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2014/05/24

Chi mi ama mi segua


La vita assume significato solo se hai uno scopo che ti guida. Senza uno scopo, non saprai perché stai vivendo, non riuscirai a dare significato alle cose che ti accadono. Non è che devi sempre avere in testa quello che vuoi da ogni singola situazione da adesso e per sempre! Ma di chiedertelo per le situazioni meritevoli. Come nella scelta del lavoro, del partner, della gestione del tuo benessere fisico e mentale. Ci sono cose che è bello e giusto che ti sorprendano e ti stupiscano. Ci sono cose invece che vuoi direzionare, influenzare e realizzare. Allora è bene chiederti: "Che cosa voglio realmente da questa situazione?"

Se non hai uno scopo chiaro e definito, rischi di rimanere in balia degli eventi. E' come salire in auto e, a motore acceso e marce inserite, schiacciare l'acceleratore ma senza toccare il volante. L’auto si muove, ma senza una direzione: è solo uno spreco di energia, non porta da nessuna parte, è pericoloso per te e per chi è sulla tua strada. È come molti vivono la loro vita. Si agitano, fanno mille cose, ma senza una direzione precisa. Persone che faticano tutto il giorno, tutti i giorni, ma senza sapere perché, per chi, e dove li avrà portati tutto questo. Senza essere veramente impegnati in qualcosa di importante per la loro vita.

Le persone ti seguiranno solo se sai dove stai andando, e se quello sembra un buon luogo dove andare. Conoscere la direzione offre sicurezza, e la sicurezza crea il margine di vantaggio del vincente. La percezione che le persone hanno di te nasce dal grado di sicurezza che trasmetti. Le persone sono attratte in modo naturale dalle persone sicure. E la tua sicurezza è data dal conoscere la direzione, dall'avere uno scopo nella vita. Nel perseguirlo e nel far percepire che tu sei una persona che sa dove sta andando e che quello è un posto migliore!


Per raggiungere ciò che vuoi devi esserne sicuro. Non basta desiderarlo, lo devi volere, e devi credere di essere capace di ottenerlo e di meritarlo. Presto o tardi coloro che vincono sono coloro che credono di poterlo fare. Anche se non sai ancora come farai, devi credere di poterci riuscire. Di poter diventare la persona capace di realizzare ciò  che vuoi. Tutto si basa sul tuo grado di sicurezza. Se sei sicuro tutto ti riesce meglio. Quando pensi a un nuovo obiettivo da raggiungere, ci sono tre livelli di convinzione necessari per poter sviluppare il giusto grado di sicurezza. Per ognuno dei tuoi obiettivi, devi pensare intensamente che: è possibile, ne sei capace e te lo meriti. L'unico limite a quanto in alto possiamo andare, è quanto crediamo di poter salire.

2014/05/17

La spallata

Autunno 2011: Berlusconi lascia sotto la grandinata della speculazione internazionale che sta affossando finanziariamente l’Italia. Non servono parolone tipo “golpe” o di colpo di stato ma solo guardare alla realtà e rendersene conto.

L’Italia di Matteo Renzi oggi è economicamente molto più debole di allora. Ci sono il 42% di famiglie “povere” in più, la disoccupazione giovanile è cresciuta di quasi il 50%, la pressione fiscale aumentata, il PIL è peggiorato (anche nel primo trimestre del 2014, da tempo sbandierato per essere l’anno della ripresa!), il debito pubblico vistosamente aumentato… eppure lo “spread” oggi è meno della metà di allora: come mai?

Perché questa Europa di banchieri senz’anima né coscienza sceglie un paese politicamente “antipatico” e comincia a specularci sopra con profitti spaventosi. Una banca che comprò titoli di stato italiani tre anni fa – magari dopo aver fatto diffondere notizie catastrofiche e orientato i “declassamenti” finanziari sta guadagnando oggi un rendimento che è il doppio di quello corrente e se l’investimento allora fu decennale per altre 7 anni continuerà a prendersi interessi principeschi pagati dallo Stato italiano e pure esentasse.

Chi insomma tramava e sapeva “prima” che Monti sarebbe poi andato al governo speculò alla grande guadagnando ancora oggi mucchi di soldi. Certo che Berlusconi e Tremonti erano scomodi, meglio tenersi un “professore” obbediente come un gattino sulle ginocchia!
Golpe? Semplice realtà dei fatti e se Napolitano ci tiene oggi a far sapere che lui non ne sapeva nulla (e volete dicesse il contrario?) o non è vero, dovrebbe allora licenziare subito i suoi sprovveduti collaboratori che non se ne erano accorti.

Gira e rigira è questo modello di Europa e di moneta unica che proprio non va, bisogna pesantemente riformarlo e bene fa chi chiede nel suo programma anche una agenzia di rating europea che dia valori più certi e onesti agli Stati e alle loro economie, ma una struttura che sia gestita e verificata delle banche nazionali di tutti i paesi europei - e non solo dai tedeschi - o non cambierà nulla. 

Le elezioni europee di domenica prossima sono un momento fondamentale per dare una svolta a una Europa che in dieci anni ha perso i propri valori per trasformarsi solo in un brutto affare economico: basta con un’Europa così, non è quella che abbiamo sperato!

Diamogli una spallata e ricominciamo da dove siamo partiti: dal popolo italiano!

2014/05/16

La prova costume


Arriva l'estate e puntualmente si moltiplicano i consigli per mettersi in mostra senza doversi vergognare di maniglie e inestetici anelli di pingue grasso all'altezza dello stomaco, delle coscie, del sedere per non parlare del flaccidume alle braccia e le signore anche attorno alle guance, collo, seno, grasso in eccesso accumulato, come gli orsi, durante l'inverno e che deve essere eliminato nel minor tempo possibile, pena grandi figuracce e sensi di colpa. Come ogni estate vi parlo ancora un volta di dieta.

Chi non è stato mai a dieta alzi la mano! Che cosa associate a questa “terribile” parola? Tristezza, sofferenza, sacrificio, rinuncia, volontà debole, conta di calorie, visite di controllo e la bilancia quotidiana?
La parola “dieta” deriva dal greco. Tradotto ha quindi significati come “vita” e “modo di vivere” piuttosto che “assumere poche calorie”, che è una delle sue tristi e riduttive deviazioni moderne. Riportiamo questo bellissimo termine al suo senso originario: fare una dieta significa avere il desiderio o la necessità di cambiare il proprio stile di vita, ovvero le proprie abitudini, al fine di stare meglio.

Mettiamo subito le cose in chiaro: per dimagrire non c'è bisogno di soffrire la fame o ammazzarsi in palestra. Il concetto chiave per dimagrire è non mangiare, per non mangiare bisogna non soffrire la fame. Non soffrire la fame è difficile ma esistono molti modi e vedrete che sarà semplicissimo.

REGOLA 1: NON MANGIARE CIBI LIGHT

Forse l'avrete già sentita, ma è opportuno ripeterlo perché è importante. I cibi light non contengono zucchero è vero, ma non ci si nutre solo di zucchero! Le fibre e i dolcificanti usati per produrre questi cibi non solo fanno ingrassare quasi quanto un cibo normale (la percentuale effettiva di grassi in meno è minima) ma in più non saziano e non sono buoni.
Quindi dopo aver mangiato un cibo light il nostro corpo non è soddisfatto e richiede altro cibo e alla fine si mangia di più. Se avete proprio voglia di uno snack mangiate un pezzo di cioccolato (nero non al latte!), un frutto, un panino.... Molto meglio mangiare poco e bene, che tanto e male!

