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2014/11/22

Eternit & Stragi


Che legame esiste fra il malefico amianto contenuto nell'Eternit e le stragi di Stato degli ormai lontanissimi anni '80?
A ben guardare non mi risulta ci siano eppure esiste una sottile linea nera che li collega.
La Magistratura italiana.
Andrebbe riformata partendo dalle fondamenta, andrebbe eliinata quella presunta indipendenza dei giudici per farli dipendere da qualcuno che quale sommo giudice decida senza alcun condizionamento o forzatura che hanno esagerato, che stanno rovinando il bel paese. Lo so, sono un illuso ma, per fortuna, io non debbo subire gli strali e le stranezze del nostro sistema giudiziario, io sono abbastanza lontano da poter dire, almeno per una volta: Bella Italia e Lontana. 

La Magistratura italiana sta diventando per me sempre più assurda. 
La Cassazione è riuscita a annullare la sentenza di condanna per i danni da amianto della Eternit prendendo in giro in maniera vergognosa migliaia di cittadini e di morti con la motivazione che la condanna in primo e secondo grado è ormai prescritta.
Ma chi – se non anche i Magistrati – sono colpevoli per questo ritardo? E se il reato di disastro ambientale era prescrivibile perché non si è partiti subito con le accuse di omicidio come ora si vuol fare ora, troppi anni dopo la chiusura della fabbrica maledetta? 

E’ giusto che miliardari svizzeri e multinazionali così la possano far franca pur avendo scientemente inquinato e guadagnato con la Eternit tutto il possibile? Oltretutto obbligando ormai da molti anni privati, comuni, imprese a smaltire a prezzi costosissimi il loro pestifero prodotto, di cui ben sapevano la pericolosità.


Nello stesso giorno i presunti responsabili della strage del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna (sono già passati 34 anni!) sono stati condannati in sede civile a oltre 2 miliardi di euro per danni, ovvero quasi il “peso” di una legge finanziaria. Escludo che si potrà mai confiscare alla Mambro o a Fioravanti (e ipoteticamente anche ai loro figli, allora neanche nati, quasi c’entrassero qualcosa con l’attentato) neanche un millesimo di tale somma, ma resta aperto il problema su di una sentenza “politica” dove forse – almeno questo è il mio personale convincimento – si sono trovati due capri espiatori (oltretutto già fuori di galera per fine pena) che non sono i veri colpevoli dell’attentato. 

Anche Cossiga la pensava così e lo disse a chiare lettere, ma anche qui la Giustizia (ma merita ancora la maiuscola?) non ha voluto indagare sulla più che promettente “pista” terroristica palestinese: la strage era “nera” e tale doveva restare. 
Ha comunque una logica che gli indennizzi vengono stabiliti 34 anni dopo il fatto? E questa sarebbe giustizia!? 
Tra l’altro il macabro conto del valore dei morti tra le due sentenze sarebbe stato comunque incredibilmente sperequato: solo 30.000 euro per ciascun ammazzato di amianto, più di 200.000 per ciascuna vittima di terrorismo, chissà poi perchè. 
Purtroppo - nessuna delle vittime di entrambi i processi sarà indennizzata e una volta di più nel nostro paese si riconferma nei fatti che non c’è equità, non c’è giustizia, non c’è credibilità di un sistema giuridico che tutti i cittadini capiscono non possa più funzionare così. 

Se qualcuno ne volesse altra conferma è di queste ore la notizia che Francesco Storace è stato condannato a 6 mesi di reclusione per “vilipendio al Capo dello Stato” per aver sostenuto nel 2007 (solito tempismo!) che l’intervento di Napolitano sui senatori a vita che in quella era geologica sostenevano quotidianamente e determinanti il governo Prodi, fosse “indegno”. 
Scusate, ma se la “La legge è uguale per tutti” quanti ergastoli, a colpi di 6 mesi, dovrebbero prendersi Beppe Grillo e soci per le quotidiane contumelie al Presidente? Ma in questo paese non dovrebbe esistere anche la libertà di espressione e critica politica? 


2014/11/19

L'arte di vendere con successo!


