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2017/05/16

Mancanze...



Un amico ha perso recentemente la moglie, lei è morta nel sonno improvvisamente lasciandolo nello sgomento. E' quindi umano che lui parli a lei nei social e la evochi per tutto quello che succede nella sua vita terrena attuale, coinvolgendo i figli e gli amici che di volta in volta partecipano il suo dolore.

Non è tuttavia normale che prima, quando era viva, non si fosse mai rivolto a lei in questo modo. Mai un riferimento, mai una dedica, mai una frase carina nei suoi confronti e, posso dirlo, nessuna condivisione pubblica nemmeno da parte di lei. Ovviamente il tran tran quotidiano non è cosa da condividere, ci si fa l'abitudine a tutto questo e il semplice convivere rende tutto ovvio nella sua banalità. 

Ma è proprio questo il punto, lei manca a lui perché faceva tutto quello che lui non poteva svolgere o gli manca perché si è riscoperto innamorato pazzo di lei adesso che non c'è più? 

In definitiva quando si ama profondamente qualcuno e si è stati davvero felici, il fatto di non essere più insieme è motivo di tristezza. la mancanza si fa strada quando non c’è più qualcuno che eravamo abituati a vedere? 

Di certo è comprensibile nei primi momenti, ma dopo un determinato periodo di tempo, si dovrebbe andare avanti e proseguire con la propria vita. Ma non sempre è possibile, vari aspetti e comportamenti sono legati a questo, E' la mancanza della persona che prima riempiva i nostri naturali vuoti della vita che ci perseguita involontariamente e rende difficile l'affrontare il vuoto causato dalla perdita, è molto difficile riempirlo nuovamente! 

E' risaputo che una delle ragionI per le quali ci innamoriamo è perché ci costruiamo l'immagine della persona amata come vorremmo che fosse e non come realmente è. In altre parole, non apprezziamo veramente qualcuno in quanto individuo, ma in base a ciò che pensiamo di lui in un dato momento.

Questo ci porta a rivalutare anche la mancanza che sentiamo quando questa persona non c'è più o quando il rapporto si rompe. Non ci manca l'individuo in sé, ma come ci sentivamo con lui o lei, ci manca la persona che abbiamo costruito. Una visione un po' materialistica dell'amore, che distrugge il romanticismo, si dirà. Possibile. Ma non è forse vero che le persone giudicano? Fa parte del dna, è una cosa che non può essere cambiata. Giudicando, creiamo un insieme di credenze intorno alla persona. Come il rapporto cresce, le modifichiamo.

A volte, tuttavia, le nostre interpretazioni di quella persona sono fuori strada. Ci innamoriamo della persona che pensavamo di conoscere, ma non ci preoccupiamo di capire se quella persona realmente esiste o è solo frutto delle nostre proiezioni. Allo stesso tempo quando una relazione finisce, ancor peggio bruscamente senza possibilità di appello, cominciamo con l'interpretare i ricordi, di fatto modificandoli nel momento stesso in cui li focalizziamo. Li idealizziamo.
Ci piace concentrarsi sul modo in cui qualcuno ci ha fatto sentire piuttosto che sul modo in cui lui o lei ha agito e ci ha trattato. In questo modo, ci concentriamo su quelle forti emozioni piacevoli e permettiamo loro di offuscare tutta la nostra memoria. A volte abbiamo tutte le ragioni di perdere qualcuno. Purtroppo, è altrettanto probabile che sia vero il contrario.

A volte non ci manca la persona, ma l'idea che ci siamo fatti di lei e ti manca solo quando sei solo.

In realtà c'è un modo molto semplice per distinguere tra il vero amore e tutto il resto che confondiamo per amore. La gente del proprio passato manca quando ci si sente soli o tristi. Tutti guardano nel proprio passato alla ricerca di qualcuno a cui appoggiarsi quando hanno bisogno, ma non hanno nessuno a cui rivolgersi. Questo non è amore. Quando la vita è difficile, non vogliamo mai essere soli perché avere qualcuno renderebbe le cose più facili.
Questo non è vero amore. E' la solitudine che dà spazio alla nostra immaginazione e ci fa soffermare su un'interpretazione dei ricordi e non sulla realtà.

