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2015/06/27

Quando l'Europa.... il destino della Grecia


Gad Lerner è l'autore dell'articolo pubblicato sotto.
Per cui quando trovate scritto "ripubblico" in effetti è lui che ha ripubblicato sul suo blog l'articolo, o il saggio, in questione. Vorrei doverosamente aggiungere un appunto. L'autore non mi è mai piaciuto, troppo aggressivo per certi aspetti, troppo di parte per altri, significa che secondo il mio pensiero siamo di fronte a un opinionista economico ondivago, dipendente dal vento, quello che tira dove lui vorrebbe.

In questo articolo tuttavia si esprime al riguardo della Grecia e della situazione ormai insostenibile che si è venuta a creare, arbitro del nostro stesso destino futuro perché tutte le volte che qualche nostro politico si affretta a allontanare dall'Italia i funesti pericoli di contagio ecco che essi puntualmente si verificano. Guardatevi dunque la spalle, i prossimi siamo noi.

Ripubblico un mio articolo uscito su “Repubblica” il 5 novembre 2011 perché mi pare che l’establishment finanziario e politico europeo stia reagendo col medesimo fastidio, quattro anni dopo, all’idea che i cittadini greci possano decidere democraticamente il loro futuro. La differenza è che oggi c’è Tsipras al posto di Papandreou, e quindi il referendum convocato non verrà soppresso.

Fino a che punto le regole vigenti nell’economia mondiale sono tuttora compatibili con l’esercizio della democrazia? La domanda è più che legittima, vista la reazione di panico con cui i mercati finanziari, e insieme a loro tanti leader politici nonché le principali istituzioni monetarie, hanno condannato la decisione del governo greco di convocare un referendum sulle ricette amare prescritte dall’Ue.

Il presidente della Banca mondiale, Robert Zoellick, ne parla come di un “lancio di dadi”. Il governo tedesco lo qualifica come inaccettabile “perdita di tempo”. Quanto alle reazioni dell’establishment di casa nostra, basti per tutti l’aggettivo con cui Ferruccio de Bortoli, sul “Corriere della Sera”, liquida il referendum indetto da Papandreou: “Scellerato”.

Scellerato il ricorso a uno strumento di democrazia diretta? E perché mai? La risposta implicita può essere una soltanto, dato che purtroppo non esiste ancora una Confederazione Europea titolare di sovranità democratica condivisa: uno Stato che, come la Grecia, ha accumulato un debito insostenibile, per ciò stesso sarebbe condannato alla perdita della sovranità nazionale; ai suoi cittadini, quindi, può venir confiscato il diritto di assumere decisioni sul proprio futuro.

Per giustificare un tale ricorso allo stato d’eccezione che contemplerebbe la sospensione dell’esercizio della sovranità popolare, qualcuno invoca il paragone storico: quando mai un leader politico come Winston Churchill avrebbe sottoposto all’opinione pubblica impaurita la decisione stoica di resistere all’aggressione nazista? La metafora bellica, però, è un’arma a doppio taglio: possiamo considerare un progresso che, nel mondo contemporaneo, il dominio sia fondato non più sugli eserciti ma sul debito. Purché si riconosca che siamo in presenza di una nuova forma di colonialismo.

Si badi bene. Il governo greco soffre di un deficit di forza e autorevolezza, è vero. Ma non si è sottratto al dovere di rinegoziare con l’Ue e il Fmi le condizioni del suo debito. Ne è conseguito un piano di rientro terribilmente oneroso. I cittadini non vengono chiamati a pronunciarsi su un singolo provvedimento, prerogativa del governo in carica, ma su una scelta per tutti loro vitale. Accettare i sacrifici necessari per continuare a far parte dell’Unione europea, o sobbarcarsi l’incognita del default? Già nella piccola Islanda, con due diversi referendum, gli elettori hanno rifiutato di onorare il piano di rimborsi predisposti dal Fmi, e hanno preferito penalizzare le banche creditrici inglesi e olandesi. E’ vero che se un’analoga decisione venisse assunta dai greci, le ripercussioni sarebbero molto più gravi per tutta l’eurozona. Ma resta la domanda: a chi spetta decidere? C’è forse qualcuno che può sostituirsi al popolo greco in un tale frangente?

Nel loro recente libro-dialogo Ezio Mauro e Gustavo Zagrebelsky ricordano che per millenni la democrazia fu considerata un pessimo sistema di governo perché solo un’élite di avveduti saprebbe decidere per il meglio, non la massa degli ignoranti. Se invece restiamo fermi nella convinzione che “il popolo si può sbagliare ma resta il miglior interprete del proprio interesse”, e quindi “ogni altro interprete è peggiore”, allora dobbiamo guardarci dai vizi antidemocratici che contraddistinguono l’attuale gestione della crisi del capitalismo finanziario. Possiamo delegarla a autorità monetarie rivelatesi per decenni insensibili a piaghe come la disoccupazione e l’acuirsi delle disuguaglianze, se non addirittura compartecipi nel predominio della finanza speculativa? Non risulta beffardo che l’autonominatosi direttorio franco-tedesco sia oggi costituito da leader di destra che negli anni scorsi hanno boicottato una reale unione politica sovranazionale? Per non dire dei governanti italiani che fino a ieri blateravano di popoli in rivolta contro gli “euroburocrati”, salvo sottomettersi ora acriticamente ai diktat di Francoforte e Bruxelles.

Una politica incapace di rimettere in discussione i dogmi di un’economia fondata sulla lucrosa perpetuazione del debito e sull’ideologia della competizione esasperata, subisce passivamente la contrapposizione tra finanza e democrazia; sposa le convenienze della finanza a scapito della democrazia. Del resto, la levata di scudi contro il referendum greco è un atteggiamento già sperimentato in Italia. Come dimenticare che la primavera scorsa il nostro governo sperperò centinaia di milioni nell’inutile tentativo di boicottare i referendum sull’acqua e sul nucleare, rinviandone lo svolgimento? E ora, nella foga di varare un piano di privatizzazione delle aziende pubbliche, il governo si prepara a calpestare quel voto contrario di ventisette milioni di italiani convinti che si debbano preservare dei “beni comuni”. Tutti scellerati?

Gad Lerner su Repubblica, Novembre 2011 e Gad Lerner Blog Giugno 2015.

