’epoca, pubblicò una vignetta che ritraeva tre manifestanti inzuppati d’acqua che urlavano polemicamente: piove, governo ladro!

Non solo il governo ruba, non solo loro sono ladri, che poi a ben guardare sguazzano in un ambiente chhe di furti grrandi e piccoli ha sempre vissuto, anche il popolo si è attrezzato, per non sembrare inferiore a chi mlo comanda. Ho raccolto dunque delle testimonianze di vittime di furti e borseggi, a Milano. Mi è bastato mandare un messaggio ai miei contatti Facebook per incassare una quantità inaspettata di racconti (dall’aperitivo al dolce, come vedrete) a formare una sorta di storytelling e volenterosa narrazione collettiva – accenti diversi: ansioso, ironico, spaventato, post trauma – che testimonia non soltanto la considerevole diffusione del reato ma il generico timore che, nel tempo della crisi economica, qualcosa di molto spiacevole stia acquistando potenza nell’ombra pronto a colpirci alle spalle. “Mi ha fatto bene parlarne”, mi hanno poi scritto in molti.

L’aperitivo al bookshop

“La mia fiducia negli altri mi faceva credere che durante un evento, in orario aperitivo, nella libreria a Milano dove lavoro, non sarebbe mai potuto succedere niente di male. Per di più in uno spazio molto piccolo dove tutti ci conosciamo. E invece. La mia borsa si trovava in un angolo, proprio sotto la mia scrivania. Ad un certo punto, in mezzo ad un pubblico di giovani, noto una coppia di circa 55-60 anni. Italiani. Hanno ascoltato per intero il talk, sbadigliando e poi, al momento dell’aperitivo, la donna ha cominciato a stazionare nei pressi della scrivania, dov’era allestita parte del buffet. È bastato allontanarmi un attimo e la borsa è sparita. Insieme al mio iPad, all’iPhone, alle chiavi della macchina e a quelle di casa. Sulle prime non riesci neppure a crederci. Grazie alla tracciabilità dello smartphone siamo riusciti a individuare il tragitto del telefono (dunque della borsa). Così sono partiti in scooter un paio di amici, che per un po’ hanno inseguito il tram 14 che taglia tutta la città fino al Giambellino. Ma alla fine le tracce si sono perse. Insieme alla mia fiducia negli altri. Non c’è crisi che tenga. Almeno per quella sera”. (Barbara)

L’aperitivo2

“Stavo facendo l’aperitivo quando mi sono accorta, con la coda dell’occhio, della presenza abbastanza famigliare di un vecchio eroinomane che bazzica da sempre la zona di Ticinese. L’ho intravisto, alle mie spalle, armeggiare intorno al portapacchi della vespa, dove tengo la borsa che uso per il pane. Al che mi sono girata e gli ho detto “Scusa, ma che cazzo stai facendo?”, e lui mi ha risposto “Minchia, sto cercando di rubare una borsa…”. Alla fine, per farsi perdonare, mi ha messo al polso un bracciale fatto da lui con le linguette di metallo delle lattine. E mi ha chiesto scusa. Se lo rivedo gliela regalo la borsa”. (Ilaria)

I surgelati

“Allora, 
un po’ di tempo fa, una sera torno nella mia casa di via Paolo Sarpi, all’interno di un classico complesso di ringhiera. Infilo la chiave, apro la porta e trovo tutto sottosopra.
 Capisco che è entrato qualcuno e che senz’altro si sarà portato via qualcosa. Conclusione: sparito il mio MacBook, e fino a qui sconfortante, angosciante, ma tutto nella norma, ma con mia grande stupore scopro che mancano anche una mia vecchia giacca di velluto, una confezione di assorbenti, una bottiglia di Cillit Bang e un chilo di surgelati”. (Giulia)