Se ti sembra di sentire la mancanza di qualcuno solo nei tempi duri, non lasciarti ingannare perché non è realmente lui che ti manca. D'altra parte, se ti manca qualcuno anche durante i momenti più felici, allora è diverso. Se guardi la tua vita e ti senti felici e la prima cosa che viene in mente è: "Se solo lei fosse qui per condividere tutto questo con me ...", allora c'è una motivazione valida: ami questa persona.

Non senti la mancanza della persona con cui stavi, ma senti la mancanza della persona che eri quando stavi con lui/lei

Quando ricordiamo le persone con cui siamo stati, le esperienze che abbiamo fatto insieme, i sentimenti che abbiamo provato, i ricordi che abbiamo creato ... non stiamo tanto pensando alla persona con cui stavamo, ma piuttosto alla persona che eravamo quando stavamo con lui/lei.

Le persone sono molto egocentriche. E' la nostra natura. Non dovrebbe essere evitata, ma dovrebbe essere abbracciata, compresa ed anche un po' meglio controllata. Noi non ricordiamo la persona che una volta abbiamo amato, perché non è possibile. Non interagiamo mai direttamente con le persone; interagiamo con l'interpretazione che ne diamo.

E le nostre interpretazioni sono molto malleabili. Le ripeschiamo e apportiamo modifiche. Le persone sono capaci di amare lo stesso individuo per sempre. Siamo in grado di sentire la sua mancanza e di comprendere ciò che siamo riusciti a perdere. Eppure, raramente è questa la verità.

Bisogna imparare a distinguere.

2017/05/14

Help to find Dove II

Dove II rudderless and being abandoned at sea

I would love to start murmuration (the act of murmuring) throughout the Caribbean with these posts to create a strong lookout for Dove II,,,,as she WILL eventually show up somewhere off the Caribbean or South American shoreline,,,,someone just has to remember or care who she belongs to.

Nearly a month ago I posted a story about the English Family who lost everything in early December 2016 when their Hanse 50ish ft sailboat lost its rudder and they had to abandon it in the Atlantic Ocean, several days east of the Caribbean islands. You can read that story on this link: https://livefree2sailfast.com/2017/02/08/will-you-help-this-sailing-family/. Since then, I started following their WordPress blog,Westerly Adventures and published one of their posts last week with a bit of my own hyperbole attached to it, at this link: https://livefree2sailfast.com/2017/03/08/family-life-continues-despite-past-adversity/. I’ve been touched by their story and the nature of their resiliency as a family. Yesterday I received this reply back from them,,,,which was kind of a jolt because it quickly personalizes a post when you’re actually getting something as personal as this: We’d just like to thank you for making people aware of our situation and our blog. The comment of ‘ obviously they have a lot of money’ couldn’t be any further from the truth. We have only got the money that the lovely caring people from all around the world have donated us on the gofundme page. With that money we were hoping to pay the salvage when our boat turned up, but as we have lost hope that it’ll ever turn up. We are hoping to use that money to buy another boat to carry on cruising.
Whilst searching for a suitable boat, we are trying to make the most of our time in Tortola by doing the things we love that don’t cost any money, like hitchhiking to the nearest beach and surfing. We have met some lovely people in Tortola that have given us accommodation on their boat, and also the use of surfboards at the local beach. When we find a boat to carry on with, we will be cruising on a very tight budget. It’s either that or go home back to the normal life of work and school. Obviously it’s hasn’t worked out as we planned but we are trying to make the most of the situation we are stuck in. If it wasn’t for all the help we’ve received from the caring sailing community, we wouldn’t be here now. 
So a huge thank you for making people aware of our situation and blog.

We’re a family with kids around the same age as Heath and Isla and I’m not sure we would have the same response to losing our boat as this family, which is why I’m writing this particular post, on this particular day.