L'articolo e' stato pubblicato sul sito internet di Gad Lerner. Per leggere l'originale cliccate sul nome.

2015/06/21

Uscita dall'euro senza caduta libera


Naturalmente tutti si chiedono cosa accadrebbe qualora fra la Grecia e la zona euro non si riuscisse a trovare un accordo per l’ennesimo salvataggio.

Chiarisco subito che l’ennesimo salvataggio non potrebbe essere che temporaneo, poiché, ammesso e non concesso che i greci accettino di prendere qualche misura di carattere economico (aumento Iva? ritocco pensioni?) in cambio dell’erogazione di un nuovo prestito, finché saranno costretti a utilizzare la moneta unica, non avrebbero comunque nessuna possibilità di veder risollevarsi la propria economia, quindi, esauriti quei fondi, saremmo ancora punto e a capo.
Ritengo che, a questo punto, tutti abbiano capito che è il concetto di moneta unica che non può funzionare, in quanto produce danni in funzione a quanto sono impari le economie dei Paesi che lo utilizzano.

Il famoso “effetto domino” si verificherebbe NON perché esiste la speculazione finanziaria, ma perché verrebbe sancito, senza possibilità di appello, ciò che vado dicendo da tempo, ossia: “uno Stato, una moneta”.
La cosiddetta “speculazione”, infatti, non è un’arma attraverso la quale si cerca di distruggere un sistema che funziona, ma la conseguenza più evidente del fatto che quel sistema NON funziona.

Il problema rimane però gigantesco perché abbiamo costruito una cosa talmente titanica che ora abbiamo persino paura a demolirla, alcuni, anche fra coloro che hanno posizioni molto critiche nei confronti dell’euro si chiedono se debba essere usata “la dinamite” oppure il sistema dell’euro debba essere smontato “pezzo per pezzo”.
In altre parole si ha il timore che ritornare di colpo alle monete nazionali possa comportare uno shock talmente forte all’economia europea da farla sprofondare in una crisi senza precedenti.

Non sono di questa opinione!

Naturalmente la demolizione dell’euro dovrà avvenire in maniera “controllata”, ma ciò non comporterebbe alcun trauma per l’economia del Vecchio Continente, sarebbe solo necessario stabilire delle norme comuni da rispettare e, così come siamo entrati nell’euro … ne usciamo.
Perché, cari lettori, ricordiamo tutti cosa ci hanno ripetuto i media in maniera ossessiva nel momento in cui è entrato l’euro nelle nostre tasche, ci dicevano in continuazione, come un mantra, che “non sarebbe cambiato nulla”. Sarebbe stato tutto estremamente semplice, ciò che prima era espresso in lire sarebbe solo stato ridenominato in euro attraverso un cambio fisso un po’ strano per la verità, 1 euro = 1936,27 lire.

E in effetti è stato tutto molto semplice, e anche le persone anziane non hanno avuto bisogno dei “convertitori” (qualcuno di voi ne ha ancora in casa?), è stato tutto molto facile.
Ebbene la fine dell’euro e il ritorno alle monete nazionali sarebbe ancora molto, ma molto più semplice, perché ogni Stato riconvertirebbe la propria moneta con un cambio alla pari!

E’ semplicissimo!
Un cambio alla pari!
Cioè la nuova lira italiana? Pari a un euro
Il nuovo marco tedesco? Pari a un euro
Il nuovo franco francese? Pari a un euro
La nuova dracma? Pari a un euro

Cosicché se una persona oggi ha uno stipendio di 1.200 euro in Italia diventerebbero 1.200 nuove lire, in Germania 1.200 nuovi marchi, in Grecia 1.200 nuove dracme e così via!!!

Semplice? Semplicissimo!!!

E al momento della riapertura dei mercati valutari “il mercato” unico arbitro imparziale e inappellabile determinerà i cambi fra le nuove valute europee.
Ci vorrà 1,30 nuova lira per avere 1 nuovo marco? Bene!
Basteranno 0,70 nuove lire per avere 1 nuova dracma? Bene!
Ma quello che deve essere chiaro è che questo meccanismo non ci renderà più ricchi o più poveri rispetto alla situazione attuale!

In altre parole: non è che poiché ci vorranno 1,30 nuove lire per avere 1 nuovo marco tedesco allora noi siamo diventati più poveri e i tedeschi più ricchi, perché è già così adesso!!!

Se il mercato determinerà un cambio nuova lira/nuovo marco pari a 1,30 significa che OGGI ritiene che la Germania sia mediamente più ricca dell’Italia del 30%.
Il sistema dei cambi, se naturalmente lasciato funzionare, E’ UN SISTEMA REGOLATORE!!!
E questo è un concetto da comprendere! Assolutamente!
Il fatto che l’Italia avrà una moneta che varrà il 30% in meno di quella tedesca NON CI RENDE PIU’ POVERI!!! Anzi, ci dà un vantaggio! Perché le merci che produciamo saranno più competitive rispetto a quelle prodotte in Germania, e, di conseguenza, questo aiuterà la nostra economia!

Migliorerà la nostra economia e peggiorerà quella tedesca? Se accadrà, anche questo lo vedremo dal mercato valutario perché il cambio nuova lira nuovo marco varierà, magari diventando 1,25 oppure 1,20.
I cambi fra le nuove monete europee varieranno di secondo in secondo come oggi accade fra euro e dollaro o qualsiasi altra moneta, basterà lasciar fare al mercato e tutto sarà regolato in maniera naturale.

Semplice?
Semplicissimo!!!




Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro

2015/06/08

Crisi Greca


Ci sono molto modi per illustrare la crisi finanziaria greca. Uno sarebbe spiegare chiaramente alla gente che per i “tagli” già apportati al bilancio della sanità ellenica in pratica non si fanno più trapianti, non si possono più pagare ai cittadini - e ormai da molti mesi - i farmaci salvavita, i cocktail chemioterapici, spesso neppure gli interventi sanitari d’urgenza. Vale di più la pelle delle persone o il debito pubblico?

Questa Europa ha fatto dell’economia (malata) il suo idolo e del pareggio di bilancio il suo feticcio ma non riesce più a dare risposte ai cittadini e infatti non conta per l’Unione il migrare più o meno legale di centinaia di migliaia di persone. 