Oggi vi parlerò di come imparare a vendere. Molti pensano che la capacità di vendere sia innata, ma non è affatto così. O meglio, ci sono sicuramente caratteristiche personali innate che possono aiutarti moltissimo nel vostro lavoro di venditore: simpatia, una buona presenza fisica, parlantina, senso dell’humour e carattere deciso.
Tutto ciò però non basta a assicurarvi il successo. Tenete anche presente che con l’applicazione e la giusta preparazione, queste componenti possono essere apprese e migliorate.

Ci sono tantissime altre caratteristiche che, acquisite tramite corsi tenuti da professionisti del settore, o lette sui libri che si occupano di business, poi possono e devono essere imparate sul campo facendo esperienza diretta.
Sono state scritte milioni di pagine e versati fiumi di parole su come imparare a vendere, su quali siano le migliori tecniche di vendita in assoluto, su come approcciare nel migliore dei modi un potenziale acquirente ma, personalmente, credo che se davvero volte imparare a vendere dovete cominciare dalla base!

Questa significa che dovete capire come promuovere voi stessi nel migliore dei modi e, immediatamente dopo, il vostro prodotto qualunque esso sia. Probabilmente ciò che vi sto per dire non é molto carino da ascoltare, ossia che dovete letteralmente imparare a vendere la sabbia nel deserto! Ciò che desiderate venga acquistato dovete presentarlo al meglio e, per far questo, dovete essere disposti a enfatizzare le caratteristiche migliori della vostra merce e di voi stessi. Ovviamente, ciò non vuol dire che dovete diventare persone senza scrupoli o eticamente scorretti.

Sento spesso dire che la vendita deve essere condotta su basi di correttezza assoluta e sincerità e concordo in pieno con questa teoria. Ma è altresì vero che, se vi presentate da un cliente dicendo “compra una delle auto del mio autosalone”, e poi se si va a analizzare bene si tratta di un’automobile assolutamente identica alle altre e con un prezzo per nulla competitivo, ho seri dubbi che qualcuno sarebbe così ingenuo da concludere l’affare. L’alternativa sarebbe avere a disposizione un prodotto così innovativo, esclusivo e a un prezzo talmente concorrenziale che si vende da solo. Tuttavia, a questo punto, diventereste semplici dimostratori in quanto la qualità e l’unicità della vostra merce farebbe il resto.

Purtroppo queste condizioni non si avverano nemmeno nei sogni… Quindi, se davvero volete imparare a vendere dovete, innanzitutto, essere disposti a farvi meno scrupoli e cominciare a costruire un’immagine bella, colorata, emozionante e seduttiva di qualsiasi cosa voi vogliate vendere. Attenzione, non vi sto dicendo di mentire, ma di fare pura e semplice promozione. Tutti i venditori lo fanno! Alcuni vanno ben oltre e iniziano a mentire spudoratamente sulla presunta qualità dei loro prodotti, quindi capite bene come non avreste alcuna possibilità di vendere facendo i timidi in mezzo a migliaia di squali…

Se volete avere successo nel settore vendite dovete imparare a presentare il vostro prodotto come fosse il migliore al mondo, unico e inimitabile, un prodotto di cui il cliente che siede di fronte a voi anche in un ufficio virtuale attraverso internet, dovrà essere convinto di non poterne fare a meno. Ci sono venditori in grado di guadagnare migliaia di euro al mese piazzando oggetti praticamente inutili o quasi, soltanto perché sin da subito hanno capito che, se volevano imparare a vendere, dovevano sviluppare una strabiliante capacità di presentare il prodotto come fosse il migliore in assoluto.

Non ha importanza se lo sia davvero, l’importante è soltanto essere capaci di convincere il vostro cliente. Ovvio che, come già detto in altri articoli, è sempre prassi opportuna cimentarsi nella vendita di prodotti e servizi eccellenti (o quanto meno buona). Questo in primo luogo vi faciliterà notevolmente il lavoro, poi darete l’impressione di essere professionisti qualificati e seri e, cosa da non sottovalutare, quando vorrete cambiare azienda o settore, o prodotti, potrete farlo senza problemi perché non vi sarete costruiti una pessima reputazione.

