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2017/10/21

Ha già vinto lui!



Detta in parole povere e comprensibili, la deterrenza è quella cosa in base alla quale una nazione scoraggia un suo nemico dall’aggredirla minacciando di infliggere allo stesso danni e distruzioni assolutamente insopportabili e tali da rendere l’aggressione o la guerra non convenienti e non paganti. In questo contesto possiamo dire che la Corea del Nord, dotandosi di un discreto arsenale nucleare, sta perseguendo con notevole successo proprio la strada della deterrenza. Infatti, se noi guardiamo alla storia degli ultimi decenni, vedremo che gli Stati Unitihanno perseguito, con costanza e coerenza, una politica di eliminazione fisica di tutti i regimi che erano contrari ai propri interessi geostrategici. 

Nel 1961 gli Stati Uniti organizzano, con il beneplacito del presidente John F. Kennedy, la cosiddetta operazione della Baia dei Porci. Millecinquecento esuli cubani addestrati dalla Cia sbarcano a Cuba con lo scopo di rovesciare il governo rivoluzionario di Fidel Castro. L’operazione, male organizzata e ancor peggio diretta, abortisce ma il tentativo di rovesciamento resta e sarà seguito da innumerevole tentativi di uccidere Castro. Nel 1983, nell’isola caraibica di Grenada, un regime filo sovietico guidato da Bernard Coard, leader del Military Revolutionary Council, prende il potere. 

Gli Stati Uniti, con il pretesto di salvare la vita di seicento studenti americani presenti sull’isola, organizzano l’operazione Urgent Fury e, senza nessuna copertura giuridica da parte delle Nazioni Unite, invadono l’isola e ne rovesciano il governo installandone uno nuovo filo americano. Il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite condanna l’intervento con il solo voto contrario degli Usa. Nel 1999 gli Stati Uniti e la Nato intervengono in Kosovo bombardando pesantemente la Serbiacostrigendo la stessa ad evacuare il territorio kosovaro e aprendo la strada, in tal modo, alla indipendenza del Paese e alla caduta di Milosevic, leader della Serbia. 

Nel 2003, facendo seguito agli attacchi dell’undici settembre e con il pretesto di eliminare inesistenti armi di distruzione di massa, gli Stati Uniti invadono l’Iraq rovesciando il regime di Saddam Hussein il quale, dopo la cattura, viene impiccato nel 2006. Nel 2011 gli Usa partecipano alla campagna contro la Libia e contribuiscono al rovesciamento di Gheddafi il quale viene ucciso il 20 ottobre 2011. E infine laSiria. Gli Stati Uniti cercano in ogni modo di rovesciare il leader siriano Bashar al Assad e non ci riescono solo grazie all’intervento sul campo della Russia che garantisce la sopravvivenza del regime.

Evidentemente la dirigenza della Nord Corea ha imparato la lezione della storia e ha capito che nessuna forza armata convenzionale, per quanto forte e addestrata, può resistere a una campagna militare condotta dagli Stati Uniti d’America e, pertanto, ha deciso di dotarsi dell’unica arma, quella nucleare, dotata di un potere deterrente tale da rendere difficile, se non impossibile, una invasione del suo territorio. E in questo la Corea del Nord è molto aiutata dalla sua posizione geografica. Infatti, Seoul la capitale della Corea del Sud, è a poche decine di chilometri trentottesimo parallelo e per colpirla non sarebbe nemmeno necessario utilizzare missile balistici ma sarebbero sufficienti dei missili da crociera, molto più semplici ed economici. 

Il Giappone poi, storico e odiato nemico della Corea, è abbastanza vicino da essere colpito con missile balistici a corta/media gittata. In caso di attacco, quindi, la Corea del Nord potrebbe mettere in atto una “retaliation” in grado di causare, in pochi minuti, milioni di morti, tenuto conto che le città colpite sono molto popolose. In queste condizioni la deterrenza è assicurata perché è assai dubbio che il Giappone e la Corea del Sud diano un loro avallo a un attacco Usa contro la Corea del Nord visto che sarebbero loro e non gli Stati Uniti a pagare un terribile tributo di sangue e devastazione. 

E infine alcune considerazione finali. Ove mai il regime della Corea del Nord cadesse repentinamente, milioni di Nordcoreani affamati si riverserebbero come un fiume umano nella Corea del Sud per godere del suo tenore di vita e delle sue libertà. Un poco quello che successe con l’unificazione tedesca ma in chiave molto ma molto più grande. Un simile evento metterebbe a rischio il benessere, l’economia, l’ordine pubblico e la coesione sociale della Corea del Sud. Inoltre, e qui concludo, la riunificazione della Corea porterebbe sullo Yalu il confine della nuova Corea unificata e, dato che il Paese è alleato degli Stati Uniti e che sul suo territorio vi sono ingentissime forze militari americane, ciò vuol dire che la Cina si ritroverebbe gli Stati Uniti al suo confine meridionale. 