REGOLA 2: NON STRAFOGATEVI DI MERENDINE

Leggete bene il titolo: c'è scritto non strafogatevi, no non mangiate. Non date la colpa allo snack che mangiate alla 11:00 per le vostre maniglie dell'amore! Mangiare è un piacere, uno snack ogni tanto non fa male a nessuno, conta la quantità. C'era uno che mangiava anche 15 Fiesta al giorno e mi riferisco alla gente come lui in questo momento, cioè a quelle persone che per combattere i morsi della fame vanno a prendersi le bibite e le patatine ai distributori automatici. Se fate così, voi pensate di mangiare poco, ma se poi fate il conto delle calorie a fine giornata avete mangiato molto e male. Quindi se voi siete maniaci degli spuntini semplicemente non comprateli! E mi riferisco anche ai cracker che sono pieni d'olio e alle bevande gassate che sono piene di zuccheri (per non parlare delle light). Se volete proprio mangiare mangiate del pane, un frutto o delle fette biscottate. Ripeto ciò non significa non mangiare mai le merendine, ma 1 o 2 al giorno al massimo!

REGOLA 3: SI FRUTTA, NI VERDURE

Non sono scemo: ho scritto apposta "ni" verdure. Quello che voglio dirvi è che mentre la frutta è dolce e buona, quindi più ne mangiate meglio è, la verdura non è così saporita e quindi la si mangia condita con olio e aceto. Ora, la verdura va mangiata ma per carità, senza olio! La potete condire in mille modi, col sale, con l'aceto.... ma non con l'olio. Veramente: molta gente a dieta mangia delle insalate stracondite con olio, uova e tante altre cose che non sono adatte per chi è a dieta. E così anziché dimagrire ingrassano. Conditele pure le vostre insalate ma sono assolutamente da evitare:

- olio
- salse (di qualsiasi tipo)

Se proprio non potete farne a meno allora non mangiate proprio la verdura e concentratevi sulla frutta. A meno che non condiate anche quella!

REGOLA 4: BERE MOLTA ACQUA! 

(ma non durante i pasti)

Questo è molto importante: se voi ci pensate il corpo umano è fatto per il 70% di acqua. E se voi continuate a pensarci vi accorgerete che il cibo vegetale (frutta,verdura e legumi) è composto per il 90% d'acqua mentre la carne e il pesce per il 70% come l'uomo. Quindi quando voi mangiate qualsiasi alimento in realtà state bevendo per lo più acqua. Anche quando pensate di aver fame in realtà non avete fame: avete sete!

Perciò perché anziché mangiare un pollo non bevete una bottiglia d'acqua che è la stessa cosa e non fa ingrassare? All'inizio di questo post vi ho detto che vi avrei fatto dimagrire senza soffrire, ecco il concetto chiave: saziatevi con l'acqua! Suona strano ma è molto semplice:
Quando avete fame bevete 1 bicchiere o 2 di acqua. Spesso la fame è soltanto uno stato mentale quindi aspettate 5/10 minuti prima di mangiare o bere ancora, cercate di pensare a una bella nuotata al mare, in piscina o male che vada nella vostra vasca da bagno. Se dopo questo tempo la fame non cessa bevete altri 3 o 4 bicchieri d'acqua. Aspettate ancora 5 o 10 minuti se dopo questo tempo la fame non passa potete mangiare qualcosa. Qualcosa, non qualsiasi cosa:

- riguardo merendine o altro vale la regola 2.
- assolutamente no cibi light.
- verdura scondita come dice la regola 3
- qualsiasi frutto
- no cracker che sono pieni d'olio ma pane o fette biscottate.

Ovviamente non è che dovete mangiare solo questa roba ma questi sono gli stuzzichini con cui potete rompere la fame. Per i pasti e i cibi da mangiare vedremo dopo. Fate conto che dovrete arrivare a bere fra i 2 e i 4 litri d'acqua al giorno. Quindi vi consiglio quando andate a lavoro o a scuola di portarvi una bottiglia d'acqua da due litri, la potete riempire dal rubinetto se è potabile.

Errore diffuso: bere durante i pasti.

Un’infelice abitudine. Quando ero piccolo era proibito, ma solo oggi comprendo le ragioni di questa vecchia regola quasi dimenticata. Quando masticate intensamente si crea parecchia saliva che ha importantissime funzioni digestive. Un adulto dovrebbe produrre circa 9 litri di succhi digestivi totali nelle 24 ore. Pensate che impegno; saliva, succhi gastrici, succhi biliari, epatici e infine la produzione delle infinite cripte di Lieberkuehn nell’intestino tenue e crasso. Tutti questi liquidi per favorire la scissione del cibo nei suoi mattoncini di base, che vengono finalmente assorbiti. La digestione è quindi una sorta di “terminator” che ha il compito di smontare le meravigliose composizioni di madre natura; perché il nostro corpo accetta solo materie prime come appunto aminoacidi, di e tripeptidi, mono e disaccaridi, acidi grassi. Con questi mattoncini-base (tipo Lego) il nostro corpo costruisce e ricostruisce i nostri organi; un meraviglioso e continuo processo creativo.

REGOLA 5: NON FATE PASTI COMPLETI

Con pasti intendo il mettersi a tavola a mangiare varie portate di cibi, che è quello che noi tutti facciamo normalmente. La cosa non è furba perché quando noi pranziamo o ceniamo non riusciamo a digerire i cibi che ingurgitiamo durante il pasto e quindi non ne siamo sazi.
Tradotto: il nostro corpo non ha bisogno di tutto quello che mangiamo, se no non ingrasseremmo. Durante i pasti se mangiamo per primo un piatto di pasta ci potremmo già dir sazi ma perché mangiamo anche un secondo? Perché non avendo digerito la pasta (per digerire ci vogliono almeno 3 ore) il nostro corpo non sa che ciò che abbiamo mangiato basterà e quindi ci spinge a mangiare di più.

Quindi sarebbe buona cosa non pranzare né cenare ma anche questo non è del tutto giusto perché non si può vivere di soli spuntini.
Il mio consiglio è: fate solo 1 pasto al giorno rigorosamente a pranzo, il più presto possibile (fra le 12:00 e le 12:30). Questo pasto non deve però essere striminzito e non dovete seguire nessuna dieta dei punti o dei fantini vari....
Non soffrite, mangiate un pasto normale, come siete abituati con le quantità a cui siete abituati (ovviamente non 10 Kg di pasta ma agite con intelligenza), e non mangiate tanto solo perché pensate che sarà l'unico della giornata, mangiate come siete abituati se non ci fossero diete.
Questo pasto deve essere costituito da:

- un primo (pasta o riso conditi come volete)
- un secondo (carne o pesce : ricordatevi di non abbondare con le salse)
- pane meglio fresco, al limite qualche fetta biscottata ma non zuccherata
- 1 frutto qualsiasi

- acqua, vino, birra come siete abituati ma non bevande gassate e peggio zuccherose solo lontano dai pasti, almeno un'ora dopo. Tranquilli, dopo che vi sarete abituati non soffrirete affatto.

