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2013/03/09

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2013/03/08

8 Marzo

Mie colendissime lettrici e non di meno eccellentissimi lettori, consentitemi di esprimere un parere, un dolente parere, a proposito della Giornata della Donna.  Mi direte che sono fuori tempo, che la Festa anzi la Giornata Internazionale della Donna era ieri e che mi sono dimenticato di parlarne il giorno prima. Ebbene avete ragione anche se io intendevo, non già festeggiare la donna in quanto tale, ma ricordare all'uomo, casomai se ne fosse dimenticato, che l'altra metà del cielo non è sua ma della donna. E comunque non era dimenticanza, ma decisione e intenzione, e aggiungiamoci caparbietà che spesso mi distingue, di pubblicare il giorno dopo un articolo scritto il giorno prima,  sapete perchè?

Prima io volevo leggermi tutte le promesse, le speranze, i proclami, le proteste, le conferenze, le manifestazioni, gli scioperi, i cortei, i programmi alla tivù e finanche alla radio e tutti i numeri che i media, le istituzioni, la polizia, le associazioni di categoria, le ong, i centri antiviolenza e finanche la Chiesa, rendono pubblici ogni anno lo stesso giorno, per raccontarci la Giornata Internazionale della Donna. Sempre le stesse frasi, sempre le stesse promesse, anche se alla fine, i numeri, quelli cambiano ma sono terribili, aumentano sempre e non diminuiscono mai. 

Un po' di storia

Il Woman’s Day nasce degli Stati Uniti a febbraio del 1909, le premesse non sono quelle di oggi, erano altre, piccole forme, se vogliamo, di violenza nei confronti delle donne.
Al tempo la donna rivendicava le fosse riconosciuto un posto nella società e quindi il diritto al voto. Come sappiamo non tutte le nazioni aderirono alle varie proposte, ancora oggi la donna non ha diritto di voto in alcune nazioni islamiche, non ha diritto di parola, non hanno alcun diritto salvo quello di mettere al mondo la prole che poi diventa un dovere e accudirla. Quasi quanto le bestie con la sola differenza che quelle alla fine si macellano per farne cibo e la donna resta schiava per tutta la vita fino allo sfinimento totale.

Torniamo dunque al Woman’s Day americano. Al tempo del Settimo Congresso dell’Internazionale socialista, tenutosi a Stoccarda nel mese di agosto del 1907 vennero discusse varie tesi fra le altre anche sulla questione femminile e sulla rivendicazione del voto alle donne. Proprio su quell’argomento il Congresso votò una risoluzione nella quale i partiti socialisti si impegnavano a lottare per l’introduzione del suffragio universale delle donne, ma esclusero a priori qualsiasi alleanza con le femministe borghesi che anche esse reclamano il diritto di suffragio. Come potete vedere già da allora i distinguo politici più che umani, scavavano un profondo solco fra le classi sociali non afferrando per intero il concetto, cioè la donna doveva ottenre il suffragio, in quanto tale e non perchè socialista o povera oppure operaia escludendo altre categorie.  

Mi sembra chiaro che non tutti condivisero la decisione di escludere ogni alleanza con le femministe borghesi. Negli Stati Uniti, nel 1908, si scrisse che il Congresso Socialista non aveva alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione. Corinne Brown fu chiamata a presiedere, il 3 maggio 1908 la conferenza tenuta dal Partito socialista di Chicago, a cui tutte le donne erano invitate. Tale conferenza fu chiamata “Woman’s Day”, il giorno della donna. Nel corso di quella conferenza si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto. In seguito il Partito Socialista americano raccomandò a tutte le sezioni locali di riservare l'ultima domenica di febbraio a partire dal 1909 per l'organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile.

Tralasciamo il resto della storia e, con un bel salto degno di qualche campione olimpionico di salto in lungo, molto lungo, attraversiamo l’oceano e atterriamo in Europa, per la precisione nella Russia zarista ma ancora per poco. A San Pietroburgo, l'8 marzo 1917 le donne guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra. Per questo motivo, e anche a seguito della caduta dello zarismo e con l’intento di fissare un giorno comune a tutti i Paesi, nel 1921 la seconda conferenza internazionale delle donne comuniste fissò all'8 marzo la “Giornata Internazionale dell'Operaia” divenuta in seguito la festa della donna, pardon, la “Giornata Internazionale della Donna”.