Soldi, soldi, soldi: contano solo i soldi perché quel 3% massimo di deficit di bilancio è un mostro ineffabile, uno spauracchio inumano. 

Quei limiti non erano pensati per un continente sostanzialmente in recessione e comunque che arretra rispetto al resto del mondo. L’Euro non riesce a armonizzare economie differenti o lo sta facendo in modo sbagliato. 

Il diritto alla salute di un banchiere europeo che può curarsi in una ottima clinica è diversa da quella di un cittadino greco che non può sopravvivere? 

Ma dove è finita l’Europa dei Popoli, delle idee, del progresso sociale illuminato? Non era questo tipo di Europa che sta alla base della Carta costituzionale europea e poi qualcuno si lamenta che crescano gli “Euroscettici”!

2015/01/11

#FUORIDALL€URO


Uno dei temi che agitano questo inizio d’anno è la necessità di rivedere la posizione dell’Italia sull’Euro. A destra Lega Nord e Fratelli d’Italia da tempo chiedono che l’Italia esca dalla moneta unica,  anche l'ormai mummificato Berlusconi lo afferma a mezza voce, rilanciando un diverso sistema fiscale. Al centro Grillo ha trasformato l'uscita dall'Euro nel suo cavallo di battaglia anche in vista delle prossime - quanto prossime non si sà ma si immagina - elezioni politiche.

Credo  sia ora non solo di fare chiarezza ma anche di stabilire una linea di credibilità. Il tema infatti è fondamentale e potrebbe essere un’ottima occasione per qualificare l’opposizione nei confronti del governo ma  - anche per differenziarsi dalla demagogia di Grillo – credo non sia più tempo di slogan ma di assunzione di responsabilità.

Certo il concambio iniziale verso l’Euro è stato pesante (se lo ricordi Prodi in procinto di scalare il Colle, perché ne porta la responsabilità!) ma è ora che queste questioni vadano affrontate e studiate a fondo prima in termini tecnici e solo dopo proposte ai cittadini-elettori, ma senza superficialità né sparate demagogiche che non servono a nulla: avere una piattaforma comune e credibile su questa questione sarebbe fondamentale per vincere alle elezioni.

Personalmente credo che uscire dall’Euro sia giusto, non possiamo più permetterci di continuare con “questo” sistema di moneta unica. L’Italia deve rinegoziare gli accordi europei o sarà sempre più difficile uscire dalla crisi. Siamo in un vortice malefico che ogni giorno si porta via un pezzetto della nostra sovranità già ai minimi termini. Liberiamocene o diventeremo il paese satellite della Germania come aveva tramato e voluto Hitler fin dall'inizio e non era riuscito nell'intento sia a causa di Mussolini, per una volta difensore della Patria, sia a causa dell'incapacità del baffetto germanico di attuare un piano realistico e non una sterile conquista. Non gli credeva nessuno ai tempi, non crede nessuno alla Merkel ora.

Prima di tutto cerchiamo di capire che la moneta è un mezzo di espressione economica ma non è l’aspetto più importante di una economia nazionale: è il paracetamolo con cui si affronta la febbre della crisi, ma se la febbre è arrivata per una infezione  si può ridurre la febbre, ma non si supera la malattia. 

Allo stesso modo il semplicistico sistema di proporre una uscita dall’euro, tornare alla lira e  svalutare la moneta è puerile: la svalutazione funziona come sistema di emergenza e una tantum ma alla  lunga uccide il paziente, soprattutto in una situazione economica come quella italiana legata alla dipendenza di materie prime straniere.

In realtà l’Euro, dopo il devastante impatto psicologico di aumento dei prezzi di molti beni di consumo (1 euro= 1000 lire) ha dimostrato almeno due limiti che non erano stati previsti al momento della sua istituzione: non è accompagnato da un potere unico politico-economico centrale sufficientemente forte  e non è stato pensato per i periodi di crisi. Per un pò l’allargamento dell’area-euro accompagnata da una certa espansione ha coperto i suoi limiti che però oggi vengono al pettine. 

Se infatti il “ministro del tesoro” di un ipotetico governo unico europeo fosse eletto direttamente con i voti dei cittadini portoghesi e polacchi, tedeschi e italiani non dovrebbe difendere e privilegiare il proprio attuale orto elettorale nazionale, ma dovrebbe armonizzare l’economia di tutta l’Europa, cosa che è difficile da fare oggi perché diverse sono le priorità nazionali cui fa riferimento ogni singolo stato e i relativi ministri-commissari.

L’Euro ha unito monetariamente l’Europa ma il concetto di stato unitario europeo non è andato avanti, anzi, ultimamente gli euroscettici incalzano. Il risultato è che mentre un dollaro americano è gestito in modo unico per la California come in Florida o nel Vermont, l’Euro produce effetti diversi a Helsinki rispetto a Atene, così come il dollaro non unisce New York e Costa Rica, Messico o Santo Domingo dove non comandano né Obama né la Federal Reserve.

Difficile tenere insieme economie a sviluppo variabile e moneta unica.

Ma d'altronde noi pagheremmo i debiti del nostro vicino di casa che non ha tirato la cinghia, che non rispetta i pagamenti o i piani di rientro e si fa protestare le cambiali? Tutti pensiamo prima a noi stessi, la Merkel – eletta dai tedeschi – prima pensa a loro e a sé stessa e quindi è comprensibile l’atteggiamento di Germania e paesi collegati. 
Diverso se – come è avvenuto – al mio vicino di casa i soldi li avessi prestati, non li restituisce  e vorrei quindi fossero venduti all’asta i suoi gioielli di famiglia (magari svendendoli  per far cassa) oppure in cambio volessi in pegno  proprio quei gioielli per rientrare del mio credito. 

E’ un po’ il caso dei banchieri tedeschi che prima hanno aiutato o prestato fondi a stati come la Grecia (guadagnandoci) e che prima di tutto oggi vogliono rientrare dal rischio dei propri investimenti, alla faccia dei pensionati greci che per loro  possono anche fare la fame. Se ci pensiamo, però, non è che una banca italiana si comporti diversamente con i propri clienti, quindi…

Diciamo allora che nell’area Euro tutti hanno fatto un po’ i furbi sperando che pagassero i vicini di casa. Alla lunga il sistema non funziona se troppe sono le aree di crisi e soprattutto non è chiaro chi debba comandare, così alla fine il più ricco fa la voce grossa anche perché i suoi rappresentanti pensano ai propri interessi e dopo un po’ logicamente trascurano quello dei vicini, oltretutto che non riescono da soli a uscire dai guai.