Alcuni guru della vendita dicono che il cliente si forma un’idea ben precisa di chi gli sta di fronte nei primi 30-40 secondi dell’incontro. E questo succede anche se il venditore si trova a migliaia di km di distanza, e il cliente comunica con il venditore solo attraverso email o skype. Questo significa che non avete assolutamente tempo per indugiare in inutili timidezze. Bisogna che impariate a dare immediatamente un’ottima immagine di voi appena entrate in contatto con il potenziale acquirente. Potete chiamarla una sorta di empatia se volete, dovete vendere voi stessi prima ancora di tentare di vendere il vostro prodotto.

Questo farà in modo che l’acquirente pensi “questo tipo è ok, mi piace, lasciamolo parlare e ascoltiamo cos’ha da dire”, e per far questo dovete sviluppare la vostra capacità di mettere in evidenza le vostre competenze, le vostre uniche peculiarità, dovete suscitare interesse e farlo nel più breve tempo possibile. Dovete sapere anche che il primo biglietto da visita per una presentazione di successo è sempre il sorriso. E se siete davanti a un computer o state parlando via skype e magari anche senza schermo a confermare il vostro sorriso? Non parlo di un sorriso reale, e nemmeno di uno falso perbenista, tipo dipinto sul volto. Se non potete sorridere perché non vi vedono allora trasmettete positività, non parlate come se il mondo stia per cadervi adosso, siate felici anche se non vendete uno spillo da mesi, dimostrate loro che tutto va bene, aiuta, serve a farli sentire tra potenziali amici.

Sorridete sempre, anche virtualmente, trasmettete felicità anche quando siete stremati e vorreste essere ovunque tranne che lì a concludere quel contratto. Sorridete anche quando il cliente vi fa impazzire e vorreste strozzarlo. Sorridete e, alla lunga, il vostro atteggiamento sarà vincente. E siate grintosi, duri, positivi. Il mercato attuale è quello che è, la concorrenza con i prodotti a bassissimo costo provenienti da Cina, Indonesia, India e altri è praticamente impossibile. La concorrenza, in qualsiasi settore, è spietata, i venditori in giro sono tantissimi, troppi direi. Le condizioni di lavoro sempre peggiori, le vendite sempre più difficili da chiudere, e questo è un dato di fatto incontrovertibile per la maggior parte di chi fa il nostro lavoro. Tutto “congiura” contro di voi e vi spinge a mollare e cercare un lavoro impiegatizio meno remunerativo ma più sicuro e rilassante. Tuttavia, non abbattetevi, il consiglio che più mi sento di darvi è quello di non mollare!

Perseverate sempre e non mollate mai, perché, nonostante tutto, quello del venditore rimane pur sempre il mestiere più bello del mondo e offre ancora buonissime possibilità di successo. Anzi, a dirla tutta, proprio quando il gioco si fa duro e molti mollano, allora è proprio quello il periodo in cui chi sa vendere guadagna molto di più del solito! Certo, ci vuole anche una buona dose di coraggio e disponibilità al sacrificio, in particolare voglio dire che non dovete avere paura di allontanarvi dalla base, di mettervi in gioco in settori in cui non avete mai lavorato. Magari vi troverete a parlare con gente molto lontano da casa vostra, in altre lingue, se le conoscete, magari dovrete lavorare di note quando tutti dormono, ma fatelo senza pensarci due volte. Valutate la convenienza economica e se vi sembra vantaggioso buttatevi!

Non fossilizzatevi nelle zone che conoscete alla perfezione e che frequentate, lavorativamente parlando, da una vita… Cambiate aria, girate, viaggiate, anche con il pensiero, anche su internet, l'importante è trovare il coraggio di farlo, di sentirvi diverso, di osare e se necessario, e se siete adeguatamente preparati, esplorate nuove esperienze anche e in particolare con clienti esteri. Esplorate mercati emergenti, andate dove attualmente girano i soldi veri, insomma affrontate nuove sfide con coraggio e nuova motivazione. Battete zone meno frequentate da venditori esperti, spingetevi sempre oltre e non spaventatevi delle condizioni che troverete.