Come nasce il giorno della donna in Italia? Innanzitutto va detto che da noi si ebbero le prime manifestazioni solo nel 1922 e come negli altri Paesi su iniziativa del partito comunista. In seguito, ma non vorrei continuare su questo binario, assunse quella connotazione a tutti nota. Non voglio continuare perchè ritengo che raccontare una volta di più come sia nata questa ricorrenza non indora la pillola. La donna, regina del nostro focolare, non ha raggiunto quella posizione a cui anelava. 

Oggi


Mi si dirà che, almeno nel mondo cosiddetto civile, almeno occidentale, la donna ha raggiunto i propri obbiettivi. 
Vorreste dire che adesso la donna vota? Una volta forse, parliamo di un secolo indietro, la donna anelava al diritto di voto per esprimere il proprio punto di vista e vedersi riconosciuti dei diritti e battersi per ottenerli. Ma il voto non risolve tutti i problemi.

La donna moderna, sempre la stessa regina del nostro focolare virtuale domestico, non ha raggiunto una completa parità con l’uomo, no, la donna viene ancora oggi considerata un essere inferiore, un gradino sotto a quello dell’uomo inteso come maschio, inteso come padre padrone di tutte le cose, moglie evidentemente compresa, o figlia o sorella e la lista sarebbe lunga. 
E questa proprietà, badate non parità, proprietà come se fosse un oggetto, il maschio la esprime in vari modi, non ultimo quello della violenza domestica. Leggo sul sito del D.i.RE. (Donne in Rete) che solo in Italia la violenza sulla donna non ha mai cessato di esistere, non è morta e sopolta, no, ancora viva e vegeta e tende a moltiplicarsi e assumere contorni da guerra santa. Peccato che di santo ormai non ci sia nulla, se non la speranza che tutto questo abbia fine prima o poi. Mi scaglio, è perfino evidente, contro una certa parte di persone, benpensanti solo a parole ma non nei fatti che ancora oggi picchiano le proprie mogli. Nel 2012 sono state oltre 14 mila le donne che hanno chiesto aiuto per interrompere situazioni di violenza. Le donne che nel 2012, si sono rivolte per la prima volta ad un centro antiviolenza sono state 9 mila, un numero elevato che conferma la diffusione del fenomeno della violenza sulle donne. Delle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza la maggioranza erano italiane (68,69%) sfatando lo stereotipo che la violenza sia più diffusa tra le donne straniere. 

Le violenze in ambito familiare sono le più diffuse (88,66%); i maltrattamenti a opera del partner costituiscono il 60,42%, mentre gli ex partner risultano essere il 19,36%, un dato che evidenzia come al momento della separazione c’è necessità di strategie di prevenzione di atti di violenza. 
Il 73,13% delle donne ha subìto violenza di carattere psicologico, nel 59,9% delle situazioni rilevate, le donne hanno riportato episodi di violenza fisica, nel 33,54% si è trattato di violenza economica. Il 15,64% delle donne ha subìto almeno un tipo di violenza sessuale, stupro e rapporti sessuali imposti, e il 13,27% delle donne sono state vittime di stalking. 
Infine resta alto il dato sui femminicidi per cui in Italia viene uccisa una donna ogni 2,5 giorni. Sono state infatti 124 le donne uccise nel 2012, e almeno 10 nei primi 60 giorni del 2013. Gli assassini son sempre gli stessi, mariti, partners o ex, parenti, persone con cui le donne vivono tutti i giorni. Le vittime sono italiane nel 69% dei casi, così come gli assassini 73%. Il 60% dei delitti è avvenuto nel contesto di una relazione tra vittima e autore, in corso o conclusa. Nel 25% dei casi le donne stavano per porre fine alla relazione o l’avevano già fatto. 
Vi rendete conto? È un bollettino di guerra questo, non un semplice resoconto di un anno che è trascorso, un anno di pace e di speranza come diceva il Papa Benedetto XVI che pure ha pensato bene di toglier il disturbo forse spaventato da questo mondo che per quanto si predichi il bene continua a peggiorare. Quante saranno le donne che realmente sono oggetto di violenze domestiche o di lavoro che non denunciano il proprio partner o datore di lavoro per paura di perdere tutto? Pensate che festeggiare l’8 Marzo risolva il problema? Assolutamente no, le statistiche lo dicono, la violenza sulle donne continua imperterrita nonostante le campagna sociali, le manifestazioni, le leggi promulgate per combattere queste deprecabili abitudini.

