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2013/08/04

Osservando


Leggere è come pensare, come pregare, come parlare con un amico, come esprimere le proprie idee, come ascoltare le idee degli altri, come ascoltare buona musica degli Eagles (oh sì), come ammirare un bel panorama, come spendere il proprio tempo libero passeggiando nella brughiera.  

Leggere, guardare, osservare, spiare, vedere. Per questo servono gli occhi. Osservando quello che succede attorno a me scopro che la gente guarda e non capisce oppure capisce ma guarda senza alcuna espressione e così pensi che non comprende, non afferra perché tu sei così come sei. 
Qui è mezzanotte e sono solo a sei ore di distanza dalla città dove vorrei trascorrere delle ore serene in compagnia dei miei cari, ergo non sono solo qui, loro sono con me, mi piacerebbe essere li invece che qui. 
Nessun dubbio su questo. 

Aaah, l’estate. Un momento di relax, dormire, uscire, prendendosela comoda. Un tempo in cui gli orari vanno fuori dalla finestra e gli obblighi sono al minimo. Un tempo in cui un panino e un frutto passano facilmente per un pasto e i bambini hanno bisogno di niente di più di un cortile e un paio di amici per renderli felici.

Quest'anno (e anche l'anno scorso, a dire il vero ma per altri motivi), l'estate è stata, almeno fino a questo momento, una grande delusione. Non è che non sia stata estate. È che il clima è stato inclemente, prima caldo, caldo e poi freddo e freddo e pioggia e grandine e di nuovo caldo e poi freddo e così non abbiamo potuto godere della nostra piscina e quando è successo mi sono rotto il naso, bello scemo direte voi, ma son cose che succedono eppure.... Eppure mi sono stressato dalla frenesia di completare i lavori in corso, come se avessi lavorato tutta l’estate lontano dalla mia famiglia. E invece eccoci qui, a fissare agosto sul calendario, e mi sento un poco truffato. 

Lo stress è una parola che viene così spesso abusata nella nostra vita, e ora siamo bombardati da consigli per affrontare lo stress in modo che non ci uccide, al punto di essere schiavi delle procedure per evitarlo in tutte le nostre azioni. Ridicolo. Come un auto-proclamato perfezionista, tutto questo stress sta per avere la meglio su di me. Sto diventando vecchio, questo è stressante secondo voi? 

Osservando il mondo che mi circonda, non quello attorno a casa mia perché vivo in un’oasi di pace e tranquillità e gli unici che potrebbero attentare alla mia serenità sarebbe i cani con il loro incessante e fastidioso abbaiare. No, osservo quel mondo virtuale che mi circonda guardandomi di sottecchi dallo schermo del computer mollemente appoggiato sulle ginocchia mentre sguazzo pur io mollemente adagiato, direi sdraiato, in poltrona. Ecco quel mondo è più stressato di me. Una metà degli italiani sguazza in acqua più o meno cristallina della spiaggia alla moda scelta per le vacanze estive e l’altra metà sguazza in un mare di debiti mentre tenta disperatamente di restare a galla per non veder affondare tutto insieme alla nave Italia ai cui comandi non c’è il comandante Schettino ma un suo emulo, impreciso e imbranato nei modi e negli intenti, incapace nel tenere coeso il paese mentre un cavaliere senza cavallo ha perso la sella e tenta disperatamente di risalire sul cavallo che nel frattempo è sparito al gran galoppo.

Non bisogna mai dimenticare che la realtà molto di frequente sfugge alla razionalità, le emozioni e sensazioni appartengono a quella sfera non direttamente osservabile da chi cerca di indagare con i metodi della sperimentazione i fenomeni odierni. Le relazioni sociali sono un corpo dinamico in certi momenti e statico in altri, un mondo troppo complesso per essere sintetizzato da schemi proponibili in altri ambienti.

Godiamoci l’estate, con l’autunno si vedrà che fare.