To Jack Van Ommen on Fleetwood, the Caribbean cruising community, the folks in Antigua & Barbuda, the BVI, Jamaica and the Women who Live on Rocks; please keep an eye out for Dove II, a 50ish foot Hanse floating somewhere off the Caribbean Islands. It belongs to a family mentioned who would love to get it back. Without pouring salt on their wounds and for the purposes of identification only, here’s a photo I have of the boat when she was in the process of starting her drift, taken by the crew of Tilly Mint:

It was and will always be a hard choice to abandon a boat at sea, but I would have done the exact same thing to stay with my family AND not have to endanger others with a probable second rescue attempt. With just the facts I’ve read and seen on the YouTube video, I think the family made the right choice.

I wish this family would stay the course and continue sailing if they find a suitable boat, but I also understand if they can’t or don’t,,,,these are the big boy decisions we all must make. I know this post sounds a bit like cheerleading and it is,,,,cause it’s my blog. If you want to help support this family; you can look for their boat in the Caribbean, follow their blog and keep them in your prayers. If you like my blog, you can follow it too.Pl

http://sailinganarchy.com/tag/dove-ii/

2017/05/08

Un amore di presidente...



Quante saranno le persone che si riconoscono nell'estrema destra in Francia? Davvero è possibile che il 34% dei francesi sia di "estrema destra?". È veramente "amore" quello per Macron, così come viene spacciato dai sorridenti mass media dell'establishment? La vera notizia di ieri sera è che nella speranza di disfarsi di questa Europa più di un terzo dei votanti ha scelto l'estrema destra e più di un terzo dei francesi non si sente rappresentato con l'astensionismo oltre il 25% (record storico dal 1969) e con il record storico assoluto di schede bianche, il 12%. Considerando che in Francia l'euro, la globalizzazione e le banche non hanno potuto fare disastri paragonabili a quelli perpetrati a danno dei diritti dei cittadini in Italia: dovrebbe essere chiaro quanto è pesante quel 34%.

Eppure il racconto eurocrate è che l'Europa è salva. Mi offende questa cultura superficiale della maschera antigas, al posto della oramai mitica molletta per turarsi il naso di italica memoria. E' un vero peccato che l'avversione ai disastri della globalizzazione, in Francia, sia stata assorbita dalla difficilmente digeribile Marine Le Pen. A causa del suo "estremismo moderato ma poco" l'Europa vedrà un altro governo uscito delle banche.

Ancora altro tempo prezioso perso a vantaggio di questo schieramento di plastica, dei manichini serventi di una moneta impossibile. E' comprensibile che Le Pen non superi un numero fra 30 e 40%, così come quanto ardua fosse la scelta cui sono stati costretti i francesi. Basti considerare il numero crescente di cittadini "né con Macron e neppure con Le Pen". La fretta di omologare tutte le forze e movimenti contro la globalizzazione con il termine di populisti ci lascia capire le intenzioni dell'establishment e dei giornalisti loro sodali per il futuro prossimo in Europa: la fakepolitic!

Mi auguro che Macron, che comunque è il primo presidente a non provenire da uno dei due partiti tradizionali francesi, si impegnerà a salvaguardare il popolo che rappresenta meglio di quanto lo facciano i piddini nostrani (buoni solo a copiare gli slogan d'oltralpe). E questo mio augurio ha un motivo di fiducia: il senso dello Stato Sociale in Francia è più consolidato e la corruzione molto meno diffusa.

2017/05/01

Populismo come alternativa?



Se ne parla tanto e a sproposito. La democrazia è il governare del popolo attraverso una rappresentanza di individui che governano al posto del popolo. Il populismo dovrebbe quindi essere il popolo che si autogoverna senza dover ricorrere a rappresentanti delegati di se stesso. Concettualmente sappiamo che Peron in Argentina perseguiva il populismo ponendosi come capo supremo per conto del popolo, quindi comunque un rappresentante anche non eletto, era necessario e lo sarebbe ancor più oggi con le nuove esigenze del popolo.
Ma se la attuale politica non vede il populismo come una valida alternativa significa forse che i nostri governanti vegetano bene con la democrazia e soccomberebbero con il populismo?