Sissignori, abitudini. Sono abitudini che l’uomo, il maschio ha appreso fin dalla tenera età, che ha assimilato vivendo in una famiglia ove il padre era violento, oppure se lo porta dietro nel proprio DNA da sempre e per sempre non resisterà alla tentazione.

La violenza contro le donne non si estirpa con quattro leggi o venti congressi sull’argomento, nossignori, bisogna partire da molto più lontano, da noi stessi per trovare quelle giuste motivazioni affinché questi aberranti comportamenti trovino fine.

Festa della donna tra violenze e mimose. 
Che senso ha festeggiare l’8 marzo?





2013/03/06

Le parole che non ti ho detto


Avete presente quel bellissimo film con Kevin Costner e Robin Wright protagonisti? 

No? Allora, va detto che il titolo è "Le parole che non ti ho detto" ma solo in Italia, perchè il titolo originale era "Message in a Bottle". In pratica Kevin Costner nella parte di Garrett Blake è un costruttore e riparatore di barche che, da quando sua moglie è morta, fa vita ritirata. Theresa Osborne interpretata da Robin Wright, è una ricercatrice del "Chicago Tribune", divorziata e con un figlio. Un giorno, mentre si allena facendo jogging, trova sulla spiaggia una bottiglia con un messaggio d'amore firmato "G". La donna resta colpita dal testo e, senza volerlo, fa nascere un caso giornalistico al punto di essere incaricata dell'individuazione del misterioso "G". Scopre Garrett e i due si innamorano ma qualcosa impedirà il lieto fine. 

Questa la sintesi, naturalmente la trama è più complessa. Ve la racconto:

Theresa Osborne (Robin Wright), è una ricercatrice al Boston Times, è stata lasciata dal marito, che ha preferito un'altra donna, e dedica la sua vita al figlio Jason e al  lavoro. Durante una vacanza, mentre corre lungo la spiaggia sola, il figlio si trova con il padre, trova una bottiglia con dentro una lettera toccante indirizzata ad una donna di nome Catherine. La tentazione di risalire all'autore è grande. Il direttore del Chicago Tribune ne fa un articolo, e tanti lettori scrivono al giornale per saperne di più. Con tenacia, Theresa arriva ad individuare una località, Outer Banks nella Carolina del Nord, e un nome, quello di Garret Blake.
L'autore della missiva è un fabbricante di barche che vive una solitaria esistenza accanto al padre Dodge. Viene a conoscenza che Catherine era la moglie di Garret, morta, lasciando in lui un senso di colpa senza fine. Garret è anche ossessionato dai parenti della moglie che rivorrebbero i quadri di lei, pittrice dilettante.
Tra i due nasce una corrisposta simpatia ma la figura di Catherine pesa come un macigno sul loro rapporto. Theresa torna a Chicago e invita Garret a raggiungerla nella sua casa. Lui ci va, ma scopre la bottiglia e vede l'articolo pubblicato sul giornale. Scopre anche che Theresa ha rintracciato un messaggio, credendolo scritto da lui, mentre in realtà è stato scritto da Catherine. Dopo una discussione con Theresa, lui lascia la casa e ritorna dal padre.
Un anno dopo, Dodge rintraccia Theresa e la informa che Garret è morto in mare: in una tempesta, mentre rischiava di naufragare, cercava di salvare una famiglia di tre persone, con madre, padre e figlia; con il suo atto di coraggio riuscì a salvare la vita al padre e alla figlia, ma nel tentativo di salvare la madre, Garret perse la vita.
Nella barca, viene ritrovata una bottiglia con un messaggio all'interno, e così Theresa scopre che è stato scritto la sera prima della morte di Garret in cui chiede scusa a Catherine. Theresa dice di aver trovato in lui un vero amore, un amore per cui deve lottare.