2013/07/01

Il Sottile Piacere

Il sottile piacere di cui vado a trattare in questo mio faticoso esercizio è quello dell’essere e non apparire. C’è chi lo pone come un problema, essere o apparire, il grande Shakespeare lo riduceva a “essere o non essere” che voleva dire sostanzialmente che sei solo quando sei, e non sei, quindi sembri quando non sei. Questo confonde mi si dirà, ma se io intendo trasferire il tutto alle modalità dell’animo e la voglia di fare apparire queste in modo diverso dalla verità con lo scopo di affermarsi nella società, ecco che allora cogliereste al volo un modo di pensare comune che è dato dall’eguaglianza “io sono = ciò che ho”.

La facoltà d'illuderci che la realtà d'oggi sia la sola vera, se da un canto ci sostiene, dall'altro ci precipita in un vuoto senza fine, perché la realtà d'oggi è destinata a scoprire l'illusione domani. E la vita non conclude. Non può concludere. Se domani conclude, è finita. La vita di un uomo è immediatamente ciò che è, che può anche sembrare, quindi un’apparenza se l’osservatore non è l’uomo stesso ma un esterno, inteso come occhio. Quello che io sono lo conosco solo io, potrei anche allargare la conoscenza di me stesso a chi mi sta vicino, ma anche in questo caso potrebbe essere relativo, per cui, torniamo al problema iniziale: essere e non apparire, un sottile piacere di sembrare quello che che non si è per assomigliare a un modello esistenziale che attira ma che non convince, o che convince ma non attira che poi non è. In altre parole l’uomo rifiutando ogni impegno continuato, cerca l’attimo fuggente della propria realizzazione all’insegna della novità e dell’avventura, avventura dello scoprire quello che potrebbe essere e non necessariamente quello che è poiché si suppone lo conosca già .

Siamo dunque tutti esteti, secondo il principio dell’esistenza di Kierkgaard il quale suddivideva l’esistenza in stadi tra i quali appunto “lo stadio estetico”. L’esteta, cioè chi appare senza essere, si propone di trasformare la propria vita in un’opera d’arte bandendo la noia, la monotonia e il ripetersi di eventi con poco o scarso interesse dove invece possano trionfare le emozioni forti. E qui torniamo all’apparire invece che all’essere, sarebbe come dipingere di rosso una Fiat cinquecento e dire a tutti che a dispetto di quello che vedono si tratta di una Ferrari?  No, tuttavia al di là dell’apparenza gioiosa e brillante, la vita “estetica” o meglio l’apparenza, è destinata alla noia nonchè al fallimento esistenziale. Perché questo? Sempre Kierkgaard dice, anzi afferma, ci prova, che vivendo attimo per attimo quindi evitando a uno a uno i pesi di scelte impegnative (ergo scegliendo di non scegliere) si finisce per rinunciare a una identità identificabile come propria e per cui si finisce per avvertire un senso di vuoto nella propria esistenza. Quindi meglio essere che apparire?

Dovendo scegliere preferisco esistere, quindi essere. Essere me stesso in ogni dove, anche quando scrivo che poi è il mio essere come mi vedono i lettori, se volessi semplicemente apparire sarebbe sufficiente copiare a piene mani un testo da qualche autore sconosciuto e venderlo per mio, il risultato esteriore potrebbe essere lo stesso anche se la sostanza cambia. Un esempio calzante potrebbe essere di quello che presenta un manoscritto a un editore per la pubblicazione e questi gli risponde che Il suo manoscritto è sia bello che originale, ma le parti belle non sono originali, e quelle originali non sono belle. Allora scegliere non è una semplice manifestazione della personalità ma costituisce la personalità stessa. Questo momento Kierkgaard lo chiama “stadio etico”, cioè il momento nel quale l’uomo scegliendo di scegliere, ossia prendendo una responsabilità della propria libertà, si impegna in un determinato compito. Questo stadio implica al posto della ricerca dell’eccezionalità dell’uomo comune, la scelta della ricerca della normalità e della semplicità. 