Magari vi capiterà di dormire in posti non certo a cinque stelle, ma se volete imparare a vendere in condizioni di concorrenza come quelle che ci sono oggi nel nostro settore, dovete essere disposti a fare dei sacrifici e rischiare qualcosa in più. Sono convintissimo che, quando comincerete a chiudere nuovi contratti e acquisire nuovi clienti, sorriderete al pensiero della fatica spesa per arrivare a quel risultato. Per ottenere una simile grinta avrete bisogno tuttavia di motivazione e autostima, altre due caratteristiche fondamentali per voi che volete imparare a vendere.

Ci sono molti venditori che quando si approcciano a un nuovo cliente quasi sembrano chiedere scusa anticipatamente, si sentono un po’ dei truffatori che fregano la gente, si mettono in posizione di sudditanza nei confronti di chi compra.

Sbagliato, sbagliatissimo!

Non si stimano abbastanza, fanno sconti senza alcun senso, vivono un perenne sentimento di inferiorità che li penalizza molto in un lavoro come quello del venditore. Per questo, se volete imparare a vendere sul serio, dovete cominciare a lavorare sulla vostra autostima e rendervi conto che nessuno vi fa un favore se compra la vostra merce. Voi offrite un servizio, un prodotto che loro, gli acquirenti hanno disperatamente bisogno, e se non ce l'hanno sarete voi che lo farete notare in modo che penseranno che era maledettamente vero, ne avevano bisogno ma non lo sapevano.
Il compratore è libero di acquistarlo o no. Se lo fa non dovete certo star lì a ringraziarlo facendogli credere che siete disperati. Lui fa il suo lavoro, voi il vostro, e certo la vostra dignità professionale non è inferiore alla sua. Per cui alzate la testa, petto in fuori, pancia dentro e andate a concludere contratti orgogliosi di quello che fate per vivere! 

Un ultimo consiglio che mi sento di darvi è quello di mostrare un po’ di interesse sincero nei confronti di chi acquista i vostri prodotti. Non vi chiedo di abbracciarli, ma una virtuale pacca sulla spalla non costa nulla e, a volte, un atteggiamento affabile può aprirvi molte altre porte. Ricordatevi che l'importante è acquisire il cliente, non le commissioni, nemmeno i premi o le provvigioni, ma il cliente, quando l'avete convinto lui ritornerà perché si fiderà di voi, potreste anche provare a vendergli la sabbia del deserto...

Non fate l'errore di fargli credere di essere il loro nuovo miglior amico, i vostri clienti non cercano amici ma gente che risolve loro un problema (se avessero voluto amici l'avrebbero cercati in un bar). Quindi non fate il leccapiedi ma neanche l’arrogante e, soprattutto, mostratevi disponibile e gentili. E se serve arrabbiarsi fatelo con fermezza e ragione, quando serve, quando il cliente vi mette in seri problemi, ma non approfittatene, una volta potrebbe capitare, due sono troppe a meno di trovarvi davanti un perfetto incompetente ma, anche a quel punto, sarebbe un vostro errore, vi siete scelti l'acquirente sbagliato.

Questa caratteristica, ve lo dico per esperienza personale, vi servirà non solo nel vostro lavoro, ma anche nella vita di tutti i giorni. Un sorriso e una buone dose di positività verso gli altri vi faciliterà spesso nella vostra quotidianità.

Per concludere, cercate sempre di guardare oltre, di non scoraggiarvi mai e, con tanta applicazione e le tecniche giuste, cominciate a prendervi ciò che volete in questo mondo, rimanendo sempre corretto ma con tanta tanta tanta tanta grinta. 

Se riuscirete a imparare a vendere cambierete la vostra vita in meglio!

2014/11/13

Alibaba lost the forty thieves


It is ironic that on November 11, the day the West looked backwards and remembered World War I, China looked forward and was open for business. Wide open. November 11, a day carved from the calendar by Alibaba to kickoff the largest shopping season of the year, has not just become the world’s biggest online commerce event of the year but now tops the business done on both Black Friday and Cyber Monday in the United States.

The November 11 shopping frenzy is a reminder of the astonishing progress of huge chunks of China’s technology industry. In one generation many segments of China’s technology industry have achieved what took a century in Silicon Valley.

