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2017/07/18

Ginnastica della memoria



Non ricordare il numero di Pin del bancomat, oppure dove abbiamo appoggiato le chiavi di casa o a che ora dobbiamo recarci dal dentista. Sono tutte esperienze comuni, specie in questa fase dell’anno quando siamo stanchi dopo i lunghi mesi di lavoro. In qualche caso si tratta di semplici distrazioni, dovute alla fatica o allo stress, ma si tratta anche di segnali che ci indicano la necessità di “sgranchire le gambe” al nostro cervello. Per mantenere in forma la nostra memoria occorre infatti un po’ di ginnastica, proprio come nel caso del corpo.

ANTI-AGE PER LA MENTE – Fino a qualche anno fa, gli studiosi ritenevano che lo sviluppo del cervello si completasse nell’infanzia e che da quel momento non venissero più prodotte nuove cellule. In realtà, la scienza ha dimostrato che lo sviluppo del cervello continua fino almeno ai 20 anni, ma che è sempre possibile la creazione di nuove connessioni. L’importante è mantenere attiva la mente, perché proprio il fatto di tenerla in allenamento è il più efficace aiuto per combatterne l’invecchiamento e la degenerazione.

VITA SANA – Per avere un cervello vispo e scattante occorre innanzi tutto condurre una vita il più possibile sana, curando l’alimentazione, facendo un po’ di moto tutti i giorni, possibilmente all’aria aperta, combattendo lo stress.

CURIOSITA’ – E’ uno dei grandi motori della mente umana, quello che spinge i bambini a crescere e l’uomo adulto a cercare sempre nuovi orizzonti. E’ importante quindi mantenere uno sguardo aperto sulla realtà, per coglierne tutti gli stimoli e sperimentare sempre nuove strade.

TI VA DI GIOCARE? – Il gioco è una dimensione che non bisogna mai perdere. La capacità di divertirsi, di osservare la realtà con sguardo positivo, di abbandonarsi alla risata sono tutti efficaci antidoti contro lo stress, la noia e l’apatia. Questi stati d’animo negativi sono invece responsabili di una specie di anestesia mnemonica.

ALLENA I TUOI RICORDI – La mente non è un cassetto in cui accumulare alla rinfusa ricordi e conoscenze, senza mai riprenderli in mano. Al contrario: quando abbiamo fatto un’esperienza, meglio se piacevole, torniamo a ricordarla di quando in quando, raccontandola a noi stessi e cercando di fissare quanti più particolari riusciamo a ricordare. Oltre a riviere il buon umore di un fatto che ci ha reso felici, alleneremo senza accorgercene la nostra capacità di ricordare.

IL FITNESS PER IL CEVELLO

- Usa i sensi – I profumi sono uno strumento potente per rievocare fatti e situazioni, soprattutto quelli legati a situazioni del passato lontano. Prendiamoci cura dei profumi della casa, della cucina, del giardino: questo ci aiuterà a ricordare fatti e situazioni del passato che credevamo dimenticati. Prendiamo l’abitudine di pensare per immagini, perché questo aiuta a sviluppare intuizioni e aiuta a trovare soluzioni nuove.

- Giochi enigmistici – La loro utilità è nota nel mantenere attive le facoltà cerebrali e la memoria è nota da tempo. Possiamo sfruttare i pomeriggi di ozio estivo per dedicare un po’ di tempo ai cruciverba, alle sciarade, ai giochi di logica: impareremo cose nuove e faremo fare ginnastica alla nostra memoria.

- Agende e numeri di telefono – Prendiamolo come un gioco: anche se abbiamo memorizzato nella rubrica del cellulare i numeri di amici e parenti, cerchiamo di imparare a memoria e digitare dalla tastiera quelli che chiamiamo più spesso. Dopo un po’ di tempo scopriremo di avere meno difficoltà anche a ricordare gli altri. Facciamo lo sforzo di richiamare alla mente l’orario di un appuntamento, senza demandare il ricordo all’agenda. Torniamo a fare le somme e qualche facile calcolo matematico a mente, senza carta e matita (o peggio ancora la calcolatrice).

- Impariamo a concentrarci – Facciamo le cose una per volta, focalizzando la nostra attenzione sul gesto che stiamo compiendo: ad esempio, osserviamo noi stessi mentre riponiamo le chiavi di casa, oppure mentre appoggiamo il cellulare su un mobile: non avremo nessun problema a ritrovarlo, senza perdere tempo.

- Non smettiamo mai di imparare – Basta un quarto d’ora al giorno per una buona lettura, oppure seguire parte di un film in lingua originale. Impariamo a memoria ogni giorno qualche nuovo vocabolo di una lingua straniera che conosciamo e che ci piace.

- Impariamo qualche esercizio di mnemotecnica: possono essere davvero utili e in molti casi sono anche giochi logici abbastanza divertenti.

2017/07/01

Radiografia del suicidio italiano!

Il caso Ilaria Capua: radiografia del suicidio italiano. Un’eccellenza mondiale distrutta nell’indifferenza. Da genio della scienza a trafficante di virus da condannare all’ergastolo per procurata epidemia Dieci anni di indagini sgangherate accompagnate dalla gogna mediatica e social in odio alla casta e alla scienza. Prosciolta è andata negli Stati Uniti.

Ho capito quanto è fragile l’Italia», dice oggi Ilaria Capua, ed è clemente. Tutto quello che c’è di sbagliato, tutto il male è scritto sulla sua pelle. Seguite, anche nella sciatteria ordinaria delle espressioni: presunzione di colpevolezza, gogna mediatica, diffusione di intercettazioni telefoniche, manganellatura via social, odio per la casta, pregiudizio tonante, superstizione, sospetto verso la scienza, per i vaccini, rifiuto delle élite, spreco delle risorse migliori, fuga dei cervelli, rapporti sclerotici fra stampa e procure, incapacità di chiedere scusa, anche sessismo, se credete. Sono i pezzi di un sistema demente e autodistruttivo in cui ognuno fa la sua parte, con la disastrosa noncuranza del carnefice in catena di montaggio, ed è una catena senza progettista, che è anche peggio. È la mattanza del caso. 

Ricominciamo da capo: Ilaria Capua nasce a seconda vita alle 16 del 3 aprile 2014, quando riceve un avviso di garanzia via copertina dell’Espresso. È gialla con un uomo in scafandro che maneggia scatoloni col simbolo del pericolo biologico. Titolo: «Trafficanti di virus. Accordi tra scienziati e aziende per produrre vaccini e arricchirsi. L’inchiesta sul grande affare delle epidemie». Ilaria sta per compiere 48 anni. 

È una deputata di Scelta civica. È una scienziata di prestigio internazionale. La prima donna a vincere il Penn Vet World Leadership Award, il più importante al mondo nel campo della veterinaria. È entrata nell’elenco dei cinquanta scienziati più importanti al mondo della Scientific American. Ha trasformato due stanze di Legnaro, provincia di Padova, in una delle capitali mondiali della virologia. La stampa specializzata la definisce «mente rivoluzionaria». 

È conosciuta alla platea dei profani perché nel 2006 ha codificato la sequenza genetica del primo ceppo africano di influenza H5N1 (la famigerata aviaria) e, anziché depositarlo in un database limitato, accessibile solo ai centri più autorevoli, lo ha condiviso coi centri di tutto il pianeta, sfidando e ribaltando il sistema. Ha inventato Diva, la prima strategia di vaccinazione contro l’aviaria. Fino alle 15.59 del 3 aprile 2014, Ilaria Capua è un capolavoro, di quelli che l’Italia sa produrre. Poi è il mostro. 

«Due giorni prima avevo ricevuta un mail da un giornalista dell’Espresso. Progettava un articolo sull’aviaria e aveva bisogno di me. Ci siamo sentiti per telefono. Mi ha detto: “Sto scrivendo un pezzo su un traffico illegale di virus e di vaccini. Sa di essere coinvolta nell’inchiesta?”. Non sapevo nemmeno che ci fosse un’inchiesta. Lui lo sapeva, io no. Lui sapeva tutto, io niente. Quando è uscito l’articolo l’ho letto, una mitragliatrice». L’Espresso elenca i capi d’accusa. Il più grave è procurata epidemia. 

