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2023/11/24

Delirio collettivo: basta femminicidi


Quando un tragico fatto di cronaca nera viene trasformato in uno show mediatico si genera una vera e propria morbosità perdendo le dimensioni umane e sociali del problema.

Il caso di Giulia Cecchettin ripropone un problema che, almeno statisticamente, va ricondotto in termini complessivi corretti.

Per esempio si è detto e ribadito (senza arrivare al delirio di definirli addirittura “delitti di stato”, definizione comprensibile solo per il dolore della sorella della vittima, ma immediatamente sfruttato dai media e vergognosamente da alcune parti politiche) che per ridurre questi crimini occorrerebbe una serie di interventi legislativi e culturali.

A parte la nuova legge passata mercoledì anche al Senato, si è parlato di un delitto di “patriarcato” e la solita Schlein chiede di introdurre nei programmi scolastici la materia “Educazione dalle relazioni”.

Ricordando sommessamente che tutto il percorso pedagogico della scuola dovrebbe puntare proprio a questo, vanno però anche conosciute le dimensioni vere del fenomeno a sottolineare che - se prendiamo le statistiche disponibili a livello europeo in alcuni paesi considerati “progressisti” e pro LGBT+ - i femminicidi sono, rapportati alla popolazione, molto di più che in Italia.

Quanti sanno che in Lettonia vi è una percentuale di 4,09 casi annui su 100.000 abitanti rispetto allo 0,4 % dell’Italia, ovvero dieci volte tanto? Anche lì c’è un oscuro o bigotto “patriarcato” meloniano? Invece i casi sono molto meno numerosi nel sud dell’Europa che non in Germania, Francia, Croazia, Austria o Slovenia mentre il paese più “sicuro” per le donne è la Grecia con addirittura solo 0,16 casi ogni 100.000 abitanti e le proporzioni non cambiano se ci si limita a considerare i casi legati a conviventi o ex conviventi.

E’ ovvio che i delitti sono sempre tragicamente troppi, ma è difficile pensare che interventi legislativi possano incidere molto sui numeri assoluti del fenomeno, mentre il dato più allarmante è piuttosto che il 46% delle donne uccise nel 2022/23 si sarebbero precedentemente rivolte – evidentemente invano – alle Forze dell’ordine per denunciare violenze o minacce, ma la denuncia non era servita.

Più che il numero dei morti in sé si pone quindi il problema della violenza domestica che è da prendere molto di più in considerazione del singolo omicidio-show tenuto conto che moltissime donne probabilmente sopportano e non denunciano: avere il coraggio di farlo conoscendo i propri diritti e i comportamenti da tenere dopo una denuncia è il vero primo passo per salvarle.

In generale – come sottolinea una attenta ricerca di Openpolis - nonostante un’opinione diffusa legata a troppi film sulla mafia - l’Italia non è una società intrinsecamente violenta, perché presenta comunque il secondo dato più basso d’Europa per incidenza degli omicidi sul totale della popolazione: 0,48 ogni 100 mila abitanti, ben al di sotto della media Ue (0,89).

Anche per quanto riguarda gli omicidi di donne il dato italiano è inferiore alla media Ue (0,38 contro 0,66) ricordando che in Italia si è passati complessivamente dai 1442 omicidi del 1992 ai circa 700 l’anno all’inizio del nuovo secolo per scendere oggi a meno della metà di cui circa un terzo a danni di donne. Contano evidentemente la netta diminuzione delle stragi di mafia e di camorra con omicidi quasi sempre tra uomini.

Chiaramente vi sono fatti che più colpiscono la sensibilità e l’opinione pubblica, ma anche che “fanno audience” innestando lo show e la speculazione politica.

Anche perché, secondo i dati statistici del 2021, per esempio i giovani tra i 15 e i 24 anni morti in incidenti stradali sono stati più di uno al giorno (e i feriti ed invalidi uno sterminio): non sarebbero allora ben più urgenti corsi di educazione stradale? Eppure tra le vittime della strada nella fascia di età tra i 15 e 19 anni il numero di morti per milione di abitanti si alza a 51, in quella tra 20 e 24 (ovvero i neopatentati) addirittura schizza a 74, valori ben al di sopra delle medie continentali.

In questo triste conteggio gli omicidi rappresentano comunque meno dell’1 per mille delle morti in Italia, meno del 10% rispetto ai morti sulle strade e tutti gli omicidi non sono che un quarto rispetto ai morti sul lavoro (che superano ampiamente il migliaio) tanto da chiedersi se non sia più utile focalizzarsi piuttosto anche sulla prevenzione di queste morti che troppe volte ricevono ben poca attenzione dai media.

2015/01/19

Je suis Nigeriano


Gli attentati di Parigi della scorsa settimana hanno portato almeno ad un aspetto positivo: la gente si sta interrogando sul rapporto tra le religioni, la situazione della sicurezza in Europa, l’inaccettabile violenza che scuote il mondo.

Mi trovo in difficoltà perché come cristiano vivo una contraddizione: da una parte giustifico la reazione contro chi ammazza senza motivazione (vale per tutti e non solo contro gli integralisti islamici), troverei giusto bloccare le frontiere e espellere persone, dall’altra credo debba valere la legge del vangelo la cui prima regola è di amare il mio prossimo, perdonare le offese, accogliere e non discriminare.

Ciascuno di noi - se riflette su sé stesso con un minimo di impegno - vive questo dubbio e impegnandosi potrà trovare risposte più o meno coerenti.
Ci sono però alcuni punti che vanno sottolineati, altrimenti saremmo degli sciocchi. 
In primo luogo noi ci indigniamo alcune volte, mentre tanti altri contesti scivolano via nell’indifferenza. 12 morti a Parigi fanno notizia, più di 2,000 morti in Nigeria - quasi tutti cristiani, ma anche musulmani – uccisi in nome della religione meritano poca attenzione e vanno in pagina solo per il raccapricciante particolare di bimbe-kamikaze che si fanno saltare in aria. Quanto siamo vicini a questi fratelli che soffrono?

Allo stesso modo assistiamo ed abbiamo assistito silenti a bombardamenti, atrocità, esecuzioni, danni collaterali e disastri in tutto il mondo senza farci molte domande. Spesso chiudiamo gli occhi davanti alla realtà quando ci disturba. 
Così come nessuno vuol prendere atto che con gli attuali tassi di crescita demografica tra 50 anni (non tra 200!) l’Europa sarà a maggioranza musulmana. 

Rileggere oggi cosa scrivevano solo 10 anni fa Oriana Fallaci, Magdi Allam e lo stesso Terzani non fa che confermare che quanto essi affermavano, ovvero che l’aumento della violenza, del terrorismo ma anche di un Islam sostanzialmente inarrestabile e in ascesa sarebbe stato ineluttabile di fronte al disinteresse europeo e questo è quanto sta puntualmente accadendo. 

Voci che però erano state emarginate e ironizzate, eppure avevano ragione. 
Si parla di cancellare gli accordi di Shenghen: la libertà di un continente intero si piega a due terroristi “fai da te”? Non deve succedere, anche se quei patti vanno cambiati e aggiornati, ma soprattutto i controlli vanno approfonditi alle frontiere europee più ancora che al suo interno. 

Solo poche righe sui giornali di questi giorni per ricordare che nel 2014 di oltre 3.000 minori sbarcati in Sicilia si sono perse le tracce, così come di circa la  metà dei 105,000 profughi e clandestini arrivati per quella stessa via. 
Chi c’era o poteva esserci tra loro? Non lo sappiamo e di loro non abbiamo nomi, foto, impronte: nulla. 