Questo il film che ho trascritto solo per allietarvi nella lettura di questo articolo che, mi sembra logico, vuole occuparsi di altro visto che di mestiere non sono critico cinematografico. Le parole che non ti ho detto si riferiscono a tutti, politici o VIP, sportivi e starlette, piccoli e grandi personaggi pubblici famosi condannati a sottostare alle perfide leggi mediatiche del nostro Paese, bistrattato finchè si vuole ma bugiardo nel profondo. 

La bugia, il mentire da noi fa scuola, diventa uno sport popolare, non parliamo di mezze verità come spesso troviamo nei titoli di certi giornali stranieri. Titoli che attraggono, che invitano a leggere l'articolo salvo poi trovare descrizioni leggermente diverse, no, da noi, in Italia, si mettono in bocca ai personaggi maggiormente esposti al momento, dal punto di vista mediatico, intere frasi non solo parole, parole che nessuno ha detto. E con questo portano avanti un discorso, che poi viene ripreso da altri che controbattono, che rispondono per le rime e via in un continuo alternarsi di frasi mai dette, di parole mai pronunciate, anche di offese.


Ci si può fidare dei media nostrani? In genere piccole bugie quando si parla di cronaca locale, non dico siano ammesse, ma ci si può passar sopra se queste attirano consensi, se sono in grado di dare al cittadino maggiori informazioni relativi al proprio ambiente, dove vive, magari dove lavora. Sono peccatucci veniali ammissibili ma da non ripetere in un contesto dell'informazione che non decolla. Ma se permettiamo queste piccole bugie, cosa c’impedisce di pensare che di fronte alle “grandi storie” i giornalisti non cadano più facilmente in facili tentazioni? Purtroppo succede spesso, anzi, ultimamente troppo spesso, è diventata la norma in questo clima politico farcito di polemiche a non finire, di accuse e contro accuse, di paura della vecchia classe politica che sente il suolo tremare sotto i propri piedi, che ha paura si apra una voragine e se li porti via tutti. 

Solo un paio di settimane fa scrivevo un articolo sul tema della violenza alle donne. Fatalità proprio in quei giorni un bruttissimo episodio è capitato proprio nella mia città ideale, dove ho vissuto qualche anno, dove ho amici e tanti ricordi. Nello specifico, o meglio, come hanno raccontato i giornali, una modella sudafricana (Reeva Steenkamp), viene uccisa a colpi di pistola dal fidanzato Oscar Pistorius, un famoso atleta paraplegico che con cabarbietà e determinazione era riuscito a partecipare alle olimpiadi e pure a vincere qualche medaglia (non offendetemi se il ricordo difetta, potrei anche sbagliarmi). La modella fu uccisa in circostanze mai veramente chiarite, la polizia e gli inquirenti sudafricani non sono quelli italiani, notizie non filtrano ma… I giornali, i media, devono pur vendere, devono pur guadagnarci sulla vicenda e quindi ci ricamarono su alla grande, sminuendo alla fine una storia di violenza domestica, abitudini sbagliate, maschilismo allo stato puro. 

I media italiani invece si sono preoccupati dell'atleta ferito nel morale e non della vittima, ne fiore degli anni, con una vita tutta in discesa davanti. Una pessima figura. Questi pennivendoli dei nostri media falsificano la realtà per vendere i giornali? Oppure per quale altra a noi oscura ragione cercano di aggirarla? 

I media italiani descrivono nei loro articoli una parte della realtà in modo tale che i lettori arrivino ad esprimere consenso a una o all’altra parte e si creino un opinione completamente deviata? Si, certamente, non può essere che così. Stiamo parlando di vera e propria spazzatura. La notizia analizzata rappresenta un pezzo di giornalismo criminale che mette ancora più in evidenza la corruzione di quelli che vengono fatti passare per giornalisti, in realtà politici travestiti che hanno il solo scopo di influenzare le masse come pecore - avete presente le pecore? - sospinte dal cane pastore.