Pena prevista: ergastolo. «Sono accusata di avere diffuso virus pericolosissimi per guadagnare sui vaccini in combutta con le case farmaceutiche. Sono accusata di aver attentato alla salute del mio paese e del resto del mondo per arricchirmi. 

Scoprirò che l’indagine dura dal 2005, da nove anni e i fatti risalgono al ’99, quindici. Sono anni che mi intercettano, sentono le mie conversazioni, le equivocano, le rimettono insieme secondo un ordine arbitrario e delirante. E mi chiedo: perché non mi hanno arrestata allora? Se sono una mente criminale, un’untrice che diffonde malattie, perché non mi hanno fermata quando ero in laboratorio?». 

E perché non l’hanno mai interrogata? «L’articolo è il più clamoroso ammasso di errori, inesattezze, fraintendimenti, la più incredibile collezione di falsità scientifiche che mi sia capitato di leggere». L’articolo sgorga dalle carte della procura. «L’epidemia del 1999, di cui sarei artefice, è causata da un virus H7N1 e non da un virus H7N3, come riportato sull’Espresso. Cambia una cifra, ma sono due virus diversi. Il virus H7N3 non è mai arrivato in Europa, è come essere accusati di omicidio di un uomo che è vivo. 

Mi accusano di avere provocato un’epidemia fra gli esseri umani, ma il virus H7N3 non infetta le persone, soltanto gli animali. Imparerò che i pm mi accusano di avere creato una società segreta all’estero, la 444, su cui avrei versato le tangenti, ma il 444 è un capitolo contabile dell’Istituto di Legnaro, il fondo da cui attingiamo per tutte le spese. Davvero non lo sanno? Non hanno fatto una telefonata? O credono che incassi le tangenti su un conto dell’Istituto?». 

Ilaria non ha in mano nulla, né l’avviso di garanzia né l’atto di chiusura indagini. Niente su cui gli avvocati possano lavorare. Le prime strategie difensive si studiano sull’articolo dell’Espresso. Così funziona la giustizia. Così funziona il giornalismo: escono su tutta la stampa le intercettazioni, con gusto quelle in cui una collega la definisce «zoccolaccia», in cui qualcuno dice «quest’anno il pacco non è ancora arrivato», e sarebbe la prova provata. Di che cosa, boh. 

Il Movimento cinque stelle rende giustizia al mondo dei reietti. Alessandro Di Battista scrive un tweet con l’hashtag #arrestanovoi, anche se non è stato arrestato nessuno. Il web chiede vendetta. «Poi la fanno ministro della Sanità, troia». «Grandissima zoccola». «Meriterebbe di iniettarglielo a forza il virus». «Iniettateglielo a lei!!!!». «Alla gogna!!!!». Il Movimento chiede le dimissioni dalla commissione Cultura (che si occupa anche di scienza) e dal Parlamento. «Ti dici: non è possibile. 

Chiedi come puoi urlare al mondo che non è vero, quella non sono io. Poi quasi ti convinci, pensi che qualcosa forse lo hai fatto, in qualcosa sei rimasta impigliata, e sei sola contro tutti perché quella sbagliata sei tu. Mi vergognavo a camminare per strada. Mi guardavo allo specchio e mi vedevo vecchia, brutta. Ancora oggi dormo poco, mi sveglio di soprassalto. Non se ne esce mai per davvero. Ecco perché ho deciso di ricominciare a raccontare, perché voglio bene a questo Paese, perché penso a chi oggi è nelle mie condizioni di ieri, e ha meno voce di quanta ne avessi io». 

Nel 2013, Mario Monti aveva chiamato Ilaria per offrirle la candidatura, e lei aveva detto sì. «Penso che tutti debbano restituire qualcosa al loro Paese. Mi sono laureata a Perugia in Veterinaria, cinque anni; specializzata a Pisa in Sanità pubblica veterinaria, due anni; il dottorato di ricerca a Padova, tre anni. Dieci anni di studio pagati dallo Stato. 

Anche grazie allo Stato ero una scienziata di rilievo internazionale e mi sentivo in debito. L’Italia ha investito in me e mi ha fatto diventare quella che sono. Alla Camera ho rinunciato allo stipendio e alla previdenza, per me un servizio civile. E tutto questo è stato spazzato via, come da un fiume in piena che dietro di sé non lascia niente, da una inchiesta folle, superficiale, da un meccanismo delirante, in cui ogni regola e ogni garanzia è saltata, in cui nessuno si chiede il danno irreparabile che sta procurando a una persona, ai suoi figli, a suoi genitori». Ilaria decide di andarsene. 

La chiama la University of Florida per dirigere un dipartimento dell’Emerging Pathogens Institute. Va al colloquio. Dice: «Sapete che in Italia sono accusata di un reato che prevede l’ergastolo?». «Sì». «E quindi?». «Abbiamo verificato su internet. Non si capisce di che parlino, hanno chiaramente sbagliato un virus con un altro, hanno ignorato i fatti scientifici. Per noi lei è innocente». Sono bastati quindici minuti, alla giustizia italiana sono serviti dieci anni. «Come vorreste che impostassi l’attività scientifica?». «Pensa che abbiamo preso una come lei per dirle che fare? Deve essere lei a dirlo a noi. Vogliamo il suo successo per il bene dell’università». 

Benvenuti nel mondo della logica. 

Università della Florida, 6 luglio 2016. Ilaria manda un sms all’avvocato: «Mi devo preoccupare?». Due minuti e l’avvocato richiama: «Prosciolta!». Non si va nemmeno a processo. La giudice scrive: «L’insussistenza del delitto va affermata, peraltro, sulla base delle seguenti circostanze: mancanza prima di tutto dell’evento». Per lei hanno finito col «costruire accuse del tutto prive di fondamento». 

Ma chi conosce i tribunali sa che questi non sono i momenti dell’esultanza, ma in cui, ancora, si piange. «Mi sento sfregiata, come se mi avessero buttato addosso l’acido. Hanno distrutto la mia carriera. Hanno smembrato un gruppo di studio che era diventato un riferimento mondiale: persone perbene, studiosi di eccellenza massacrati. Io sono all’estero. Il mio braccio destro è all’estero. Il mio gruppo di ricerca dimezzato e gambizzato». La politica è rimasta zitta. Il mondo accademico zitto. 

Tutti a guardare lo spettacolo, senza senso della comunità, della dignità, e dell’orgoglio. La giustizia è stata salvata dalla giudice di Verona, Laura Donati. Il giornalismo da Paolo Mieli, che il 29 maggio 2016 scrive sul Corriere un editoriale («Il Paese che detesta la scienza») in cui la storia di Ilaria è ricostruita sulle basi della deontologia e della professionalità («sono stata al telefono due ore con lui, mi ha fatto mille domande, anche scomode, anche taglienti. Voleva solo capire, e mi sembrava già così tanto»). 

Camera dei deputati, 28 settembre 2016. Ilaria parla per l’ultima volta in aula: «Rassegno le mie dimissioni. È stata una decisione sofferta e ponderata che si è articolata intorno alla parola “rispetto”. Quando sono entrata qui ero una scienziata conosciuta e stimata, piena di buoni propositi. Dopo circa un anno dalla mia elezione sono stata travolta da una indagine giudiziaria. È stato un incubo senza confini e una violenza che mi ha segnata per sempre. 

Torno alla parola “rispetto”, perché è proprio la combinazione del rispetto per i miei elettori a farmi comprendere che in quelle condizioni non stavo utilizzando al meglio il tempo che ho a disposizione. Non ci piace pensarlo, ma ognuno di noi ha un tempo limitato che gli resta da vivere, e utilizzare al meglio quel tempo è una forma di rispetto verso sé e verso gli altri. Ho sentito, quindi, che fosse giunto il momento di tornare nel mondo scientifico, purtroppo non in quello italiano. Ho deciso di trasferire la mia famiglia negli Stati Uniti per proteggerla da accuse senza senso e infamanti che mi portavo sulle spalle. 