Siamo sicuri che la Cina sia disposta di accettare un simile evento?

2017/10/19

Ma sì, che ci restiamo a fare in Italia?


Centoventimila italiani emigrati solo nel 2016, +16% le iscrizioni di minorenni agli elenchi dei residenti all’estero. Giovani, vecchi, famiglie. Anche Asia Argento. Tutti abbandonano l’Italia. Una volta si partiva per desiderio d’avventura, ora lo si fa per cercare tranquillità, regole, disciplina

Ma sì, che ci restiamo a fare in Italia? A quanto pare se ne vogliono andare tutti. La Lombardia e il Veneto, ma anche l'Emilia le Marche e “tutte le altre Regioni” dove FI promette referendum per l'autonomia. Se ne vanno i giovani nella misura di cinquantamila l'anno, se ne vanno i cinquantenni, se ne vanno le famiglie con bambini piccoli: Migrantes ci avvisa che le iscrizioni di minorenni agli elenchi dei residenti all'estero sono cresciute del 16 per cento. Se ne va Asia Argento - «Tornerò quando le cose miglioreranno» – inorridita dagli attacchi sessisti che ha ricevuto, ma pure uno come Fabrizio Del Noce guarda Domenica In dal Portogallo, dove – ci informa – si è trasferito a fare il pensionato, salvo farsi venire gli attacchi di bile per l'esordio delle sorelle Parodi sulla sua vecchia Rete.

L'Italia è il Paese che amavamo, ma non lo amiamo più. E se una volta si partiva mercenari per desiderio d'avventura, ora lo si fa per l'esatto contrario: voglia di tranquillità, regole, disciplina. In testa all'elenco delle destinazioni c'è il Regno Unito di Sua Maestà e al secondo posto l'ordinata e noiosissima Germania. I Paesi dove chi sgarra è perduto hanno sostituito nell'immaginario collettivo le anarchiche e suggestive mete dell'immigrazione anni '50: il Sudamerica, l'Africa, la sconosciuta Australia. Non partiamo più per cambiare vita ma per tenerci quella che abbiamo col minor numero di scocciature possibili. Studiare in posti dove le sessioni non saltano ogni due per tre. Vivere in case che non costino il doppio del salario. Lavorare con paghe certe, tasse certe, orari certi, e persino con contratti nero su bianco (all'estero li fanno).


Sembra che restare sia il destino degli sfigati, dei rassegnati, degli scemi. 


Lo scrittore Alessandro D'Avenia dice che è colpa della “narrazione del Paese”, che non genera cose capaci di «nutrire i sogni». Fa l'esempio di un bambino nella sua stanza al buio, il quale «teme che sotto il letto ci siano le sue peggiori paure» e per questo chiama i genitori. «Il più delle volte basta accendere una lampadina», dice. Ma qui, con la lampadina accesa, spesso lo spettacolo peggiora. Sembra che restare sia il destino degli sfigati, dei rassegnati, degli scemi. Su Fb è un groviglio di madri che annunciano trasferimenti e si informano sulla vita a Londra, Francoforte, Madrid, Dublino, oltreché nei più svariati Stati americani. Un po' piangono, un po' sono orgogliose: «Ma sì, che si restava a fare?».

L'Ocse, che è un'organizzazione molto pratica, mette davanti a tutto il problema soldi: in Italia ce ne sono solo per i vecchi. Il Papa ci ammonisce sulle diseguaglianze. I sociologi più a là page rovesciano la cosa, dicono che è normale effetto della globalizzazione. Sarà. A noi sembra che la fuga dal Paese abbia caratteristiche al tempo stesso più profonde e più superficiali. Ci si è stufati. Si è espresso questo sentimento in ogni modo, per vent'anni, protestando in ogni maniera consentita, votando ogni faccia che promettesse cambiamento, resistendo, arrangiandosi, cercando scorciatoie, e adesso non si vuole restare nel mazzo di quelli che continuano ad aspettare un impossibile Sol dell'Avvenire.

Centoventimila italiani scappati solo nel 2016 sono Latina che si cancella, Monza che sparisce, Siracusa o Trento che all'improviso si svuotano. Esci di casa e non c'è più nessuno. Quelli famosi, come Asia e Fabrizio, con le loro ragioni da prima pagina, ma pure tutti gli altri, con i loro motivi misteriosi, i nuovi migranti della Settima od Ottava Economia del Mondo che all'improvviso si sono detti: ma sì, che ci restiamo a fare?