L’esistenza dell’avere insieme a quella dell’essere costituiscono le due forme potenziali della natura umana, che per spinta biologica della sopravvivenza preponderante rispetto a ogni altra forma esistenziale semplice o complessa possa sembrare più propensa alla modalità dell’avere. Se parla di disperazione come rapporto dell’uomo con se stesso allora vuol dire  che se l’io vuol essere se stesso non giungerà mai all’equilibrio; al contrario se non vuol essere se stesso urta anche qui in un’impossibilità di fondo. Ovunque si possa guardare quindi ci si imbatterà nella disperazione perché  diventa il vivere  senza l’io interiore, quindi artefando il supremo segreto stesso della vita umana. 

Sono e perciò esisto ma se non sono alla fine cosa resta di me stesso? L’apparenza?  Verrebbe da dire che la negazione del tentativo umano di rendersi autosufficiente diventa una fuga da tutto quello che rappresenta se stessi, quindi evadere dal proprio io per immedesimarsi in un altro io, nel modello a cui si vorrebbe assomigliare senza essere. Materia da psicoanalisti specializzati in deviazioni della personalità. E tralasciamo la filosofia, questa troverà da se la soluzione anche attaccandosi alla ricerca di quella disperata fede in se stessi che manca all’esteta impegnato com’è a apparire invece che essere che, alla fine sarebbe anche più semplice. L’uomo per non essere egoista deve ritenersi non autosufficiente, ma dipendente da altri e compiere scelte responsabili in relazione a chi sta peggio, quindi deve personificarsi non come amico ma come unità dell’essere. Voler sembrare autentici, essere, in un mondo virtuale può sembrare un paradosso, tuttavia la consapevolezza della propria umanità non si cancella in ognuno di noi per cui siamo ancora qui a permetterci queste riflessioni esistenziali. Non è facile, in un mondo confuso, riuscire ad essere chiari e la semplicità non è una prerogativa umana.

Per fortuna vivere non è una sequenza di "in" e "off" anche se questo a volte vuol dire crisi e sofferenza. Siamo umani e pertanto soffriamo di delusioni e dolori, fallimenti e frustrazioni inevitabili nella loro periodicità, verrebbe da pensare anche quando si vorrebbe evitarli. In qualche momento della vita, potremmo cercare o credere o illuderci che tutto possa essere migliore. Anche se non tutto e non completamente. Lo sappiamo che la vita è dura, siamo fortunati e comprendiamo che non è terribile o tremenda, anzi che la vita sia bella nonostante tutto lo vanno dicendo da migliaia di anni tutti i saggi e anche chi saggio non è. Ma dire che è semplicemente dura e difficile sarebbe un eccesso, la vita è vita comunque la si prenda e sta a noi comportarci affinché possa sembrare di essere differente. Questo per dire che essere è difficile perché richiama la nostra complessità, ma proprio per questo è anche una scommessa che attira la nostra consapevolezza; è parte della nostra umanità.

2013/05/14

L'idiota



A volte le ispirazioni vengono senza che te le aspetti. 

Questo articolo si fonda su alcuni pensieri che mi sono venuti questa mattina rileggendo un articolo su un social forum a proposito della requisitoria del PM Ilda Bocassini sull'affare Ruby.


Intendiamoci, la citazione a quell'evento inizia e termina subito, non è di quello che voglio qui trattare, diciamo che ho colto quell'occasione per scrivere il mio pezzo. 

Obiettivo l'idiota in quanto tale e la sua posizione in seno al contesto sociale.


Leggo su Twitter una citazione di ignoto: "La differenza che passa fra un idiota e un uomo intelligente la si misura attraverso il colore dei calzini, quelli dell'idiota sono sempre bianchi."



Ora verrebbe da chiedersi per quale motivo l’idiota, o almeno un individuo, diventa idiota nel preciso momento in cui indossa i calzini che, si sa, non sempre rivestono quella importanza che noi diamo a tale accessorio di abbigliamento. Dipende da tante cose, primo fra tutti il contesto geografico: il pescatore delle Isole Vergini, tanto per menzionare qualcuno, non sa che farsene dei calzini, che siano bianchi o neri o a pallini rossi e blu al massimo, se ne entrasse in possesso, li userebbe come contenitori per le esche, non gli ami altrimenti si impiglierebbero nel filato, ma se succedesse che il pescatore delle Isole Vergini li usasse come contenitori degli ami da pesca, allora potremmo associarlo alla categoria degli idioti? 