Ora che è finita, potrei tornare indietro, ma non me la sento. Devo recuperare forze, lucidità e serenità, devo lenire la sofferenza, recuperare fiducia in me stessa, voglio usare al meglio il tempo che ho a disposizione. Lo devo ai miei genitori che mi hanno fatto studiare, ai miei maestri, ai miei amici e ai miei allievi di ieri e di domani. Cari colleghi, sono certa che attraverso di voi e l’operato del governo l’Italia diventerà un Paese più innovativo e più giusto. Torno al mio posto, a fare quello che so fare meglio, all’estero, ma sempre con lo sguardo rivolto verso l’Italia».

2015/12/06

Scienza ad capocchiam


Scienza ad capocchiam 

Primo: L’aumento della temperatura del pianeta è stato di 0,8 gradi in quasi un secolo e mezzo circa (dal 1850). Poi nel 1998 si è fermato. Da 17 anni non aumenta più? Di quanto dovrebbe riprendere, nei prossimi pochissimi anni, per portarci ai 4 gradi in più previsti dai religiosi del clima riuniti a Parigi? Nessuno lo dice.... 

Secondo: se in un secolo e mezzo (1850/1998) di piena industrializzazione e di CO2 umana immessa in atmosfera, la temperatura è aumentata di 0,8 gradi come è possibile che nei soli prossimi 80 anni (previsioni dei religiosi del clima) aumenti di 5 gradi? 

Cervellotico. Niente di scientifico. Sciamanismo. 

Dovuto al fatto che siccome non si possono fare previsioni esatte sul clima, data l’inferenza sull’andamento del clima di variabili che lo influenzano e i cui effetti non sono calcolabili, i climatisti hanno scelto, per comodità, un solo criterio (il gas serra immesso dall’uomo, la CO2) ) e su di esso si costruiscono modelli matematici di proiezioni sul futuro. Che non sono dunque previsioni scientifiche. 

Che sono impossibili. 

Terzo: come fa ad essere antropico l’effetto dovuto alla CO2 industriale che è solo il 5% della CO2 naturale in atmosfera. Che è solo, a sua volta, il 10% degli altri gas serra (vapore acqueo e metano ) di origine naturale. Che però hanno un effetto serra cumulato assai maggiore della CO2. La fisica e la chimica nelle proiezioni dei climatisti religiosi sono ad capocchiam. Di catastrofico c’è solo il conto economico delle assurde politiche anti CO2. Che, tralaltro, sono realizzate dalla sola Europa che però nel conto della CO2 internazionale umana (che pure è, come abbiamo visto, infinitesimale) conta come la briscola a merenda. 

Però è sufficiente a tenere bassa la crescita europea. Ai poveracci seguaci della religione del warming sfugge che quelle risorse enormi che pure si spendono inutilmente (perché le emissioni stanno aumentando sempre nonostante le 20 conferenze sul clima che hanno preceduto questa di Parigi) sulla CO2 (emission trading, incentivi fuori portata per le rinnovabili) potrebbero essere spesi per combattere, invece, l’inquinamento, i pericoli alla salute (Hiv, epidemie ecc), per tecnologie a difesa degli eventi estremi (città costiere, assetti idrogeologici ecc).

Quarto: nessun criterio fisico, chimico e ambientale può dimostrare una correlazione tra CO2 e catastrofi climatiche. In 12,000 anni di vita dell’uomo noi abbiamo sperimentato solo effetti benefici della CO2. Perché, invece, un 5% di CO2 umana (sul 95% che è naturale) dovrebbe, in futuro, essere catastrofico? È solo una premonizione religiosa. 

Biblioteche di libri anticonformisti e schiere di migliaia di scienziati (una di essi era la coraggiosa Montalcini) che la dittatura del pensiero unico del warming antropico mette al bando, smentiscono. 

Quinto: la causa dei periodi di riscaldamento (anche assai superiori all’attuale) vissuti in precedenza, quando non c’era CO2 umana, a che erano dovuti? Erano dovuti a cause naturali: oscillazioni dell’asse terrestre, attività del sole, oscillazioni dell’orbita terrestre, cicli degli oceani. Siccome, però, di queste cause fisiche conosciamo ancora poco, i chierici del warming si buttano sulla “politica” delle cause antropiche e della CO2, in mancanza di meglio. 

Scienza da scarpari. 

Ci sarebbe abbastanza da potersi togliere i paraocchi. O no? 

2015/05/15

BactoBot: il futuro dell'energia



Fig. 1: Prototipo di EBR da laboratorio. La linea di colore rosso è la membrana permeabile ai protoni

BactoBot non è un nuovo cartone animato giapponese, né un film di fantascienza. Si tratta invece di una nuova biotecnologia che arriva dagli Stati Uniti e che promette di rivoluzionare la produzione di energia rinnovabile da biomasse e rifiuti organici.

Il nome BactoBot è l'acronimo di Bacterial Robot, cioè, un batterio che ha la particolarità di essere programmabile per via genetica in modo da realizzare diverse funzioni, alla stessa maniera dei robot meccanici programmabili mediante il software.

L'azienda proprietaria dei brevetti e del know how segreto industriale è composta da un'equipe di ricercatori provenienti da diverse università e discipline: c’è chi è esperto in modificazione genetica di organismi, chi esperto in Mfc (Microbial fuel cells, celle a combustibile microbiche), o ancora c’è chi è esperto in marketing e pubbliche relazioni istituzionali; tutti insieme hanno dato vita ad un'azienda che in meno di un lustro ha raggiunto diversi milioni di dollari di investimenti e stipulato contratti con importati istituzioni quali la Epa (Environmental protection agency, l’agenzia di protezione ambientale statunitense).

Le potenzialità dei BactoBot sembrano limitate solo dall'immaginazione e disponibilità di capitale dei committenti. A data odierna, sono stati sviluppati BactoBots per la produzione di energia elettrica a partire da acque residue, tramite una tecnologia chiamata Ebr (Electrogenic bio reactor, bioreattore elettrogeno).

Un Ebr è un particolare tipo di Mfc nel quale dei BactoBot programmati per degradare la materia organica, o un qualsiasi composto inquinante, sono fissati a dei nanotubi di carbonio che costituiscono l'anodo. L’attività metabolica dei BactoBot scinde le molecole della materia organica, fecale o di altro tipo, presente nell’acqua da trattare, liberando idrogeno. Una membrana di un materiale speciale, impermeabile all'acqua ma permeabile ai protoni, separa la camera di reazione biologica, contenente i BactoBot e l’acqua da trattare, dal catodo in grafite, il quale è a contatto con l'aria. Quando si chiude il circuito, fra anodo e catodo, l’idrogeno prodotto dai BactoBot si scinde in elettroni e protoni. Gli elettroni viaggiano attraverso i fili di rame ed il carico elettrico esterni fino al catodo, mentre i protoni gli raggiungono passando attraverso la membrana. Nel catodo protoni e ed elettroni si ricombinano in idrogeno, il quale si combina con l’ossigeno dell’aria, generando acqua. Il processo genera dunque energia in forma di corrente elettrica, acqua pura, e allo stesso tempo degrada la materia inquinante contenuta nel refluo all’interno della camera biologica, facilitando poi il suo trattamento ulteriore. 

I creatori della tecnologia dicono che sia persino possibile realizzare BactoBot che degradino selettivamente un particolare tipo di inquinante, come ad esempio i polifenoli presenti nelle acque di vegetazione degli oleifici, responsabili della scarsa biodegradabilità e difficoltà di trattamento di questo refluo, oppure gli idrocarburi versati in mare nel caso di un naufragio. Un Ebr già testato negli Usa è capace di produrre energia dall’urina separando l’azoto ed il fosforo ivi contenuti per produrre dei fertilizzanti.

Un altro tipo di BactoBot, invece, è stato progettato per funzionare come biocatalizzatore. Facendo circolare in controcorrente il gas di scarico di un processo di combustione (ad esempio una centrale a biomassa o biogas) ed una soluzione nutriente, i Bactobot fissati su di un substrato artificiale sono in grado di sintetizzare butanolo, un alcol considerato come "biobenzina", capace di rimpiazzare quest'ultima senza bisogno di modifiche ai motori esistenti e con diversi vantaggi ambientali.

