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2017/01/22

L'America di Trump



L’America di Trump e i giornali italiani. È così che la narrazione liberal ha fatto cilecca. S’è inceppata. Quasi si trattasse di “vil razza” d’annata. D’annata con l’apostrofo, ovvio, che potrebbe stare per stagionata, vissuta, attempata. Perciò scaduta. Nulla a che vedere col Rigoletto di Verdi, of course. Anche se… 

Anche se rammenti. I grandi inviati che in tutti questi anni ci hanno raccontato l’America liberal, l’America di Barack Obama e Michelle, l’America aperta (nel senso delle frontiere) e l’America solidale (quella che paga per tutti). L’America che ci sorprende, l’America che ci difende. E vai di iperbole. Caratteri in grassetto e certezze sciorinate in faccia al lettore: ecco la narrazione che ci è arrivata da Washington, da New York, da ogni angolo d’America. 

Perchè c’era finalmente Obama e tutto andava bene. C’era, poi, pronta Hillary e, naturalmente, tutto sarebbe proseguito a meraviglia. C’era è vero più di qualche mal di pancia, di scontento e un bel po’ di risentimento contro il pensiero dominante. C’erano i disoccupati, le delocalizzazioni aziendali, la rivolta contro l’Obama care, la crisi del sistema bancario, le falle dell’intelligence e la cocciutaggine nel volere esportare la “democrazia” dove non era né richiesta né sognata. 

C’era la Siria, la Libia, l’Isis, l’Iraq, la Turchia, Guantanamo, Cuba, l’Ucraina, israeliani e palestinesi ecc, ecc. Ma, insomma: quisquilie. Nulla che il genio liberal non avrebbe potuto controllare, ricondurre a più miti e ragionevoli consigli. Del resto i liberal erano gli “eletti”, i migliori. E al loro verbo attingevano i narratori nostrani. I quali hanno fatto a gara a dire e spiegare a noi poveri mortali, per tutti questi anni, di quale solluchero sarebbe stata l’America della Clinton dinasty dopo i radiosi anni di Obama. 

Poi è arrivato Donald Trump. E' stato prontamente liquidato con un’alzata di spalle, un sorrisetto ironico e un tratto di penna, tipo: “Ecco a voi un ricco imbecille!“. Ma qualcosa non ha funzionato. Trump s’è certamente dimostrato ricco, tanto da spendere i suoi soldi in campagna elettorale. Ma non proprio imbecille. Al suo fianco – ad onta delle critiche femministe e sempre liberal – Melania faceva e fa la sua magnifica figura. Le sue parole d’ordine hanno sfondato. Un elettorato praticamente orfano s’è ritrovato. 

È così che la narrazione liberal ha fatto cilecca. 

S’è inceppata.

Sobrietà



Leggo sul dizionario della lingua italiana:
sobrietà [so-brie-tà] s.f. inv.1 Moderazione, misura, nell'assecondare i propri istinti naturali: s. nel bere, nel mangiare2 figurativo: Rifiuto del lusso, dell'eccesso e dell'esagerazione: vestire con s.; concisione, stringatezza: s. di stile.
Da qualche mese il termine “sobrietà” è entrato prepotentemente nel lessico politico, per indicare la cura più adatta per la ricostruzione dei luoghi abruzzesi colpiti dal terremoto aprutino oppure una sorta di contrappasso per quei gestori di una politica esagerata che hanno vissuto dissennatamente nel passato. Alcuni la evocano come uno spettro per le nostre società opulente, altri mettono in dubbio l’effettiva efficacia di un rigore fine a se stesso, mentre non manca chi da tempo la identificava come una via di uscita dalle contraddizioni del consumismo capitalista. 