L’Europa vuol bloccare Shenghen e non si cura di questi numeri imponenti, che peraltro sono ancora marginali rispetto agli arrivi attraverso le frontiere bucate dell’Est europeo, anche solo dal Medio Oriente? E’ totalmente assurdo!
Per cominciare è quindi necessaria maggiore consapevolezza, documentazione, interesse degli europei per il loro futuro o la nostra sarà solo una guerra di retroguardia destinata alla sconfitta.

Nulla può giustificare la violenza, gli attentati, gli assassini e va tutelata in modo intransigente la libertà di stampa e di satira.  Questa satira, però, dovrebbe anche meritarsi questa tutela perché una barzelletta su Dio spesso fa ridere, ma una vignetta in cui Nostro Signore viene sodomizzato in modo volgare non mi fa sorridere, mi indigna e - se pur devo tutelare chi le disegna - mi chiedo che uso faccia quel caricaturista della propria libertà. Nessuno deve offendere il prossimo, soprattutto in campo religioso, in modo sguaiato e volgare, nemmeno Charlie Hebdo.

2015/01/17

Condannato a morte


Solo scrivere il titolo mi è costato fatica interiore, aborrisco l'atto anche quando in cuor mio potrei pensare che sia la giusta fine per tremendi crimini commessi anch'essi contro un essere umano. Uccidere chi ha ucciso in effetti non sarebbe la migliore soluzione. Si condanna chi uccide e poi si uccide per eseguire la pena. E se condannassimo chi ha ucciso su mandato delle istituzioni? Il boia non è mai colpevole? Come vive un boia, un uomo che ha nella sua coscienza la morte di centinaia di uomini e donne e a volte anche minori.

La pena di morte è la menzogna che la società continua a raccontarsi sulla giustizia. Non è una punizione né una riparazione e non serve neppure a rendere il mondo più giusto. Non è utile nemmeno a legittimare atti come il pagamento di un parcheggio o l’isolamento forzato in carcere. Per giustificarla, dobbiamo essere così sicuri del nostro giudizio da rendere legittimo il legare un uomo al letto e avvelenarlo. Nel frattempo, la pena di morte ci fa sentire onesti e infallibili, a tal punto che riusciamo ad accettarla senza sensi di colpa.

A dir la verità, la pena di morte era la menzogna che la società si raccontava. Potevamo incriminare qualcuno, rinchiuderlo, e infine togliergli la vita. Un uomo era colpevole solo perché era stato giudicato tale. Potevamo gridare alla menzogna, ma il sistema poteva ignorarci perché, in fondo, non avevamo altro. Ora innocenza e colpevolezza non sono più così definitive. L’analisi del DNA ha contraddetto la menzogna, dimostrando l’innocenza di molti condannati a morte, e anche di molti giustiziati. Per delitto e castigo tira una brutta aria.

Da parte di molti, vi è il sospetto che la pena di morte svolga una funzione di pulizia sociale, poiché sono numerosi gli alcolizzati, i malati di mente, gli emarginati che vengono uccisi, mentre a coloro che risultano colpevoli degli stessi crimini ma che vivono in condizioni migliori viene riservata una sorte diversa. Si ha l’impressione di essere davanti a quello che è stato definito un "potere giardiniere", un potere che si incarica di estirpare le erbacce.

Tra le vittime di esecuzioni capitali si contano anche molti perseguitati per motivi politici o religiosi, uomini a volte "colpevoli" solamente di reati di opinione, che non hanno mai fatto uso di violenza né istigato all’uso. In questi casi la pena di morte appare non solo come uno strumento di discriminazione e di arbitrio, ma anche di repressione.

Nonostante il gran numero di condanne ingiuste, c’è ancora qualcuno fermamente convinto che la pena di morte sia legittima. Non c’è da stupirsi, in un mondo in cui il rimorso è temporaneo e il potere della scienza di scagionare si sta affermando solo di recente. Forse la statistica può aiutarci a fare un conto del numero delle perdite dovute alla giustizia impazzita. 

Negli Stati Uniti vengono condannati alla pena di morte, in prevalenza, i neri, spesso i minorenni, non di rado i sofferenti di disturbi mentali, oppure persone che appartengono a più di una di queste categorie.

Nonostante la Corte Suprema degli Stati Uniti abbia stabilito, più di venti anni fa, la incostituzionalità della pena di morte in ragione delle discriminazioni razziali che essa in pratica comportava, un esame del caso dei giustiziati a partire dal 1977 evidenzia come la discriminazione razziale continui ad essere presente.

Più del 40% dei condannati a morte degli Stati Uniti sono neri, nonostante il fatto che i neri costituiscano solo il 12% della popolazione, e la percentuale di neri che si trovano nel "braccio della morte" è in alcuni stati ancora più alta. Osservando le vittime degli omicidi, le disparità emergono con ancora più chiarezza: l’85% dei condannati a morte "giustiziati" dal 1977 sono stati riconosciuti colpevoli di omicidi di bianchi, nonostante il fatto che neri e bianchi siano vittime di omicidi in misura simile. La probabilità che un nero accusato dell’omicidio di un bianco venga condannato a morte è assai più elevata di quella che un bianco venga condannato a morte per l’omicidio di un nero.

Solo nove Stati proibiscono di infliggere una condanna a morte nei confronti di chi è insano di mente o mentalmente ritardato e molti di questi fissano come soglia un quoziente di intelligenza estremamente basso. Dal 1982 oltre 50 detenuti affetti da gravi problemi mentali sono stati giustiziati.

Nemmeno la minore età salva dalla pena di morte: può essere condannato anche chi è minorenne al momento del reato. In alcuni casi la giovane età non viene neppure introdotta nel dibattimento in quanto circostanza attenuante. Negli ultimi cinque anni sono stati giustiziati minorenni al momento del reato in USA, Nigeria, Pakistan, Iran, Iraq e Arabia Saudita.

In Cina alcuni reati politici e di opinione sono punibili con la pena di morte. E’ del tutto evidente che qualsiasi punizione inflitta a chi ha espresso pacificamente le proprie opinioni politiche o religiose costituisce la violazione di un diritto fondamentale per ogni uomo.

L'aspetto spaventoso del problema è che quelli che non sono stati assolti né giustiziati stanno ancora scontando la pena in prigione. In effetti, i condannati innocenti molto spesso finiscono con lo scontare un ergastolo. Cosa capiamo di tutti gli altri casi giudiziari? Direttamente, nulla, i casi capitali sono diversi. Non si può generalizzare. Ma ci danno un’idea della situazione. I detenuti che rischiano la pena di morte sono i più controllati, ma il tasso di condanne ingiuste rimane simile a quello di tutti gli altri casi sarebbe possibile arrivare a una stima abbastanza precisa per un gruppo e mostrare che il tasso degli altri crimini violenti è simile. Non ci sono grandi differenze. 

La pena di morte come deterrente

Un argomento frequentemente usato è quello secondo il quale la pena di morte costituirebbe un deterrente efficace nei confronti di omicidi e di altri gravi reati comuni. Ma è veramente così?

Nessuno degli ormai numerosi studi condotti in materia ha potuto dimostrare la maggiore efficacia della pena di morte rispetto ad altre pene, in ordine a particolari figure di reato, omicidio compreso. E’ del tutto errato ritenere che la maggioranza di coloro che commettono crimini gravi quali l’omicidio calcolino razionalmente le conseguenze delle loro azioni. Gli omicidi sono spesso commessi in momenti di passione, quando forti emozioni prevalgono sulla ragione. Sono a volte commessi sotto l’effetto di droghe o dell’alcool, o in momenti di panico, quando il colpevole è scoperto nell’atto di rubare. Alcuni soggetti colpevoli di omicidio hanno problemi di grave instabilità psichica o sono malati mentali. In nessuno di questi casi è pensabile che il timore di essere condannati a morte possa operare come deterrente efficace.