Ancora un’altra possibilità dei BactoBot è la fermentazione diretta dello sterco animale, producendo del bioetanolo, un combustibile di grande interesse commerciale come additivo alla benzina, ma prodotto attualmente da materie nobili quali il frumento, il mais o la canna da zucchero e molto contestato dai gruppi ecologisti per questo motivo. I BactoBot dunque presentano un triplice vantaggio: in primo luogo producono biocarburante pulito e a basso costo; in secondo luogo riducono il carico inquinante dovuto alle deiezioni zootecniche, e, infine, liberano una buona parte della produzione dei cereali e dello zucchero dall’utilizzo insostenibile per produrre combustibile, per il loro scopo genuino di alimentazione umana e animale.

Sorge dunque una domanda spontanea: i digestori anaerobici sono destinati a sparire? Secondo noi assolutamente no! E spieghiamo il perché: un altro BactoBot è in grado di produrre metano direttamente da qualunque substrato organico. Questa tecnologia consentirà allora la costruzione di digestori molto più compatti ed efficienti nella degradazione delle biomasse residue agricole, assicurando la fornitura di metano alle nostre abitazioni.

Ma come funziona un BactoBot? Al pari di un robot, è composto da un"hardware" generico - adatto a più scopi (in pratica un batterio al quale è stato asportato il Dna), un "sistema operativo" (appunto il Dna del batterio che verrà ricodificato)- e da un "software" (i singoli geni che compongono il Dna, che vengono "accesi" o "spenti" dai biotecnologi allo stesso modo del linguaggio binario “1 e 0”).

Fig. 2: Aspetto esterno di un BactoBot
La figura 2 mostra la "carrozzeria" scelta per “fabbricare” i BactoBot. Si tratta di un batterio assolutamente innocuo, ma caratterizzato da una sorta di "peli", tecnicamente chiamati col nome latino pilus, che diventano molto utili per consentire una facile adesione ad una matrice inerte (solitamente nanotubi di carbonio), in modo da poter immobilizzare grandi quantità di individui all'interno del bioreattore. 

Quando si parla di organismi geneticamente modificati, insorgono sempre critiche e paranoie apocalittiche da parte di attivisti di ogni colore politico. Cosa succede se per qualche motivo si rompe un reattore e i BactoBot vanno a finire in un ambiente naturale? O se i terroristi riescono a impossessarsi di un campione con lo scopo di "pirateggiare" il Dna per fabbricare armi biologiche? Tutte queste ipotesi potrebbero accadere, ma senza incorrere in seri rischi per la collettività perché gli scienziati americani hanno già pensato e sviluppato una soluzione.

Per fare un’analogia con il mondo dei software più sofisticati, questi batteri sono impossibili da copiare perché per poter funzionare richiedono la presenza di una sorta di "chiavetta", per seguire l’analogia con il campo informatico. In altri termini, i BactoBot possono vivere solo se nel loro medio si trova - in una certa concentrazione prestabilita- una molecola (neutra e biodegradabile nell'ambiente naturale). Quella che funziona come chiavetta si chiama GeRM Key (Genetic rights management key, chiave di amministrazione dei diritti genetici) e la sua mancanza provoca la distruzione immediata sia del Dna che del Rna del BactoBot.



Da un articolo di Agronotizie - Mario Rosato

2014/02/14

Mistero


Andiamo idealmente a (ri)trovare alcuni personaggi scientifici del nostro pianeta che hanno avuto la possibilità di sperimentare l’antimateria o perlomeno qualcosa di simile.
Come è nel nostro costume, utilizziamo sempre le scoperte scientifiche innanzi tutto per fini militari e poi, se permesso, per scopi d’avanzamento della società civile. La scoperta dell’antimateria non si è sottratta alla regola e per fortuna non si è arrivati a livelli critici, pur essendo stata sempre considerata esclusivamente "raggio della morte".

Effettivamente c’è stato un antico progetto militare teso a realizzare un’arma capace di bloccare a distanza qualsiasi motore di automezzo e soprattutto di annientare truppe nemiche durante un conflitto. È mia opinione che questa nuova possibilità scientifica sia da attribuirsi alla genialità di Nicola Tesla, il quale si pronunciò in materia solamente verso la fine degli anni ’30 per calmare delle dicerie scaturite da alcune sue affermazioni. 

Nel 1938, nel corso di una cena offerta per il suo compleanno al New York Hotel, fu chiesto a Tesla se fosse stato in grado di produrre sulla Luna un fenomeno luminoso capace di poter essere osservato con un potente telescopio. Rispose di sì, precisando che alla prima fase lunare crescente vi avrebbe fatto comparire un fascio di luce rossa a dimensione di una stella, addirittura visibile senza telescopio. Non si tardò a spargere la voce che Tesla avesse inventato un raggio terribile, immediatamente battezzato "Raggio della Morte". Naturalmente lo scienziato smentì una simile applicazione ma le sue idee erano state verificate da altri personaggi già un po’ di tempo prima.

In questo campo probabilmente Harry Grindell Matthews, un eccentrico sperimentatore inglese, è stato il primo a comunicare la notizia al mondo. Nel 1924 egli dichiarò alla stampa di aver inventato un singolare raggio che riusciva a bloccare i motori in movimento. Aveva messo in pratica un congegno che probabilmente si basava sull’idea di Tesla di teletrasportare energia elettrica, attraverso un principio di fisica completamente nuovo. Era chiaro che un simile apparato sarebbe stato in grado di produrre effetti nocivi assai elevati. La scoperta di Grindell Matthews, nato nel 1880 e educato nel College Merchant Vensures di Bristol, fu mostrata in pubblico. 

Produceva un raggio invisibile che, oltre alla proprietà di arrestare i motori a scoppio, poteva far esplodere a distanza delle polveri, far saltare in aria le cartucce, portare all’incandescenza il filamento di una lampadina elettrica senza che in essa circolasse altra corrente, uccidere insetti o piccoli animali che rimanevano stecchiti dopo pochi secondi d’esposizione. Matthews chiedeva addirittura a uno spettatore di mettere in moto un motociclo a diversi metri da lui, puntava il suo strumento verso il motore ed immediatamente s’arrestava. Inoltre se la moto stava sul cavalletto, allontanando la direzione del raggio, questa riprendeva regolarmente a funzionare.

Era logico pensare che con armi di questo tipo, le guerre dovessero essere svolte molto diversamente. Per la verità non ce ne sarebbero più state poiché la nazione che avesse avuto un simile armamento, avrebbe vinto qualsiasi battaglia sul nascere.
Il destino volle che Grindell Matthews e la sua macchina globale non avessero successo. In Inghilterra c’era stato l’interessamento del Ministro dell’Aviazione che non fu convinto da quest’invenzione tanto che la bocciò. Ciò probabilmente dipese dal fatto che la macchina avesse una portata di circa 18 metri per arrestare i motori e produrre tante altre cose. Nacque pure il dubbio della mistificazione. L’unica cosa concreta che la macchina "rivoluzionaria" aveva causato al suo scopritore fu una grande lesione che si procurò a un occhio, frutto dei potenti raggi misteriosi e a nulla valse il ricovero presso una famosa clinica oculistica di New York nel Luglio del 1924. 

Nel Marzo del 1925 ritornò in Gran Bretagna dove riferì che aveva venduto il suo brevetto agli Stati Uniti. Da quel momento, non si sentì più parlare di Grindell Matthews se non in sporadiche occasioni come quella in cui affermò di voler fare della pubblicità proiettando appositi fasci di luce sulle nuvole. Nel 1935 si venne a sapere che stava lavorando per il Governo Britannico in un bunker sotterraneo ed impenetrabile per realizzare la difesa della città di Londra da attacchi degli aerei nazisti. Morì nel Settembre 1941 nella cittadina inglese di Clydach. La storia ci ricorda che i nazisti bombardarono ripetutamente Londra con mezzi volanti del tipo V1 e V2, ma dell’intervento del raggio mortale non si ebbe alcuna notizia, tanto che la città fu seriamente devastata.