Ciprì e Maresco

“A me e Silvia hanno fottuto due bici nel giro di una settimana. Non per strada, ma dentro il cortile di casa. Una cosa molto brutta, che ti fa sentire vulnerabile. Siamo sicure, infatti, che siano stati i portinai, che nella tradizione delle vecchie portinerie milanesi sono due pensionati di origini meridionali, ma nel nostro caso molto scorbutici, e mezzi analfabeti. Sembrano gli attori di Ciprì e Maresco. Abitano nel nostro stesso palazzo e da quando se n’è andato il portinaio, quello vero, sono stati cooptati per fare un mezzo servizio di portineria. L’amministratore di condominio li paga una miseria: 5 euro l’ora. Ragion per cui non si considerano portinai a tutti gli effetti, non hanno quel tipo di codice di comportamento professionale, e quando c’è qualche problema non si sentono in dovere di risolverlo. Siamo convinte che le bici le abbiano prese loro. In qualche modo, anche se sono solo due biciclette, mi sembra che la situazione un po’ c’entri con la crisi, no?”
(Linda)

La paranoia

“Abito in una casa di ringhiera, con la tipica porta doppia, una di legno e quella più interna con la cornice e il vetro. Un giorno mi è successa una cosa strana. Sono tornata a casa e la porta era aperta. Mi sono spaventata, ma poi ho realizzato che nessuno era entrato, che dentro non mancava niente. Probabilmente avevo dimenticato di chiudere. Strano. Forse, inconsciamente, volevo vedere se fosse possibile fidarsi”. (Sarah)

La paranoia2

“Qualche mese fa ho ricevuto una somma di denaro, qualche migliaio di euro, per un lavoro realizzato in Germania. Sono arrivati in contanti. In quelle settimane lo spread saliva come un’onda e ci si chiedeva se l’Italia sarebbe sopravvissuta. Molti commentatori dicevano che se l’Italia avesse ceduto, come una diga, si sarebbe portata a fondo l’unità monetaria europea, che le banche avrebbero bloccato tutti i conti correnti per riconvertire gli euro in nuova moneta e che ci sarebbero stati dei prelievi forzosi. Ho deciso allora di portare a casa i contanti. Se i soldi erano al sicuro dalla voracità delle banche, erano però esposti al rischio dei ladri. Vivo in una casa di ringhiera dei primi del ‘900 e per mio gusto ho deciso di restaurare l’ingresso, senza sostituirlo, che però resta molto fragile e precario. Dovevo cercare un nascondiglio. Ho iniziato a vagare per casa con la mazzetta di pezzi da 50. Ho provato ad immedesimarmi nella testa di un ladro. Erano perciò da escludere il materasso, il cassetto dell’armadio, le pagine dei libri, il barattolo nel mobile della dispensa. Mi è venuto in mente di mettere le banconote dentro la tasca interna di una giacca appesa nell’armadio o di avvolgerle attorno ad un rotolo di carta igienica. Ho immaginato anche il ladro che, esasperato per non aver trovato niente, andava in bagno e iniziava a pulirsi con le mie banconote da 50. Alla fine ho messo i soldi in una busta, ho aperto il frigo, poi il cassetto della verdura e, appena sotto le carote e le cipolle, ho nascosto il tesoretto. Ogni volta che avevo bisogno di contanti provavo un vivo piacere nel prelevare le banconote fresche dal frigo. Nel frattempo l’Italia non è naufragata e il mio tesoretto, prelievo dopo prelievo, si è estinto”. (Giovanni)