Eppure - tradizionalmente - sobrietà, temperanza e moderazione (termini che utilizzo qui come sinonimi) sono sempre state concepite e presentate non come “punizioni” o “medicine” amare, ma come virtù e vie per la felicità. Certo, nelle epoche storiche di abbondanza di risorse e di opportunità, in cui è più facile che le persone possano permettersi di esagerare e sprecare, appaiono più forti gli inviti al discernimento nell’uso delle cose e alla moderazione nel loro consumo, identificando nello spreco e nel lusso un fattore di corruzione e decadenza. Invece, in epoche più austere, nelle quali la maggioranza delle persone ha appena il necessario per sopravvivere, la cultura e l’immaginario collettivo sembrano più sensibili alla possibilità di eccedere, tanto da far nascere figure eroiche la cui virtù stava proprio nell’esagerazione. 

Piccola introduzione al pezzo di Franco Bechis a proposito delle miserie causate da sisma del 24 agosto dello scorso anno e non ancora risolte causa "sobrietà"! Leggiamo insieme e, se vi di commentare, fatelo pure senza ritegno:

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni, si è quasi offeso per qualche critica arrivata alla gestione dell’emergenza nel terremoto e anche con la valanga di neve che si è abbattuta su quelle zone martoriate da mesi. Ha chiesto a tutta la politica sobrietà. Sobrietà, a dir la verità, dovrebbe avere il governo, perché quello che sta emergendo è una disorganizzazione totale della macchina pubblica in quelle zone, e anche l’abbandono a cui sono state lasciate le popolazioni che avevano già sofferto tanto dal 24 agosto a oggi.

Sobrietà vorrebbe dire non promettere quello che sai di non potere mantenere, sobrietà voleva dire non dire “ho consegnato le casette e si è chiuso il tema di Amatrice” quando avevi consegnato - lo disse Matteo Renzi in televisione in diretta - in quel momento qualche asse con cui costruirne una ventina, mentre le esigenze ovviamente sono di centinaia.

Sobrietà vorrebbe dire non aspettare che i sindaci di quelle zone lancino ogni volta degli allarmi anche drammatici, anche disperati. Il sindaco di Amatrice ha un buon rapporto con i media, deve chiamare sempre televisioni, radio, altri media per dire quello che dice anche direttamente ai responsabili della macchina della Protezione civile, ma che poi non viene fatto.

La sobrietà è una caratteristica importante durante l’emergenza da parte del governo. Io ho letto il 17 gennaio un appello fatto al Commissario per la ricostruzione, Vasco Errani, da tutti gli ordini professionali coinvolti nella ricostruzione nelle Marche. E’ un appello drammatico, anche pieno di critiche perché raccontano che le ordinanze, le circolari sul terremoto hanno cambiato almeno 5 o 6 volte le regole. E a questo punto i professionisti, sto parlando degli ingegneri, geometri, architetti che stavano lavorando nella zona, si rifiutano di farlo.

6000 persone che lavoravano lì dicono: “in queste condizioni non è possibile lavorare”. O vi mettete intorno a un tavolo e decidete una volta per tutte quello che va fatto - non ci fate fare una valutazione quando non avete ancora fatto la raccolta di tutti i detriti e portato via le macerie - oppure lavorare in queste condizioni è assolutamente inutile.

Sono molte le pecche che stanno emergendo in questa gestione della macchina organizzativa. So per certo – perché ho parlato con i diretti responsabili – che c’è un’organizzazione di volontariato che, per esempio, aveva dei container già pronti che avevano utilizzato in altre occasioni e che li hanno offerti alla Protezione civile, al Commissario per la ricostruzione, perché li dessero ai terremotati. Alcuni di questi container servivano per esempio per mantenere, come fossero delle stalle, gli allevamenti con un minimo di protezione e un minimo di calore. L’offerta è arrivata tra fine ottobre e i primi di novembre. E’ stata rifiutata, dicendo: “Noi vogliamo fare le cose regolari, fare le gare, non possiamo accettare questo modo di procedere.” 

Il risultato è stato che sotto la grande nevicata stanno morendo quasi tutti gli animali. Non sono protetti comunque anche quelli che sono vivi in questo momento. Di container ne sono stati consegnati 2 su 350 promessi.