REGOLA 6: GLI SPUNTINI

Già nella regola 4 vi ho anticipato qualcosa riguardo gli spuntini. Gli spuntini diventano qualcosa di importante non potendo fare pasti, ma molto meno di quanto sembra. Infatti voi pensate che sarete distrutti dalla fame durante questa dieta, ma non è così. 
La regola fondamentale è bere: se voi bevete vi passa la fame.
Cominciando dal risveglio subito vi viene detto di fare colazione, che è importante ma non è indispensabile, se non avete fame non mangiate; se ne avete poca, e comunque difficile che siate affamati al mattino, bevete e seguite quanto detto nella regola 4 e se poi proprio siete affamati, allora mangiatevi un frutto, degli ortaggi (un peperone giallo tagliato a fettine senza olio e al massimo un pizzico di sale diventa un toccasana nello stomaco).
Per i vari spuntini che avrete nel corso del giorno non prendete cibi dai distributori automatici, portatevi qualcosa da casa.
Quando dico portatevi qualcosa da casa non intendo una teglia di lasagne. Portatevi:

- della frutta,
- se non vi piace  la frutta allora verdura come pomodori o carote,
- se non vi piace la verdura allora delle fette biscottate,
- se non vi piace nulla di tutto quello sopra allora del pane, fresco.

Potete anche (sarebbe meglio) portare un giorno un alimento e un giorno un altro, e ancora meglio sarebbe portarle tutte e fare dei cambi.
Ricordatevi poi che queste cose non sono da mangiare sempre e comunque, anzi meno ne mangiate meglio è. La regola la ripeto:

Se vi viene fame bevete 2 bicchieri d'acqua e aspettate 5/10 minuti; se la fame non passa bevete 4 bicchieri d'acqua e aspettate 5/10 minuti; se non passa mangiate qualcosa.
Nella tarda mattinata poi pranzate e sarete a posto tutta la giornata. 

Ho un amico che quando era giovane, diciamo quando non era vecchio, aveva preso l'abitudine di far colazione al mattino presto e a pranzo mangiarsi un bel piatto di pastasciutta. Condita in vari modi ma sempre e solo pasta. La sera andava a dormire presto e la mattina alle 6 era visto e pronto per ricominciare con una dura giornata lavorativa. mentre io facevo sacrifici per mantenere il peso, correvo le mie 3 miglia giornaliere e cercavo di evitare tutto quello che poteva farmi ingrassare, inutilmente, lui dimagriva. In tre mesi perse oltre dieci kg. 
Incredibile vero? Ah proposito, durante i pasti non beveva mai.

REGOLA 7: CIBI SAPORITI

I pasti devono essere il più sazianti e nello stesso tempo il più leggeri possibili: per farlo bisogna condire i pasti con decisione e intelligenza. Le vostre paste e le vostre carni quindi dovranno essere riempite di vari elementi che ne aumentino il sapore ma non ne intacchino la pesantezza.
Sono benvenute:

- tutte le spezie possibili e immaginabili
- il sale e ogni tipo di minerale (con moderazione, il sale ha un pessimo effetto collaterale: fa salire la pressione!)
- pepe, peperoncino....e qualsiasi spezia che cominci con "pepe"
- ogni tipo di verdura
- ogni tipo di frutto (non avete mai provato pasta con ricotta e arance?)
- ogni tipo di legume
- aceto e ogni liquido non contenga grassi

Sono banditi:
- olio e derivati (come la maionese e tutto ciò che si fa con l'olio o che contenga olio)
- burro e derivati
- lardo e strutto
- uova e derivati

Esistono poi dei trucchetti per rendere i vostri pasti sfiziosi con poco: anzichè usare la pancetta per fare la carbonara perchè non usate le zucchine (viene buona uguale)? Certe ricette le potete trovare facilmente su internet.
Mangiare è un piacere: mangiare bene non è mai un male, conta la quantità.

REGOLA 8: POCA ATTIVITÀ FISICA

Con "poca attività fisica" non intendo che meno ne fate meglio è. Voglio solo dire che ne basta poca (veramente poca) per ottenere grandi risultati. Sì, perchè l'attività fisica in sè non fa dimagrire: correre 1 ora significa bruciare 1 panino che poi puntualmente mangerete perchè il corpo non può stare senza cibo.

L'attività fisica serve per 2 motivi:

- trasferire il grasso corporeo dalle masse grasse a quelle muscolari (che non significa perdere kg ma essere comunque più sani e belli)

- far sì che il metabolismo sia abituato a bruciare più velocemente (chi fa attività fisica mezz'ora al giorno brucia a riposo il 56% di calorie in più di chi non lo fa)

Ora so benissimo che molti di voi non si alzano dalla poltrona neanche sotto minaccia, ma basta veramente poco: mezz'ora di attività fisica (qualsiasi attività fisica) al giorno tutti i giorni. Camminare a passo svelto e percorrere 5 km, credetemi è più facile farlo che scriverlo, permette al cuore di mantenere vigore tiene i muscoli in efficienza, toglie quegli inestetici gonfiori, in particolare dalle gambe e piedi e diminuisce la pancia, provare per credere.

Con attività fisica io intendo qualsiasi cosa in cui si impegna il corpo:
corsa, passeggiata veloce, flessioni, addominali, qualunque sport, body-building, salto della corda, step (salire e scendere da un gradino), attività sessuale, andare in bici, non sono contemplate attività in cui non si sforza il corpo come lo yoga o lo stretching.

Non dovete per forza andare in palestra e se non volete neanche essere visti da tutti mentre correte o andate in bici potete fare addominali a casa. E se siete troppo pigri per addominali e flessioni potete fare step veloce (salire e scendere da un gradino). Se poi non avete voglia di fare mezz'ora potete cominciare la prima settimana facendo 10 minuti, la seconda facendone 15, poi 20, poi 25 e infine 30. E non si sa mai che la cosa cominci a piacervi e a fare quindi 1 ora tutti i giorni.

Queste erano le 8 semplici regole per dimagrire sicuro. Come vedete non ci sono grandi rinunce, nè sacrifici; anzi ci sono anche dei punti che vi incitano a mangiare ben condito. Vi assicuro che non soffrirete la fame e neppure di altre forme di isolamento sociale cui sono costrette molte persone che fanno una dieta stretta.

Naturalmente se preferite cibi legati alla dieta mediterranea, avrete sicuramente un giovamento ma, limitando quello che ingurgitate, eccedere non porta mai a nulla di buono.

Di più non posso dirvi auguro a tutti una buona dieta e una vita felice!

2014/05/15

Pochi fatti, tanto fumo

Il tintinnar di manette che contraddistingue - come sempre - le campagne elettorali italiane sono musica alle orecchie di Grillo e del premier Matteo Renzi. Come non gradire, per loro, un TG che “apra” sulle tangenti di Milano, prosegua con Scajola arrestato e come terza notizia annunci che Renzi da Genova (in visita a un ospedale!) prometta che dal prossimo anno sparirà il modello 740, tra gli applausi generali? 