I fidanzati

“Niente, sono seduto nel vagone della metropolitana e accanto a me ci sono seduti un ragazzo, probabilmente di origini maghrebine, vestito da classico tamarro milanese, e una ragazzina, che gli sta seduta sulle ginocchia. Due fidanzatini. Lui puzza un po’ di alcol, ma ho la sensazione che un po’ finga di essere ubriaco. Nel frattempo mi si appoggia contro e sento spingere in un punto. Appena si alzano metto la mano in tasca e sento che il portafoglio non c’è. Probabilmente me l’aveva sfilato approfittando del fatto che stavo leggendo e che quindi avevo le braccia e le mani sollevate dal corpo. Non volevo reagire, per non passare per quello che pensa male, e invece, poi, succede qualcosa dentro di me e inizio ad urlare. Lui fa finta di niente, mentre la ragazzina si dilegua. Spiego a tutti che cos’è successo, agli altri viaggiatori, e lui, di fronte a me, nega, finché dico ‘chiamate la polizia’ e lo prendo per la giacca. Alla fine mi restituisce il portafoglio, poi alla fermata esce dal vagone, si gira e sputa sul vetro mentre la gente dentro lo insulta. Quella sera stavo raggiungendo a cena un’amica, in zona Wagner. Sono arrivato a casa sua sconvolto e con la scena del vagone che non se ne andava dalla testa. Per fortuna c’erano altre persone, sennò credo che avrei avuto paura a reagire così.
 Ah, come testimone, invece, di recente ho visto un tentato furto di cellulare, sempre in metro, e un furto di borsa su un treno notturno tra Milano e Verona, un treno che prendo spesso e che adesso, sinceramente, mi mette un po’ d’ansia :)” (Davide)

La Milano bene

“Ho uno zio della Milano bene che giusto una settimana fa si trovava in macchina, quando un paio di persone gli hanno fatto cenno di scendere, come se avessero bisogno del suo aiuto. A quel punto mio zio è sceso e quelli gli sono saltati al polso per prendergli il Rolex. Mio zio ha reagito, c’è stata una colluttazione, ma i due sono comunque riusciti a rubargli l’orologio e a scappare. Questa cosa me l’ha raccontata mia zia, in realtà, confidandomi che da tempo non gira più per strada con collane, anelli o altre cose vistose addosso”. (Elisa)

Il rock’n’roll

Status del 9 maggio scorso sulla pagina Facebook della band ‘Fast animals and slow kids': “Ciao amici, oggi è un giorno particolare. Uno di quei giorni che non ce la fai ad essere carico. Uno di quei giorni che non ce la fai a dirti che 8 ore di furgone alla fine si fanno tranquille e che dormire per terra fortifica lo spirito […] Oggi è il giorno che ti hanno sfondato il furgone e ti hanno rubato TUTTI gli strumenti. E’ un vero e proprio lutto […] Se potete, amici, condividete la lista degli strumenti rubati qua sotto. Forse non servirà a una mazza, anzi, non servirà e basta, però sarà comunque un modo per starci vicini”. Segue una lunghissima lista di strumenti, dalla Gibson Les Paul al microfono 1xSubkick. Il post viene condiviso 2600 volte e quattro giorni dopo, il 13 maggio, forse anche grazie al passaparola, gli strumenti vengono intercettati e restituiti. “Non sappiamo come dirvi GRAZIE. Una cosa però è certa: Giovedì saremo a Roma al Circolo degli Artisti. Immaginate solo un secondo che cazzo succederà su quel palco. Su quel palco con le nostre chitarre”.

Il rapporto con mio padre

“Il mio fidanzato era stato trasferito a Londra, dopo il primo crollo dei subprime. Lavorava nella city e io per gran parte dell’inverno ero stata da lui, a Londra. Poi il fidanzato decide di mollarmi e io mi ritrovo a casa dei miei a perdere chili, a fumare 25 sigarette al giorno e a piangere. Giugno è l’apice di questa valle di lacrime. Una mattina mio padre trova la tapparella della cucina alzata e il suo marsupio nel balcone. Dà la colpa a me. È da quando sono piccola che se la piglia con me per qualunque cosa, ed è per questo che ho così tanti problemi di autostima. Mio padre mi chiede se per caso avevo deciso di lanciare il suo marsupio sul balcone quella notte. Poi noto che la portafinestra della cucina è forzata e gli dico di controllare il portafogli. Mancano bancomat, carta di credito e il foglio dove teneva appuntati i codici pin. Ho la tentazione di sputargli addosso tutta la mia rabbia, ma lascio perdere. In pratica: sono saliti sul balcone con una corda, hanno forzato la tapparella, hanno cercato e trovato il portafogli, mentre dormivamo, e poi hanno prelevato 500 e 500”. (Giovanna)