Vi è un altro grave limite a cui va incontro l’argomento della deterrenza. Anche chi progetta un crimine in maniera calcolata può scegliere di procedere, nonostante la consapevolezza del rischio che corre, nel convincimento che non sarà scoperto. La maggioranza dei criminologi sostiene da tempo che il modo migliore per scoraggiare questo tipo di comportamento criminale non è quello di accrescere la severità della punizione, bensì di aumentare le probabilità di scoprire il delitto e di condannare il colpevole.

Addirittura è possibile che la pena di morte abbia effetti contrari a quelli voluti. Chi sa di rischiare la morte per il reato che sta commettendo può essere, in certi casi, incoraggiato a uccidere i testimoni del suo crimine o chiunque altro possa identificarlo e farlo incriminare.

Infine, i dati sulla diffusione dei crimini negli Stati abolizionisti non dimostrano affatto che la pena di morte abbia provocato il loro incremento. L’insieme dei dati non corrobora in alcun modo la tesi della deterrenza.

La pena di morte viene spesso invocata come strumento utile e necessario per arginare il terrorismo. L'indignazione suscitata da attentati dinamitardi, rapimenti, uccisioni di pubblici ufficiali o esponenti politici, dirottamenti di aerei e altre azioni di violenza a sfondo politico suscitano una comprensibile indignazione; tuttavia, come hanno ripetutamente affermato diversi esperti di lotta al terrorismo, le esecuzioni possono, anziché porre un freno al terrorismo, provocarne l’inasprimento.

I terroristi e gli autori di crimini politici sono motivati ideologicamente e votati al sacrificio per amore della loro causa, e non provano timore per la pena di morte. Inoltre, le attività terroristiche sono pericolose, il terrorista affronta quotidianamente rischi letali e tende a non essere intimorito dalla prospettiva della morte immediata.

Le esecuzioni portate a termine per crimini di natura politica hanno l’effetto di pubblicizzare gli atti terroristici, suscitando l’interesse dell’opinione pubblica e offrendo ai gruppi terroristici l’opportunità di rendere note le proprie posizioni politiche; si rischia anche di creare dei "martiri" la cui memoria deve essere onorata. Inoltre, le esecuzioni vengono utilizzate come giustificazione di ulteriori atti di violenza compiuti per ritorsione: i gruppi armati potrebbero sostenere la legittimità delle proprie azioni dicendo di volersi servire anch’essi della stessa "pena di morte" che i governi sostengono di avere diritto di applicare nei loro confronti.

Il sistema giudiziario è sempre stato minacciato dal fantasma dei detenuti innocenti. Ma non è altro che un sogno irreale. 

A quanto pare, i fantasmi sono qui e ci guardano.

2014/11/02

Tributo a Stefano Cucchi

La sentenza dell'altro ieri per il caso di Stefano Cucchi dove in appello sono stati assolti forze dell’ordine, polizia penitenziaria e medici - tutti in qualche modo legati alla sua morte - mi ha lasciato sconcertato.

Non mi interessa se per qualcuno Cucchi fosse un “balordo” o peggio, era comunque un cittadino che era stato arrestato (e quindi affidato allo Stato!) e che in pochi giorni è morto di botte, non curato, dimenticato in modo vergognoso da chi aveva il dovere comunque di assisterlo. Mi pare un caso di sconcertante omertà, una pagina nera non tanto della giustizia (che non può condannare in campo penale nessuno senza prove personali certe) quanto dell’intero “sistema” che ha vergognosamente coperto e nascosto i fatti.

Una bruttissima vicenda che getta un’ombra grave sul nostro sistema inquirente, penitenziario e sanitario visto che non si è voluto fare chiarezza, anzi, si sono volutamente confusi i fatti. In una società che si dice civile tutti devono avere i propri diritti e doveri perché prima di tutto siamo delle persone e dei cittadini ed il “sistema” non deve mai coprire chi ha sbagliato e soprattutto nascondere la verità, per imbarazzante che possa essere. Questa brutta storia di Stefano Cucchi è e resterà davvero una vergogna italiana.


2014/10/27

Mamma, dona i miei occhi, il mio cuore...


La lettera alla madre di Reyhaneh Jabbari, la 26enne impiccata il 25 ottobre a Teheran perché si era difesa dall'uomo che voleva violentarla.

«Cara mamma,
oggi ho scoperto che è arrivato il mio momento di affrontare la Qisas (1) . Mi fa male pensare che tu non mi abbia informato che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Perché non me l’hai detto? Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di mio padre? 

Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella notte terribile sarei dovuta essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificarmi e solo in quel momento avresti capito che sono anche stata stuprata. 
Non avrebbero mai trovato l’assassino visto che non siamo ricchi come lui. Tu avresti vissuto soffrendo e vergognandoti e saresti morta per colpa di questo dolore.

Con quel "maledetto colpo" la mia vita è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da nessuna parte, ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. Poi in quella di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti: tu sai bene che la morte non è la fine. Proprio tu mi hai insegnato che si vive per fare esperienze e imparare. Ogni persona che nasce ha sulle spalle una responsabilità. Ho imparato che a volte bisogna lottare.

Mi ricordo quando mi hai detto che l’uomo che guidava la carrozza ha protestato contro l’uomo che mi stava fustigando, ma poi mi hai detto che lui l’ha colpito con la frusta in testa e in faccia, ed è morto. Mi hai insegnato che se uno crede in un valore ci deve credere fino alla morte.

Quando andavo a scuola mi hai insegnato che dovevo sempre comportarmi “come una signora” davanti alle discussioni e alle lamentele. Ti ricordi quanto ci tenevi a questa cosa? Questo tuo insegnamento è sbagliato. Quando mi è successo questo incidente, il tuo insegnamento non mi è stato d’aiuto. Come mi sono presentata davanti alla corte mi ha fatto sembrareun’assassina fredda e premeditatrice. Come mi hai insegnato tu non ho pianto, non ho implorato perché credevo nella legge.

Ma sono stata anche accusata della mia indifferenza davanti a un crimine. Tu lo sai, io non ho mai ucciso neanche una zanzara, per liberarmi dagli scarafaggi li sollevavo prendendoli dalle loro antenne. E ora sono diventata un’assassina volontaria. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato dal giudice come un comportamento maschile, ma non si è nemmeno preoccupato di notare che nel momento dell’incidente avevo lo smalto.

Che ottimista colui che crede nella giustizia. Il giudice non hai mai contestato il fatto che le mie mani non sono ruvide come quelle di uno sportivo, di un pugile. E questo Paese che amo grazie a te, non mi ha mai voluto. Nessuno mi ha sostenuto quando incalzata dagli inquirenti piangevo e gridavo per quei termini così volgari. Quando ho perso anche il mio ultimo segno di bellezza rasandomi i capelli, sono stata ricompensata: 11 giorni di isolamento.

Cara mamma, non piangere per queste parole. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia un agente vecchia zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non è per quest’epoca. La bellezza di un corpo, dei pensieri, dei desideri, degli occhi, della bella scrittura e la bellezza di una voce. 
Cara mamma, i miei ideali sono cambiati e non è colpa tua. Le mie parole sono eterne e le affido a qualcuno così quando verrò impiccata da sola, senza di te, saranno date a te. Ti lascio queste parole scritte come eredità.

Comunque, prima della mia morte, vorrei qualcosa da te. Qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze. In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo Paese e anche da te. Lo so che hai bisogno di tempo per questa cosa, ti prego non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la mia richiesta. Non posso scrivere questa lettera dalla prigione perché il capo non l’approverebbe mai, soffrirai ancora per me. È una cosa per cui potrai anche implorare, anche se ti ho sempre detto di non implorare per la mia salvezza.