E l’Italia? Credo che stare in una moneta forte sia complessivamente un vantaggio per il nostro paese, ma per starci bisogna saperci stare e rendersi conti che i debiti vanno onorati. Debiti politici, organizzativi, burocratici. Per colpa nostra, è bene rimarcarlo, non stiamo mantenendo tutti i patti e visto che li abbiamo sottoscritti è evidente che o si cambiano o ce ne si chiede conto.

Qui c’è la politica di mezzo che non riesce, non vuole, non sa come ridurre innanzitutto la spesa pubblica, ma deve farlo sono gli eventi contingenti che la obbligano a attivarsi. Poi dobbiamo renderci conto che non possiamo più mantenere dei servizi se costano troppo, ma è evidente che se ci servono vogliamo prima ridurre quelli degli altri. La classica regola di aumentare le imposte per contenere il deficit porta a risultati opposti se la tassazione è sempre più alta e soprattutto vale solo se tutti le pagano. Poiché da noi non succede alla fine colpisce una quota di cittadini ma è ininfluente per gli altri raddoppiando le ingiustizie, così come le discriminazioni territoriali quando solo alcune aree del paese pagano per le altre più del dovuto. 

Ricette? Secondo me, ovviamente, vanno privilegiate vere riforme interne che però stentano a decollare al di là della demagogia, mentre una misura temporanea potrebbe essere di togliere dal vincolo di bilancio una serie di investimenti direttamente legati allo sviluppo economico o a settori che si ritengano primari per la ripresa. 

Allo stesso modo visto che c’è “catena lunga” tra le misure prese in sede di BCE e effetti sull’economia è essenziale ridurre i costi finanziari ed i tempi di investimenti a progetti non solo di dimensione “europea” ma anche locale, settoriale, di singola media impresa produttiva. Questa norma europea dovrebbe essere comune a tutte le imprese europee, tagliando fuori le burocrazie nazionali.

Questa perché se non si ritorna a produrre e incrementare il PIL (ma i criteri di calcolo sono corretti? Anche qui ci sono molti dubbi) la mossa classica di aumentare le imposte indirette (IVA) ottiene effetti distorti e contrari. Altra riforma – ma in Italia si sta andando al contrario – è il decentramento del controllo, della spesa, dell’autonomia: il livello giusto è quello di aree omogenee (maxi regioni) e non statale o micro-regionale dove peraltro negli anni scorsi si sono buttate somme schifosamente imponenti senza produrre benefici, se non ricchezza per un ristretto ceto politico-imprenditorial-burocratico.

Su questo punto incide un aspetto sempre più importante: la burocrazia.
L’Europa sta affogando nelle regole: lasciamo più libere le imprese (tutte) senza più una massa asfissiante di vincoli, spese, controlli, tempi buttati. Chi sbaglia paga, ma non è possibile che alla fine l’ipotetico meglio (pensate solo alla privacy, all’infortunistica, alle contabilità ecc.) sia nemico del bene. 

Anche perché le regole interne europee devono valere anche sulle importazioni o il mercato continentale continuerà a acquistare “fuori” mentre crollerà la produzione UE perché strozzata dai propri stessi parametri. Non si può comprare in Cina perché costa meno e si produce senza regole e uccidere l’imprese europee perché vengono obbligate a rispettare le regole!

Questi sono spunti di politica europea che dovrebbero interessare il centro-destra perché a sinistra si è pieni di responsabilità e contraddizioni su questi argomenti, ma chi è interessato a farlo?

lanciamo l'hashtag dunque #fuoridalleuro e vediamo come va a finire, altrimenti preparatevi a lustrare le scarpe alla Merkel, ormai non manca molto.

2014/03/21

L'Italia, l’Europa e l’Euro (cronache di fallimenti)


Entrare nell’Euro per l’Italia è stato complessivamente positivo perché ha stabilizzato le finanze, ci ha imposto delle regole, ha sottolineato i nostri limiti e ci ha obbligati a passare da una economia dell’inflazione a quella della stabilità.

Il problema è che parte dell’Europa (non solo l’Italia!) era molto squilibrata rispetto alla “media” centro-continentale ovvero Germania, Francia e Benelux ed allargandosi man mano ha sì portato avanti un positivo discorso europeista, ma non riesce ad affrontare la crisi tanto che lo stesso concetto di “Europa” sta crollando a livello di opinione pubblica, con punte del 68% di cittadini europei insoddisfatti della UE.

Un Euro che ha funzionato come unificante, ma non regge in periodo di crisi anche perché aggrava e non risolve gli squilibri.

Perdono le economie deboli che sono obbligate però a mantenere il regime dei prezzi, dei costi e delle norme comuni, ma non possono agire sulla leva finanziaria per rilanciarsi in tempi di crisi.

Oggi che – diversamente dal 2002 - la crisi “morde” dal punto di vista dell’occupazione, degli investimenti, della concorrenza internazionale i paesi che non possono ricorrere al credito (o lo usano male, a volte per coprire “buchi” di bilancio dello Stato o delle proprie banche, ma che però sono comunque obbligati a farlo per rigide norme comunitarie) non possono più competere. Così chi è ricco lo è sempre di più (Germania) e impone le regole, chi è povero va in rovina. Vale per l’Italia ma anche per Grecia, Spagna Portogallo, Irlanda, Cipro, con le nuove nazioni dell’Est che sono sulla nostra stessa strada:

La domanda è se un Euro concepito così ci serva ancora, se dobbiamo passivamente subirlo a queste condizioni oppure se non dobbiamo invece cominciare a chiedere di cambiarne almeno alcuni parametri.

Ricordate quando c’era la lira, tanti anni fa, ed i prezzi di Palermo e del Sud erano sensibilmente inferiori a quelli di Milano? Con l’Euro c’è stato un riallineamento al rialzo incredibile: in Italia, Grecia, Portogallo TUTTI i prezzi si sono riallineati alla media europea, il pane oggi costa a Lisbona come a Berlino, ma un pensionato italiano prende un terzo degli euro tedeschi, così come un insegnante o un dipendente mentre il pensionato portoghese ne prende un quinto.