No, voglio approfondire, il concetto, l’idea di base l’ho espressa, ora sta a voi miei carissimi lettori, a decidere in quali casi il pescatore di cui sopra posso essere considerato idiota secondo l’uso che fa dei calzini.



Torniamo alla citazione dunque. Il mio lattaio, ahimè lo cito spesso ma è l’unico che mi ritorna in mente, ma non come la famosa canzonetta di Battisti, io non lo desidero affatto, dicevo che il mio lattaio indossa i calzini, anzi le calze, quelle lunghe, attillate, che avvolgono la gamba dal ginocchio in giù. Lui le calze le indossa sempre di colori sgargianti, a volte nere, mai bianche. Può quindi essere salvo, cioè non includile nella categoria degli idioti perché le calze bianche non le indossa mai?



No di certo. La citazione evidente non si ispira all’accessorio utile per fasciare i piedi, veri responsabili di tutta la questione, ma a un modo di vivere, a una vita senza colore, il bianco rappresenta il colore sommatoria di tutti i colori ma senza tinta, che poi a noi la sottile differenza non arriva, non siamo capaci di cogliere il significato del termine e per cui se non ha la tinta che colore sarebbe? 



Anche il nero ha una classificazione a parte nella scala dei colori, infatti viene senza dubbio classificato come il colore non colore, vale a dire il colore che non esiste perché non contiene nessuno di quelli della scala cromatica ma a questo punto a noi che ne viene? Nulla, e per questo che dobbiamo focalizzarci sul bianco. 



Bianco come la purezza, la purezza ha a che fare con l’idiozia? Giammai, allora bianco come la Luna? Come il Sole a mezzogiorno quando è inguardabile pena perdere la vista per sempre? Bianco perché accidenti? Io non trovo una corrispondenza valida se resto nel contesto cromatico. Ma ecco che sovviene un discorso di non mi ricordo chi, che fosse il saggio Aristotele?  



Aristotele pare avesse sviluppato un'autonoma concezione della realtà; in particolar modo, doveva negare l'esistenza delle idee come universali che esistano separatamente dalle cose particolari. In altre parole, pur essendo Aristotele d'accordo con Platone sul fatto che gli universali come "uomo", "giusto", "bianco" per essere conoscibili dovessero avere un certo grado di realtà, non condivideva l'attribuzione a questi di un'esistenza separata rispetto agli oggetti (i singoli uomini, le singole cose bianche, giuste, ecc.) di cui questi universali si predicano.



Il bianco in quanto tale, fine a se stesso, invece non esiste separatamente. Non vediamo mai il bianco ma sempre un oggetto bianco; il bianco, non si identifica in una situazione più o meno reale ma esiste solo come qualità di una sostanza (questo concetto tuttavia dovrebbe applicarsi anche agli altri colori della scala cromatica, pare che Aristotele non lo considerasse, la ragione mi è completamente sconosciuta). 



Di conseguenza, in linea di principio, non è possibile realizzare un contenitore dei colori, in cui siano presenti i singoli colori ma solo se disponiamo di oggetti che non sono colori ma li rappresentano. Non avremo mai una scatola di colori, ma una di matite colorate, e come non potremo mai avere una di numeri ma contare le cose al suo interno e assegnare a ognuna un numero tale che la distingua dalle altre esattamente come faremmo per i colori. Non esiste l’albero dei colori, esiste quello di mille colori ma si tratta di un albero e non di un colore che, in quanto tale non esiste. 



Aristotele asseriva che l'essere non è un genere e che anzi la parola "essere" può avere molti significati. Quindi l'essere bianco è come un concetto di universalità, e parafrasando e andandoci anche abbastanza larghi, potrei dire che bianco equivale a nessuna presa di posizione, nessuna realtà, nessun appartenere a qualcosa di definito o definibile, per cui fuori dal coro.