Mia dolce madre, l’unica che mi è cara più della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le mie ossa e qualunque cosa possa essere trapiantata venga data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il mio destinatario conosca il mio nome, o che mi compri un mazzo di fiori o che preghi per me. Dal profondo del mio cuore ti dico che non voglio una tomba su cui tu puoi piangere. Non voglio che tu ti vesta di nero, fai il possibile per dimenticare questi giorni difficili. Dammi al vento che mi porti via.

Il mondo non ci ama, non ha voluto che si compisse il mio destino. Mi arrendo a esso e accetto la morte. Di fronte al tribunale di Dio accuserò gli ispettori, accuserò i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato e minacciato. Accuserò Dr. Farvandi, Qassem Shabani e tutti quelli che per colpa della loro ignoranza o delle loro bugie mi hanno messo in questa posizione e ucciso i miei diritti oscurando che a volte quello che sembra verità non lo è. Cara mamma dal cuore tenero, nell’altro mondo saremo io e te gli accusatori e gli altri gli accusati. Vedremo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. 


Ti amo, 
Reyhaneh»


(1) la legge del taglione in Iran, ndr

2014/04/30

Condannato a una morte di sofferenza



Era doveroso affrontare questo argomento che ha sempre attirato critiche e commenti al vetriolo, ora piu' che mai dopo la tremenda esecuzione effettuata ieri, 29 Aprile, in Oklahoma, Stati Uniti. Lui, il condannato alla fine ha esalato l’ultimo respiro dopo atroci sofferenze, forse a causa della rottura della vena in cui gli è stato iniettato il mix letale di veleni. I testimoni raccontano di aver assistito a una scena raccapricciante. Era stato condannato alla pena capitale perché accusato di omicidio. Alla fine un infarto ha posto fine al supplizio uccidendolo. 

La vecchia storia dell'occhio per occhio che, abbiamo visto ormai da oltre un secolo, non funziona affatto come deterrente. Morire a un certo punto del nostro cammino verso la vecchiaia, fa parte del gioco, se di gioco si tratta perche' vivere e' bello e vivere si vorrebbe per sempre. Perche' vorremmo lasciare una traccia dietro di noi in modo da essere ricordati dai posteri e alla fine vivere almeno nel ricordo della gente. 

In alcuni paesi del mondo ancora si fucila, si decapita, si impicca o si uccide con l’iniezione letale; Arabia Saudita, Corea del Nord, Iran, Somalia, ma anche in Giappone, negli Stati Uniti. Ogni volta su risvegliano amaramente i più vergognosi tra i ricordi della barbarie per qualunque civiltà che sia riuscita a liberarsi del fantasma della pena capitale. Amnesty International si batte senza condizioni contro la pena di morte, ritenendola giustamente una punizione crudele, disumana e degradante superata, abolita nella legge o nella pratica da più della metà dei paesi nel mondo. Contro la pena di morte perche' essa viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione. 

Non parlo di numeri, anche se a volte costituiscono i soli dati certi, ma non è escluso che ogni anno siano ancora più elevati, i numeri tuttavia servono solo come alibi, liberano le coscienze, potrebbero essere di piu', meno male che sono di meno. Che modo barbaro di giudicare. Ogni vita, fosse anche un solo condannato a morte in un anno, rappresenta una sconfitta, l'uomo che uccide l'uomo, senza vergogna, senza pentimento, armato da uno Stato giudice. L'uomo che si erge a giudice estremo della vita altrui senza che ne sia il creatore. Solo chi la genera potrebbe, in ultima analisi, deciderne per la soppressione. Si tratta naturalmente di un concetto border line. 

Non posso tuttavia fare a meno di riflettere, sulla disumanità della pena capitale. E’ come se tutte le volte la scena di un condannato che esala l'ultimo respiro contaminasse anche le nostre coscienze, ci rendesse tutti un po’ più simili all’assassino. E’ da qui, io credo, che nasce il rifiuto della pena di morte, chiunque ne sia la vittima e quali che siano le sue colpe. Quando invochiamo l’abolizione, lo facciamo non tanto in nome della pietà per i colpevoli, quanto per un senso di rispetto di noi stessi e dei nostri valori. Non è mai stato provato che la pena capitale svolga una particolare azione deterrente, non è mai stato provato che l'uomo tende a rinunciare al crimine per evitare di finire sul patibolo anzi, a leggere certe storie di condannati alla pena capitale viene da pensare che sia davvero l'opposto. 

Una sfida dunque? 

Nella tradizione cristiana l’uomo non è padrone della propria vita, quindi non può cedere allo Stato di cui fa parte come cittadino la facoltà di ucciderlo anche se ha commesso un delitto. La pena di morte è quindi in contrasto col patto sociale. Rousseau aveva già mostrato che tale contrasto non sussiste; ma, quel che più conta, l’argomento presuppone l’intera e gigantesca costruzione filosofico-teologica elaborata dalla tradizione occidentale, che già l’illuminismo, pur appartenendole, incomincia a mettere in crisi. Si può allora sostenere che la pena di morte è meno temibile, per il delinquente, della reclusione a vita. E dunque questa è la posta in palio, il rischio oppure il regalo per finire presto le sofferenze? Se la morte non è la pena più temuta da chi compie il massimo dei delitti, cioè l’omicidio, ne viene che la morte è una delle pene che sono più adatte a punire i delitti minori? A questo punto, infatti, non si può replicare che no, che la pena di morte non deve essere mai inflitta altrimenti si cadrebbe nell'inganno di giudicare per punire le intenzioni e non già i delitti?

L'uccisione del colpevole non è la via per ricostruire la giustizia e riconciliare la società c'è semmai il rischio, direi la prova inconfutabile, che al contrario si alimenti lo spirito di vendetta e si semini nuova violenza.

Sono questi i termini della sfida?

Il Beccaria, nella sua ormai famosa opera "Dei delitti e delle pene" scrive:

Capitolo 28 - DELLA PENA DI MORTE
Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita? E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll'altro, che l'uomo non è padrone di uccidersi, e doveva esserlo se ha potuto dare altrui questo diritto o alla società intera?
Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità.

Per concludere, appare sempre più evidente come gli Stati che ancora condannano a morte siano sempre meno e sempre più isolati dalla comunità internazionale: ciò, purtroppo, non ha impedito ai Governi di tali Stati di continuare e, talvolta, incrementare ancor più il ricorso a questa estrema forma di inciviltà inutile e violenta.

2014/04/20

Disordine pubblico


Impazzano sui media la foto e le polemiche per un poliziotto in borghese che a Roma ha preso a calci una manifestante. Fatto senza dubbio da biasimare, ma nessuno sembra porre analoga attenzione all’evidenza che sabato scorso, per l’ennesima volta, centinaia di violenti – come peraltro abbondantemente previsto - abbiano potuto bloccare il centro della capitale, pestare e ferire carabinieri e poliziotti, distruggere tutto il possibile, terrorizzare la gente e i turisti barricati negli alberghi di Via Veneto con il bilancio finale di solo 4 fermati. 

Evidentemente, nonostante foto e filmati, i soliti violenti che un paio di volte l’anno si recano in gita di protesta a Roma da tutta Italia possono e potranno continuare a farlo impuniti. 

Ben diversa la faccia feroce mostrata dallo stato contro i 24 “Serenissimi” veneti che risultano tuttora in galera, non si è capito alla fine neppure perchè. Due pesi e due misure tra violenti veri e secessionisti presunti, che non fanno onore né al governo nè al ministro dell’interno Alfano che si congratula sempre con tutti (ormai è una sua litania) ma poi non mi pare risolva i problemi di ordine pubblico. 