E così scopriamo "le parole che non ti ho detto" a proposito di una intervista del leader del M5S rilasciata a un giornale teutonico, che vengono riportate sui nostri giornali in modo totalmente distorto per favorire Bersani o Berlusconia scapito di altri schieramenti. Un Grillo che ai tedeschi giura che non garantirà mai la fiducia all'altro contendente che ha vinto le elezioni, diventa il contrario di tutto, che si, la fiducia potrebbe anche votarla, e quindi il Beppe nazionale si infuria, a ragione, e rinnega le dichiarazioni mendaci del giornale italiano colpevole, e via discorrendo, potrei scrivere sull'argomento non già un blog, un libro!


E torniamo al punto di partenza.

Ogni giorno leggiamo sui giornali di piccoli e grandi fatti di cronaca, di politica, dello sport, di religione. Quanto sono attendibili? Ci sono giornalisti che forse non escono neppure dalle loro redazioni e ricamano le storie sui verbali messi loro a disposizione dalla polizia o che leggono e mal traducono da siti stranieri. Ci sono giornalisti che inventano di sana pianta una storia partendo da uno stupido dettaglio solo per essere osannati dal pubblico e dall'editore che potrà vendere giornali.

Successe a me anni fa, nel 1989. 

A quel tempo lavoravo principalmente in Medio Oriente. Mi recai in Irak per una missione di lavoro e rientrai in Italia giusto un giorno prima dell'invasione del dittatore irakeno ai danni del Kuwait. Il giornalista che scrisse l'articolo ebbe la possibilità di leggere una lista passeggeri, credo dell'Alitalia, dove risultava il mio nome in partenza da Roma per Bagdad giusto dieci giorni prima dell'invasione. Io rientrai in Italia via Bahrain con la Gulf Air, l'Alitalia non aveva quindi una lista dove risultavo uscito dal paese. Il giornalista mise a confronto le liste (spero) scoprendo che io ero entrato e non uscito. E su quello imbastì il proprio articolo, andando anche a intervistare mia madre che non ne sapeva assolutamente nulla. L'articolo che venne fuori fu pubblicato in prima pagina su un quotidiano che adesso non esiste più, "Il Giorno", credo fosse di proprietà  ENI.

Naturalmente nessuno si prese la briga di verificare se realmente ero ancora in Irak, magari prigioniero delle milizie di Saddam Hussein dittatore padre padrone del suo paese e in seguito giustiziato dopo un processo farsa. Naturalmente nessuno mi informò. Come scoprii di esser diventato una star? In volo da Milano a Copenhagen, per una breve vacanza, i piloti o le hostess scoprirono il mio nome sulla lista passeggeri e sul giornale. Ebbi il mio momento di gloria, ammesso in cabina di pilotaggio per pochi minuti ma abbastanza per poter godere di una vista riservata a pochi e tutto per un'immane bugia, per vendere qualche copia di giornale in più.

A chi giova?


2013/03/05

When a Star Dies - Reeva Steenkamp Tribute


R.I.P. Sweet Reeva

How do you react when a Star (understood as a familiar face of TV, Radio, Movies and Sports) dies as a result of a violent act?

We react badly, 'cause we are deeply convinced that becoming famous enhances the security awareness. I don't know about you, but for me it is. We do not expect someone to die at the hands of those who should have protected her.

In this case, too damn often, that's our personal defenses do not work, even the stars, seen as prima donnas of the star system, they become victims of violent brutes who do not care who the person is, when they decide to end a relationship uncomfortable or want to vent aberrant instincts.

Life is not a talk show. If it was that a show, after a sad news it would enable the dancers to dance, breasts and thighs fill the screen, along with toothpaste smiles. Life is not a talk show, where everything is on the same level, serious things and others do not, in the end you do not understand what is important and what is not.
Hope dies when a woman dies, she dies when dies emancipation, progress, reconciliation. 
Almost psychotherapy hope, over the din of frantic shouting, and it kills, and enjoys looking in the mirror of their own stupidity. 
Hope dies when a woman dies, one of many, one of too many. A symbol dies and win the world upside down, what reasoning upside down.


Whether it is a mere coincidence or a mocking fate is unknown. A beautiful woman, Reeva Steenkamp, ​​was slaughtered to death by her boyfriend Oscar Pistorius.