Western xenophobes will protest that this is due to the Chinese theft of intellectual property and protective regulation – an attitude sadly captured by Vice President Biden in a recent speech when he said to his audience, “I challenge you, name me one innovative project, one innovative change, one innovative product that has come out of China.” If the Vice President had spent more time in China he would realize the country teems with creative entrepreneurs and can also justly lay claim to housing not one, but four, Silicon Valleys.

The best Chinese entrepreneurs – Jack Ma, Pony Ma, Hongyi Zhou, Robin Li, Richard Liu, Lei Jun, Eric Shen and Charles Cao (to name but a handful) - demonstrate the same flair for combining innovation, opportunism and intuition as the bold names of the Western technology universe. However, they, and their companies, are much better positioned for the next twenty-five years than their Western counterparts even though many in China still harbor an absurd inferiority complex for developments in the United States.

Western technology leaders who take the time to travel to China to learn will be richly rewarded and will return with a basketful of ideas for new products, business models and management techniques. Many in Silicon Valley – despite the conclusive evidence and deafening hoopla of Alibaba’s IPO - still have a hopelessly outdated view of China. They are in for a shock.

Chinese companies will do far better outside their borders than the U.S. counterparts will do in China. This has much less to do with regulations than it does with culture and attitude. Most of today’s Chinese entrepreneurs – particularly those raised in the large cities - had ten years of English instruction at school and eagerly devoured Hollywood movies. Not too many American entrepreneurs can pretend to possess the same familiarity with China and what should be an opportunity appears hopelessly intimidating and mysterious. It is just very hard for foreign entrepreneurs, no matter how talented, to design software and systems that demand intimate knowledge of local customs and habits.

Today’s Chinese have other huge strengths. Any entrepreneur who can survive, let alone prosper, in the most competitive business environment in the world, is in great shape to take on even the best-trained, foreign contender. Add to this the memories of privation and dark times that still loom large in the psyche of the current generation of Chinese entrepreneurs and there is an inexhaustible quest for work. Name one sizeable Silicon Valley company that operates 12/7 – the Chinese shorthand for twelve hours a day, seven days a week.

This year, Beijing’s celebration of November 11 was particularly striking. Not only were retail sales larger than ever, but the gathering of world leaders for the APEC meeting prompted a characteristic Chinese orchestration of events. Factories have been closed, many government workers have been given a six-day holiday and stiff driving limits are being enforced. The result: temporarily clear skies that allow, anyone who cares to look, a sharper view of many of the world’s best technology companies.

2014/11/09

Il muro di Berlino, 25 anni


Venticinque anni fa cadeva il muro di Berlino. Sono in Francia da alcuni anni e viene facile riflettere sul grande rischio che il gelo nei rapporti tra i paesi d’Europa per la crisi economica rischi di cancellare le enormi cose positive che sono l’anima dell’Unione Europea. Ricordo quando negli anni ’90 qaundo per ragioni di lavoro visitavo ogni anno diverse nazioni e dovevo utilizzare il passaporto e diverse monete e vivo la realtà di oggi dove ci si sposta senza problemi, si ha in tasca una moneta comune, si seguono in TV gli stessi problemi si vive – tutto sommato – in pace, almeno tra le nazioni europee. 

I più giovani daranno queste cose come scontate ma ricordo quando non si poteva attraversare una frontiera senza documenti ed ispezioni e i cambi erano vergognosi perché l’Italia dava ben poca fiducia. Cento anni fa era il primo autunno di una guerra europea che per la prima volta era davvero globale e non ci rendiamo conto di quante sofferenze quella guerra e quella successiva abbiano prodotto per risultati che oggi ci sembrano nulli. Cose vere, dolori fisici indicibili, milioni di ragazzi sacrificati e mandati al macello per questioni territoriali che oggi nessuno neppure più ricorda. Speriamo, pur con tutti i problemi “europei” che ci affliggono, che nessuno dimentichi di guardare ai problemi con una dimensione continentale, l’unico modo per “contare” qualcosa a livello mondiale.