L’imprenditore sta anche peggio perché la sua azienda non può più essere competitiva in quanto i costi di acquisto, del lavoro, del denaro ecc. sono addirittura più alti della concorrenza europea e quindi va fuori mercato. La conferma è nei dati: la disoccupazione tedesca è minima, la nostra paurosa. D'altronde una impresa tedesca può ammodernarsi e investire, riducendo ulteriormente i costi e la nostra no… per regole fissate in Germania!

La politica europea è uscita dalla logica: via i dazi extra UE si importa il riso asiatico e si chiudono le risaie a Vercelli, come le nostre imprese di trasformazione sono distrutte da nazioni dove il costo del lavoro è 10 euro al giorno e l’esempio vale per tutti i settori.

Questi effetti sono dovuti proprio anche all’Euro e a una politica monetaria assurda, non possiamo più nascondercelo.

Il New Deal americano, dopo la grande depressione del ’29, puntò alle infrastrutture e agli investimenti per dare lavoro e far ripartire l’economia. La stessa politica monetaria USA di oggi (dollaro bassissimo contro l’euro) uccide le nostre esportazioni e ha moltiplicato il deficit federale americano, ma l’economia USA “tira”, noi siamo al blocco del 3% dai vincoli di bilancio!

Non mi piace la demagogia, ma la concretezza: il governo italiano deve assolutamente chiedere delle rinegoziazioni serie dei trattati, altrimenti è interesse nazionale minacciare l’uscita da un sistema monetario impossibile e che non ci permette più di essere competitivi.

Attenzione: anche uscendo dall’Euro ci sarebbero problemi, ci saranno indubbiamente moltissimi vantaggi nel breve e medio termine, qualche rischio se non si opera una stretta vigilanza per non ricadere nei problemi che abbiamo avuto quando siamo passati dalla lira all'euro ma non c’è dubbio che stando così le cose facciamo la fine dei polli di Renzo (non di Matteo, quelli dei Promessi Sposi!)… e ci tirano il collo.

Quello che spaventa è che di queste cose non si parla mai a fondo, si urla anzichè ragionare, non si ascoltano i dubbi che cominciano a circolare anche a livello monetario internazionale e ci sono “tabù” che sembrano intoccabili. Uscire o rinegoziare l’Euro non significa uscire dall’Europa: Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, Danimarca ecc. sono nazioni europee ma non usano l’Euro e se la cavano molto meglio di noi.

Noi italiani tra l’altro abbiamo un grande vantaggio da far pesare sulle trattative: siamo comunque un mercato di 60 milioni di persone che se ricominciassero a comprare italiano, mangiare italiano, fare vacanze in Italia e così via (magari anche tornando a pagare in valuta italiana…) avrebbero tutto da guadagnare e rilancerebbero l’economia e l’occupazione interna. 

Vogliamo ripartire con questo discorso? Credo proprio che sia necessario.

2013/04/14

NO EUROPA, NO EURO


Il problema non è l’antieuropeismo, il problema è questa Europa e questo Euro, la moneta unica che ci sta drammaticamente affondando. Mi permetto, da (ex) europeista convinto, di fare questa affermazione categorica e perentoria perché ritengo allarmante l’evidente constatazione che, passo dopo passo, l’ideale di un’Europa unita, terra di diritti, di eguaglianza e fraternità si è progressivamente disgregato e si sta avviando verso una rischiosa implosione.

NO EUROPA PERCHE’?

Il paradosso è che tutto ciò stia avvenendo a poco più di dieci anni dall’introduzione della moneta unica. In linea di principio quel provvedimento avrebbe dovuto essere uno dei pilastri principali dell’istituzione sovranazionale premessa di un’entità federale o confederale. Non è stato così. L’unità monetaria avrà anche avuto i suoi indiscutibili meriti ma non ha per nulla contribuito a rafforzare il sentimento europeo nelle nazioni che compongono la Comunità e, verosimilmente, neppure nei suoi cittadini. 
La Commissione Europea, che di fatto condiziona pesantemente la politica economica, finanziaria, fiscale e del lavoro degli stati membri, fa invece poco o nulla per orientare le questioni dei diritti sociali, civili, della legittimità democratica, del welfare e men che meno si impegna per la cultura che insieme alla solidarietà è la principale struttura e infrastruttura preposta a formare e garantire l’identità profonda di qualsiasi progetto fondato e lungimirante. La gravissima crisi che continua ad imperversare, aggravata dalla inefficace e depressiva politica di austerity voluta dagli eurocrati con la connivenza di Fmi e Banca Mondiale, mette a nudo sempre più i deficit di senso della Ue.

E L’ITALIA DOVE SI TROVA? 

In tutto questo bailamme si posiziona l'Italia. Il nostro paese è vittima di una politica doppiamente criminale, prima di tutto quella interna che non ha fatto altro che attuare regolamenti e leggi “ad personam” per difendere i diritti di una sola persona e di una casta e, dall'altra parte un'Europa che ci teme in quanto potenza all'inverso, cioè capace di distruggere gli equilibri apparenti fino qui raggiunti dalle altre nazioni europee, anche a nostro danno, beninteso. Per questo motivo si è verificato quell'incruento golpe (colpo di Stato) che ha visto il Presidente del Consiglio eletto dal popolo, messo gentilmente alla porta dal presidente della Repubblica in concerto con la Cancelliera tedesca Angela Merkel e probabilmente anche altre potenze europee, per nominare un Governo Tecnico alla cui testa è stato messo Mario Monti, l'unico veramente in grado di mantenere quella liaison con il resto d'Europa a evitare il tracollo degli investimenti stranieri in terra italica. Non per nulla Mario Monti è stato capace solo di aumentare la pressione fiscale a dismisura, mettere le mani in tasca agli italiani, togliendo loro i risparmi, togliendo loro la speranza. Incapaci di agire, con le mani legate da una Europa sempre meno disposta a tenderci una mano, un'Europa che intende rientrare da tutti gli investimenti effettuati nel nosrtro paese. 
Ecco infatti che si scopre che alcuni Paesi europei avrebbero sfruttato l'appartenenza alla moneta unica per aumentare la loro competitività, a discapito di altri, a discapito nostro che scontiamo un collettivo politico disastroso, disunito anche nei momenti peggiori, incapace di guardare al benessere del Paese ma solo e esclusivamente al proprio benessere e prestigio personale, un Parlamento che ha fatto di tutto e di più per farci precipitare in questo baratro dal quale non se ne esce se non con decisioni drastiche, all’apparenza suicide anche se non è affatto così. Quei Paesi che hanno condannato l’Italia hanno contenuto i salari e la domanda interna, hanno mantenuto artificialmente la propria inflazione sistematicamente a livelli inferiori rispetto ai partners, i quali, condividendo la stessa moneta, non avrebbero potuto operare una svalutazione difensiva per determinare un riequilibrio. I primi avrebbero accumulato surplus commerciali, mentre i secondi avrebbero visto peggiorare i conti con l'estero, fino ad entrare in crisi.
Il Bollettino parla di Portogallo Irlanda, Italia, Grecia, Spagna a cui si sono aggiunte Cipro e Malta, Slovenia e Austria vedono il fondo, il Belgio non sta bene finanziariamente anche se in Belgio si posiziona la sede dell’Europa, della BCE, presto altri si aggiungeranno alla lista dei Paesi in crisi.