Questi sono i risultati di un disastro organizzativo. Altro che non fare critiche. Bisogna dare voce a tutta la popolazione locale, che si lamenta in continuazione e ha mille ragioni per farlo, e a tutti gli amministratori locali che spesso si sono battuti soprattutto contro la burocrazia. Mille regole che hanno messo, sono decine le ordinanze, le circolari o della Protezione civile o del Commissario per la ricostruzione che hanno fatto null’altro che complicare la vita alla gente. Poi non si può abbandonarli lì.

Se c’era una cosa che era prevedibile, lo hanno detto in molti, erano le grandi nevicate in questo periodo. È impensabile che non esistano sul luogo, in una zona che era già devastata dal terremoto e che aveva tanti problemi di viabilità, i mezzi necessari per assicurare di arrivare.

Ho sentito anche dal Responsabile della protezione Civile delle cose che non hanno alcun senso. La portavoce della Protezione in TV ha detto che non sapevano quanta gente era ritornata nelle case. Chi deve saperlo, se le case sono state dichiarate agibili e la popolazione è rientrata? Non c’è nemmeno una mappa di quelle, quindi non sapevano dove intervenire nel caso di emergenze, perché non sapevano se c’era qualcuno in quelle case.

Allora, qui il problema è la sobrietà nell’azione del governo, che non faccia più annunci che poi non è in grado di mantenere, che siano semplicemente degli spot per le mille campagne elettorali che ci sono, e anche una sveglia nell’azione, perché questa gente non può più essere lasciata sola, abbandonata, come è stato. Deve avere l’idea di avere di fronte uno Stato che protegge i propri cittadini soprattutto nel momento del bisogno.

di Franco Bechis

2017/01/18

Riscaldamento globale Glaciazione Europea, cosa non va?



Il pianeta si sta riscaldando? Lo affermano tutti, tecnicamente è riscaldamento antropico. Ma cosa significa in realtà? Riscaldamento globale non significa solo parlare di anidride carbonica, ma di Sole e di tutti quei fattori antropici o naturali capaci di modificare su varie scale temporali, la temperatura del pianeta, è però interessante ripercorrere la strada che ha portato dai primi pionieri dell'effetto serra, alla certezza che le attività antropiche sono in grado di modificare, in buona misura, la composizione atmosferica e quindi la temperatura globale. La teoria del ‘cambiamento climatico di origine antropica’ è un’ipotesi infondata secondo cui il nostro clima è stato influenzato negativamente dall’utilizzo dei combustibili fossili. Utilizzo che negli ultimi 100 anni ha leggermente aumentato la temperatura media sulla superficie terrestre, con conseguenze ambientali disastrose secondo una parte della scienza. L'altra parte afferma esattamente il contrario. In effetti non è l'utilizzo dei combustibili fossili il problema vero ma l'emissione di CO2 in grandi quantità e questa, si è visto, non deriva solo dai combustibili fossili ma dai bovini.

Nel secolo precedente, quello dei nostri nonni, il numero di ruminanti distribuiti sulla superficie terrestre era inferiore di circa il 70% rispetto ai valori attuali. I gas a effetto serra emessi dal bestiame, sono responsabili di circa il 10% delle emissioni a effetto serra globali. Il bestiame rilascia metano attraverso i microorganismi che sono coinvolti nel processo di digestione animale, e protossido di azoto attraverso la decomposizione del letame. Il 74% delle emissioni mondiali è causato dai bovini. Questo è principalmente dovuto all'abbondanza di vacche da latte ma anche dalla grande quantità di metano e protossido di azoto emessi dai bovini da carne rispetto agli altri animali. Le pecore contribuiscono per il 9%, i bufali il 7%, i maiali il 5% e le capre il 4%.

Ciò che in un certo momento sembra corretto, può diventare nel tempo, incerto, superato o sbagliato, alla luce di nuove tecniche di indagine e di nuovi dati osservati. Ci sono tanti esempi nella storia della scienza; la continua evoluzione delle tecniche di misura, delle teorie e l'ampliamento dei dati a disposizione, permette di sviluppare ipotesi sempre più precise ed articolate, e di verificare le teorie con nuovi dati. 