Reeva was a young woman full of life attentive to the problems of being a woman in a country where violence against women has become almost normal. Reeva had added to the network last photo that was about violence against women. The image was published to commemorate Anene Booysen, a girl of only 17 years, raped, mutilated and murdered on February 2 at a yard near Bredasdorp, South Africa. The photo was published by the model the 10th February, writing, among other things: "I woke up in a safe house and happy. Not everyone understood. We have to take side against sexual violence in South Africa. Rip Anene Booysen. "

Unfortunately it was not so. Reeva also was the victim of "violence" by "her" man, the big, no more big, paralympic athlete Pistorius. 

Such violence will never end? It has been said all of this brutal murder, claiming various excuses to defend not the memory of the victim already known and appreciated in a world that does not involve people emotionally, but of her killer, an athlete who had shown courage and dedication to achieve his goals while being an athlete crippled the amputation of both legs.

This is how our subconscious leads to mourn the athlete even if murderess, athlete and therefore representative of an icy world of purity, consistency, determination. Not the victim who has suffered the athlete man became man beast. The beast in man has arrogated to itself the right to kill, to massacre a beautiful woman for trivial reasons.

In which world do we live in where a man arrogates to himself the right to decide the lives of others on the basis of petty reasons, reasons senseless, it was easier to say no and let live? This is a world where violence, like instinct, is still permitted? We are aware that continue to be violent towards women, women of this planet, wrongly identified as representatives of a weaker sex that proves stronger than us, brings nothing but the moral catastrophe of all our highest values​​?

Violence, all violence must be fought and defeated. Do not hide ourselves behind fake truth. The man who kills in war does not kill for violence, kill or be killed, kills a sacred right to life, not his but that of an entire people. I will say that the war is absurd, it might be true but it is not violence, if so then they would all deaths that we see daily in the environment where we live, both on the road in factories, homes, hospitals, schools and barracks. But violence is inherent in the human soul and shall be eradicated, annihilated, otherwise she will eventually destroy us.

Violence is abuse of power and control that is manifested through the physical and sexual abuse, psychological and economic. This happens particularly when we know who uses violence and we are tied to the individual who is a man or woman, it does not constitute grounds for differentiation, but here I discuss violence against women and then identify a male and then be strong, bound by a relationship emotional relationship with the victim - the partner, the parents, some friends - even in aggression suffered by foreign physical violence is made ​​of threats, humiliation, restriction of freedom. What is the point of all this? I am told that the men need to vent their instincts aberrant? For this reason there are bullfights, wars, violent sports that teach man anything but to continue to cultivate the same violence?

We must combat violence against women, against children, against those who can not defend themselves, fight forms of mental cruelty, psychological violence, lack of respect that demeans the dignity and offends. We say no to those who constantly criticizes, demeans, makes a mockery of the woman in front of others, insults, pursues and controls, annihilates with jealousy, lack of trust, from seeing friends or family. Say no to those who threaten to harm them.

Say no to violence for a better world.







































†  Rest in Peace Reeva.

2013/03/04

L’arroganza e il potere



L’arroganza del potere è un male sottile e invasivo. 

In tanti non riescono a sottrarsi, alla tentazione di prevalere ad ogni costo e dire sfacciatamente: “eccomi, sono io che comando qui”. Alludo per esempio all'antipatica Angela Merkel, tedesca di Germania quasi come il tristemente illustre baffetto pazzo di cui vorrei evitare la menzione del nome, anche se sospetto essere obbligato per via dei motori di ricerca, per ricercare appunto l'articolo. Coloro che vantano spazi di potere in genere ci cascano in continuazione. È un errore banalissimo quanto grossolano, eppure si ripete all’infinito. Ci cascano in tanti. Taluni, perciò, pensano di essere i padroni assoluti del mondo. Basta avere i soldi e tutto è dovuto, questo è il concetto di fondo. 


È la solita storia, ma chi cade in un simile errore, non accontentandosi di essere un privilegiato, preferisce strafare imponendo il proprio potere. A mio parere, gli abusi di potere e le conseguenti violenze psicologiche proliferano a tutti i livelli e anche dei perfetti imbecilli si permettono comportamenti che non adotterebbero, se non fossero certi di avere le spalle ben coperte. Come non pensare a un certo impiegato che, prima di darti una semplice informazione di un minuto, ti fa aspettare una coda di ore, favorendo altre persone, oppure funzionari pubblici che, a fronte di legittime rimostranze, ti ripagano con il silenzio, oppure i giudici che, dinanzi a carte processuali che fanno emergere una serie di violenze psicologiche subite, insabbiano le cause per proteggere gli autori dei crimini? La casistica e gli esempi sono molteplici, sappiamo di chi stiamo parlando. 