Il populismo è un concetto molto impreciso, usato per descrivere situazioni politiche diverse tra loro e movimenti politici che perseguono obiettivi diversi, per esempio forme di partecipazione spontanea o partiti organizzati al fine di conquistare la maggioranza di un parlamento democratico. 

Il termine populismo designa un fenomeno complesso e ambiguo. Più che un regime, esso è un determinato stile politico o un insieme di tropi e figure retoriche che possono emergere all’interno di governi democratici rappresentativi. La prima distinzione da fare quindi è tra movimento popolare e potere ovvero governo populista.

Per alcuni il populismo è solidaristico e inclusivo, per altri discriminatorio e insofferente verso i diritti individuali e le minoranze. Per alcuni esso mette a rischio le democrazie costituite, per altri esso inaugura nuove possibilità per la democrazia. Vi sono scienziati sociali che hanno sostenuto che il populismo ha aperto la strada a forme dittatoriali e scienziati sociali che sostengono che esso agevola la transizione democratica in paesi post-coloniali in quanto esprime le esigenze dei molti di vedere attuata una certa distribuzione della ricchezza e della proprietà della terra, precondizione senza la quale la democrazia non decolla. In quest’ultima accezione, il populismo ha ricevuto buona accoglienza nei paesi del continente americano. 

In America Latina, il caudillo che guida le masse di campesinos verso il governo del paese è una figura centrale nella storia della formazione tanto di movimenti populisti che di transizioni verso regimi democratici. Sempre dall’America, questa volta statunitense, viene l’altra esperienza che ha contribuito a leggere il populismo come espressione di democrazia: l’esempio del People’s Party di fine Ottocento che Michael Kazin ha anni fa rubricato come caso esemplare di riappropriazione della politica da parte del popolo americano (un processo già iniziato nel Settecento con il Great Awakening). 

Ma il populismo (e in Europa soprattutto) è anche identificato con movimenti non democratici e anti-democratici: il fascismo che emerse in Italia come mobilitazione populista per diventare regime anti-democratico; il più recente movimento etnocentrico della Lega Nord; e infine, i movimenti fascio-populisti che si stanno organizzando e mobilitando in queste settimane per conquistare seggi nel nuovo Parlamento europeo.

Per capire cosa stia succedendo – in America ma anche in Italia – bisogna prendere in considerazione l’uso di una manciata di -ismi, maneggiati da politologi, sociologi e commentatori con significati di volta in volta diversi o che si accavallano: elitismo, populismo, elitarismo, antielitismo, pluralismo, egualitarismo. Cerco di essere sintetico, che questa è la parte noiosa, ma ci sono rischi di equivoci con le parole di cui ci dobbiamo liberare.

La parola populismo è così introdotta dalla Treccani:
Atteggiamento ideologico che, sulla base di principî e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi

Nel suo significato non ancora banalizzato (come sta avvenendo nelle titolazioni giornalistiche di questi mesi) è in sostanza l’idea – ma soprattutto la propaganda in questo senso – che “il popolo” abbia sempre ragione, e che affidarsi al popolo – soprattutto attraverso applicazioni di democrazia diretta invece che rappresentativa, o referendum – sia l’approccio migliore alle decisioni politiche. Non va confuso con la democrazia in generale, che funziona sulla base dell’idea che il popolo debba comunque decidere, ma senza implicare che decida per il meglio, o che abbia ragione (per alcuni la democrazia può essere solo rappresentativa, non diretta). Diciamo che la democrazia è un meccanismo, il populismo è un’ideologia.

In quanto ideologia, è teoricamente in buona fede (anche se di buone intenzioni è lastricata eccetera): in realtà, come dicevamo, nella gran parte dei casi storici, e nell’attualità, è diventata più una forma di propaganda politica strumentale – spesso insincera – che di principio. Con la quale leader politici aspiranti o di fatto cercano il consenso popolare attraverso una retorica che blandisca gli elettori e li faccia sentire speciali, soprattutto per attenuare il senso di discriminazione della gran parte di loro.