Così è avvenuto nelle ricerche sul cambiamento climatico dove si è arrivati ad attribuire all'anidride carbonica, da prima considerata un gas di scarso rilievo perchè presente solo in tracce nell'atmosfera, il ruolo di termostato atmosferico. Tuttavia la teoria che un aumento di anidride carbonica nell'atmosfera, aumenterebbe le temperature globali, e causerebbe altre modifiche al clima della Terra, pur non essendo nuova, lascia ancora ampi margini di interpretazione. Da quasi 200 anni si addebita a essa le responsabilità del nostro attuale stato, tuttavia i carotaggi profondi effettuati in Antartide, dicono che un riscaldamento globale è avvenuto in passato e la colpa non era certo dell'uomo che, a quel tempo, parliamo di 600 anni fa,  e come spesso accade, all'inizio fu avversata da molti scienziati, prima di di arrivare a una condivisione.

Tuttavia alcune considerazioni sono importanti. Nella fisica di un sistema caotico, come lo è la meteo, gli eventi possono accadere con le frequenze su tutte le scale temporali. Qualsiasi punto su una pianura può essere inondato fino ad un certo livello su tutte le scale di tempo, da cinque giorni, ad un mese, a milioni di anni, è del tutto imprevedibile. E allora? Come è possibile affermare che il pianeta si sta riscaldando?

Una massa calda di acqua dolce si alza e si sposta a nord attraverso l’Oceano Atlantico.
È diretta verso l’Artico. Lì, venti gelidi le sottrarranno calore e liquido dalla superficie e l’acqua affonderà, più fredda, più salata, più densa fino al fondo dell’oceano – e comincerà un lento viaggio di ritorno verso le latitudini più basse, scivolando sotto altra acqua calda, diretta a nord.

Tutto quel calore portato via dalla sua superficie rimodella il clima locale. Entra nell’atmosfera del Nord Atlantico, riscaldando appena appena il clima di luoghi come l’Islanda, la Gran Bretagna e il Nord Europa. Questo è il motivo principale per cui queste regioni sono, se non calde, almeno vivibili.

Il ciclo di acqua più dolce, più calda che si muove verso nord al di sopra di acqua più salata, densa e fredda diretta a sud nell’Atlantico settentrionale, si chiama Circolazione Termoalina Meridionale Atlantica (o AMOC per Atlantic Meridional Overturning Circulation). Fa parte di un complesso sistema globale tridimensionale, basato su differenze di salinità, densità e temperatura, che fa circolare calore e materia per le profondità degli oceani in tutto il mondo, detto anche Grande Nastro trasportatore (nell’immagine qui sotto).

Il grande nastro trasportatore, o circolazione termoalina. Luis Fernández García/Wikipedia

E sta cambiando. In un trend che risale al 2004, l’AMOC ha visto una diminuzione di circa due terzi della sua forza precedente, il che può aver portato ad alcuni inverni rigidi nel Regno Unito e in Europa occidentale. Alcuni scienziati hanno anche agitato lo spettro di un crollo totale dell’AMOC – un paradossale scenario di riscaldamento che porterebbe a inverni molto più duri e all’espansione delle calotte di ghiaccio nel Nord Atlantico. Sarebbe un paradosso, ma non impossibile, conseguenza di un riscaldamento globale.

Vi ricorda qualcosa? Forse ai cinefili più incalliti: se ne parla nel bizzarro film del 2004 “The Day After Tomorrow”. Confesso di non averlo visto di recente, ma ecco il riassunto di quello che ricordo dall’unica volta in cui l’ho visto: uno scienziato coraggioso assiste al distacco di un’enorme parte della banchisa antartica (che peraltro sta realmente avvenendo ndr) mette in guardia i suoi colleghi che l’AMOC collasserà nel giro di alcuni anni.