Un altro grande personaggio che arrivò a costruire un sistema capace di generare il famigerato "raggio della morte" fu l’italiano Guglielmo Marconi, la cui figura è stata ripetutamente al centro di discussioni e critiche. Innegabile è tuttavia il suo valore di sperimentatore entusiasta, dotato di grande intuito. Il Marconi che tutti conosciamo è passato alla storia come l’inventore della radio, un mezzo che ha letteralmente modificato il modo di vivere dei terrestri. Marconi ebbe, infatti, una grandissima intuizione e una gran fede nell’avvenire mondiale della radio, sin dai primi anni dalla sua scoperta. Invenzione che, in effetti, è da attribuire a Nikola Tesla, come stabilito dal tribunale di New York di recente. 

Nel 1933 Marconi eseguì altre prove di trasmissioni in radiotelegrafia e radiotelefonia per mezzo di microonde. Egli utilizzò la radio come mezzo curativo per combattere batteri e malattie virali. A complicare gli anni più intensi della sua vita, vale a dire gli anni trenta, per Marconi furono alcune intuizioni incredibili: la televisione, l’antigravità, la captazione di voci dal passato ma soprattutto il raggio della morte. Il "raggio della morte" è stato una cosa seria che è passato alla leggenda, anche se avvolto da forti dubbi ancora oggi non chiariti. Una fonte autorevole d’informazione però è esistita, della quale rimane un’autobiografia. Si tratta di Rachele Mussolini, la moglie del Duce, che nel suo libro "Mussolini Privato" descrive un importante esperimento condotto verso la fine del mese di Giugno 1936 sulla strada che da Roma conduceva a Ostia.

"Verso la fine di Giugno di quello stesso anno, Benito Mussolini ebbe nuovamente la possibilità di cambiare il corso degli eventi: Guglielmo Marconi aveva messo a punto un’invenzione rivoluzionaria. Con l’aiuto di un raggio misterioso, poteva interrompere in circuito elettrico dei motori di qualsiasi tipo di veicolo, che funzionassero con un magnete. In altre parole, poteva fermare a distanza automobili e motociclette. Poteva abbattere anche gli aerei. Anche a me capitò, in quei giorni, di vivere una stranissima avventura. 

Ho parlato di proposito di "avventura vissuta" perché, senza volerlo, io stessa mi trovai testimone di una prova del raggio mentre ero nella mia automobile. Quel giorno, a pranzo, avevo detto a Benito che nel pomeriggio mi sarei recata a Ostia per controllare dei lavori che stavano facendo in una piccola proprietà agricola. Mio marito aveva sorriso e mi aveva risposto: "Trovati sull’autostrada Roma-Ostia fra le tre e le tre e mezza. Vedrai qualcosa che ti sorprenderà...". Verso le tre, dunque, lasciai Villa Torlonia, la nostra residenza nella capitale, per recarmi in automobile a Ostia, come previsto. Ero sola con l’autista, un poliziotto in borghese dei servizi di sicurezza. 

Durante la prima parte del percorso, tutto andò bene. Sull’autostrada, benché fosse in funzione già da parecchi anni (dal 1929 o dal 1930, credo), non c’era molto traffico: in quel periodo non tutti potevano permettersi un’automobile. Eravamo a circa metà strada, quando il motore si fermò. L’autista scese brontolando, e infilò la testa nel cofano della macchina. Frugò, avvitò, svitò, riavvitò, soffiò dentro certi tubi: niente da fare. Il motore non voleva ripartire. Un’altra automobile, che marciava nella nostra stessa direzione, si fermò poco più avanti. Il conducente scese e andò anche lui a mettere il naso nel motore. Poi, come succede dappertutto in casi simili, si mise a discutere col suo compagno di sventura, cioè col mio autista. Qualche centinaio di metri più avanti, ma nel senso contrario, altre automobili si erano fermate, e anche delle motociclette. Ero sempre più incuriosita e ripensai a quello che mi aveva detto mio marito a pranzo. 

Guardai l’orologio: erano le tre e dieci. A dir la verità, non ci capivo niente, ma una cosa era certa: attorno a noi, in entrambi i sensi dell’autostrada Roma-Ostia, per alcune centinaia di metri, tutto ciò che funzionava a motore era in panne. Ci potevano essere una trentina di veicoli, di tutti i tipi: non uno che funzionasse. Chiamai l’autista e gli dissi: "Aspettiamo fino alle tre e mezza. Se l’auto non vorrà ripartire, chiameremo un meccanico". "Ma, Eccellenza, sono solo le tre e un quarto! Perché dobbiamo aspettare fino alle tre e mezza, se riesco a trovare prima il guasto?". "Certo... certo". Alle tre e trentacinque gli chiesi di riprovare. Beninteso, il motore ripartì al primo colpo. Gli altri conducenti che si trovavano vicini a noi, vedendo la nostra automobile ripartire, fecero la stessa cosa: tutto funzionava come se niente fosse accaduto... La sera a cena, notando che mio marito mi osservava con un sorrisetto, gli raccontai la storia della panne collettiva, suscitando la curiosità e le domande di tutti. Vittorio e Bruno, che erano piloti, parlavano in termini tecnici, specialmente Bruno che era esperto di motori. 

Secondo Romano e Anna Maria, invece, io avevo sognato. Nessuno trovava una spiegazione a questo mistero. Infine mio marito disse: "La mamma ha ragione. Questo pomeriggio hanno fatto un esperimento in alcuni punti dell’autostrada Roma-Ostia. Lei stessa ha visto i risultati". Detto questo, mio marito smise di parlare e non volle più rispondere a nessuna domanda... Appena fummo soli, mi disse: "Sai, Rachele, questo pomeriggio hai assistito a un esperimento segretissimo. È un’invenzione di Marconi che può dare all’Italia una potenza militare superiore a quella di tutti gli altri paesi del mondo". 

E mi spiegò, grosso modo, in che cosa consistesse questa scoperta che alcuni, aggiunse, avevano chiamato il "raggio della morte". "Il raggio - precisò - è ancora in fase sperimentale. Marconi sta continuando le ricerche. Come puoi bene immaginare, se riuscirà a realizzarla, l’Italia avrà in mano, in caso di guerra, un’arma tale da bloccare ogni movimento del nemico e praticamente renderci invincibili". Mi mancava il respiro. Sapevo di cosa era capace Guglielmo Marconi... Quattro anni dopo eravamo in guerra. Il "raggio della morte" avrebbe potuto cambiare il nostro destino se l’Italia lo avesse posseduto. Ma, purtroppo, le cose si erano avviate per un’altra strada. Sua Santità Pio XI, terrificato da questa scoperta e dall’enorme portata che poteva avere, chiese a Marconi di non proseguire le ricerche e, se possibile, addirittura distruggere i risultati già acquisiti. Marconi, che era molto affezionato a Benito ed era un sincero fascista, gli aveva fedelmente riferito il colloquio con il Papa e gli aveva chiesto che posizione doveva prendere di fronte al caso di coscienza che si poneva alla sua fede di cattolico. Benito non voleva rendersi nemico il Papa della Conciliazione né andar contro agli scrupoli religiosi di Marconi. Inoltre il mondo era in cerca di pace e non di guerra e le ricerche di Marconi erano costosissime. Optò quindi per autorizzare la sospensione delle ricerche, ma non la distruzione della scoperta. L’anno dopo, il 1937, Marconi improvvisamente morì..."

Effettivamente Marconi ebbe rapporti molto stretti col Vaticano, non solo per aver istallato la prima stazione radio nell’Aprile del 1933 ma soprattutto per aver ottenuto nel 1929 l’annullamento del suo matrimonio dalla Sacra Rota. All’epoca questo fatto rappresentò un evento clamoroso per l’opinione pubblica e perciò fu sempre riconoscente e disponibile nei confronti del Papa. A parte questi retroscena, all’epoca si misero in circolazione notizie preoccupanti su questo raggio della morte. Si affermò che in un pascolo dei castelli romani, dove lavoravano ricercatori dell’Università di Pisa, fu trovato stecchito un intero gregge di pecore. Si disse poi che nella maremma toscana vennero fermati i motori di due aerei in volo e che altri due aeroplani senza piloti a bordo fossero esplosi in un impressionante bagliore di luce.
Lo stesso Duce del resto lo confermerà il 20 Marzo 1945 al giornalista Ivanoe Fossati, che lo intervistò nell’isoletta di Trimellone, sul lago di Garda, di fronte a Gargnano: "È vero, sulla strada di Ostia, nei pressi di Acilia, Marconi ha fermato i motori delle automobili, delle motociclette, dei camion. L’esperimento fu ripetuto sulla strada di Anzio. A Orbetello, apparecchi radiocomandati furono incendiati a oltre duemila metri d’altezza. 