Un idiota quindi se indossa, per assurdo, solo calze bianche, significa che non si schiera, che non prova sulla propria pelle i casi e le situazioni della vita, cioè tutto quello che la vita gli propone, se ne tira fuori, le calze bianche sono la prova, il testimone, di questo suo vivere fuori dal contesto, dagli schemi, dalla cultura generale, dal sapere e anche dal non sapere per volontaria decisione, dalle consuetudini e per cui viene dichiarato idiota. 


Evviva! Oppure no?




2013/05/10

Individuale


Questa volta voglio parlare di una idea, anche se idea è riduttiva dell’argomento che affronterò in questo racconto. Mi sbaglio a definirlo un racconto, forse, non posso definirlo un articolo, semmai un concetto trasferito dalla mente alla carta anche se virtuale di questo blog per cercare di condividere con altri, i miei lettori abituali ma anche gli occasionali, quello che intendo. Parliamo dell’uomo, non io in quanto degno rappresentante della razza umana ma tutti noi che ci identifichiamo dietro un nome e a volte un cognome, gli uni diversi dagli altri eppure tutti tremendamente uguali dentro. Tutti dotati di un cervello, non voglio qui discutere di quanto grande possa essere il mio e quanto quello di ognuno di voi, non è importante, tutti dotati di un cuore, fegato mani e piedi.

Siamo tutti tremendamente uguali eppure diversi dentro. Affrontiamo l’argomento partendo da un punto fermo. L’essere umano è, ognuno lo è, individuale. Io sono io e tu se tu, come ognuno di quelli che sono in mezzo a noi sono loro stessi. Corretto? No, perché non sempre si rivela corretto, cioè nella norma dovrebbe essere così eppure c’è sempre chi si atteggia, si mimetizza, si atteggia, come un camaleonte cambia la pelle, una volta serpente a sonagli e una volta agnello, cambia l’abito come il monaco, o forse il monaco che diventa diavolo e viceversa. 

Io chi sono? Partiamo da un punto fermo, inizio guardandomi nello specchio, dovendo dare un significato a questa mia fatica letteraria devo pur partire da una idea, non preconcetta, libera visto che di me sto parlando e quindi vera, reale. Volendo basare la risposta su ciò che osservo allo specchio potrei fare un errore. Io non sono quello che lo specchio dice che sia. Lui mi dice che sono un uomo di una certa età con i capelli grigi, quei pochi capelli che sono rimasti beninteso, pelle liscia nonostante l’età, gli occhi verdi, poche rughe sul viso. Mi conoscete? Vi basta guardarmi in faccia per capire tutto di me? No, perché l’aspetto esterno non è sufficiente per conoscere una persona, l’abito non fa il monaco. E non potreste nemmeno conoscermi partendo dalla considerazione che ho un cuore, un fegato, la bile e lo stomaco, gli occhi e la bocca, magari i denti e le orecchie esattamente come i vostri. Certo che poi non tutti questi dettagli possono dare una fotografia certa di me come individuo, a me il cuore funziona benissimo, a qualcun altro non altrettanto, io potrei avere gli occhi ma non la vista e tu le orecchie ma non l’udito e quindi la mia similitudine, l’essere uguale a te partendo da un concetto generale ecco che finisce nel momento stesso che ha avuto inizio. Io sono io e come me nessun altro e tu lo stesso e tutti siamo chi vogliamo o possiamo essere. 

Siete d’accordo con questo pensiero? Qualcuno vorrebbe dire che per conoscere il carattere e le caratteristiche fisiche di chiunque è necessario entrare all’interno della mente e del corpo, entrare e scandagliare la psiche per capire ogni e più recondito significato e farsene una ragione. 

Cui prodest? Vi rendete conto di quello che mi si dice? Ogni volta che io conosco un individuo dovrei entrare nella sua mente e analizzarla, scannerizzarla affinché la mia conoscenza di lui diventi totale? Personalmente non saprei che farmene. Se incontro il lattaio non ho alcun interesse a entrare nella psiche e magari scoprire che ha tendenze omicide oppure che ama coltivare orchidee, non mi cambia la vita tutto questo. Per quale recondita ragione dovrei approfondire la mia conoscenza individuale se poi non ho ragioni di mantenere un serio e continuativo rapporto? Non voglio esser preso per razzista, ho parlato del lattaio (supposto ne esistano ancora) ma potevo parlare del parroco, del medico o di chiunque altro frequento per bisogno divino o materiale con regolarità nel corso della mia vita. 