Ma loro gli rispondono tipo: “Naaa!”. Invece, naturalmente, l’AMOC crolla tutto d’un tratto. Ed è un bel problema! Ora ci sono tre giganteschi uragani di ghiaccio e tutti devono correre via dal Messico, o era la Biblioteca Pubblica di New York? Comunque alla fine il vice presidente, che ha una vaga somiglianza con Dick Cheney, chiede scusa.
Quel film era, certamente, non proprio scientifico. E negli anni a venire è diventato una sorta di parodia per fare a pezzi i veri climatologi.

Ma una nuova ricerca suggerisce che il seme su cui quell’idea è cresciuta – che il cambiamento climatico potrebbe guidare un crollo totale dell’AMOC – potrebbe essere una minaccia ben più significativa di quanto chiunque si renda conto.
In un documento pubblicato la settimana scorsa su Science Advances il geofisico di Yale Wei Liu e i suoi coautori dimostrano quella che dicono essere una significativa distorsione nei modelli climatici esistenti riguardo alla stabilità dell’AMOC, e mostrano come l’aumento di calore e di CO2 nell’atmosfera potrebbe direttamente portare al collasso dell’AMOC.

“I modelli climatici attribuiscono eccessiva stabilità all’AMOC” ha detto Liu a Business Insider. “I modelli lo mostrano molto stabile. Persino in caso di surriscaldamento globale, registra soltanto un indebolimento moderato”.
Ma il suo lavoro, dice, basato su osservazioni recenti del mondo reale, mostra che l’AMOC potrebbe passare da un equilibrio – stabile – a un altro – collassato – in un lasso di tempo abbastanza breve, geologicamente parlando.

“In questo scenario, il raffreddamento nell’Atlantico del nord sarebbe così forte che supererebbe il riscaldamento [in quella regione], portando, al netto, ad un raffreddamento nell’Atlantico del nord”.
Il risultato? Anche quando il resto del mondo si riscalda, parti d’Europa potrebbero sperimentare significanti raffreddamenti annuali, per un periodo di alcuni secoli.

Liu avverte che questo risultato si basa ancora su un unico modello. Invece di lavorare su un costante aumento di CO2 nell’arco di decenni, lui e i suoi coautori hanno utilizzato un semplice raddoppio del CO2 tutto in una volta, dopo di che resta costante nell’atmosfera. Questo è un modello più approssimativo, ma i suoi risultati sono abbastanza significativi per indicare la strada verso la ricerca futura. Liu ha detto che il prossimo passo per i ricercatori è quello di eseguire esperimenti simili in tutta una vasta gamma di modelli complessi.

Più informazioni ricavate da modelli faranno brillare di nuova luce l’ipotesi secondo cui un collasso totale dell’AMOC è probabile, e indicherebbero quali regioni potrebbero essere influenzate, e in quanto tempo potrebbe accadere.

2017/01/16

Botta di Sale!


Foto di Roberto Boccaccino

Potevano scendere a dorso di mulo verso il mare con i sacchi carichi di zolfo e ritornare a casa con il sale. Oppure potevano arrampicarsi sulle montagne, seguire controcorrente il corso del fiume e approvvigionarsi in cima. Possedere un mezzo di trasporto, in quel caso lo "scecco" - asino in siciliano - faceva la differenza fra un morto di fame e un benestante.

Un tempo quella polvere bianca era come l'oro, era moneta di scambio, duemila anni fa i soldati romani venivano pagati con quella. Le parole hanno sempre una loro storia e "salario" deriva proprio da sale.

Anche quel fiume che attraversa la Sicilia nel suo cuore più profondo porta un nome che racconta il territorio: Salso, salato. Passa dentro canyon da brividi di bellezza dalle parti di Capodarso, trasporta se stesso sporco di sale e poi di zolfo, le caverne che abitavano le montagne al centro dell'isola.

Più su, un agglomerato di case dove vivevano gli schiavi delle "pirere", le miniere, era tanto arsa e piena di vulcanelli da prendersi il nome di Terrapelata.