Marconi aveva scoperto il raggio della morte. Sennonché egli, che negli ultimi tempi era diventato religiosissimo, ebbe uno scrupolo di carattere umanitario e chiese consiglio al Papa, e il Papa lo sconsigliò di rivelare una scoperta così micidiale. Turbatissimo, venne a riferirmi sul suo caso di coscienza. Io rimasi esterrefatto. Gli dissi che la scoperta poteva essere fatta da altri ed utilizzata contro di noi, contro il suo popolo quindi, e che io non gli avrei usato nessuna violenza morale, preferendo che risolvesse da solo il proprio caso di coscienza, sicuro che i suoi sentimenti d’italiano avrebbero avuto il sopravvento. Pochi giorni dopo Marconi ritornò e sul suo volto erano evidenti i segni della tremenda lotta interiore tra i due sentimenti, il religioso e il patriottico. Per rasserenarlo, lo assicurai che il raggio della morte non sarebbe stato usato se non come estrema soluzione. Avevo ancora fiducia di poterlo convincere dell’assurdità dei suoi dubbi. Infatti lo scienziato non è responsabile del cattivo uso che si può fare della sua invenzione. Invece Marconi moriva improvvisamente, forse di crepacuore. Da quel momento temetti che la mia stella cominciasse a spegnersi...".
Ufficialmente nessuno riuscì a penetrare nelle segrete conoscenze di Guglielmo Marconi, nemmeno i nazisti che credettero che il famigerato "raggio della morte" non poteva essere che la scoperta del radar.

C’è stato però un altro ricercatore che ha conosciuto il Guglielmo Marconi segreto. Il suo ruolo è stato quello di aiutante nascosto, o per meglio dire non ufficiale, di un collaboratore silente ma prolifico d’idee e di sperimentazioni. Questo signore si chiama Pier Luigi Ighina.


l’atomo magnetico che è stato fotografato nel laboratorio di Pier Luigi Ighina nell’anno 1940, per mezzo di un microscopio atomico, con ingrandimento di un miliardo di volte.
Nella foto dell'atomo magnetico si vedono i cinque canaletti d’atomi assorbenti che servono a frenare l’atomo magnetico; nel centro si nota la dilatazione prodotta dalla pulsazione dell’atomo stesso.
Ognuna di queste pulsazioni produce e lancia attorno all’atomo magnetico un’energia, che nella foto è raffigurata dal sottile circoletto luminoso attorno all’atomo centrale. Il circoletto luminoso si espande a sua volta tanto da formare un circolo più grande così fino all’esaurimento della sua pulsazione. Il susseguirsi dei circoletti generati dalle pulsazioni produce l’adagiamento dei circoletti stessi uno sempre più vicino dell’altro, come a coprire e nascondere completamente, come uno scudo protettivo, l’atomo centrale. Quest’atomo è il più piccolo di tutti gli altri atomi e per legge atomica più piccolo è l’atomo più veloce è la sua pulsazione. Esso è quello che imprime a tutti gli altri atomi il loro movimento diventando così promotore di essi. (Informazioni riprese dal libro: "La scoperta dell’atomo magnetico" di P.L.Ighina).

Tornando al concetto di monopolo, ho chiesto direttamente a lui spiegazioni più dettagliate. Il signor Ighina ha così risposto:
"Il monopolo è il principio positivo o negativo dell’energia solare. L’energia solare è la parte principale della polarità; bloccandola e riflettendola, diventa negativa. L’energia solare arriva sulla Terra, viene bloccata e riflessa e quindi diventa energia terrestre. Dall’interazione dell’energia solare con quella terrestre si produce materia. Tutto qui. Semplice no?"
Ho chiesto poi come avevano, lui e Marconi, applicato la conoscenza sul monopolo. La risposta è stata immediata e scioccante:

"Difatti Marconi è morto per quello. Io ero dal ’36 che abitavo già qui a Imola. Glielo avevo detto: 'Mi raccomando Guglielmo, telefona se hai bisogno di fare qualche esperimento, mi raccomando...'. Lo avevo già salvato due volte. In una stavo per rimetterci la pelle anch’io. Perché lui adoperava i monopoli con facilità. E i monopoli cosa fanno? Fanno la scomposizione della materia sulla materia stessa. Lui ha fatto l’esperimento e c’è rimasto. Si, effettivamente aveva messo lo schermo magnetico, ma non era sufficiente. Quando sono andato a Roma a vederlo nella bara, ho notato che egli aveva sotto la pelle come degli gnocchetti neri. Allora ho capito che era morto perché non era più circolato il sangue. I medici avevano detto che aveva una cosa nel cuore, come la chiamano loro? Boh... Tutti dicevano che Marconi era morto di Angina Pectoris..."

Detto questo, egli ha continuato con la sua spiegazione:
"Ho portato avanti tutto quello che Marconi mi ha lasciato. I monopoli, la composizione della materia, le lumache, ecc.. Ho ripetuto tutto quello che mi diceva quando era vivo." Ighina mi ha spiegato poi che la materia è tenuta insieme dalla colla magnetica. Le due energie, solare e terrestre, producono la colla magnetica. Quindi la differenza sostanziale tra due materie di diversa natura consiste nel possedere più o meno energia. È come il cemento. Se nell’impasto si mette molto cemento, la materia diventa più dura; se ne viene messo poco allora si ottiene una materia morbida. Mi è nata spontanea, a questo punto, una domanda sulle energie nucleari, come tutte le energie elettromagnetiche, generate dalla nostra società attuale possono causare danni irreparabili.

Ighina, con la massima cortesia, ha dato la seguente risposta:
"Non è che disturbano. Dunque... la colla magnetica è formata da due energie, come dei fili invisibili che sono nell’aria. Se questi fili invisibili sono perturbati in continuazione da qualsiasi altra sostanza come i campi magnetici, telefoni, energia nucleare e cose similari, creano continuamente della corrosione vale a dire vanno a distruggere il campo magnetico che è poi quello che crea la colla magnetica. Ciò produce lo scioglimento della materia."

Il Vortex

Ho potuto visitare il suo laboratorio e tutte le varie apparecchiature da lui costruite. È stato per me un incontro proficuo, ma ho avuto netta l’impressione che il signor Ighina avesse rivelato una minima quantità delle sue conoscenze e che non avesse voluto parlare assolutamente dei suoi più importanti esperimenti. L’ultima occasione è stata la visita nel suo giardino di una macchina capace di controllare le nuvole nel cielo. Mentre aspettavamo che il cielo si aprisse per effetto dell’energia sprigionata dalla macchina attraverso le sue due pale rotanti, Ighina mi ha raccontato molti fatti, molti aneddoti sulla sua lunga sperimentazione. Mi ha infine fatto notare che sotto il terreno di sua appartenenza ha sepolto diversi quintali di polvere d’alluminio per trasformare il prato in un grande monopolo magnetico. Ho potuto dedurre poi che i suoi studi, effettuati nella collaborazione con Guglielmo Marconi, hanno portato alla seguente considerazione: unendo o separando i monopoli si può comporre o scomporre la materia.
Questi due ricercatori hanno però scelto diverse strade per promuovere le scoperte suddette. Marconi si è inserito nella logica terrestre e non si è potuto esimere dall’influenza del potere politico, economico, militare e religioso. Ighina invece è rimasto nell’ombra, consapevole che se l’umanità avesse cambiato la sua logica di vita, poteva tranquillamente esprimere le proprie conoscenze per il benessere dell’umanità stessa.