Come non essere tentati da un Beppe Grillo che nei comizi urla contro tutti, interpretando demagogicamente - ma alla grande - il generale sentimento di rabbia degli italiani contro i politici per le loro porcherie e le tante, troppe cose che non vanno? Pochi però hanno il coraggio di grattare sotto la vernice, per esempio sottolineando che in 14 mesi i grillini non hanno fatto in Parlamento una sola proposta concreta, sensata, documentata, attuabile e condivisibile per risolvere qualcosa. 

Espulso il dissenso è più facile - in una necessaria “escalation” mediatica e per farsi notare facendo dimenticare il silenzio sulle questioni serie - ammanettarsi e urlare in aula ormai una volta la settimana pur di fare notizia. Tanta immagine ma poca sostanza, come il Matteo Renzi che aveva promesso “una riforma al mese” e che in 100 giorni avrebbe “rivoltato l’Italia come un calzino”. 

Di giorni ne sono già passati ottanta ma dopo mille proclami i risultati sono tuttora in divenire. Una cosa ovvia perchè le riforme serie non si fanno in 100 giorni e soprattutto perché (e questo non è colpa di Renzi) infinite sono state e saranno le resistenze, gli strappi, i ritardi, gli intoppi burocratici e delle caste potenzialmente danneggiate. 

Ma la superficialità di “spararle” grosse, dare le cose per fatte contando soprattutto sull’effetto-annuncio sono obiettivamente la specialità di Matteo Renzi. Intendiamoci: condivido – come quasi tutti gli italiani – che quanto propone il leader del PD siano spesso cose giuste, sacrosante e perfino ovvie ma – appunto – un conto è dirle e un conto è risolverle. 

Bilancio? La riforma elettorale (impantanata) impedirebbe l’elezione diretta dei deputati e assegnerebbe comunque un pingue premio di maggioranza, ovvero andrebbe in totale contrasto con la sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il “porcellum”. 

La riforma del Senato (impantanata) è un vero guazzabuglio e ha quindi molte più ragioni Calderoli quando propone di eleggere i senatori insieme alle elezioni regionali risparmiando ma facendo votare e scegliere le persone anzichè – anche qui – nominarle dall’alto.

La riforma fiscale non è impantanata, ma è totalmente ferma, le province sono nel limbo, la riforma della pubblica amministrazione sembra interessare solo il taglio di 60 prefetture mentre gli ultra pubblicizzati 80 euro al mese per i medio-poveri sono parzialmente senza copertura, (checchè ne dica il governo hanno ragione i tecnici del Senato, lo sanno tutti gli addetti ai lavori) e per trovare i soldi si sono aumentate le tasse sui risparmi. La “riforma del lavoro” pomposamente annunciata non risolve nulla salvo cose marginali e comunque non è approvata, mentre ok per i tagli ai super-manager pubblici ma alla prova dei fatti i tagliati “veri” sono rimasti in pochissimi così come quasi nulla ha reso la strombazzata vendita on line di una pattuglia di “auto blu” che in pratica non ha comprato quasi nessuno.

Annunci e fatti, quanta differenza! Chi per esempio non può che applaudire il Premier quando sostiene “Bisogna rilanciare l’economia tagliando gli interessi e i costi bancari e aumentando il credito alle imprese”? Sembra la scoperta dell’acqua calda, ma intanto i tassi non calano e contro un euribor al tasso dello 0,26% (minimo storico) i tassi offerti in Italia alle imprese sono il 5-8% sui mutui a medio termine e dal 10 al 21% sullo scoperto dei conti correnti, ovvero da 50 a quasi CENTO volte di più dell’euribor, con in aggiunta di solito anche il 2% annuo – un altro 800% del tasso di riferimento europeo – solo come ex commissione di massimo scoperto che, dichiarata illegittima per legge, è rientrata dalla finestra come obbligo ben più pesante per tutti, da pagare anche se non si utilizza il credito!

C’è stata forse in merito una iniziativa concreta del governo per cambiare l’andazzo? No! Allora Renzi sfrutta alla grande la sua bella immagine, ma soprattutto la spasmodica ossequiosità e visibilità offerta dai media e - anche come capo del PD - ne fa ovviamente buon uso pre-elettorale.
D’altronde tutti possono verificare che non si era mai visto uno spazio così ampio e osannante concesso a un singolo personaggio politico, di solito senza un minimo di critica e ricordando per esempio - a confronto - il quotidiano massacro contro Berlusconi quando l’ex Cavaliere era premier. 

Pensate alla notiziola qui di sotto se fosse stata una scelta del governo di centro-destra: è un piccolissimo esempio ma da meditare, visto anche che il Corriere della Sera di sabato 10 maggio le ha dedicato solo 11 righe – diconsi undici! – in un pezzettino quadrettato relegato in basso e in pagina interna… Quale notiziola? Non l'avete letta? Evidente, se il Corriere della Sera non rientra fra le vostre testate preferite, anche a causa della improvvisa dimenticanza di tutti gli altri quotidiani, bisognerebbe fare colletta e fornir loro adeguate scorte di integratori vitaminici. Eccola qui, dunque, per sollazzarvi un po' e gridare ancora una volta allo scandalo.

La dott.ssa Antonella Manzione, 50 anni, è da qualche giorno la nuova responsabile del Dipartimento Affari Giuridici del Governo a Palazzo Chigi, una posizione strategica e di grande responsabilità tanto che venerdì partecipava già al rituale pre-consiglio dei ministri. 
La Manzione è forse un’avvocato di Cassazione, una dirigente legislativa di Camera o Senato, una docente universitaria di diritto? 
Macchè, è solo la comandante dei vigili urbani di Firenze. 

Invano la Corte dei Conti aveva espresso riserve su titoli, costi, esperienza: Matteo Renzi ha fortemente voluto questa nomina, si è opposto ai giudici amministrativi e oplà la Manzione è stata nominata. Trasparenza, esperienze, curriculum? Diciamo che quando si vuole e si può, tutto diventa un optional.

2014/05/06

Diaspora della destra

Ho “rubato” il titolo ad un ottimo articolo di Ernesto Galli Della Loggia che sul “fondo” del 24 aprile del Corriere della Sera descrive in termini corretti la cocente sconfitta che la Destra italiana ha auto-costruito in questi anni e verrà temo confermata dal voto europeo. 

La realtà è nota quanto amara: incapaci di andare d’accordo, vittime dei personalismi di troppi capetti, senza una guida politica decente, schierati pro o contro Berlusconi, contemporaneamente al governo e all’opposizione la Destra si è sciolta e si presenta in ordine sparso.

Un bilancio fallimentare e per cominciare bisognerebbe avere tutti il coraggio di ammetterlo, anche perché chi ha scelto una delle varie forze politiche che oggi si dicono di destra (o di centro-destra) per prima cosa sembra divertirsi a accusare il prossimo con poca o nessuna autocritica.