Insomma, l’abuso di potere che ti avvelena la vita,  costituito spesso da comportamenti quotidiani a cui in molti si sono abituati, prendendone esempio, è riscontrabile a qualunque livello e trova la sua massima espressione nell’arroganza del potere, manifestata quotidianamente dai nostri governanti. L’arroganza del potere si manifesta con l’esercizio di azioni dannose per altri, ma strumentali ai propri fini e collegate alla certa impunità del proprio agire. Ne consegue che allorquando gli abusi di potere sono posti quali pilastri del gruppo sociale di cui si ha il comando, chiunque, prendendone esempio, può calpestare impunemente la dignità dell’altro, con la consapevolezza che tale atteggiamento non solo rimarrà impunito, ma, addirittura, è tacitamente incentivato. 


Scrivo, e chiedo venia per questo, pensando a una storiella davvero di poco conto di nemmeno troppo recente data. Mi riferisco alla stroncatura di un ristorante milanese di nome “Gold”. La stroncatura per mano e nome di Camilla Baresani, narratrice che si occupa anche di gastronomia, che l'ha firmata per l’inserto culturale del “Sole 24 Ore”, di fatto una recensione negativa del locale in questione basandosi, lo speriamo non già di pareri altrui ma di esperienze personali. 


Succede, che qualcuno esprima dei giudizi. Può capitare. Accade per la musica, per la letteratura, per il teatro, per il cinema, per il calcio, per la politica. Per tutto, insomma. Tranne, forse, per le questioni concernenti la gastronomia, vista l’abitudine a incensare e mai criticare. Tuttavia la possibilità che qualcuno possa svincolarsi da questa pessima abitudine, di parlare e scrivere sempre in positivo, è più che legittima e plausibile. Non c’è da scandalizzarsi. Ha diritto di esistere anche la critica gastronomica, perché no? I proprietari del locale sono però dei tipi importanti, abituati a essere consacrati all’unanimità. Si tratta della fortunata coppia di stilisti Dolce & Gabbana.

Ora, due parole per riferire i fatti. I due noti stilisti, infastiditi dal pessimo giudizio espresso nei confronti della cucina del Gold, hanno duramente attaccato qualche tempo addietro, e in un programma tivù, la Baresani, l’autrice del testo incriminato, con toni cafoneschi e avvilenti. La dimostrazione di arroganza la notiamo immediatamente: una scrive su un inserto a tiratura forse nazionale ma con lettura per addetti ai lavori e poco più, gli altri alla televisione che viene universalmente riconosciuta come trascinatrice di masse. Da qui poi la feroce polemica, che è proseguita inarrestabile, prendendo sviluppi imprevedibili e scatenando una serie di reazioni a catena.


I due signori, forti di un consenso a senso unico, non solo dettato da quello che disegnano, producono e vendono ma anche da quello che rappresentano nel mondo delle abitudini umane, vorrei evitare di essere additato come razzista, ma la realtà va affrontata anche se dura e cruda, in particolare dalle comunità gay, forti dello strapotere che si ritrovano tra le mani, hanno fatto la voce grossa, minacciando di togliere la pubblicità della propria insegna dalle pagine del quotidiano della Confindustria. Al che, prontamente, un altro critico gastronomico, tale Davide Paolini, ha prontamente ricucito i rapporti scrivendo una recensione largamente positiva del ristorante sempre sullo stesso giornale. 


È il giornalismo all’italiana. Insomma, tutto ciò per riferire, in poche battute, una triste e davvero miserevole pagina di cronaca di costume. Anche su “Striscia la notizia” si è trascinato il caso, con la consegna dei tapiri ai due stilisti.