Che i morti di Verdun, delle Somme, del Piave e poi quelli nei campi di sterminio, sotto le bombe nelle città distrutte, delle fosse di Katyn, fino agli ultimi che cercavano invano di superare il muro a Berlino (già venticinque anni!) ci facciano riflettere, ricordare e capire quanto sia importante la pace ma anche quella entità che finalmente è nata dopo secoli di guerre, quella che chiamiamo “Europa” e di cui siamo tutti cittadini. Forse se una TV avesse il coraggio di trasmettere “in diretta” l’orrore di un bombardamento, le immagini di un ferito morente con le budella sventrate da un proiettile… vi sembra troppo cruento? Eppure improvvisamente capiremmo meglio cosa vuol dire “guerra” e “pace” più di mille discorsi e scopriremmo l’importanza di 70 anni di Europa.

2014/11/02

Tributo a Stefano Cucchi

La sentenza dell'altro ieri per il caso di Stefano Cucchi dove in appello sono stati assolti forze dell’ordine, polizia penitenziaria e medici - tutti in qualche modo legati alla sua morte - mi ha lasciato sconcertato.

Non mi interessa se per qualcuno Cucchi fosse un “balordo” o peggio, era comunque un cittadino che era stato arrestato (e quindi affidato allo Stato!) e che in pochi giorni è morto di botte, non curato, dimenticato in modo vergognoso da chi aveva il dovere comunque di assisterlo. Mi pare un caso di sconcertante omertà, una pagina nera non tanto della giustizia (che non può condannare in campo penale nessuno senza prove personali certe) quanto dell’intero “sistema” che ha vergognosamente coperto e nascosto i fatti.

Una bruttissima vicenda che getta un’ombra grave sul nostro sistema inquirente, penitenziario e sanitario visto che non si è voluto fare chiarezza, anzi, si sono volutamente confusi i fatti. In una società che si dice civile tutti devono avere i propri diritti e doveri perché prima di tutto siamo delle persone e dei cittadini ed il “sistema” non deve mai coprire chi ha sbagliato e soprattutto nascondere la verità, per imbarazzante che possa essere. Questa brutta storia di Stefano Cucchi è e resterà davvero una vergogna italiana.


Spostati Silvio !!!


Consueto appuntamento settimanale con la politica di casa nostra. Noto con dispiacere che da noi i politici sono "per sempre" mentre all'estero preferisconofarsi da parte per far posto alle nuove generazioni. Parliamo del sempreverde - a parole ma non nei fatti - Berlusconi, che intende ricandidarsi per affossare ancora un po' la destra. Allora il titolo appropriato a questo post potrebbe essere "Spostati Silvio". Vai via, lascia un pizzico di autodeterminazione a questo paese martoriato dai tuoi errori e di quelli che sono venuti prima e dopo. Lascia a noi la scelta di capire quale potrebbe essere la strada corretta, lo capiremo prima o poi, anche senza la balia. Troppo comodo adesso dichiarare che le scelte di Renzi (che non sceglie) erano le vostre, quando eri tu li come mai non hai attuato quelle riforme? Lo sport della dietrologia in Italia non muore mai, come la mamma degli imbecilli. 
Adieu Silvio!

Berlusconi ha annunciato per primavera il “rilancio” di Forza Italia mentre molti segni danno per possibile un riavvicinamento almeno elettorale dei diversi partiti del centro-destra, unico modo per opporsi allo strapotere di Matteo Renzi, che peraltro afferma concetti sempre più vicini al centro o addirittura al centro-destra che non alla sinistra. Credo però che per riproporre nel centro-destra una alleanza seria, organica, potenzialmente capace di tornare a vincere, si deve passare però attraverso 2 strettoie: il ritiro di Berlusconi dalla politica attiva e un sistema elettorale che torni a premiare la qualità degli eletti, come dovrebbe essere un obbligo programmatico per chi sta a destra e tendenzialmente crede nella qualità, nella selezione e nel valore del singolo.

Resti un Berlusconi “presidente onorario” e certo non sbeffeggiato, che continui a essere parlamentare “a vita” se gli servisse per essere tutelato dai colpi di coda dei giudici, ma che non sia più “dominus” di una situazione politica che con lui in campo – anzi, addirittura capitano della squadra – rende le cose molto più complicate.  Giusto o sbagliato che sia e piaccia oppure no, per la stragrande maggioranza degli italiani – anche a destra - Silvio Berlusconi non è più credibile, è diventato un formidabile tappo al rinnovamento, al rilancio, al far apparire all’orizzonte della anti-sinistra persone nuove che proprio del Cavaliere (ex) ne possano e sappiano continuare l’impegno.