Ma quella in alto in alto, a Petralia tra le vette delle Madonie palermitane, era quasi irraggiungibile e sembrava una cattedrale. Poi c'erano e ci sono ancora le altre due, a Realmonte e a Racalmuto, dall'altra parte, nella provincia agrigentina. Realmonte che in Canada è Montreal, in Messico Monterrey, a Palermo semplicemente Monreale.

Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia, ulivi e viti in superficie, un grande teatro sotterraneo fatto di sale. Ce n'era un'altra ancora di miniera di salgemma, a Pasquasia, fra Enna e Caltanissetta. Diventata famosa ma non per le sue naturali sculture abbaglianti ma per vicende di mafia - sub appalti e caporalato - e per voci ricorrenti che la davano scelta come pattumiera di scorie radioattive provenienti da mezza Italia.

La Sicilia e il sale. Le gallerie di Petralia e i mulini a vento di Mozia, le collinette bianche davanti all'isola di Favignana, mare e montagna. Il sopra e il sotto. Ma è soprattutto il sopra che nasconde segreti di milioni e milioni di anni fa, almeno cinque. Il Mediterraneo che si tramuta all'improvviso, la salinità delle sue acque che cambiano, i sollevamenti tettonici provocati dalla placca calabra e da quella africana, le erosioni, i terremoti: ecco da dove è uscita la meraviglia del sale di Petralia. 

È unico in tutta Europa, un capolavoro a 1100 metri di altezza. Quaranta e passa chilometri di cunicoli, un labirinto, viscere, ignoto, l'odore della terra in fondo alla terra, percorso stregato. Ancora oggi con dentro i suoi "perforatori" che hanno il compito di fare i buchi nei fianchi della montagna, con i "fochini" che poi devono caricare l'esplosivo e metterlo abilmente nei fori, con i "disgaggiatori" che si mettono lì a scrollare pazientemente le parti di sale che neanche la dinamite riesce a buttare giù, con i "palisti" che riempiono con i loro bulldozer il sale sui camion in attesa fuori dalla miniera.

Non ci sono più "scecchi" e bisacce, né selle e speroni. Ma ruspe, autoarticolati, giganteschi vagoni. Il miglioramento, l'evoluzione, la tecnologia. Resta il prodigio delle figure e delle forme, le polveri, il bianco che acceca. Resiste un po' di tradizione nella lingua. I siciliani non dimenticano mai il senso delle parole. 

Si diceva una volta e si dice ancora oggi: botta di sale. È una sorta di macumba isolana, un maleficio ma che ormai è di poco conto ma trae origini da un'espressione più cruda e violenta. Originariamente era una vera maledizione: botta di sangue, cioè augurare tutto il male possibile a qualcuno e in qualche caso la morte sul colpo. Addolcita nel corso dei decenni, botta di sale - una sostanza tutto sommato innocua e bella da vedere - viene tutt'ora utilizzata al posto di "accidenti" o "mannaggia". O qualche volta anche per auto-colpevolizzarsi. Botta di sale, ma cosa ho fatto?



2017/01/15

ALITALIA le radici del fallimento!

Anche il ministro Calenda sostiene e dichiara - come Padoan – cose sante a proposito della Alitalia che da tanti anni è in agonia e ci va giù senza mezzi termini “I dirigenti non sono all’altezza”. Chissà cosa ne pensa il presidente dell’ex compagnia di bandiera, Cordero di Montezemolo, l’onnipresente tuttologo manager parapubblico (o “paraculato”) che passa da un buco industriale all’altro, ma sempre ricevendo interessanti prebende. 

Poi Calenda insiste “Ma non devono pagare i dipendenti”. Giusto se si intendono i poveracci avventizi, un po’ meno per la crosta dorata di tanti (troppi) dipendenti e dirigenti che – come per esempio tanti piloti – hanno ricevuto per decenni stipendi super pur lavorando molto meno dei concorrenti. 