La morte misteriosa di Marconi innescò un’altra leggenda che lo volle in Sud America insieme con altri 98 scienziati (incluso il suo fedelissimo Landini) per costruire una città segreta nel cratere spento di un vulcano situato nella giungla nel sud del Venezuela. Marconi, del resto, aveva lasciato un filone di studio che, nonostante le varie situazioni contingenti, si basava sull’amore per la natura. Egli desiderava che l’uomo seguisse gli insegnamenti dei Maestri e si sforzasse di capire Madre Natura e le sue esigenze. Se questo si realizzasse, sicuramente non ci sarebbero più catastrofi e il pericolo della scomparsa della vita sulla Terra. Nikola Tesla si trovò nella stessa condizione di Marconi, ma anche lui non cedette alle lusinghe del potere. Per puri scopi propagandistici le dicerie su raggi d’ogni genere si diffusero durante la seconda guerra mondiale ed anche dopo. Ciò non toglie che alcuni scienziati avessero intuito e probabilmente realizzato veramente qualcosa che avrebbe potuto cambiare definitivamente il corso della storia. Emerge però che nei quattro personaggi citati la loro coscienza abbia evidenziato il fatto che l’uomo non era ancora in grado di usufruire una generosa sorte e perciò ognuno di loro ha trovato un rimedio adeguato per non diffondere una probabile arma globale. Sono stati amanti della vita e naturalmente codesta invenzione doveva salvare l’umanità e non distruggerla.









2014/01/07

Il paradosso di Fermi


Il paradosso di Fermi è un paradosso che si dice sia stato proposto dal fisico Enrico Fermi nel contesto della probabilità di contattare forme di vita intelligente extraterrestre.

Il paradosso si riassume solitamente nella domanda "Dove sono tutti quanti? Se ci sono così tante civiltà evolute, perché non abbiamo ancora ricevuto prove di vita extraterrestre come trasmissioni di segnali radio, sonde o navi spaziali?". Estremizzando la questione, il problema diventa se noi esseri umani siamo la sola civiltà tecnologicamente avanzata dell'Universo. Questo problema viene usualmente posto come monito alle stime più ottimistiche dell'equazione di Drake, che proporrebbero un universo ricco di pianeti con civiltà avanzate, in grado di stabilire comunicazioni radio, inviare sonde o colonizzare altri mondi.

La situazione paradossale è dovuta al contrasto tra la sensazione, da molti condivisa e supportata da stime del tipo di quella di Drake, che noi non siamo soli nell'universo e il fatto che i dati osservativi contrastino con questa sensazione. Ne deriva che la nostra osservazione o comprensione dei dati deve essere errata o incompleta.

Nel 1950, mentre lavorava nei laboratori di Los Alamos, Enrico Fermi prese parte a una conversazione con alcuni colleghi, tra cui Edward Teller, mentre questi si recavano a pranzo. La conversazione verteva su un recente avvistamento di UFO riportato dalla stampa, su cui ironizzava una vignetta satirica. La conversazione si protrasse su vari argomenti correlati, finché improvvisamente, durante il pranzo, Fermi non esclamò "Where are they?" (trad. "Dove sono?").

Possibili soluzioni (qui ne elenco qualcuna, per altre ipotesi rimando alla lettura di "If the Universe is Teeming with Aliens...Where is everybody?" di Stephen Webb)

Siamo soli

La soluzione più semplice è che la probabilità che la vita si evolva spontaneamente nell'universo e si evolva fino a produrre una civiltà evoluta sia estremamente bassa.

Molti sono gli elementi contemporaneamente necessari perché la vita come la intendiamo noi, basata sul carbonio, possa evolversi su un pianeta. Fattori astronomici, come la posizione all'interno della galassia, l'orbita percorsa dal pianeta intorno alla sua stella centrale e la tipologia di quest'ultima, la sua ellitticità e l'inclinazione dell'orbita, nonché la presenza di satelliti naturali delle caratteristiche della Luna, sono tutti fattori determinanti alla predisposizione alla vita. L'attuale nascita della vita, lo sviluppo di forme di vita intelligente e quindi di civiltà richiede che molte altre coincidenze siano verificate. Gli studi sul nostro Sistema Solare sembrano confermare l'eccezionalità della vita sulla Terra.

Questa tesi può essere contestata sostenendo che la vita non debba necessariamente essere come la osserviamo sulla Terra, ma possa evolversi in condizioni differenti, e che non debba necessariamente basarsi sul carbonio. Molta dell'incertezza deriva dal fatto che i meccanismi che portano alla nascita della vita sono ignoti e quindi è molto difficile, se non impossibile, stimarne la probabilità. Tuttavia l'occorrenza della vita è ritenuta un evento poco probabile anche da parte di alcuni sostenitori dell'esistenza di civiltà aliene; per scavalcare questo problema costoro hanno formulato l'ipotesi della panspermia, la quale sostiene che la vita possa diffondersi facilmente attraverso l'universo o addirittura, nella forma sostenuta da Francis Crick, che possa essere deliberatamente diffusa da civiltà tecnologicamente evolute.

Le civiltà evolute hanno breve durata

Un parametro dell'equazione di Drake è la durata media delle civiltà tecnologicamente evolute. Drake stimò una durata di 10.000 anni (da quando ha iniziato a poter comunicare con onde radio).

Le cause della scomparsa di una civiltà possono essere sia naturali che culturali. Se una civiltà tende naturalmente a annientarsi, è solo questione di tempo perché inventi i mezzi necessari. L'unico dato osservativo disponibile è che la nostra civiltà dispone da decenni dei mezzi necessari, ma per ora è sopravvissuta. Anche in questo caso è difficile dire quanto la lotta gerarchica, l'aggressività, e l'autoritarismo, elementi del militarismo, siano prerogative della razza umana o siano costanti universali intrinsecamente legate all'evoluzione o all'organizzazione politica degli individui intelligenti. Si consideri che non è necessaria una distruzione totale della specie, ma è sufficiente una involuzione a livelli primitivi dei sopravvissuti per sottrarre la civiltà alla lista di quelle in grado di comunicare. Anche eventi catastrofici di tipo naturale possono considerarsi come gravi pericoli per un pianeta vivo: l'impatto di una cometa, di un asteroide, l'eruzione di un supervulcano o l'alterazione delle condizioni climatiche sono tutte minacce alla vita sulla Terra. Sappiamo che la Terra è stata più volte bersaglio di eventi catastrofici, che hanno causato diverse estinzioni di massa (la più nota nell'opinione pubblica è quella dei dinosauri). Eventi di questo tipo sarebbero prevedibili da una civiltà anche più arretrata della nostra, ma difficilmente rimediabili o prevenibili.

Il problema con questa tesi è che non esiste un campione statisticamente valido con cui poter stimare il parametro di durata media di una civiltà tecnologicamente evoluta. Infatti estrapolare tale valore dalle informazioni relative alla nostra esistenza, oltre a non essere statisticamente sensato, vizia il risultato con un effetto di selezione.

Piccola parentesi per i fumettologi: questa tesi è stata anche sostenuta nei fumetti della serie Marvel Ultimate, in cui Reed Richards, membro dei Fantastici 4, sostiene che le civiltà aliene si estinguano a causa dell'arrivo di Galactus (Gah Lak Tus), se non erro nella saga Ultimate Nightmare oppure in Ultimate Secret.

Esistono ma sono troppo lontane

L'universo è estremamente vasto. Prendendo come riferimento la velocità della luce, essa impiega oltre 2 milioni di anni solo per arrivare alla galassia più vicina. È dunque possibile che esistano diverse civiltà evolute e desiderose di comunicare, ma isolate dalle enormi distanze intergalattiche. Questa soluzione però implica che probabilmente siamo soli nella nostra galassia, in contrasto con le stime meno pessimistiche dell'equazione di Drake, che ipotizza l'esistenza di 600 civiltà evolute. Una forma corretta di questa tesi afferma che le civiltà aliene sono attualmente troppo lontane, ovvero che esistono civiltà relativamente vicine, ma che non hanno ancora intrapreso o hanno intrapreso da poco esplorazioni o comunicazioni spaziali.

Ma anche questa ipotesi non è del tutto soddisfacente: infatti se il principio di mediocrità deve essere applicato per postulare l'esistenza di altre razze aliene, deve essere applicato anche per scartare posizioni temporali speciali nella storia della galassia, come sarebbe quella dell'inizio della colonizzazione galattica.