C’è chi è andato nel Nuovo Centro Destra (sempre più centro e sempre meno destra), chi è rimasto con un Berlusconi che è sempre più ombra di sé stesso, chi è approdato a “Fratelli d’Italia” - che ha pro-tempore ereditato il simbolo di AN – che è sul filo di raggiungere o meno quel 4% che permetterebbe la presenza a Strasburgo, poi gruppi e gruppetti vari e infine c’è la Lega che per alcuni versi si sta dimostrando la più coerente di tutti, anche se rifugge dall’autocollocarsi a destra.

Un caos, insomma, senza che emerga un punto di riferimento, un leader, una volontà e capacità di aggregazione che si apra – soprattutto – ai nuovi scenari che nel mondo si riconoscono vicini ad un modo di intendere l’economia, la socialità, l’Europa in termini che solo non molti anni fa prima il MSI-DN e poi Alleanza Nazionale rivendicavano come proprio DNA. 

Amaramente la mia generazione deve ammettere il proprio fallimento: agli inizi degli anni ’90 eravamo orgogliosi della nostra diversità e rivendicavamo un ruolo di pulizia, trasparenza, decisione, alternativa a un centro-sinistra egemone e pasticcione, corrotto e corruttore. 

Alla prova dei fatti il contatto logico e consequenziale con Berlusconi ci ha sì fatto andare al governo, ma ci ha fatto perdere i contenuti e l’anima e alla fine - se pur qualche “furbo” è più o meno sopravvissuto - certo abbiamo distrutto il nostro mondo e lo abbiamo anche tradito. 

Ai diversi livelli ciascuno se la vede con la propria coscienza, ma è evidente che non basta dirsi “ma io ero, sono stato e sono diverso” perché alla fine la mediocrità ha vinto e nel complesso abbiamo tolto al popolo italiano una speranza di rinnovamento che era, è indispensabile. 

Un discorso che ormai va anche letto in chiave storica come il ventennio di Gianfranco Fini che nel bene e nel male (e ci torneremo) ci ha fatti crescere e poi ci ha distrutti o – meglio – ci siamo voluti fare distruggere.

Oggi per certi versi è addirittura di destra perfino Matteo Renzi come lo fu per un attimo Craxi, lo è Grillo che a tratti sembra il Bossi degli inizi. Renzi propone cose scontate ma in fondo simili a quelle vendite dal Berlusconi “prima maniera” che però poi si arenò per la strada. 

E’ vero che il Cavaliere e il suo governo fu subito contrastato al parossismo dai media e della magistratura ma è anche vero che queste sono giustificazioni e – come giustamente scrive Galli Della Loggia . “la funzione di Berlusconi si è esaurita nel vincere” e infatti non ha concretizzato quello scatto richiesto e offerto all’Italia al suo debutto. 

Renzi è oggi per me un personaggio pieno di chiacchiere e demagogia, pulitino pulitino e demagogo di piazza anche senza una piazza, ma che è anche visto come una novità in alternativa a quell'altro che tuona vendette e pulizie dalle piazze, quel Grillo ex-comico che non fa ridere ma pensare e tutto sommato potrebbe anche aver ragione e vincere, diventare dunque una speranza per moltissime persone deluse da tutti gli altri protagonisti della politica italiana dei tempi di crisi.

Peraltro mi chiedo perché molte delle cose e riforme sostenute oggi da Renzi non si siano fatte quando la destra era al governo perché potevano (e dovevano) essere “riforme di destra”. 
Ma il punto centrale dell’articolo sul Corriere conferma una verità: la destra ha tanti elettori ma poca gente di qualità che si occupi veramente della vita pubblica, che affronti la politica come missione e disinteressatamente, che creda nello Stato e non ne approfitti, che non abbia paura di essere eletta e accetti la sfida e non sia “nominato”. 

Tra l’altro questa sembra essere una ossessione di Berlusconi che vuole solo intorno fedelissimi (e fedelissime) purchè gli sorridano. 
L’inciucio con Renzi sulla nuova legge elettorale è una prova. 
Non far crescere i migliori è un limite pesante in politica a livello centrale e ancora di più in periferia, dove una volta c’era lo “screening” obbligato delle preferenze. Questa mancanza obiettiva di classe dirigente capace l’ho sempre notata.

Che la probabile prossima sconfitta elettorale alle “Europee” serva almeno a far riflettere, a capire che bisogna faticosamente cercare di rimettere insieme i cocci ma affidandosi a persone giovani e credibili soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Forse – in vista del voto del 25 maggio – il primo “collante” potrebbe essere quello di approfondire il tema di un’Europa che è diventata solo quella dei mercati e non più dei popoli, dove i banchieri comandano e non più le nazioni, dove la Germania ricca è egemone e il Mediterraneo povera periferia dell’impero. 

Eppure senza riforme l’Euro così non funziona più, senza trasparenza vince il grigio della burocrazia e della rassegnazione, altro che rilancio italiano! E’ troppo difficile ritornare a chiedere onestà, spirito e orgoglio nazionale, autonomia economica, lotta alla mafia dei vari privilegi, drastica riduzione dei costi della politica, volontariato solidale, semplificazioni e responsabilità, mani più libere per chi vuole investire, rilancio delle infrastrutture, valore del territorio e delle proprie radici, tutela sociale prima di tutto per gli italiani, una politica per l’immigrazione controllata? 

Eccolo qui il programma semplice della Destra, senza “se” e senza “ma”, ma chi alza la mano per crederci? (e condividerlo).

Nota: Come mia abitudine, ricevo un testo con la richiesta di pubblicarlo. Ho apportato solo piccole variazioni atte a una migliore comprensione per il lettore. Ho eliminato inoltre riferimenti specifici a persone (non i personaggi pubblici) che probabilmente non gradiscono vedere il proprio nome pubblicato.SB
Disclaimer: I concetti espressi in questo articolo sono le opinioni dell'autore dell'articolo e non rispecchiano necessariamente il punto di vista di 'Più alto e più oltre'.

fonte MZ

2014/04/30

Ayrton Senna, la leggenda della Formula 1 - Tribute

Vent’anni fa, il primo maggio del 1994, morì a Imola Ayrton Senna, uno dei piloti più amati della Formula 1. Un grande uomo, non solo in pista, dove oltre a essere grande era anche un combattente, ma nella vita.

Ayrton Senna è rimasto nella memoria di tutti appassionati e non solo, anche in quella della gente che di F1 non conosceva nulla, per il grande talento e la capacità di emozionare, con gare sempre al limite (e a volte anche oltre), oltre che per la sua grande umanità, non sempre così facile da trovare in un ambiente come la Formula 1. Se dobbiamo però prendere solo alcune delle sue qualità principali, quelle rimaste più impresse, parliamo della sua abilità di guidare in condizioni estreme e quella capacità di saper sfruttare l’ultimo giro utile nelle qualifiche, per strappare la pole position ai rivali.

I suoi numeri strepitosi rendono solo in parte il suo feeling con quel giro secco, per partire davanti a tutti nella gara del giorno dopo, ma vale comunque la pena di citarli: 65 pole position conquistate in 162 gare, cioè una ogni 2 o 3 gran premi. Una media mostruosa, diventata ancora più incredibile se consideriamo solo gli anni in cui aveva una macchina competitiva per il titolo (41 in quattro anni tra il 1988 ed il 1991). E proprio partendo davanti a tutti ha salutato il mondo terreno: tre pole nelle prime tre gare del 1994, seppur senza mai riuscire a terminare la gara.