Una prima contraddizione di questo messaggio è che non è chiara la definizione di popolo: perché “il popolo” abbia unanimamente ragione, questo dovrebbe avere le stesse opinioni. Nei sistemi democratici evoluti in cui su molte cose le opinioni popolari sono diverse e opposte, quale popolo ha ragione? È la contraddizione che genera per esempio gli illogici slogan per cui ogni vincitore di elezioni e referendum proclama la propria “una grande vittoria popolare”, rimuovendo il fatto che simmetricamente (salvo che in Corea del Nord) ci sia stata “una grande sconfitta popolare”.

Ma a complicare questa definizione originaria, il termine “populismo” è divenuto in questi anni l’unica etichetta disponibile da fare aderire a fenomeni recenti assai più complicati e sfilacciati, e spesso in contraddizione con la definizione stessa. Intanto, allontanandosi dalla sua radice storica e dalla definizione Treccani, si è diffuso enormemente un populismo di destra, o conservatore. Ed è stato poi usato per definire ascese politiche diverse (Trump, Farage, Tsipras, Grillo, Podemos, Le Pen), ma complessivamente basate su una contestazione delle classi dirigenti, soprattutto politiche: è questo per esempio il significato del termine esposto da Wikipedia in inglese, e persino della stessa democrazia (altro paradosso è infatti che i cittadini che condividono i messaggi cosiddetti populisti tendono a non condividerne l’idea originaria e a non pensare per niente che il popolo nel suo insieme abbia ragione: anzi ritengono spesso che la ragione stia nelle fazioni più o meno estese a cui appartengono, in opposizione ad altre fazioni più o meno estese, e che gli unici risultati democratici apprezzabili siano quelli che li premiano).

E per capire questa reazione contro le classi dirigenti, bisogna parlare di un altro -ismo.

Storicamente l’elitismo è stato due cose assai diverse: una teoria «descrittiva» di una realtà oppure un pensiero e un progetto. La prima constata e sostiene che il potere politico sia sempre in mano a un’élite di qualche tipo, a un gruppo di persone che lo detiene per censo o per appartenenza a un sistema, indipendentemente dai procedimenti democratici che glielo hanno consegnato. Quest’analisi può essere neutra, o più frequentemente critica, nelle sue banalizzazioni: spesso diventa sinonimo di «comandano sempre gli stessi», e genera quindi un «antielitismo» (rafforzato da «è tutto un magna magna») che predica la necessità di cambiare questo stato di cose, e che è alla base del populismo contemporaneo. Però la teoria dell’elitismo può anche essere positiva, e trasformarsi allora in un’idea costruttiva e un pensiero politico: sostenendo che sia giusto che a compiti straordinari si dedichino persone di qualità straordinarie a patto che ci sia un ricambio che garantisce la continuità di quelle qualità. Definendo quindi positivamente le élite come contenitori rinnovabili di qualità, merito e competenza.

Come si capisce, lo scarto tra i due modi di intendere l’elitismo deriva dal diverso modo di intendere la composizione delle élite e dai processi storici che le hanno formate: dove, come prevalentemente avviene oggi in Italia, le si ritengano consorterie di potere aliene da punti di merito e chiuse al ricambio, esse divengono un nemico da smantellare, e legittimano gli antielitismi. Se invece si dà al termine un significato più nudo e proprio, che definisce gli «eletti», non solo nel senso democratico (quelli che sono stati eletti) ma nel senso per cui si dice anche «il popolo eletto», ovvero coloro che hanno talenti e qualità eccezionali e superiori rispetto a un compito o un destino, l’elitismo che mira a promuoverli assume una connotazione positiva (migliori risultati nelle scelte delle classi dirigenti si avranno quindi quando gli eletti dalle loro qualità coincideranno con gli eletti dai voti: sintomo della realizzazione di una democrazia informata).