Circa poi la proposta demenziale di “numerare” i poliziotti perché non la si applica invece al contrario ovvero diffidando i più violenti dal partecipare a nuove manifestazioni, numerandoli per poterli riconoscere più facilmente e – ove fossero nuovamente coinvolti in scontri e sprovvisti di “numerazione” - automaticamente arrestarli. 

Viene fatto per i tifosi di calcio che vengono diffidati a assistere alle partite, con squalifiche pesanti alle società anche solo per gli slogan razzisti di una minoranza (anzi, adesso anche solo per slogan “territoriali”!) e non si applicano le stesse misure per i violenti di piazza, magari già schedati? 

Mi sembra davvero un assurdo.

2013/08/23

INCUBO PEDOFILIA!

La parola pedofilia deriva dal tema greco παις, 
παιδός (bambino) e φιλία (amicizia, affetto).


Gli eventi di queste ultime settimane, causa periodo estivo, riportano alla ribalta sia casi ricorrenti di pedofilia che di cattiva giustizia.
Cattiva giustizia riferita alla pedofilia, non mi riferisco certamente a un altro eclatante caso del quale tutti i media ne hanno abbondantemente parlato e che non ho nessuna intenzione di commentare.
Il caso è quello di una ragazzina oggi tredicenne. L'incubo è durato tre anni. Una bambina violentata fisicamente e psicologicamente dal vicino di casa, una persona apparentemente fidata, lui e la moglie che, pare, non fosse al corrente delle malefatte del marito. 
La mamma lasciava la figlia all'uomo, inconsapevole di quello che accadeva nell'appartamento. L’orco, mi si conceda il termine anche se la legge dice che non dovrebbe essere così nominato, nonostante sia stato condannato a una pena irrisoria (tre anni di prigione in cambio di una vita rovinata sono nulla) potrà tornare a vivere accanto alla vittima, la Corte d'Appello di Roma ha infatti revocato il divieto di dimora nella casa in al tempo si svolsero i fatti. 
Adesso la famiglia della ragazzina è disperata, ripiomba nell'orrore. La sola presenza dell’uomo, dell’orco, ha provocato un nuovo improvviso e grave peggioramento dello stato emotivo della bambina. 

Ma la legge è legge.

Siamo sicuri che la legge debba essere così? 
Vediamo dunque che succede ai pedofili in alcuni paesi europei e oltre oceano.

USA: negli Stati Uniti il caso della ragazzina tredicenne non sarebbe potuto accadere. No, mai un pedofilo sarebbe stato rimandato a casa nello stesso edificio in cui vive la vittima. C'è un diverso approccio al problema dei reati sessuali, giudiziario, culturale e tecnologico. Negli Stati Uniti la rete è un boomerang per pedofili e maniaci. È diventata un incubo per chi ha già subito condanne definitive per reati sessuali. Una legge federale ha stabilito che l'interesse pubblico è prevalente sulla privacy, quando si tratta di crimini di questo genere. Ecco dunque pubblicate sul web, a cura dei Dipartimenti della giustizia o della Pubblica sicurezza di numerosi Stati, foto e curriculum dei criminali sessuali.
In Florida, Connecticut, Alaska, Arizona, New Jersey, California e in molti altri Stati esistono leggi specifiche molto dure che isolano e mettono all’indice il pedofilo. Arrivando a pubblicare tutti i dati personali inclusa la fotografia. La Florida va oltre, il sito (clicca sul link) Florida Sexual Offenders and Predators è quanto mai esplicito. In questo Stato chiunque lavori con i bambini (in scuole, palestre, asili) deve avere un passato integerrimo. Le autorità hanno il dovere di fornire ai datori di lavoro tutte le informazioni necessarie, anche le più riservate.



In Florida i pedofili in libertà vigilata non possono stare vicino ai luoghi in cui ci sono dei minorenni e sono costretti a vivere sotto ai pilastri di un ponte. la legge “Miami Dade County” infatti obbliga tutti i pedofili di stare lontano almeno 750 metri dalle scuole, parchi, campi da gioco, biblioteche e qualsiasi altro luogo pubblico dove venga segnalata la presenza di minorenni.

CANADA: Nuovi studi condotti in Canada affermano che la pedofilia non è una devianza ma ha radici biologiche, si tratta secondo i ricercatori di un orientamento sessuale non modificabile come l’eterosessualità o l’omosessualità. Purtroppo non esistono leggi specifiche contro i pedofili. La pedofilia viene considerata un attrazione per i bambini in età prepuberale. Nel momento che il pedofilo passa dal semplice desiderio, non punibile, all’azione ecco che allora intervengono le stesse leggi che puniscono i non-pedofili che commettono crimini sessuali contro i bambini. La durezza delle leggi può essere paragonata, in questo caso, a quella degli USA ma molto dipende fra Stato e Stato. Differenze sono notate fra quelli a lingua Inglese o Francese.

FRANCIA: Secondo la legge francese, il termine pedofilia non compare nei regolamenti o codici di diritto e della giustizia: i termini utilizzati per descrivere il reato di rapporto sessuale tra un grande e un bambino è Violenza Sessuale per un rapporto con il consenso bambino, Aggressione Sessuale o Stupro, quando il consenso del minore non viene riconosciuto o non esiste. Inoltre l’ordinamento legislativo riconosce i reati di corruzione di minori per l'incitamento di un minore in atti sessuali. Le pene possibili vanno da un  minimo di 7 anni di prigione fino a vent’anni con una pena accessoria in denaro di centomila euro. In caso di morte della vittima la reclusione passa a trent’anni. 

GERMANIA: Come nel caso della FRANCIA, anche i teutonici non hanno una legge specifica sulla pedofilia. Nel 2009 vararono una legge a tempo (scaduta nel 2012 e rinnovata in seguito) sulla pedopornografia online con l’intento di fermare i siti web concernenti immagini relative a atti di pornografia infantile: per fermare la pedofilia, insomma, il Parlamento mise a punto una norma che scaricava sugli ISP la responsabilità di filtrare i contenuti sul web sulla base di una specifica indicazione proveniente dalle istituzioni. 

POLONIA:   Dopo un caso di incesto che ha sconvolto l’opinione pubblica, la Polonia ha autorizzato nel 2011 la castrazione chimica obbligatoria per i condannati per pedofilia o per incesto ma il percorso legislativo era iniziato nel 2009. Un Paese all’avanguardia in Europa come affermato dal ministro della giustizia polacco Andrzej Czuma. Per quanto riguarda la non tolleranza della pedofilia e di questi crimini contro i bambini la Polonia infatti può essere considerata precursore. Alcuni paesi europei, come la Gran Bretagna, la Svezia, la Danimarca, o, in America, il Canada e alcuni stati degli Stati Uniti, propongono lo stesso tipo di terapia ai criminali sessuali, ma su base volontaria. La Polonia è il primo paese a imporlo per legge.

Quali sono le armi in nostro possesso?

Poche in verità e molto spuntate. La domanda di materiali a contenuti pedopornografici risulta essere a livelli alti in prevalenza nei Paesi che aderiscono al G8, il che significa anche paesi industrializzati, sviluppati, i principali fruitori e clienti di questo mercato dell'infanzia risiedono quasi tutti in quei paesi con pochissime eccezioni. Esistono casi sconcertanti come quello secondo il quale il Regno Unito, la Francia, l'Italia e in particolare la Germania che, pur sfiorando appena il 4% di audience in internet, assorbe il 19% della domanda pedofila. Viene fuori il ritratto di un Vecchio Continente che si riconferma punto di origine di questi abnormi crimini. Perché diventa inutilie sbandierare ragioni inverosimili per continuare a proteggere le lobbies di pedofili e pedopornografi, i genitori di quelle piccole vittime non ci stanno e vogliono giustizia, vendetta, esposizione al pubblico ludibrio. 