La domenica, invece, Senna si esaltava se pioveva o, ancor meglio, diluviava. Mentre tutti gli avversari rallentavano o andavano fuori pista, lui macinava giri veloci e sorpassi, quasi come se l’asfalto fosse bagnato solo per gli altri. Le sue prime vittorie sono arrivate tutte con gli ombrelli aperti: la prima grande gara a Montecarlo 1984, il primo successo in Portogallo l’anno successivo ed il primo titolo mondiale a Suzuka 1988. Non è certo un caso, così come non lo è essere stato nominato il "mago della pioggia".

Ayrton Senna il campione. Quarantuno sigilli, poi il brusco stop. La carriera di Ayrton Senna in Formula 1 inizia nel 1984, ma dovrà aspettare un anno prima di salire sul gradino più alto del podio, all’Estoril, in Portogallo. Da allora, una marcia inarrestabile che lo porterà a dominare praticamente ovunque. Avrebbe infranto molti più record di quanti non abbia fatto nella sua carriera, Ayrton Senna. Tra il brasiliano e la conquista di tutte le classifiche si intromise però il destino. 

Ayrton diceva che con il Cielo aveva un rapporto speciale, un'amicizia consolidata, una fede incrollabile: ''Nessuno mi può separare dall'Amore di Dio''. Lui, che qualche tratto divino l'aveva nei lineamenti, nei gesti e soprattutto nell'enorme talento, se ne andò un pomeriggio di 20 anni fa facendo la cosa che, dopo Dio, amava di più: la velocità. Andando al massimo. A 300 all'ora.

Bisogna che qualcuno lo dica chi fosse davvero Ayrton Senna. Che possono saperne i ragazzi d'oggi, vent'anni fa non erano ancora nati! Il mondo al tempo di internet brucia in fretta i suoi protagonisti. Un'ora fa è il vecchio, ieri è il passato. E’ un modo diverso, quello del terzo millennio, di approcciare la storia. Tutto è così immediato, e l'istante dopo qualcosa distrae già l'attenzione. C'è altro da vedere. Vivere nella velocità è un dovere. Ecco, qui tra voi e lui c'è una somiglianza che forse vi aiuta a capire chi fosse in realtà questo gentiluomo brasiliano. Amava la velocità, si diceva. Viveva per lei. Morì, per lei.

Era l'1 maggio del 1994. Festa dei lavoratori. Forse fu l'unico giorno della sua vita, oltre che l'ultimo, in cui andò a lavorare contro voglia. Presagio di quello che sarebbe accaduto alle 14:17 di 20 anni fa? Forse (il Cielo gli era vicino, si diceva), ma soprattutto era quello che era accaduto nei giorni precedenti in quel maledetto fin di settimana imolese che lo turbava.

Lui era il miglior pilota in circolazione, da poco approdato alla corte di Frank Williams, dopo i trionfi e i tre mondiali conquistati con la McLaren. Nel frattempo una diavoleria ingegneristica che teneva le monoposto incollate al suolo, quali erano le sospensioni attive, era stata abolita, circostanza che purtroppo avrebbe giocato un ruolo, assieme a troppe altre, sul suo destino terreno. Lui era il più forte e sicuramente il più veloce in pista. Nelle prime tre gare di quell’anno fatale non a caso partì sempre dalla pole position, di cui era il recordman, 65 in carriera.

Eppure già in Brasile, al debutto, e nel prosieguo, in Giappone, non era riuscito ad arrivare alla bandiera a scacchi, vittima di piccoli e se vogliamo banali incidenti di percorso che avrebbero dovuto avvisarlo che c'era qualcosa nel mezzo che non andava a dovere. Primo al traguardo in entrambe quelle gare arrivò un certo Michael Schumacher, su Benetton. Che effetto fa pensare che, vent'anni dopo la scomparsa di Ayrton, il kaiser tedesco sia in un limbo di incoscienza per danni cerebrali analoghi, anche se non fatali, a quelli che uccisero il tre volte campione sette giri dopo il via del Gp di San Marino. Qualche astuzia tra i paletti del regolamento rendeva velocissima la macchina di Michael, ma soprattutto lui arrivava in fondo. La Williams no.

C'era qualcosa che disturbava la guida pulita (Ayrton resta l’eroe di sempre del giro perfetto) del miglior pilota della storia. Di certo, il nostro non sopportava di subire da quello sprezzante tedesco. E poi c'era qualcosa nella progettazione della sua macchina che non andava. Non c’era spazio a sufficienza, per le mani guantate, tra scocca e volante, le nocche sfregavano sul metallo che le circondava. I tecnici e i meccanici della scuderia fresarono quella parte del telaio, per dare maggiore agio alle manovre del pilota. Ma non bastava, forse fresarono il supporto sbagliato, forse fu quell'azione riparatrice la responsabile di quel cedimento strutturale del supporto che reggeva il volante, forse furono solo dettagli di un grande disegno che era stato scritto da qualche parte e doveva solo avverarsi.

Agli ingegneri, categoria sempre osannata a torto o ragione, venne in mente una soluzione stile uovo di Colombo. Segarono il piantone dello sterzo e saldarono una sezione di pochi centimetri, tra i due monconi separati, di spessore più ridotto nel giunto in cui l’asta si appoggiava, l’intero sistema sterzante sarebbe potuto scendere verso il basso di qualche millimetro, per dare maggiore agio alle mani di Ayrton.

Questo empirismo da officina ebbe un ruolo nel destino del campione brasiliano. Non c’erano più le sospensioni intelligenti, gli asfalti che fino a un anno prima risultavano lisci come un biliardo si rivelarono quell’anno per le nuove e meno sofisticate sospensioni un po' meno confortevoli, almeno il fondo del Circuito del Santerno. Dove prima le macchine passavano come sui binari, ecco che all’improvviso pareva di correre una sorta di rally. Pieni di dossi e di avvallamenti, di rugosità, i circuiti ’94. Le monoposto ballavano sull’asfalto come fosse un’esibizione di tip-tap. Troppo, evidentemente troppo, per l’indebolito piantone della Williams su cui Ayrton scaricava la forza delle sue mani per le curve e le correzioni di rotta.

E poi… Ci sono troppi poi in questa storia, eccolo, un ennesimo poi: i regolamenti erano meno sofisticati di oggi, le vie di fuga per ridurre le conseguenze di fuoripista erano meno lunghe, i muri erano di cemento e non protetti da schermi di gomma, e i prati in alcuni casi non erano in salita com’è logico ma a volte in discesa, con conseguente perdita di contatto col suolo e un devastante effetto planante. Così era quella al Tamburello di triste memoria.

E come un presagio di morte, l’uomo che sussurrava al Cielo aveva fatto triste tesoro dell’incidente a Roland Ratzenberger, in cui uno schianto su un muro costò la vita allo sfortunato pilota austriaco nel sabato di qualifica.

Nulla sarebbe più stato come prima. Prima di Senna. Dopo Senna. E non è un caso che dopo Ayrton, in pista, non sia più morto nessuno. Cambiò tutto, a partite dai regolamenti e dai crash test. Lui amava la velocità, i milioni di appassionati che lo compiangono come nessuno odiano che la velocità e un banale guasto meccanico abbiano privato il mondo del suo immenso talento. 