QUANTI SONO I PAESI CHE ADERISCONO ALL'EURO?

Pochi, sono solo  17, agli undici storici che hanno aderito a partire dall’1 gennaio 1999 se ne sono aggiunti solo altri 6: 
Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Spagna e Portogallo in seguito Grecia (2001), Slovenia (2007), Malta e Cipro (2008), Slovacchia (2009), Estonia (2011). Per Francia e Olanda vanno anche considerati i possedimenti oltre oceano fra i quali la Nuova Caledonia in oceania o Saint Martin ai Caraibi e altre minori.

Ho notato che di questi 17 ben 7 sono ufficialmente in crisi, cioè Italia, Portogallo, Grecia, Irlanda, Spagna, Cipro, Malta. A cui possiamo aggiungere la Slovenia ormai in procinto di arrendersi all'evidenza. Vale a dire il 50% dei Paesi dell'area euro versa in grave crisi. Bisogna uscire subito, dopo forse potrebbe essere troppo tardi.

COME USCIRE DA QUESTO EURO?

Quanto sta avvenendo a Cipro dovrebbe insegnarci a trovare la giusta strategia per uscire dall’Euro e cadere in piedi. Esistono diversi modi per uscire dall’Euro, non si può comunque credere che sarà un percorso facile e scevro da ostacoli. Innanzitutto la sovranità calpestata, quella che salta subito agli occhi degli italiani, non possiamo più decidere le politiche finanziarie e di bilancio per nostro conto ma siamo costretti a seguire quelle impostaci dalle potenze straniere forti, finanziariamente e economicamente che detengono anche una grossa fetta del nostro debito pubblico. 
Questa sovranità nazionale che ha dovuto essere posta in secondo piano, accantonata, umiliata per rispettare delle misure che all’apparenza tengono legato il nostro paese a una politica comunitaria che ci protegge. Un noto economista e premio Nobel ha affermato recentemente che Cipro dovrebbe uscire dall’Euro il prima possibile, prima di andare incontro a una depressione incredibilmente severa che andrà avanti per anni. Perché Cipro e perché non l’Italia?

L’Italia nell’Euro non sarebbe nemmeno dovuta entrare, questa è la sacrosanta verità. Noi siamo entrati con l’illusione di poter sistemare i conti con un colpo di spugna, dimenticandoci un passato pesante, con un debito pubblico alle stelle e abitudini politiche di spesa votate al rialzo costante, e non solo quelle. Tutto il Paese deve domandarsi del proprio atteggiamento quando Prodi decise che si doveva aderire. Lo stesso Prodi che qualcuno vorrebbe Presidente della Repubblica invece di spedirlo al muro per alto tradimento dello Stato. Il giorno dopo tutto quello che costava mille lire abbiamo scoperto costava un euro, di fatto il valore della nostra moneta è stato dimezzato, sono tutti responsabili di questo ma di più lo sono i nostri politici,m incapaci di controllare, di reprimere, di vietare simili comportamenti. Oggi se ci troviamo in questa situazione la colpa è solo loro.

Sappiamo bene che i costi di un default per un Paese sono assolutamente sopportabili a patto che sia possibile svalutare la moneta, l’Italia in passato ha attuato diverse volte questa politica per salvaguardare le proprie imprese, affinché potessero continuare a mantenere il prodotto adeguati alla domanda e venderlo a prezzi inferiori alla concorrenza. Oggi non si può perché la nostra moneta è comune per altri sedici paesi, non possiamo svalutare secondo la nostra convenienza, dobbiamo subire senza agire.

Arrivati a questo punto la sola strada percorribile sembra sia quella dell’uscita dell’Italia dall’Euro. Arrivati a questo punto la questione è ancora più pesante di quello che ci vorrebbero far credere, semplicemente si dovrebbe capire che l'euro è una moneta ormai insostenibile per Ia zona che l’ha applicata. I motivi sono tanti, ma ormai è chiaro che il prossimo problema è puramente politico e riguarda Ia gestione di come superare questo errore.

La vera incognita è solamente politica. Sono stati i politici a dirci inizialmente che l’euro sarebbe stato pesante da sostenere in termini economici, ma hanno comunque voluto prendere una decisione contraria alle leggi elementari di economia. Adesso tocca a loro tirarci fuori da questo guaio. Esistono numerosi precedenti storici e che gli squilibri che si sono accumulati per colpa della moneta unica, anche se in questo momento sembrano dolorosi da sostenere, per l’Italia non sarebbero nemmeno tanto drammatici. Il fondo lo abbiamo raggiunto da tempo, le aziende falliscono e chiudono al ritmo di diverse centinaia al mese, la gente resta senza soldi, i più fragili mentalmente e psicologicamente pongono fine alla loro vita, incapaci di affrontare i disagi che questa infinita crisi impone loro. 
Il popolo italiano ha il tempo e la possibilità di tirarsi fuori da questa trappola, i dati fondamentali italiani sono sostanzialmente ancora buoni, il popolo è ancora risparmiatore, ha quindi tutto il vantaggio di uscire prima che la propria ricchezza, gli immobili e i risparmi in banca vengano aggrediti dall’Europa per ricapitalizzare quelle banche del nord dell’Europa che hanno sbagliato.