Mentre Alitalia fallisce le altre compagnie aeree hanno intanto superato le crisi e volano alla grande. Dire oggi, per esempio, che Alitalia soffre “per la concorrenza dei low-cost” è ovvio, ma era previsto e sta nelle logiche di mercato, eppure mentre le altre compagnie si sono adeguate Alitalia sprofonda nel baratro.

La crisi Alitalia ha nomi e cognomi anche per le scellerate scelte su rotte e aerei da utilizzare che hanno distrutto una Compagnia da sempre peraltro idrovora di fondi pubblici. Così i numeri sono inequivocabili: a Dubai – per esempio solo dalle 3 alle 4 del mattino - partono in un’ora 21 voli intercontinentali, da Malpensa solo una decina in 12 ore. 

Emirates ha 3 voli giornalieri su Milano sempre pieni, Alitalia ha cancellato l’unico collegamento che aveva, salvo poi piangere per le maxi-perdite. 

L’esempio di Malpensa è infatti un classico esempio di incompetenza ed assurdità, hanno ucciso l’unico vero aeroporto intercontinentale del Nord Italia subito dopo averlo costruito e solo per folli visioni romanocentriche del traffico aereo. Qualcuno pagherà? Non credo, ma certo, pagano e pagheranno tutti gli italiani visto che la “privata” Alitalia in realtà è in mano alle banche che poi vedono di fatto regolarmente ripianati i propri disastri dai risparmiatori e dallo stato. 

E il gioco dell’oca ricomincia, mentre i “dirigenti incompetenti” (parola di ministro) passano da guidare i treni a far volare gli aerei, dalle società partecipate pubbliche ai cantieri, dai telefoni alle autostrade.

Vi stanno fregando, è giusto che lo sappiate.

2017/01/13

Hygge



Viviamo tutti sotto stress, costretti a fare tante cose contemporaneamente, spesso sgradevoli, siamo ansiosi e tristi. Eppure basterebbe ripensare alle priorità della vita,e tentare di vivere al meglio, con il metodo Hygge, secondo le proprie possibilità, con sano realismo, ma anche con determinazione e magari un po’ di entusiasmo. Hygge non è un'idea, è una parola che i danesi, il popolo più felice del mondo secondo il Rapporto Mondiale della Felicità stilato ogni anno dall’Onu, usano da un secolo e mezzo. E che ora è illustrato e raccontato dalla danese Marie Tourell SΦderberg nel suo libro Il metodo danese per vivere felici, Hygge, in libreria e già in cima alle classifiche nel regno Unito. 

Un modo per reagire al buio e al freddo del clima nordico, ma che può funzionare in ogni parte del mondo. “Noi ci riuniamo”, racconta SΦderberg “ci mettiamo comodi e cerchiamo di trarre il meglio dal freddo e dall'oscurità. Aspiriamo al comfort e al nutrimento per l'anima nelle relazioni, nell’ambiente e negli alimenti”. Un metodo che può essere facilmente esportato ovunque perché è uno stile di vita in cui cerchi e trovi gioia nelle piccole cose: la casa, la bellezza, la tranquillità, i bambini, gli affetti, valori comuni a tutti, in ogni parte del pianeta. Hygge, una piccola parola quasi intraducibile che però si potrebbe descrivere con intimità, accoglienza, calore.

Per essere Hygge è necessario riflettere su cosa ci fa veramente stare bene, in testa la capacità di creare sempre e in ogni luogo l’ambiente migliore in modo di accogliere al meglio se stessi, familiari e amici e predisporli alla serenità. Il libro di Marie Tourell SΦderberg, non è un manuale, ma una descrizione del modo di vivere danese, ricco di fotografie e suggerimenti semplici ed efficaci: come cucinare tutti insieme, come condividere gli spazi ideali, come predisporre una tavola conviviale, in breve come godersi la vita, in città e in compagnia. 