Oggi è tutto più sicuro. Almeno quel sacrificio non fu del tutto vano.
















Pensiero della sera: Se fosse sopravvissuto al terribile incidente di Imola, oggi Ayrton Senna avrebbe 54 anni.
Sicuramente si sarebbe ritirato molto prima di Schumacher, forse già dopo aver vinto almeno due mondiali con la Ferrari. Se avesse firmato lui con la Ferrari, non ci sarebbe andato Schumacher che di mondiali con la Ferrari ne ha vinti 5. Avremmo tutti preferito che Ayrton restasse in vita e continuasse a correre per la sua e nostra gioia e chissenefrega dei mondiali di Schumacher.
Purtroppo è andata diversamente e, francamente, non mi sento di gioire per qualche mondiale in più!

Condannato a una morte di sofferenza



Era doveroso affrontare questo argomento che ha sempre attirato critiche e commenti al vetriolo, ora piu' che mai dopo la tremenda esecuzione effettuata ieri, 29 Aprile, in Oklahoma, Stati Uniti. Lui, il condannato alla fine ha esalato l’ultimo respiro dopo atroci sofferenze, forse a causa della rottura della vena in cui gli è stato iniettato il mix letale di veleni. I testimoni raccontano di aver assistito a una scena raccapricciante. Era stato condannato alla pena capitale perché accusato di omicidio. Alla fine un infarto ha posto fine al supplizio uccidendolo. 

La vecchia storia dell'occhio per occhio che, abbiamo visto ormai da oltre un secolo, non funziona affatto come deterrente. Morire a un certo punto del nostro cammino verso la vecchiaia, fa parte del gioco, se di gioco si tratta perche' vivere e' bello e vivere si vorrebbe per sempre. Perche' vorremmo lasciare una traccia dietro di noi in modo da essere ricordati dai posteri e alla fine vivere almeno nel ricordo della gente. 

In alcuni paesi del mondo ancora si fucila, si decapita, si impicca o si uccide con l’iniezione letale; Arabia Saudita, Corea del Nord, Iran, Somalia, ma anche in Giappone, negli Stati Uniti. Ogni volta su risvegliano amaramente i più vergognosi tra i ricordi della barbarie per qualunque civiltà che sia riuscita a liberarsi del fantasma della pena capitale. Amnesty International si batte senza condizioni contro la pena di morte, ritenendola giustamente una punizione crudele, disumana e degradante superata, abolita nella legge o nella pratica da più della metà dei paesi nel mondo. Contro la pena di morte perche' essa viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione. 

Non parlo di numeri, anche se a volte costituiscono i soli dati certi, ma non è escluso che ogni anno siano ancora più elevati, i numeri tuttavia servono solo come alibi, liberano le coscienze, potrebbero essere di piu', meno male che sono di meno. Che modo barbaro di giudicare. Ogni vita, fosse anche un solo condannato a morte in un anno, rappresenta una sconfitta, l'uomo che uccide l'uomo, senza vergogna, senza pentimento, armato da uno Stato giudice. L'uomo che si erge a giudice estremo della vita altrui senza che ne sia il creatore. Solo chi la genera potrebbe, in ultima analisi, deciderne per la soppressione. Si tratta naturalmente di un concetto border line. 

Non posso tuttavia fare a meno di riflettere, sulla disumanità della pena capitale. E’ come se tutte le volte la scena di un condannato che esala l'ultimo respiro contaminasse anche le nostre coscienze, ci rendesse tutti un po’ più simili all’assassino. E’ da qui, io credo, che nasce il rifiuto della pena di morte, chiunque ne sia la vittima e quali che siano le sue colpe. Quando invochiamo l’abolizione, lo facciamo non tanto in nome della pietà per i colpevoli, quanto per un senso di rispetto di noi stessi e dei nostri valori. Non è mai stato provato che la pena capitale svolga una particolare azione deterrente, non è mai stato provato che l'uomo tende a rinunciare al crimine per evitare di finire sul patibolo anzi, a leggere certe storie di condannati alla pena capitale viene da pensare che sia davvero l'opposto. 

Una sfida dunque? 

Nella tradizione cristiana l’uomo non è padrone della propria vita, quindi non può cedere allo Stato di cui fa parte come cittadino la facoltà di ucciderlo anche se ha commesso un delitto. La pena di morte è quindi in contrasto col patto sociale. Rousseau aveva già mostrato che tale contrasto non sussiste; ma, quel che più conta, l’argomento presuppone l’intera e gigantesca costruzione filosofico-teologica elaborata dalla tradizione occidentale, che già l’illuminismo, pur appartenendole, incomincia a mettere in crisi. Si può allora sostenere che la pena di morte è meno temibile, per il delinquente, della reclusione a vita. E dunque questa è la posta in palio, il rischio oppure il regalo per finire presto le sofferenze? Se la morte non è la pena più temuta da chi compie il massimo dei delitti, cioè l’omicidio, ne viene che la morte è una delle pene che sono più adatte a punire i delitti minori? A questo punto, infatti, non si può replicare che no, che la pena di morte non deve essere mai inflitta altrimenti si cadrebbe nell'inganno di giudicare per punire le intenzioni e non già i delitti?

L'uccisione del colpevole non è la via per ricostruire la giustizia e riconciliare la società c'è semmai il rischio, direi la prova inconfutabile, che al contrario si alimenti lo spirito di vendetta e si semini nuova violenza.

Sono questi i termini della sfida?

Il Beccaria, nella sua ormai famosa opera "Dei delitti e delle pene" scrive:

Capitolo 28 - DELLA PENA DI MORTE
Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita? E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll'altro, che l'uomo non è padrone di uccidersi, e doveva esserlo se ha potuto dare altrui questo diritto o alla società intera?
Non è dunque la pena di morte un diritto, mentre ho dimostrato che tale essere non può, ma è una guerra della nazione con un cittadino, perché giudica necessaria o utile la distruzione del suo essere. Ma se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità.

Per concludere, appare sempre più evidente come gli Stati che ancora condannano a morte siano sempre meno e sempre più isolati dalla comunità internazionale: ciò, purtroppo, non ha impedito ai Governi di tali Stati di continuare e, talvolta, incrementare ancor più il ricorso a questa estrema forma di inciviltà inutile e violenta.

2014/04/25

Cent'anni di solitudine - Tributo a Gabriel Garcia Marquez

Chissà se quel giorno in cui Gabo si accorse che stava per morire chiamato dal grande signore che sta in cielo, si ricordò del giorno in cui scrisse il suo più grande e indimenticato romanzo "Cent'anni di solitudine"?

Quel romanzo epico e travolgente, abbastanza da attirare milioni di lettori a leggerlo e rileggerlo inizia grosso modo così, con un ricordo di molti anni prima: 
""Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito."