Ora, per concludere, sarebbe bene evidenziare almeno due anomalie del nostro Paese. La prima anomalia: è sufficiente fare la voce grossa per piegare la volontà dei mezzi d’informazione. La seconda anomalia: sono i soldi, al solito, a dettare legge, anche per questioni di così scarso rilievo, se non addirittura banali. 
Figuriamoci poi per le questioni più importanti e delicate. 
Ci sarebbe anche una terza anomalia, volendo essere più precisi: in Italia non esiste, se non in rari casi, una vera critica gastronomica ma tant'è fine a se stessa che non rispecchia i bisogni degli italiani, e allora va bene tutto.

E non si tratta della sola gastronomia a essere messa in discussione. Altri scenari e situazioni incombono. Ritengo che la supremazia del potere come affermazione e azione assoluta sia di una ristretta minoranza di persone che se contendono, utilizzano da una parte le forze del bene e in  egual misura quelle del male, mentre la maggioranza degli altri è pronta ad acclamare qualunque messia che si presenti sulla base di ipotetiche credenze e visioni magari per il proprio tornaconto individuale e non saprei dire se c'entri anche una buona dose di disonestà. Il potere dunque rende la vita più facile? Considerato che è impensabile ritenere che tutti possano accostarsi a questioni filologiche, occorre affrontare la questione morale e maragi tentare di risolverla in modo univoco.Stabilendo quali regole affinché siano da tutti riconosciuti i limiti e gli spazi dove, per legge, possiamo identificare senza ombra di dubbio cosa è bene e cosa è male. 


Esistono persone che non uccidono con un’arma un proprio simile solo perché la legge dell'uomo o della chiesa, ergo la religione, ma tutte le religioni o soltanto quella cristiana adesso mi viene il dubbio e amerei controllare, dicevo sancisce che uccidere è un reato, sanzionato con la galera o perché la religione ha inserito tra i peccati mortali l’assassinio, punito con la pena dell’inferno. Inferno quindi, caldo, fiamme eterne, forse qualcuno potrebbe anche pensare a una liberazione, in particolare dopo un inverno come l'ultimo che ha regalato di tutto a un pianeta che dovrebbe annaspare in un mare di siccità che poi mare non sarebbe semmai il contrario. Siamo proprio sicuri che senza leggi o comandamenti ucciderebbero tranquillamente il prossimo loro? Non credo, come non credo che in caso di guerra queste persone ammazzerebbero degli sconosciuti solo perché hanno una divisa di un diverso colore, bensì per non soccombere a loro volta, e qui va a perdersi tutto il discorso del potere e dell'arroganza, meglio tu che io, e chissenefrega che dice la regola, la religione, perfino il grande signore. Qua ci sto io e la mia vita viene prima. 


Chi è dotato di una propria coscienza che indica cosa è bene o cosa è male e che gli fa comprendere il valore di ogni vita umana, che può essere distrutta anche senza armi fisiche, non ucciderebbe un proprio simile, anche se gli fosse assicurata l’assoluta impunità in terra e in cielo! Non abbiamo tuttavia identificato il bene in contrapposizione al male. Bene è dunque l’insieme di tutti quei comportamenti che ci piacerebbe che gli altri avessero nei nostri confronti? E male è tutto ciò che non vorremmo che gli altri ci facessero. Ma quante persone misurano con questo “metro” i propri comportamenti? Quanta gente è istigata al suicidio da persone che impunemente, con indifferenza o magari con spirito goliardico, contribuiscono a rendere la vita altrui un inferno in terra, tramite comportamenti subdoli e apparentemente innocui! È inutile fare le leggi, se poi non vengono applicate o agevolmente aggirate. Se tra i signori del vero potere, ma anche fra la gente comune, esistesse chi volesse riuscire nell’impresa storica di far trionfare il bene sul male, costui dovrebbe rendere conveniente la strada dell’onestà, (considerata quella dei fessi e degli ingenui) e riuscire a mettere le persone giuste al posto giusto, utilizzando i pilastri storici del potere ahinoi mafioso: controllo del territorio e certezza che chi sbaglia paga.


Che deludente scenario. Il potere dà alla testa e l’ingordigia, inevitabilmente, prende come sempre il sopravvento. 


La libertà di pensiero – quella, poi, rara avis – appartiene a una ristretta, ma molto ristretta, minoranza.