2017/10/15

R.I.P. Alvaro



Un’altra bruttissma notizia per la nostra comunità umana e politica: Alvaro Bocchini, storico segretario della sezione del Movimento Sociale Italiano di Colle Oppio, “Istria e Dalmazia”, se ne è andato prematuramente. Era nato nel 1949 e le esequie dsi sono tenute ieri nella parrocchia di San Giovanni Leonardi al Casilino. Inoltre, dal 1976 al 1981 ha lavorato presso il quotidiano Secolo d’Italia, e era amato e benvoluto da tutti. Sposato con Nicoletta Grossi, anche lei storica esponente missina, ha avuto tre figli. Alvaro lavorava al comune di Roma, nella sede di via Prenestina. Alvaro fu segretario della Colle Oppio, proprio negli anni di piombo, quando l’estrema sinistra riteneva che uccidere un fascista non fosse reato: innumerevoli furono gli assalti, le bombe, gli incendi perpetrati dagli intolleranti della sinsitra contro la sede. Ma essa è ancora lì, anche oggi, grazie all’impegno e al coraggio di ragazzi come Alvaro. 

Voglio pubblicare la bellissima lettera che i figli hanno scritto per Alvaro e letto in chiesa:

Dì qualcosa, sto rinunciando a te. Sarò l’unico per te se tu mi vorrai. Ti avrei seguito ovunque. Dì qualcosa, sto rinunciando a te. Inciamperò e cadrò e sto ancora imparando ad amare.

Cosi recita una bellissima canzone che mille volte mi ero promesso di imparare per poterla cantare nel momento di dirti addio. E allora eccoci qui, in quel momento, solo che io non sono pronto e non ho imparato la canzone, perché in fondo in questo momento non mi ci sarei mai voluto trovare. 

Eppure sapendo che prima o poi sarebbe arrivato, ho pensato centinaia di volte a cosa avrei detto nel momento in cui ti avrei dovuto dire addio per provare a condividere il mio dolore con gli altri, ho pensato diverse volte a quale sarebbe stato il comportamento da dover tenere per far finta di essere forte e sorreggere gli altri nascondendo il dolore interno, ho pensato molte volte a come e quando suonarti e cantarti questa canzone, ho pensato mille volte a come sarei dovuto arrivare pronto ad affrontare il tuo addio. Ma la realtà è che io ora in questo momento non sono pronto. 

Ora che sono qui, davanti a te, la verità è che il dolore è così strettamente proporzionale all’amore che ho per te, che non c’è lettera che possa solo anche minimante provare a spiegare quanto quell’amore sia immenso e di conseguenza il dolore cosi devastante,che non c’è recita che tenga per nasconderlo, non c’è canzone che spieghi il perché, non c’è previsione che ti possa preparare ad affrontare tutto questo. La realtà è che io ora in questo momento non sono pronto, e mi sento cosi vuoto, cosi debole e cosi perso. 

Perché tu per me sei sempre stato il faro, il sostegno, la guida, ciò che mi dava la forza di sembrare forte agli occhi di tutti, mi hai insegnato ad amare ma anche ad odiare all’occorrenza, mi hai forgiato come si fa con le spade insegnandomi a rimanere nel fodero per gran parte del tempo e sguainarmi solo quando veramente necessario solo per nobili motivi e solo per difendermi. Mi hai insegnato che un uomo può piangere, amare, soffrire ed essere un vero uomo proprio per questo. Mi hai insegnato che il sacrificio è tutto, e tu hai sacrificato tutto per noi. 

Mi hai insegnato che solo gli stupidi non cambiano idea, per questo non scorderò mai che quando tutto il mondo mi dava addosso per il tatuaggio sul braccio in quanto politicamente sconveniente e tutti si ergevano a paladini dei buoni consigli su cosa fosse giusto e sbagliato, io tutto fiero correvo da te convinto che almeno tu lo avresti apprezzato essendo in fondo quel simbolo parte di te e invece mentre mangiavi uno yogurt mi dicesti: sei un idiota perché se fra 20 anni cambi idea? Eccola la tua grandezza. 

Non hai avuto una vita facile e fino all’ultimo giorno hanno provato a buttarti giù, ma tu hai sempre reagito a volte con più vigore a volte con più stanchezza, ed è per questo che non hai mai perso tempo a insegnarmi come si fa a non cadere ma ti sei concentrato sull’insegnarmi a come ci si rialza e i frutti di tutto questo avrai modo di ammirarli da qualunque posto tu sia ora, sulle tue piccole nipoti che spero possano riprendere da te anche solo una delle tue innumerevoli qualità. Amavi scrivere libri e lettere, e in una delle ultime scrivesti “spero che la vostra vita sia migliore della mia”, e forse sarà cosi ma sicuramente ora sarà più difficile. 