È interessante come l’accezione della parola cambi nelle varie lingue su Wikipedia. La pagina italiana si barcamena ma suggerisce l’accezione negativa:

L’elitismo è una teoria politica basata sul principio minoritario, secondo il quale il potere è sempre in mano a una minoranza. Si fonda sul concetto di élite, dal latino eligere, cioè scegliere (quindi scelta dei migliori). Termini interscambiabili con quello di élite sono aristocrazia, classe politica, oligarchia.

La pagina angloamericana è molto chiara sui due significati, privilegiando quello positivo ma mimetizzando il discutibile «ricchezza» in mezzo agli altri e più apprezzabili «attributi particolari» propri delle élite:

L’elitismo è l’idea o la pratica per cui gli individui che sono considerati membri di un’élite – un gruppo selezionato di persone con capacità personali superiori, dotate di intelletto, ricchezza, competenza o esperienza, o altri attributi particolari – sono quelli le cui opinioni su una materia devono essere prese in maggior considerazione o aver maggior peso; i cui giudizi o le cui azioni sono più probabilmente costruttivi per la società; o le cui straordinarie abilità o saggezze li rendono più adatti al governo. Alternativamente, il termine elitismo può essere usato per descrivere una situazione nella quale il potere è concentrato nelle mani di un’élite.

Al tempo stesso, Wikipedia in inglese ha una pagina dedicata alla «teoria delle élite» che corrisponde di più a quella italiana sull’elitismo.

La teoria delle élite è una teoria che cerca di descrivere i rapporti di potere nella società moderna. Sostiene che una piccola minoranza, formata da membri dell’élite economica e di apparati politici, detiene gran parte del potere indipendentemente dai processi democratici di uno Stato.

Wikipedia francese (elitismo deriva dal francese élite, che a sua volta deriva dal latino eligere) non ha una pagina dedicata all’elitismo, e affronta i possibili equivoci rimpiazzandola accortamente con la pagina «Elitismo in Francia»:

In Francia l’elitismo è l’attitudine a favorire la formazione di un’élite e l’accesso degli individui giudicati migliori ai posti di responsabilità. Si tratta in questo senso di un valore repubblicano riassunto in un motto rivoluzionario – «La carriera aperta ai talenti» – in opposizione alla selezione per nascita. Più recentemente ha acquistato una seconda accezione, di senso negativo, che indica la creazione di una distanza – politica o culturale – tra una classe dirigente e coloro che ne sono governati, in spregio alla volontà di una maggioranza.

«Un valore repubblicano», e «rivoluzionario». Più recentemente, ha acquistato una seconda accezione. Chissà se tra cinquant’anni – laddove si mantenesse la tendenza recente – le definizioni di Wikipedia saranno ancora queste, o se la «seconda accezione» avrà prevalso in tutte le lingue. Per chiarezza, sarebbe utile chiamare elitismo quello dei francesi (quello per cui non ci vuole un grande pennello ma un pennello grande): «l’attitudine a favorire la formazione di un’élite e l’accesso degli individui giudicati migliori ai posti di responsabilità».

Mettiamoci allora d’accordo di chiamare invece «elitarismo» ciò che i critici dell’elitismo imputano all’elitismo: ovvero la tendenza a mantenere il potere all’interno di cerchie immutabili e prive di reali meriti e competenze, che non si possono quindi definire «elette». «Caste» sarebbe una parola adeguata, non fosse stata sputtanata dal recente periodo di qualunquismo demagogico. Oligarchie, forse.

Comunque, staccate tutto questo castello di accezioni dal significato del termine elitismo.