La legge italiana

Recepita nel 2012 la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, siglata a Lanzarote il 25 ottobre 2007 e divenuta legge dello Stato Italiano a Settembre sotto il Governo Monti ci si aspettava una applicazione rigorosa degli articoli in essa contenuti. Invece come purtroppo possiamo vedere ogni giorno, chi viene riconosciuto colpevole dei reati previsti se la cava con pene al minimo richiesto e con multe pecuniarie semplicemente ridicole. Non solo, la legge non prescrive particolari proibizioni o obblighi di dimora e i pedofili possono rientrare nelle stesse abitazioni dove si sono svolti precedentemente gli atti criminosi con buona pace di chi invece ha avuto la vita rovinata e ancora vive con incubi ricorrenti negli stessi stabili. Non è accettabile che la legge italiana possa consentire ai pedofili, dopo pochi mesi di reclusione e a volte nemmeno quelli, di ricominciare a condurre una vita normale e tornare a commettere gli stessi reati.

Il recente caso di Roma rientra in questa casistica. Siamo alla frutta. Anche da noi si vorrebbe fossero applicate rigorose leggi che puniscono e identificano senza ombra di dubbio i malati, deviati, criminali che abusano dei nostri figli. Come negli Stati Uniti dove sono in vigore leggi severissime per punirli; oltre alle lunghe detenzioni previste, quando escono di prigione devono sottostare a limitazioni della libertà personale per evitare che possano commettere nuovamente abusi. Devono indossare il "braccialetto elettronico" i pedofili in libertà vigilata (a cui hanno diritto dopo 12-16 anni di reclusione) devono stare ad almeno 750 metri da qualsiasi luogo che sia frequentato da bambini, costringendoli a vivere in una vera e propria "bidon ville" sotto un ponte di periferia. E non è l'unico caso: le limitazioni imposte in un sobborgo della Georgia hanno costretto i pedofili a trasferirsi addirittura in un bosco. Leggi che partono dal presupposto che "chi ha violentato bambini non può vivere dove vuole". 

Definizione di pedofilo 

Leggo su Wikipedia, e mi si conceda il beneficio di inventario in quanto io non sono un addetto ai lavori e pertanto potrei anche aver considerato corretto un testo che all'origine non è, che in ambito psichiatrico la pedofilia è catalogata nel gruppo delle parafilie, ovvero tra i disturbi del desiderio sessuale, e consiste nella preferenza erotica da parte di un soggetto giunto alla maturità genitale per soggetti che invece non lo sono ancora, cioè in età pre-puberale. Il limite di riferimento di età varia da persona a persona (poiché ogni individuo raggiunge la maturità sessuale in tempi diversi), ma oscilla generalmente tra gli 11 e 13 anni.

Nell'accezione comune, al di fuori dall'ambito psichiatrico, talvolta il termine pedofilia si discosta dal significato letterale e viene utilizzato per indicare quegli individui che commettono violenza attraverso la sessualità su di un bambino, o che commettono reati legati alla pedopornografia. Questo uso del termine è inesatto e può generare confusione. La psichiatria e la criminologia distinguono i pedofili dai child molester (molestatori o persone che abusano di bambini); le due categorie non sono sempre coincidenti.  

La pedofilia è una preferenza sessuale dell'individuo o un disturbo psichico, non un reato. La pedofilia definisce l'orientamento della libido del soggetto, non un comportamento oggettivo. Vi sono soggetti pedofili che non attuano condotte illecite, come si hanno casi di abusi su bambini compiuti da individui non affetti da pedofilia.

Quindi?

Possiamo modificare il sistema? Abbiamo abbastanza assi nella manica per colpire profondamente questo sistema malato che riconosce attenuanti ai pedofili con la sola scusa che si tratta di una devianza sessuale dipendente da una malattia e quindi non un reato?
Possiamo restare impassibili dietro la vita rovinata dei nostri figli in balia di persone sicuramente malate ma libere di agire e colpire i nostri figli?

Dovete sapere che i Paesi del G8 sono l'epicentro del mercato dei bambini. Circa la metà delle vittime del traffico pedofilo mondiale ha meno di 7 anni. Il 77% ne ha meno di 9. Un mercato illegale solo in teoria, ma di fatto libero. Perché è drammaticamente vero che chiunque, in questo preciso momento, a Roma o a Francoforte, a Mosca o Boston, Lisbona o Marsiglia può, con la propria carta di credito, scegliere razza, età, genere di perversione sessuale, tratti somatici della bambina (o del bambino) e acquistare, sicuro dell'assoluta impunità, la propria collezione di foto o il proprio film pedofilo. Anche se in questo caso la legge lo definisce un pedopornografo, cioè un individuo che gode nel vedere fotografie o filmati di minori in abiti discinti (e non solo). In questo caso a essere colpiti e puniti duramente non sarebbero solo i pedopornografi ma chi fornisce loro il necessario materiale, soloro che per soli scopi speculativi, cicuiscono i minori, la maggior parte di essi proviene dalle regioni povere dei paesi dell’est ma anche dal sud est asiatico, dall’europa del sud – ebbene si, anche l’Italia - dal sud e nord America. Stati Uniti, Germania, Russia, Regno Unito, Italia, Francia, Canada e Giappone - il cosiddetto "G8", cioè i Paesi industrializzati, assieme a Spagna e Polonia - rappresentano i tre quarti dei clienti del pedo-business, dell'unico mercato al mondo capace di porsi, senza regole, al di sopra della morale. Tra i Paesi maggiormente coinvolti nel traffico di materiale pedofilo spiccano la Germania, l'Olanda, gli Stati Uniti, Cipro, la Federazione Russa, il Canada, la Cina e il Portogallo.

La pedofilia e la pedopornografia sono uno schifoso traffico dai contorni mondiali, al pari di una organizzazione del commercio potremmo soprannominarla la WPPO World Pedo-Porno Organization e non fa nemmeno ridere...



2013/02/23

La violenza è una malattia prevenibile

La violenza è una malattia prevenibile

Nessuno Stato o individuo può essere sicuro in un mondo insicuro. I valori della nonviolenza negli intenti, nei pensieri e nella prassi da un’alternativa sono diventati una necessità. Questi valori si esprimono nella loro applicazione tra stati, gruppi e individui.

Siamo convinti che il rispetto dei valori della nonviolenza introdurrà un ordine mondiale più civile e pacifico, in cui sistemi di governance più equi, efficaci e rispettosi della dignità umana e della sacralità della vita possano diventare una realtà.
Le nostre culture, le nostre storie e le nostre vite individuali sono interconnesse e le nostre azioni sono interdipendenti. Oggi come mai in passato ci troviamo davanti una verità: il nostro è un destino comune, che verrà definito oggi dalle nostre intenzioni, decisioni ed azioni.

Siamo inoltre convinti che creare una cultura della pace e della nonviolenza, pur essendo un processo lungo e difficile, sia utile e necessario. Affermare i principi enunciati in questa Carta è un primo passo, di importanza vitale, per garantire la sopravvivenza e lo sviluppo dell’umanità e realizzare un mondo senza violenza.