Va da sé che, nei momenti Hygge, l’ideale è spegnere computer e cellulari, connettersi solo con chi ci è accanto ed essere realmente in quel luogo in quel momento, predisposti all’ascolto reciproco e alla gioia. Più facile a dirsi che a farsi. Ma tentare si può. “L'erba del vicino non è più verde, negli Stati Uniti, in Italia o in Scandinavia “, conclude Sodenberg “ma è più verde dove si innaffia”.

Che cosa vuol dire vivere Hygge e come riuscirci?

Hygge è la sensazione di un momento piacevole trascorso in buona compagnia. Si verifica quando si è in grado di essere presenti nel momento, quando ci si sente soddisfatti e a proprio agio. Hygge spesso c'è quando si sta insieme a persone che conosci molto bene; persone con le quali puoi essere aperto e sincero. Quando non c'è bisogno di fingere di essere qualcosa diverso da quello che sei.

Hygge è un modo di vivere in cui cerchi e trovi gioia nelle piccole cose. Andare a lavoro può diventare più hygge con una tazza di tè in mano, guardando dal finestrino. Hygge rende le cose semplici più piacevoli.
Vivere hygge significa anche dare priorità alle cose che realmente contano - stare insieme e godersi il tempo con le persone che amiamo, non mettere troppa pressione su noi stessi, il nostro lavoro e il nostro quotidiano, ma concedendoci più hygge nel fare le cose. Molti Danesi hanno scelto di avere molto hygge nella loro vita, e le loro storie ispiratrici si basano sulle cose essenziali che contano davvero.

Contro lo stress, in una parola un metodo di vita. Dove metterlo in atto? In casa, nel cibo, nel lavoro, con gli amici?
Hygge è una parola danese che i Danesi utilizzano molte, molte volte durante il giorno. La usano per descrivere le persone con cui sono, l’atmosfera, le conversazioni. E tutti sanno esattamente quali sono le qualità che rendono hygge queste cose: semplici, rilassate, autentiche, invitanti, avvolgenti, amorevoli.

Hygge non è un'idea, è una parola che usiamo da quasi 150 anni. Ma è diventato un modo per far fronte al buio e al freddo del clima nordico. Hygge è ciò che facciamo per superare l'inverno - ci riuniamo, ci mettiamo comodi e cerchiamo di trarre il meglio dal freddo e dall'oscurità. La parola e l'idea si è diffusa su tutti gli aspetti della vita quotidiana - può essere difficile mangiare in un posto che non è hyggelig, per esempio. Aspiriamo al comfort e al nutrimento per l'anima nelle relazioni, nell’ambiente e negli alimenti. E trovo che praticare hygge mi renda davvero più felice.

Decalogo sintetico per lo Hygge internazionale; come armonizzarlo con i propri usi e stili di vita.

Hygge non è una ricetta o una forma specifica - è una qualità universale che tutti conosciamo, in tutto il mondo. È abbastanza banale come le cose più belle della vita: stare seduti con un bambino appena nato e i suoi genitori a bere il caffè e non fare nient’altro che guardare il bambino. Stare con buoni amici, mangiare bene, ridendo e godendo della reciproca compagnia. Tornando a casa dopo il lavoro, fuori cade la pioggia, si scivola in abiti comodi, si accende una candela e ci si mette in un angolo con un libro e una coperta - è un sentimento universale. 

Ma avere una parola per definire tutto questo, ci rende più consapevoli nella nostra vita di tutti i giorni. "Hygge -Il metodo danese per vivere felici" è fonte di ispirazione su come trovare più hygge nella vostra vita. L'erba del vicino non è più verde, negli Stati Uniti o in Scandinavia – ma è più verde dove si innaffia! E hygge è un invito a portare nella nostra vita più cose che hanno un significato per noi. È un invito a godere di tutte le cose piccole e buone della vita – come il cibo, la famiglia e gli amici, e quando penso all’Italia, mi sembra che voi siete effettivamente molto stimolanti in questo senso. La prossima volta che verrò in Italia, non vedo l'ora di assaporare l’hygge italiana.