Si può e si deve quindi uscire dall’euro e dall’eurozona per adottare una valuta che possa essere liberamente quotata sul mercato, secondo il grado di forza dell’economia. Non è rilevante se poi si chiamerà lira o altro, per l’Italia significherebbe solamente adottare il proprio standard monetario, lasciando che sia il mercato a determinare il valore.
Non si spaventino di questo gli italiani, non avremo svalutazioni catastrofiche, le abbiamo già sperimentate nel 1992 e nel 1999 e ci siamo salvati, e noi siamo forti, e forti dobbiamo continuare a esserlo e dobbiamo resistere a chi vorrebbe vederci soccombere come già successe negli anni, tristi, della grande guerra.
Uscendo dall’euro non avremo necessariamente un default del debito pubblico, non c’è stato nel ’92 perché adesso che i conti sono sostanzialmente migliori? Riacquistando la nostra sovranità monetaria saremo in grado di finanziare il nostro debito pubblico a tassi più bassi, alla faccia di Angela Merkel e di Mario Monti.

NO ALL’EURO, NO ALL’EUROPA 
- NOI CORRIAMO DA SOLI - 
- CE LA POSSIAMO FARE! -

Questo articolo è stato pubblicato su: NO EUROPA NO EURO - Movimento per la Sovranità Monetaria e Reddito di Cittadinanza il 15 Aprile 2013.

2012/08/26

L’euro non esiste più!


Ormai se ne sono accorti tutti, gli sforzi che la Germania della cancelliera Merkel e la Francia del presidente Hollande per tenere in vita l'Euro sono sporporzionati rispetto al sacrificio di milioni di cittadini europei. Europei perchè in un modo o nell'altro tutti dovranno rimboccarsi le maniche e metter mano al portafoglio per finanziare la crisi degli altri Paesi dello scacchiere europeo e non solo i cittadini di quei Paesi poco attenti al bene comune dotati di politici dalle mani bucate (ogni riferimento ai politici italiani è puramente casuale). Sappiamo anche che non tutti hanno gradito e gradiranno dover metter mano ai risparmi per sanare i debiti di chi non ha saputo gestire con attenzione la spesa. Adesso nel bene o nel male in Europa piangeranno tutti, anche i tedeschi nonostante siano i primi della classe.
Questi sono gli eventi che accadono in Europa, e sono in grado di cambiare il destino di un popolo, altri ancora di cambiare il percorso di molti popoli europei. Ma altri eventi avvennero cinque secoli indietro nel tempo, eventi che cambiarono il nostro modo di vivere. La scoperta, del tutto casuale, delle miniere d’argento in Messico e in Perù permise alla Spagna del 1500 di dotare l’Europa di una base monetaria. Fu un evento che cambiò non solo il destino individuale di molti uomini ma anche quello di interi popoli (fu a causa di questa scoperta che gli Inca e Aztechi vennero sterminati), non solo, tutta quella che allora era l’umanità (anche in Cina dove la guerra dell’oppio ebbe quale determinante la saga dell’argento spagnolo).
Nel Medioevo, causa la rarefazione dei metalli preziosi, e dell’oro in particolare, le monete erano così sottili da poter essere piegate con le dita. La scoperta di ingenti giacimenti d’argento da parte degli spagnoli fu sagacemente utilizzata dalla Repubblica Veneziana per arrivare a coniare nel 1472 la prima lira. La cosidetta lira Tron (dal nome del Doge di cui portava l’effigie) pesava sette volte le monete precedenti e non poteva essere piegata. L’Europa si trovò così ad avere per la prima volta una vera moneta.
Facciamo un passo indietro. I romani coniavano monete già duemila anni prima, L'utilizzo dell'aes rude utilizzato dal 509 a.C. si scontrava con la scomodità di dover pesare il quantitativo di bronzo ad ogni scambio. Su iniziativa di singoli mercanti, quindi, si iniziò ad utilizzare getti in bronzo di forma rotonda o rettangolare su di cui era riportato il valore, detti aes signatum. La prima moneta standardizzata da parte dello Stato fu l'Aes grave, introdotta con l'avvio dei commerci su mare intorno al 335 a.C. Con il passaggio alla monetazione al martello, l'aes diventò una moneta fiduciaria, il cui valore non era cioè più legato al contenuto in metallo. Le prime monete battute emesse da Roma furono alcuni didracmi d'argento di chiara ispirazione greca (ancora la Grecia, la storia si ripete pericolosamente) ed alcune monete frazionarie collegate sia in argento che in bronzo. Queste monete sono nell’immaginario degli addetti ai lavori indicate con il nome di romano-campane, in quanto
furono molto probabilmente coniate in Campania nel III secolo a.C., allo scopo di facilitare il commercio con le colonie greche del sud Italia. Torniamo dunque al 1472, in quello stesso anno, in un’altra città italiana, Siena, veniva fondata la banca più antica del mondo, il Monte dei Paschi.
Banca e moneta: le basi della finanza moderna. Finanza nata in Italia nel Cinquecento grazie al cronico indebitamento della corona spagnola (che coniava argento per mantenere i suoi eserciti) e al continuo disavanzo commerciale della Germania (non sono sempre stati reprobi come vorrebbero far credere), allora grande importatrice delle merci orientali di cui Venezia deteneva il monopolio distributivo. La finanza italiana godeva della miglior reputazione mondiale perché ben vigilata: la zecca di Venezia veniva controllata dalla magistratura.
Il valore della moneta certo.
Le monete spagnole invece erano invece così falsificate da non essere più accettate all’estero. Un editto genovese del 1642 aveva bandito l’uso dei pesos perchè non sussistevano più sufficienti garanzie di autenticità. Bisogna poi aggiungere che funzionari corrotti e omessa vigilanza facevano sì che la Spagna non godesse di reputazione finanziaria in Europa (quante coincidenze con l’attuale situazione finanziaria del Paese, verrebbe da pensare che sia il destino della Spagna, oggi come un tempo non essere credibile finanziariamente). La virtù fondamentale della moneta come equivalente di valore per gli scambi commerciali è l’essere accettata all’estero. Chi esporta vuole moneta debole (così incassa di più), e chi importa vuole moneta forte (spende meno). Fazioni manifatturiere eternamente in conflitto, salomonicamente rappacificate dalla fissazione di un prestabilito rapporto di cambio (fixing).
Dopo l’abbandono della convertibilità con l’oro, dal 1971 la moneta è divenuta una scritturazione contabile, a volte nemmeno cartacea ma solo elettronica. Ormai dematerializzata, la moneta non ha più valore intrinseco: vale solo il suo prezzo, determinato dall’incrocio tra domanda e offerta. Computer che sparano ordini contro altri computer programmati a sparare ordini di segno contrario. Un prezzo che può essere modificato, falsificato, artefatto con metodi ben più sofisticati di quelli che nel Seicento in Spagna valsero la condanna a morte al governatore della zecca.