Siamo tutti individuali, non individualisti, non confondiamo il pensiero, il verbo, non ho detto, anzi scritto, che dobbiamo essere per forza unici. Siamo individuali perché io non sono uguale a ognuno di voi al cento per cento, ognuna delle mie caratteristiche principali differisce di una piccolissima frazione tale che quello che potrebbe sembrare perfettamente uguale invece non lo è affatto. Nemmeno i gemelli monozigoti sono uguali al cento per cento, nonostante siano prodotti dalla stessa cellula uovo fecondata da un singolo spermatozoo che si divide per un, chiamiamolo, incidente. Possiedono dunque lo stesso patrimonio genetico, hanno lo stesso sesso, gli stessi occhi, gli stessi capelli, lo stesso gruppo sanguigno, gli stessi caratteri somatici. Ma ognuno di loro sarà diverso, se non per l’aspetto nella sostanza. Non voglio entrare in spiegazioni scientifiche visto che questo non è il mio campo, leggo sulla fida enciclopedia che minime differenze sono possibili e dunque anche i gemelli monozigoti sono simili, drammaticamente uguali eppur diversi, sono individuali e come loro io e tutti voi. Ogni individuo, ogni singolo ente in quanto distinto da altri della stessa specie viene dunque considerato nella propria individualità. 

Io e te non siamo semplicemente ciò che vediamo riflesso nello specchio, siamo, ognuno e individualmente delle piccole frazioni dell’universo. Siamo comunque afflitti da concezioni e idee che tendono a negare la logica dell’individualità ed ad affermare l’onnipotenza della categoria. Tutto o tutti ma nessuno unico. Queste concezioni negano l’individuo perché questo è un diverso, non riducibile all’identità dell’uguale, laddove la mira di queste logiche di qualsiasi stampo siano non importa, è ridurre tutto all’uguaglianza dell’identico, all’annullamento del dissimile, alla soppressione del mistero della singola individualità, a vantaggio di un pensiero omologante e identitario in cui tutto sia trasparente e ovvio, tutto coincida con tutto. E’ il delirio di una umanità che ha smarrito il senso del particolare e il rispetto del singolare, per un amore smisurato al sogno di sempre di rendere il simile identico al diverso. 

Esiste una terza via tra questi opposti, può, in altri termini, l’individuo tornare a essere protagonista della vita? Non voglio con questo affermare che l’individuale individuo, mi si permetta il gioco di parole, deve essere un assoluto essere esaltato e riproposto. Anche questo concetto è infatti falso, non potendo essere nessun individuo veramente assoluto. Il dramma della negazione dell’individuo sta tutto nella concezione che una filosofia quale fu l’attualismo ebbe della relazione tra io e mondo, come costrinse in una identità senza vie di uscite quale fu quella del pensato e del pensare, l’uno contenuto dell’altro, dalla cui immedesimazione si perdeva sia il concetto dell’individuo sia quello stesso della relazione.

Se tu sei alla ricerca di te stesso, se pensi di far parte di un sistema nel quale non ti riconosci, pensaci bene, sappi che qualsiasi sforzo tu possa attuare, qualsiasi azione intraprendi sarai costretto a allargare il tuo orizzonte osservardo bene il mondo che ti circonda. Un mondo formato di tanti individui che si somigliano fra loro, puntini simili eppure diversi in una distesa piatta che non sa riconoscere te o me in mezzo alla massa. Se comprendi questo concetto o idea ecco che sei già a metà del tuo cammino. Continua a guardarti nello specchio e a chiederti chi sei realmente, che tipo di individuo vuoi essere e come vorresti che ti vedano gli altri. Solo così potrai migliorare te stesso e anche quella parte di te che ti circonda.