30 euro, 113

“Qualche settimana fa tornavo a casa dalla discoteca. Per strada una prostituta mi viene incontro, con fare da travestito, e inizia a mettermi le mani proprio lì. Io la scanso, divertito, e me ne vado. Qualche metro dopo mi accorgo che mi aveva sfilato 30 euro dalla tasca. Torno indietro, forte della presenza di Giuseppe, il mio fidanzato – da solo non sarei mai tornato – e l’affronto porgendo il palmo della mano e dicendole solo: 30 euro. Lei farfuglia qualcosa e io ribadisco, palmo steso: 30 euro. Così ancora per un paio di volte: 30 euro, 30 euro. Lei non molla allora prendo il cellulare: 113. ‘Buonasera sono in viale Abruzzi e sono appena stato derubato da una prostituta’, ed ecco che lei mi riconsegna le banconote, tutte accartocciate”. (Francesco)

Agosto

“Siamo fuori Milano da qualche mese. 
Alle 22.30 di un venerdì arriviamo in stazione centrale e alle 22.40 siamo già a casa. Fa caldo e ci addormentiamo con fatica. Mi sveglio ad intervalli di mezz’ora, per tutta la notte. 
La mattina dopo usciamo per pranzo alle 13.30 e torniamo alle 15. 
Sulla porta troviamo un buco grosso come un melone e una casa che non è più la nostra.
 Faccio una corsa dal quinto all’ottavo piano. Non so perché. Rientro in casa e cerco di capire dove posso sedermi per non svenire. Mentre Ettore controlla che cosa manca, io chiamo la polizia.
 Il poliziotto m’invita ad andare in commissariato ma io insisto perché vengano a casa. È il 4 agosto.
 Arrivano in due, molto svogliati. Dopo un po’ mi passano un foglio con scritto ‘constatazione di avvenuto furto’ e poi il biglietto da visita di un fabbro, suo amico, aperto 24 ore su 24. Ettore si ricorda delle telecamere di un ristorante puntate sul portone di casa. Andiamo e chiediamo se sia possibile vedere le immagini. A quel punto ci guardiamo ore e ore di film con gente che passa, tossisce, telefona, litiga, ride. Finché non arrivano due ragazze bionde. Potrebbero essere due mie amiche, due spagnole in Erasmus, due laureande in Lettere. Oppure due ladre. Entrano. Passa un’ora e arriviamo noi. Ci vediamo nel film. Entriamo. Altri 4 minuti ed escono le due bionde con i testa i miei occhiali da sole e le nostre valigie. Pazzesco. Scarichiamo il video su una chiavetta e ci precipitiamo in commissariato, fiduciosi. Ma il poliziotto dice di non sapere che cosa sia una usb e che comunque non potranno farci granché con il filmato. Così impariamo una lezione e cioè che il mestiere del ladro è abbastanza facile e molto remunerativo”. (Valeria)

E per finire il dolce…

“Non ho subito furti, però rubacchio. Te lo scrivo non come confessione, ma come materiale per il tuo articolo, essendo un under 30 precaria che soffre quotidianamente la crisi. Dove rubo:
 al supermercato, ma non m’intasco niente, peso frutta e verdura sulla bilancia, poi aggiungo altre mele, pesche, zucchine, quello che mi serve, e solo a quel punto chiudo il sacchetto. Per cui pago meno di quel che dichiaro sulla bilancia. E spesa dopo spesa il risparmio diventa palpabile. Zucchero e carta igienica li rubo nei bar.
 Guadagno circa 40 euro al giorno, quindi al lavoro cerco di rubare cinque euro al giorno, per arrotondare a 45, e con quei soldi mi compro le sigarette (nello stesso posto in cui lavoro). 
Sempre nei bar ho rubato le tazzine, i cucchiaini e i bicchieri che ora uso a casa. 
Rimango comunque a disposizione per qualsiasi studio/testimonianza su crisi e soprattutto su gestione del risparmio, che meticolosamente documento nel file Excel che tengo salvato sul desktop sotto la dicitura ‘ECONOMIA DOMESTICA’” (Giulia).