Esistono ma non comunicano o non vogliono comunicare

Ancora più complesso è ipotizzare quale sia la probabilità che una prima forma di vita biologica possa evolversi fino a creare una specie autocosciente e desiderosa di comunicare. È possibile che nell'universo esistano molti corpi celesti ospitanti una forma di vita, ma su pochissimi questa si sia evoluta in una civiltà tecnologica. Inoltre anche se una civiltà sviluppa i mezzi adatti, non è detto che abbia l'idea o il desiderio di cercare di comunicare con altri mondi, magari o perché non ci considerano degni (potrebbero considerare la nostra una civiltà troppo guerrafondaia che mal reagirebbe a un contatto con loro) o hanno paura di noi o comunque perché forse pensano che un contatto diretto possa nuocere a noi o a loro o semplicemente non hanno mai sviluppato l'idea dell'esistenza di altre civiltà con cui comunicare.

Tuttavia concepire una razza aliena come un'unica entità non è soddisfacente: se pure la civiltà o razza aliena nel suo complesso fosse disinteressata, timorosa o non desiderosa di comunicare con altre civiltà, ciò non preclude che al suo interno debbano esistere individui o gruppi di individui che siano desiderosi o interessati a comunicare.

Non siamo in grado di ricevere le loro comunicazioni

Tutti i nostri attuali tentativi di inviare o ricevere comunicazioni con altri mondi si sono basati sull'utilizzo di onde elettromagnetiche. Così come prima dell'epoca di Guglielmo Marconi non avremmo neppure immaginato di usare questo mezzo, così potremmo non essere neppure in grado di immaginare le tecniche usate da civiltà radicalmente diverse dalla nostra. Alcune tecnologie teorizzate potrebbero essere basate sui neutrini, le onde gravitazionali o la correlazione quantistica. Vi è da aggiungere che tali tecnologie di comunicazioni teorizzate sono molto opinabili sulla base delle conoscenze scientifiche attuali, in particolare utilizzare la correlazione quantistica per trasmettere informazioni contrasta con un ben assodato teorema della meccanica quantistica. La trasmissione mediante onde gravitazionali o neutrini, non pone obiezioni di carattere teorico, ma richiederebbe delle civiltà con a disposizione una quantità di energia paragonabile a quella contenuta in larga parte dell'Universo. Attualmente vi sono in funzione in alcuni laboratori rivelatori di neutrini e di onde gravitazionali in grado di misurare tali ipotetici segnali se particolarmente intensi. Si può comunque ipotizzare che una civiltà attraversi diverse fasi di evoluzione tecnologica, passando anche per le relativamente facili onde elettromagnetiche. È ragionevole ritenere che scienziati di questa civiltà siano in grado comunque di ricevere e decodificare segnali radio, anche se per loro ormai obsoleti.

Rimanendo nel campo delle onde radio dobbiamo tenere in considerazione il problema della velocità della luce. Le microonde da noi emesse da quando si è sviluppata la televisione, si stanno ancora allontanando da noi alla velocità della luce in tutte le direzioni. Il raggio in anni luce della sfera entro la quale queste informazioni sono ricevibili coincide numericamente con il periodo in anni dal quale le trasmissioni sono iniziate. Nel caso della Terra questo valore è quindi di circa 50 anni luce. La tendenza a ottimizzare le trasmissioni per ragioni economiche, come nel caso della televisione digitale o dei telefoni cellulari, focalizzandole in fasci di microonde e sopprimendo la portante, fa sì che i segnali trasmessi siano meno distinguibili dallo spazio.

I critici di questa soluzione fanno notare che se una civiltà aliena volesse comunicare, utilizzerebbe dei segnali facilmente riconoscibili come tali, come per esempio una modulazione con portante. Se tale civiltà intendesse usare segnali di difficile ricezione per evitare di comunicare con altre civiltà più arretrate o diverse, si ricadrebbe nel caso precedente. Inoltre alcuni dei mezzi di comunicazione proposti, alternativi alle onde elettromagnetiche, o sono speculazioni teoriche o sono già rilevabili con la tecnologia terrestre.

Chiaro no?

E tu che opinione hai? Parliamone!

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Equazione di Drake

L'equazione di Drake è il risultato di un ragionamento speculativo sulla possibile esistenza e numero di civiltà evolute extraterrestri.


L'equazione fu proposta nel 1961 dall'astronomo Frank Drake come tentativo di stimare il numero di civiltà extraterrestri evolute presenti nella nostra galassia, con le quali potremmo pensare di entrare in contatto. Il problema più impegnativo per la ricerca è ora di determinare i fattori che figurano nell'equazione.


La formula è la seguente:


 


In cui: 


N è il numero di civiltà extraterrestri evolute presenti oggi nella nostra Galassia

R* è il tasso medio di formazione stellare nella Via Lattea
fp è la frazione di stelle che possiedono pianeti
ne è il numero di pianeti per sistema solare in condizione di ospitare forme di vita
fl è la frazione dei pianeti ne che ha effettivamente sviluppato la vita
fi è la frazione dei pianeti fl su cui si sono evoluti esseri intelligenti
fc è la frazione di civiltà extraterrestri in grado (e con la volontà) di comunicare
fm è la frazione di civiltà in grado di raggiungere e colonizzare più pianeti (non sempre considerata)
L è la stima della durata di queste civiltà evolute

La determinazione dei parametri è molto difficile e in genere mancano molte informazioni necessarie a una stima anche approssimativa.


I valori scelti inizialmente da Drake e collaboratori sono:


* R* = 10 per anno

* fp = 0,5
* ne = 2
* fl = 1
* fi = fc = 0,01
* L = 10.000 anni.

Il valore R* (tasso di formazione stellare) è quello meno incerto. Anche fp (stelle con pianeti) è relativamente meno dibattuto quindi è possibile iniziare a dare un valore anche grazie alle prime osservazioni di pianeti extrasolari a partire dagli anni ottanta. Gli esobiologi possono tentare di fornire un valore per ne e fl ma ci sono dubbi sulle tipologie di stelle che possono offrire condizioni adatte per lo sviluppo della vita. È necessaria l'emissione di una certa quantità di radiazione ultravioletta perché la vita possa avere inizio, mentre la presenza di raggi X è dannosa. Secondo alcune ipotesi la vita è più ubiquitaria di quanto possa apparire (vedi panspermia) e il valore di fl può essere elevato.


fi, fc e L sono ben più difficili da proporre. È possibile che l'evoluzione della nostra civiltà sia avvenuta in seguito a una precisa combinazione di eventi, difficilmente ripetibile. La durata di vita di una civiltà può essere limitata dalla possibilità di autodistruzione o da eventi naturali catastrofici, quali l'alterazione del clima o l'impatto di meteoriti. Drake ipotizzò una stima minima di 10 anni, ovvero all'epoca il periodo di tempo dal quale l'umanità aveva iniziato a inviare segnali radio nel cosmo (in particolare involontariamente con la televisione). Per lo stesso motivo oggi si può ragionevolmente indicare un periodo di 50 anni.


Applicando i parametri inizialmente adottati da Drake si ottiene un valore di N = 10. In seguito egli dichiarò che tali parametri erano troppo riduttivi e giunse al valore finale N = 600.


Altre stime dei parametri, altrettanto plausibili, danno risultati molto più grandi. Per esempio, posto R* = 20/anno, fp = 0.1, ne = 0.5, fl = 1, fi = 0.5, fc = 0.1 e L = 100.000 anni, si ottiene N = 5.000.


Valori più pessimistici danno valori di N minori di uno, cosa che non può essere valida per la nostra Galassia in quanto in essa esiste almeno una civiltà tecnologica (la nostra). In questo caso, riconciliare il dato con le osservazioni porterebbe alla conclusione che la maggior parte delle galassie sono vuote.


Le stime più ottimistiche si scontrano però con il paradosso di Fermi, ovvero se esistono tante civiltà in grado di contattarci, perché questo non è ancora avvenuto?


L'unico valore di N dato dalle osservazioni è N=1, ovvero che la nostra civiltà è l'unica a noi nota.