Negli ultimi tempi inoltre mentre un po’ ti indurivi, mentre un po’ cedevi allo sconforto, mentre sembrava che a volte non avessi più voglia di combattere, mi hai insegnato a sorreggerti quando tu ne avevi bisogno, anche se mi sento di non averti sorretto abbastanza, anche se ultimamente eravamo tutti un po’ arrabbiati con te, anche quando eri testardo, anche quando non ci vedevamo per giorni o settimane perché io avevo sempre da fare e ora vorrei tornare a quei giorni e sedermi li vicino a te anche solo in silenzio, anche quando sentivo di non avere abbastanza forza per sorreggerti cosi a lungo, tu eri li e inconsapevole mi insegnavi tutto questo, anche ad ammettere di non farcela anche ad essere tenero per questo ogni volta che ci sentivamo al telefono mi salutavi dicendomi un bacio a te e un bacio immenso alle tue donne, che amavi da impazzire. 

Ed è vero che non sono pronto, ma forse alla fine mentre tento di continuare a scrivere su una tastiera piuttosto bagnata, tu oggi mi hai insegnato ciò che mi serviva in questo momento, perché proprio mentre ripensavo a te per scrivere queste parole mentre tutti mi raccontavano di quanto fossi fantastico, mi sono reso conto che alla fine oggi tu mi hai insegnato anche ad essere finalmente pronto, perché proprio come dice questa canzone:

Ingoierò il mio orgoglio, tu sei l’unico che amo, e ti sto dicendo addio

2017/10/12

UNESCO il fallimento di un'idea





Gli Stati Uniti hanno notificato all’Unesco (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), la loro uscita dall’organizzazione a partire dal 31 dicembre prossimo. Lo ha riferito il direttore generale dell’agenzia culturale dell’Onu, la bulgara socialista Irina Bokova. 

Gli Usa accusano l’Unesco di essere “anti Israele”, perché nel 2011 accettarono l’ingresso della Palestina nell’organizzazione, nonostante la contrarietà di molti Paesi. In quell’occasione, ovviamente, l’Italia scelse di non schierarsi e si astenne. Contestualmente Washington ha ritirato il sostegno di 60 milioni di dollari all’Unesco, creando non pochi problemi all’Onu. Gli States sono infatti il più grande finanziatore dell’Unesco, con una quota pari al 22 per cento dei finanziamenti totali. 

L’Unesco, per chi non lo sapesse. è uno dei tanti carrozzoni delle agenzie dell’Onu, istituito nel 1945, all’indomani della fine della guerra, conosciuto qui in Italia solo per la faccenda dei “siti patrimonio dell’Unesco”. In realtà il bubbone sarebbe dovuto esplodere, prima o poi. Sono anni che le Nazioni Unite, anziché svolgere il loro compito istituzionale, si dedicano alla politica, favorendo ora questo ora quell’attore internazionale secondo gli specifici interessi del Palazzo di Vetro, che raramente coincidono con quelli della popolazione mondiale. 

Troppo spesso l’Onu si è apertamente schierata con una delle parti in lotta, rinunciando al suo nobile ruolo di super partes e compisizione dei contrasti. Individuando di volta in volta, arbitrariamente, il “cattivo” di turno, l’Onu ha schierato i suoi caschi blu e il suo peso diplomatico per proteggere gli interessi di ben determinate nazioni. 

Qualche esempio? 

Congo (dove i caschi blu furono diretti responsabili della strage dei nostri soldati a Kindu), Biafra, Vietnam, Iraq e, più recentemente, guerra dei Balcani, dove i caschi blu si sono smaccatamente schierati con i musulmani di Bosnia e del Kosovo con l’obiettivo – raggiunto – di destabilizzare l’Europa creando nel proprio cuore due Stati islamici, con le conseguenze che vediano oggi. Ma oltre a schierarsi, le Nazioni Unite evitano di proteggere le popolazioni in guerra: nei Balcani, in Libano, e oggi in Siria, dove si tengono bene alla larga dalle zone particolarmente calde. 

Quindi, non è questione di Unesco, o Fao o altro, mastodonti che sprecano soldi per la loro manutenzione piuttosto che per gli scopi sociali: sono le Nazioni Unite a essere ormai un’organizzazione tutta da ripensare e da riformare. Il socialista Guterres, attuale segretario generale, ha già dato prova di essere di parte, e bene fa Donald Trump a denunciare le storture di un Palazzo di Vetro obsoleto nato all’ombra di una tremenda guerra che certo non ha favorito la serenità delle scelte sovranazionali. 

E questo peccato originale accompagna ancora oggi le dissennate strategie dell’Onu.