«Antielitismo» è il termine che invece indica l’opposizione all’elitismo in quanto tale: è antielitista chi contesta l’idea che a ruoli di potere e responsabilità debbano accedere persone di qualità superiori e straordinarie. Può sembrare sulle prime impensabile che esista una simile opinione, ma invece prospera per diverse ragioni. Una è la repulsione che presso alcuni suscita l’idea che ci siano persone di qualità superiori rispetto ad altre, repulsione dovuta a un eccesso di «correttezza morale», a un malinteso senso di uguaglianza. Dove l’uguaglianza è soppiantata dall’egualitarismo: invece di chiedere pari diritti e pari opportunità che ogni singolo possa sfruttare per ottenere dei risultati, queste persone chiedono che siano sempre pari anche i risultati. Un’altra ragione di adesione all’antielitismo è il meno leale fastidio nei confronti di qualunque élite a cui non si appartenga (le élite sono minoranze, i loro critici maggioranze anche se fingono di no): i sentimenti di invidia, frustrazione, competizione sono umani, e ancora di più lo è la percezione di una superiorità esibita e di una mancanza di umiltà da parte delle élite, per quanto capaci e competenti siano (c’entra la nostra difficoltà ad accettare le qualità altrui che non abbiamo, e ancora di più ad accettare «lezioni»). Un’altra spiegazione ancora è un equivoco «antielitarista», a cui sfugge la differenza tra le élite e le caste, soprattutto quando le seconde prevalgono e trascinano nelle loro indegnità tutto e tutti, spingendo a buttare l’acqua pulita assieme ai bambini sporchi (lo so, l’idea che i fallimenti di certe presunte élites non mettano in discussione l’elitismo somiglia molto alla tesi di quelli che dicevano che il fallimento del comunismo si dovesse alla sua mancata realizzazione, mentre il progetto era buono: ma la differenza è invece vistosa, in termini di successi storicamente dimostrati o no).

Alcuni commentatori propongono che il contrario dell’elitismo sia il populismo, e si può dire in effetti che il populismo comprenda l’antielitismo. Ma nell’uso del termine populismo c’è anche un forte riferimento ai modi con cui il messaggio politico è trasmesso, principalmente attraverso la demagogia, ovvero l’assecondare (soprattutto a parole) le aspettative dei cittadini per ottenerne consenso, qualunque esse siano. Tanto è vero che oggi nel dibattito politico e giornalistico la parola populismo è usata spesso come sinonimo di demagogia. Ma un’altra accezione importante del termine populismo è quella che si riferisce all’esaltazione del mondo popolare e a tutto ciò che ne viene, in contrapposizione a ciò che è prodotto dalle élite. Quando gli esponenti politici di sinistra che avevano appena denunciato il «populismo» di Silvio Berlusconi dicevano che bisogna imparare a recuperare il consenso, stare più a contatto col «territorio» e con la «gente», il loro era ugualmente populismo: che può anche essere una buona cosa (come dicevamo, in una democrazia, ciò che fa appello alla volontà di una maggioranza potrebbe essere buona cosa) a patto che il popolo sia informato, presupposto della democrazia.

Occhio che questo è lo snodo principale di tutti gli equivoci che si sviluppano intorno alle esaltazioni della democrazia, sincere o strumentali che siano. Una democrazia è un sistema di funzionamento delle comunità auspicabile, efficace e giusto perché consente che le opinioni e le scelte di tutti pesino, ma lo è solo se quelle opinioni e scelte sono informate, se nascono da dati sufficientemente completi e non falsi. Altrimenti è solo un sistema giusto in principio, ma fallimentare e controproducente, proprio perché il popolo tende di più a non avere ragione: una democrazia disinformata genera mostri maggiori di una dittatura illuminata, per dirla grossa. Funzionano bene le democrazie in cui i cittadini sono informati correttamente, e male quelle in cui non lo sono. Come diceva Goffredo Parise, «Credo nella pedagogia insieme alla democrazia, perché non c’è l’una senza l’altra». Frequente nel populismo è invece l’appello alla volontà popolare coordinato con un investimento deliberato sulla disinformazione dei cittadini: propaganda invece che informazione, o post-verità, se volete.

Per completezza: spesso in relazione con questi -ismi si parla anche di pluralismo, ovvero della condizione tipica di molte società occidentali moderne in cui il potere non è concentrato ma diffuso in un ampio numero di luoghi e istituzioni e gruppi e comunità. Il pluralismo non è quindi in conflitto con l’elitismo, e anzi ne è complementare, nel senso che ho descritto finora.