La fucilazione del colonnello Aureliano Buendia
in un dipinto di autore ignoto.
Venite gente a Macondo, un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come pietre preistoriche. Avvicinatevi signore e signori e lasciatevi ammaliare da Melquìades, lo zingaro che "diceva di possedere le chiavi di Nostradamus". Volate con Josè Arcadio Buendìa verso un futuro fantastico, fatto di pindarici progetti e illimitate fantasie. Combattete e amate donne in ogni dove, al fianco del generale Aureliano Buendìa. Guardate, guardate bene signori, e vedrete sei generazioni di Buendìa segnare le sorti di questo paese, divenuto alla fine, un "pauroso vortice di polvere e macerie centrifugato dalla collera dell'uragano biblico". Una saga familiare ricca di forza e visioni, un romanzo eccezionale, scritto nello stile suggestivo di uno dei padri della letteratura Sudamericana.

Chi era Gabriel Garcia Marquez?

Era prima di tutto un amante dello scrivere, scrivere per affascinare, per attrarre il lettore, anche quello più distratto. Per distrazione o per noia iniziai a leggere il mio primo libro di Gabo, quei Cent'anni di solitudine che non m'hanno più abbandonato. L'unico libro che ho letto e riletto almeno tre volte nella mia lingua e poi in inglese, in francese e recentemente nella lingua originale. E queste continue letture possono sembrare astruse, vuote di significato, invece ne hanno molti. Leggere e rileggere focalizzandosi ogni volta su un diverso filone della storia per cogliere le sfumature. Cent'anni di solitudine credo che sia l'unico libro che permette, attraverso un lirismo mitico e un accentuato surrealismo, svariate interpretazioni personalizzate. Diviene difficile scrivere un commento al libro perché arriva a sfiorare delle corde profonde, che appartengono a ognuno di noi e sono parte del nostro (più o meno celato, ma immancabile) disagio esistenziale. Tra queste pagine c'è solitudine, appunto, c'è malinconia, rabbia, volontà di cambiare, e nonostante la lotta si giunge sempre alla resa davanti ad un “tiempo” che sembra riproporre, quasi beffardo, giorni sempre uguali, in cui si succedono generazioni di uomini dal nome altrettanto uguale, che ricorda loro - fin dalla nascita - un destino segnato e distinato alla solitudine. 

Gabriel García Márquez, morto il 17 Aprile 2014 a Città del Messico aveva 87 anni. Era stato ricoverato in ospedale il 3 aprile per una polmonite che tardava a guarire ma anche una lunga malattia succeduta al tumore estratto e apparentemente ben curato che lo colpi nel 1999. L'autore colombiano, premio Nobel per la Letteratura e padre del realismo magico ibero-americano, se n'è andato in silenzio e tutto il mondo piange la sua scomparsa.

Il simbolo di Macondo copertina di una 
versione Italiana di Cent'anni di Solitudine.
Prima di diventare l’autore-simbolo di un’intera generazione, di un continente e di una lingua, "Gabo" è stato per anni un grande giornalista, un periodista attento, poetico e duro, dei più drammatici avvenimenti che avevano mutato la mappa di mezzo mondo, dalle rivoluzioni di Cuba e del Portogallo alla tragedia cilena, a Ernesto "Che" Guevara, ai cubani in Angola, ai montoneros, ai dittatori centroamericani, alla Spagna postfranchista di Felipe Gonzales. Nato ad Aracataca, Magdalena, nel 1928, ha mescolato nella propria opera la dimensione reale e quella fantastica, dando impulso allo stile della narrativa latino-americana definito "realismo magico", di cui “Cien anos de soledad” (1967) rappresenta un manifesto. Nel 1982 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura. Pubblicò “La hojarasca” nel 1955, analisi di un suicidio attraverso il monologo di tre testimoni che portano alla luce vicende e passioni di tutto un paese nel corso di un secolo. Seguirono Nessuno scrive al colonnelle (1961), I funerali della Mamà Grande (1962) e La mala ora (1962).

La sua opera di maggior successo, “Cent’anni di solitudine”, narra di un paese leggendario, Macondo, sul cui sfondo si intrecciano avvenimenti e fantasticherie, eroismi, crudeltà e solitudine. Ma ciò che più conta nel romanzo è la particolare struttura narrativa in cui la metafora e il mito acquistano valore nel quadro di una nuova visione della realtà. Dopo “Racconto di un naufrago” (1970), il volume di racconti “La incredibile e triste storia de la candida Erendira e della sua nonna snaturata” (1972) e una raccolta di articoli torna al romanzo con “L’autunno del patriarca” (1975), in cui rievoca, con il suo personale lirismo mitico e con accentuato surrealismo, la figura tragico-grottesca di un dittatore sudamericano. 

Disegni raffiguranti gli abitanti di Macondo
La sua produzione, quasi interamente tradotta in italiano, comprende i romanzi “Cronaca di una morte annunciate” (1982), “L’amore ai tempi del colera” (1985) e “Il generale nel suo labirinto” (1989), riflessione sul potere attraverso la narrazione degli ultimi giorni di vita di Simon Bolivar. Del 1992 è, invece, la raccolta di racconti “Dodici racconti raminghi”, a metà tra realtà e fantasia. “Dell’amore e altri demoni” (1994) indaga, attraverso la storia di una ragazza internata in un convento perché ritenuta indemoniata, sull’ineluttabilità e sull’inspiegabilità del sentimento amoroso. Ha poi scritto “Vivere per raccontarla” (2002) e “Memoria delle mie puttane tristi” (2004), un romanzo che racconta la storia di un vecchio giornalista che, a novant’anni, trascorre una notte con una ragazzina illibata, rimanendone piacevolmente sconvolto al punto da incominciare, quasi, un nuovo percorso di vita.
Rappresentazione dell'allegoria 
di Macondo e della sua gente

Lo scoprirono i tanti figli del Sessantotto, colpiti proprio da “Cent’anni di solitudine”, presto imitati dalla generazione successiva: milioni di lettori sparsi ovunque. Gli amici lo chiamavano Gabo. Per tutti gli altri era uno dei più amati premi Nobel per la letteratura, che vinse 1982. I titoli dei suoi romanzi sono entrati perfino nei luoghi comuni, quante volte avrete sicuramente letto titoloni sui quotidiani recitare a caratteri cubitali “Cronaca di una morte annunciata” a proposito di qualche politico caduto in disgrazia? Ebbene si tratta di un libro di Gabriel Garcia Marquez, un libro di successo come molti altri. Anche quell'altro “L’amore ai tempi del colera” trova spesso mezione per altri intendimenti nei nostri luoghi comuni.
Gabo non aveva mai nascosto le sue simpatie per Fidel Castro e per il regime di Chavez in Venezuela, tantomeno la sua acerrima avversità per i narcos che ammorbano la Colombia con immensi traffici di droga. Era perfino celebre la rivalità, anche in amore, con il peruviano Mario Vargas Llosa, che lo sfidò a duello a pugni, anche se poi non mancò di lodarlo come un gigante della letteratura.
Il tumore che lo afflisse nel 1999 lo portò anche ad una svolta letteraria, più rivolta verso uno stile memorialistico, ma sempre caratterizzato dall’ironia. Fu così che pubblicò “Memoria delle mie puttane tristi”, ultimo sforzo narrativo. I quotidiani di tutto il mondo hanno riportato la notizia della sua morte con grande risalto in prima pagina.
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†  Rest in Peace Gabo.