Noi Premi Nobel per la Pace e Organizzazioni Nobel per la Pace,

Riaffermando il nostro impegno verso la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo;

Preoccupati dalla necessità di porre fine alla diffusione della violenza a tutti i livelli della società e soprattutto alle minacce a livello mondiale, che mettono a rischio l’esistenza stessa dell’umanità:

Riaffermando che la libertà di pensiero e di espressione è alla radice della democrazia e della creatività;

Riconoscendo che la violenza si manifesta in molte forme, quali conflitti armati, occupazione militare, povertà, sfruttamento economico, distruzione dell’ambiente, corruzione e pregiudizio basato sulla razza, la religione, il genere e l’orientamento sessuale;

Riconoscendo che il culto della violenza espresso nelle forme di intrattenimento commerciale può contribuire all’accettazione della stessa come una condizione normale ed ammissibile;

Convinti che quelli maggiormente colpiti dalla violenza sono i più poveri e vulnerabili;

Rammentando che la pace non è soltanto l’assenza di violenza, ma anche la presenza della giustizia e il benessere dei popoli;

Prendendo atto che un inadeguato riconoscimento da parte degli Stati delle diversità etniche, culturali e religiose è spesso alla radice della violenza esistente nel mondo;

Consapevoli del fatto che il mondo ha bisogno di efficaci meccanismi globali e di metodi nonviolenti per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti e che questi hanno maggiore successo quanto prima sono adottati;

Affermando che coloro che sono investiti del potere hanno maggiore responsabilità per porre fine alla violenza dove essa si manifesta e per prevenirla dovunque sia possibile;

Convinti che i valori della nonviolenza debbano trionfare in tutti i livelli della società, così come nei rapporti tra Stati e tra popoli;

Invitiamo la comunità internazionale a portare avanti i seguenti principi:

Primo: in un mondo interdipendente, la prevenzione e la cessazione dei conflitti armati tra gli Stati e all’interno degli Stati può richiedere un’azione collettiva da parte della comunità internazionale. La sicurezza dei singoli stati si ottiene con una maggiore sicurezza globale ed umana. Per questo è necessario rafforzare la capacità di implementazione del sistema ONU e delle organizzazioni di cooperazione regionale.

Secondo: Per realizzare un mondo senza violenza, gli Stati devono rispettare lo stato di diritto ed onorare i loro impegni legali.

Terzo: E’ necessario muoversi senza indugi nella direzione dell’eliminazione universale e verificabile delle armi nucleari e delle altre armi di distruzione di massa. Gli Stati in possesso di tali armi devono intraprendere passi concreti verso il disarmo e un sistema di sicurezza che non sia basato sulla deterrenza nucleare. Allo stesso tempo gli Stati devono fare ogni sforzo per consolidare il regime di non proliferazione nucleare, prendendo misure come il rafforzamento delle verifiche multilaterali, la protezione del materiale nucleare e l’aumento del disarmo.

Quarto: Per contribuire all’eliminazione della violenza nella società, la produzione e la vendita delle armi leggere devono essere ridotte e sottoposte a rigorosi controlli a livello internazionale, regionale, statale e locale. Inoltre gli accordi internazionali per il disarmo, come il Trattato per la messa al bando delle mine del 1977, dovrebbero ottenere una piena ed universale applicazione. I nuovi sforzi volti ad eliminare l’impatto delle armi indiscriminate ed attivate dalle vittime, come le bombe a grappolo, vanno sostenuti. E’ necessario un ampio ed efficace trattato sul commercio delle armi.

Quinto: Il terrorismo va sempre condannato, perché la violenza genera violenza; nessuna causa può giustificare gli atti terroristici contro la popolazione civile di qualsiasi paese. La lotta al terrorismo

non può tuttavia giustificare la violazione dei diritti umani, del diritto umanitario internazionale, delle norme della società civile e della democrazia.

Sesto: Porre fine alla violenza domestica e nelle famiglie esige il rispetto incondizionato dell’uguaglianza, della libertà, della dignità e dei diritti delle donne, degli uomini e dei bambini da parte di tutti gli individui e le istituzioni dello stato, della religione e della società civile. Tali tutele vanno inserite nelle leggi e nelle convenzioni locali ed internazionali.

Settimo: Ogni individuo e ogni Stato condividono la responsabilità di prevenire la violenza contro i bambini e i giovani, il nostro futuro comune e il nostro bene più prezioso. Tutti hanno diritto ad un’istruzione di buon livello, all’assistenza sanitaria di base, alla sicurezza personale, alla tutela sociale, alla piena partecipazione alla vita sociale e ad un ambiente che rafforzi la nonviolenza come stile di vita. L’educazione alla pace, la promozione della nonviolenza e la valorizzazione dell’innata qualità umana della compassione devono far parte dei programmi educativi a tutti i livelli.

Ottavo: La prevenzione dei conflitti derivati dall’impoverimento delle risorse naturali, in particolari delle fonti energetiche ed idriche, esige che gli Stati svolgano un ruolo attivo ed istituiscano sistemi giuridici e standard finalizzati alla protezione dell’ambiente ed incoraggino le popolazioni a contenere i loro consumi in base alla disponibilità delle risorse e ai reali bisogni umani.

Nono: Facciamo appello all’ONU e agli Stati membri affinché promuovano il riconoscimento della diversità etnica, culturale e religiosa. La regola d’oro di un mondo nonviolento: Tratta gli altri come vuoi essere trattato.

Decimo: I principali strumenti politici per realizzare un mondo nonviolento sono delle istituzioni democratiche funzionanti e il dialogo basato sulla dignità, la conoscenza e il compromesso e condotto sulla base dell’equilibrio tra gli interessi delle parti coinvolte, tenendo anche presente l’umanità nel suo complesso e l’ambiente naturale.

Undicesimo: Tutti gli Stati, le istituzioni e gli individui devono sostenere gli sforzi volti a risolvere l’ineguaglianza nella distribuzione delle risorse economiche e le iniquità che creano un fertile terreno per la violenza. Lo squilibrio delle condizioni di vita porta inevitabilmente alla mancanza di opportunità e in molti casi alla perdita della speranza.

Dodicesimo: La società civile, compresi i difensori dei diritti umani e gli attivisti per la pace e l’ambiente, va riconosciuta e protetta come parte essenziale nella costruzione di un mondo nonviolento, dato che i governi devono servire le esigenze della gente e non il contrario. Vanno create le condizioni per permettere ed incoraggiare la partecipazione della società civile, soprattutto delle donne, nei processi politici a livello globale, regionale, nazionale e locale.

Tredicesimo: Nell’implementare i principi di questa Carta lanciamo un appello perché tutti lavorino insieme per costruire un mondo in cui ognuno abbia il diritto di non essere ucciso e la responsabilità di non uccidere gli altri.

Per contrastare ogni forma di violenza incoraggiamo la ricerca scientifica nei campi dell’interazione umana e del dialogo e sollecitiamo la partecipazione della comunità accademica, scientifica e religiosa per aiutarci nella transizione verso una società nonviolenta e pacifica.