Tutto sta tornando dove era iniziato.
Dalla saga dell’argento spagnolo, che costò la vita a milioni di nativi sudamericani, alla saga dell’euro che può costare il conto in banca a milioni di cittadini europei.
Là dove la creazione di base monetaria ha innescato l’Occidente industrializzato, là quel modello di sviluppo (che ha sporcato l’acqua, drogato i campi e cementato i borghi) può trovare un nuovo inizio.
Perché non siamo solo produttori e consumatori del villaggio globale.
Siamo uomini e popoli.
Umanità.
Veniamo da cinquecento anni di storia europea. Sappiamo che banca e moneta non sono divinazioni numerologiche, ma utensili per il buon governo, la civile convivenza e il bene comune. L'euro non è la debole moneta virtuale di 10 anni fa, ma la seconda valuta del pianeta, dominante nei mercati obbligazionari e in forza nelle riserve valutarie ufficiali e private. Affiorano però interrogativi sul piano politico, complici le mosse dei presidenti e ministri europei. La Cancelliera tedesca Markel critica i partners europei, i partners europei criticano la Germania e quindi la cancelliera accusata a piu’ riprese di voler colonizzare l’Europa come aveva gia' precedentemente tentato un suo illustre predecessore che pagò i propri errori suicidandosi in un bunker a Berlino. 
Da qualche mese si leggono svariati articoli sul tema, tutti cercano di analizzare l’impatto che la moneta unica ha avuto sul nostro paese e su altre nazioni europee.
Ma l’Euro ci conviene?
E’ certamente arrivato il momento di mettere in fila i birilli, e analizzare i pro ed i contro di un mantenimento dell’Euro o di un ritorno alla Lira, ovviamente con tutti i limiti che certe analisi macro-economiche, politiche e statistiche possono produrre, considerando gli  aspetti finanziari e bancari, da far analizzare esperti del ramo che mai si sognerebbero di suggerirmi le prossime mosse dello scacchiere finanziario europeo (perche’ potrei sfruttare a mio favore certi suggerimenti e sbancare come al casinò la cassa delle borse di mezza Europa).
Andando con ordine, e partendo dalla moltitudine di articoli scritti anche da luminari economici e finanziari di mezzo mondo nonchè italiani, che non si curano affatto delle nobili origini veneziane della nostra finanza, ecco che alcuni riprendono dati, analisi e conclusioni riprese dai dibattiti internazionali sul tema. C’è una costante ripetizione nelle azioni e soluzioni per ridurre la crisi che spaventa, economisti di fama “copiano” la cura proposta da altri di mezza tacca che a loro volta hanno copiato a larghe mani dagli stessi economisti famosi che, forse, non sanno più che pesci pigliare per risolvere la crisi.
Segno esistenziale di una moneta che pure c’è ma è destinata ad una morte certa se i governi non capiranno che a un valore forte non sempre corrisponde una economia di Stato forte, in questo caso lo Stato diventa una somma di Stati e, di fatto e enormemente tragica nel percorso compiuto perchè porterà alla scomparsa dell’Euro e dell’Unione Monetaria voluta dalla Francia di un presidente che guardava di più ad un proprio tornaconto, da condividere con la Germania piuttosto che al bene di tutta la Comunità’ Europea.

La dinamica in caso di mantenimento dell’EURO è prevedibilmente la stessa degli ultimi 10 anni (ed ancora in pieno corso nel 2012), con una Germania che sottrarrà quote a tutti gli altri. Il trend proseguirà inevitabilmente, fintanto che la Germania manterrà un’inflazione minore o uguale ai partners, e potrà mutare solo quando tale tendenza muterà ed in modo duraturo (fantascientifico, un’utopia). Ovviamente gli aumenti di tassazione indiretta in Italia e Spagna, causa prima di sovra-inflazione, promettono che il differenziale inflattivo tra Germania e Sud Europa permarrà anche nei prossimi 2 anni.

In caso di disgregazione dell’EURO, e ritorno alle valute nazionali, è ovvio che accadrà qualcosa di analogo a quanto accadde nel 1992-95. L’Italia (e gli altri paesi che svalutarono) all’epoca ebbe un’impennata nella Produzione Industriale e la Germania ebbe una bella batosta. È ciò che accade in corrispondenza di ogni riaggiustamento monetario. È vero che l’Italia ha minore peso industriale rispetto all’epoca, ma è anche vero che l’incidenza dell’Import-Export rispetto alla produzione è aumentata esponenzialmente in confronto a 20 anni fa, per cui diventa prevedibile che vi saranno gli stessi effetti.

Il destino dell'euro è di essere cartina di tornasole delle impasse e dei successi dell'Europa visto che la BCE è la più importante istituzione federale operante in Europa, anche se non l'unica. Nessun Paese dell’Unione Monetaria Europea vuole cancellare pezzi di Europa federale. Ma chiede, al di là di differenze apparenti, che UE e l’Euro non aggiungano peso normativo e il veicolo di queste esigenze sono le critiche alle istituzioni federali nonché alle regole e ai comportamenti che le sostengono. La risposta è un maggiore spazio negoziale per gli organi di governo del Consiglio e della Commissione, regole semplici, di facile applicazione, non ad hoc per normalizzare il comportamento di un paese o di un gruppo di paesi. Purtroppo abbiamo visto che sono solo alibi.

L’euro non esiste più.