Nobel  Firmatari:

• Mairead Corrigan Maguire
• His Holiness the Dalai Lama
• Mikhail Gorbachev
• Lech Walesa
• Frederik Willem De Klerk
• Archbishop Desmond Mpilo Tutu
• Jody Williams
• Mohamed ElBaradei
• John Hume
• Carlos Filipe Ximenes Belo
• Betty Williams
• Muhammad Yunus
• Wangari Maathai
• International Physicians for the Prevention of Nuclear War
• International Committee of the Red Cross
• International Atomic Energy Agency
• American Friends Service Committee
• International Peace Bureau

Sostenitori della Carta:

Istituzioni:

• Governo Basco
• Comune di Cagliari (Italia)
• Provincia di Cagliari (Italia)
• Comune di Villa Verde (OR), Italia
• Comune di Grosseto, Italia
• Comune di Lesignano de’ Bagni (PR), Italia
• Comune di Bagno a Ripoli (FI), Italia
• Comune di Castel Bolognese (RA), Italia
• Comune di Cava Manara (PV), Italia
• Comune di Faenza (RA), Italia

Organizzazioni:

• Peace People, Belfast (Irlanda del nord)
• Associazione Memoria Collettiva
• Hokotehi Moriori Trust, Nuova Zelanda
• Mondo senza guerre e senza violenza
• Centro Mondiale di Studi Umanisti (CMSU)
• La Comunità (per lo sviluppo umano), Federazione Mondiale
• Convergenza delle Culture, Federazione Mondiale
• Federazione Internazionale dei Partiti Umanisti
• Associazione “Cádiz por la No-Violencia”, Spagna
• Women for a Change International Foundation, (Regno Unito, India, Israele, Camerun, Nigeria)
• Institute for Peace and Secular Studies, Pakistan
• Associacion Assocodecha, Mozambico
• Awaz Foundation, Centre for Development Services, Pakistan
• Eurafrica, associazione multiculturale, Francia
• Peace Games UISP, Italia
• Club Moebius, Argentina
• Centro per lo sviluppo creative “Danilo Dolci”, Italia
• Centro Studi ed Iniziative Europeo, Italia
• Gruppo Emergency Alto Casertano, Italia
• Sociedad Boliviana de origami, Bolivia
• Il sentiero del Dharma, Italia
• Gocce di fraternità, Italia
• Fundacion Aguaclara, Venezuela
• Associazione Lodisolidale, Italia
• Colectivo de Educación en derechos humanos y Prevención Activa de Conflictos, Spagna
• ETOILE.COM (Agence Rwandaise d’Edition, de Recherche, de Presse et de Communication), Ruanda
• Human Rights Youth Organization, Italia
• Ateneo de Petare, Venezuela
• Association étudiante du CÉGEP de Sherbrooke,  Quebec, Canada
• Federación de Instituciones Privadas de Atención al Niño, el Joven y la Familia (FIPAN), Venezuela
• Centre Communautaire Jeunesse Unie de Parc Extension, Québec, Canada
• Physicians for Global Survival, Canada
• UMOVE (United Mothers Opposing Violence Everywhere), Canada
• Raging Grannies, Canada
• Veterans Against Nuclear Arms, Canada
• Transformative Learning Centre, University of Toronto, Canada
• Promotores de Paz y No Violencia, Spagna
• ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), Italia
• Legautonomie Veneto, Italia
• Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, Italia
• UISP Lega Nazionale Attività Subacquee, Italia
• Commissione Giustizia e Pace di CGP-CIMI, Italia
• Global Security Institute, Jonathan Granoff

Personalità:

• Mr. Walter Veltroni, ex sindaco di Roma
• Mr. Tadatoshi Akiba, sindaco di Hiroshima e presidente di Mayors for Peace
• Mr. Agazio Loiero, presidente della Regione Calabria
• Prof. M. S. Swaminathan, ex presidente di Pugwash Conferences on Science and World Affairs, organizzazione Premio Nobel per la Pace
• David T. Ives, Albert Schweitzer Institute
• Sergio Balacco, Scrittore, Francia
• George Clooney, attore, USA
• Don Cheadle, attore, USA
• Bob Geldof, cantante, Irlanda
• Tomás Hirsch, Portavoce dell’Umanesimo per l’America Latina
• Michel Ussene, Portavoce dell’Umanesimo per l’Africa
• Giorgio Schultze, Portavoce dell’Umanesimo per l’Europa
• Chris Wells, Portavoce dell’Umanesimo per l’America del Nord
• Sudhir Gandotra, Portavoce dell’Umanesimo nella regione Asia-Pacifico
• Maria Luisa Chiofalo, Assessore del Comune di Pisa, Italia
• Silvia Amodeo, Presidente della Fundacion Meridión, Argentina
• Miloud Rezzouki, Presidente dell’associazione ACODEC, Marocco
• Angela Fioroni, Segretaria regionale di Legautonomie Lombardia, Italia
• Luis Gutiérrez Esparza, Presidente di Latin American Circle of International Studies (LACIS), Mexico
• Vittorio Agnoletto, ex europarlamentare, Italia
• Lorenzo Guzzeloni, Sindaco di Novate Milanese (MI), Italia
• Mohammad Zia-ur-Rehman, Coordinatore Nazionale di GCAP-Pakistan
• Raffaele Cortesi, Sindaco di Lugo di Romagna (RA), Italia
• Rodrigo Carazo, Ex presidente del Costa Rica
• Lucia Bursi, Sindaco di Maranello (MO), Italia
• Miloslav Vlček, Presidente della Camera dei Deputati della Repubblica Ceca
• Simone Gamberini, Sindaco di Casalecchio di Reno (BO), Italia
• Lella Costa, attrice, Italia
• Luisa Morgantini, ex Vice-Presidente del Parlamento Europeo, Italia
• Birgitta Jónsdóttir, membro del Parlamento islandese, Presidente di  Friends of Tibet in Islanda
• Italo Cardoso, Gabriel Chalita, José Olímpio, Jamil Murad,  Quito Formiga, Agnaldo Timóteo, João Antonio, Juliana Cardoso, Alfredinho Penna (“Frente Parlamentar de Acompanhamento da Marcha Mundial pela Paz e a Não Violência em São Paulo”), Brasile
• Katrín Jakobsdóttir, Ministro dell’Educazione, Cultura e Scienza, Islanda
• Loredana Ferrara, Assessore alla Pace della Provincia di Prato, Italia
• Ali Abu Awwad, Attivista per la pace attraverso la nonviolenza, Palestina
• Giovanni Giuliari, Assessore alla famiglia e alla pace, Vicenza, Italia
• Rémy Pagani, Sindaco di Ginevra, Svizzera
• Paolo Cecconi, Sindaco di Vernio (PO), Italia
• Viviana Pozzebon, cantante, Argentina
• Max Delupi, giornalista e direttore d’orchestra, Argentina
• Páva Zsolt, Sindaco di Pécs, Ungheria
• György Gemesi, Sindaco di Gödöllő, Presidente dell’Associazione Ungherese degli Enti Locali, Ungheria
• Agust Einarsson, rettore della Bifröst University, Islanda
• Svandís Svavarsdóttir, Ministro dell’Ambiente, Islanda
• Sigmundur Ernir Rúnarsson, Membro del Parlamento, Islanda
• Margrét Tryggvadóttir, Membro del Parlamento, Islanda
• Vigdís Hauksdóttir, Membro del Parlamento, Islanda
• Anna Pála Sverrisdóttir, Membro del Parlamento, Islanda
• Thráinn Bertelsson, Membro del Parlamento, Islanda
• Sigurður Ingi Jóhannesson, Membro del Parlamento, Islanda
• Omar Mar Jonsson, Sindaco di Sudavikurhreppur, Islanda
• Raul Sanchez, Segretario per i Diritti Umani della Provincia di Cordoba, Argentina
• Emiliano Zerbini, Musicista, Argentina
• Amalia Maffeis, Servas – Cordoba, Argentina
• Almut Schmidt, Direttrice del Goethe Institut, Cordoba, Argentina
• Asmundur Fridriksson, Sindaco di Gardur, Islanda
• Ingibjorg Eyfells, Preside, Geislabaugur, Reykjavik, Islanda
• Audur Hrolfsdottir, Preside, Engidalsskoli, Hafnarfjordur, Islanda
• Andrea Olivero, Presidente Nazionale delle Acli, Italia
• Dennis J. Kucinich, Membro del Congresso, USA