Coraggio, Presidente! Abbia la forza di un passo indietro ben sapendo che è difficile, duro e forse anche ingiusto, ma questo suo ritiro è necessario. Lo legga come un suo sacrificio per l’Italia che dice di amare e poter così riproporre una parte politica che frantumata e divisa non va da nessuna parte ma che con lei ancora alla testa è purtroppo condannata a perdere, soprattutto perché dimostra di non sapersi rinnovare. Perché non si comincia a chiedere e a sostenere questo aspetto a tutti i livelli, perché si tace quando questo concetto è invece condiviso dalla stragrande maggioranza degli italiani? Sembra che nessuno abbia il coraggio di vedere che “Il re è nudo”, però quando quel bambino della fiaba cominciò a dirlo, tutti se ne accorsero e condivisero!

E qui scatta il secondo blocco: il sistema elettorale presente (e futuro, se non si cambia) che premierà solo gli yesman a destra come a sinistra e questo è profondamente sbagliato perché fermerebbe l’Italia con la sua definitiva condanna alla serie B. In questo senso l’accordo Renzi-Berlusconi è pericoloso per tutti, una stretta mortale al rinnovamento e che a oggi premierebbe tra l’altro solo e soltanto Matteo Renzi che ha capito da tempo le debolezze di Silvio e intelligentemente lo seduce salvo poi proporre disegni non graditi all'esimio quanto decaduto partner virtuale. Spostati Silvio, lascia libero il campo, lascia che siano le generazioni future a gestire il paese, quelle passate ormai hanno perso la grinta e lo smalto e incamerato fortune gigantesche in conti svizzeri e caraibici. Ordunque, lascia che altri riempiano i loro forzieri di idee non già quattrini, quelli ormai te li sei fregati tutti tu e la tua cricca dalle tasche degli italiani.


2014/10/27

Mamma, dona i miei occhi, il mio cuore...


La lettera alla madre di Reyhaneh Jabbari, la 26enne impiccata il 25 ottobre a Teheran perché si era difesa dall'uomo che voleva violentarla.

«Cara mamma,
oggi ho scoperto che è arrivato il mio momento di affrontare la Qisas (1) . Mi fa male pensare che tu non mi abbia informato che ero arrivata all’ultima pagina del libro della mia vita. Perché non me l’hai detto? Perché non mi hai dato la possibilità di baciare la tua mano e quella di mio padre? 

Il mondo mi ha concesso di vivere per 19 anni. Quella notte terribile sarei dovuta essere uccisa. Il mio corpo sarebbe stato gettato in qualche angolo della città e dopo qualche giorno la polizia ti avrebbe portato all’obitorio per identificarmi e solo in quel momento avresti capito che sono anche stata stuprata. 
Non avrebbero mai trovato l’assassino visto che non siamo ricchi come lui. Tu avresti vissuto soffrendo e vergognandoti e saresti morta per colpa di questo dolore.

Con quel "maledetto colpo" la mia vita è cambiata. Il mio corpo non è stato gettato da nessuna parte, ma nella tomba della prigione di Evin e della sua sezione di isolamento. Poi in quella di Shahr-e Ray. Ma arrenditi al destino e non lamentarti: tu sai bene che la morte non è la fine. Proprio tu mi hai insegnato che si vive per fare esperienze e imparare. Ogni persona che nasce ha sulle spalle una responsabilità. Ho imparato che a volte bisogna lottare.

Mi ricordo quando mi hai detto che l’uomo che guidava la carrozza ha protestato contro l’uomo che mi stava fustigando, ma poi mi hai detto che lui l’ha colpito con la frusta in testa e in faccia, ed è morto. Mi hai insegnato che se uno crede in un valore ci deve credere fino alla morte.

Quando andavo a scuola mi hai insegnato che dovevo sempre comportarmi “come una signora” davanti alle discussioni e alle lamentele. Ti ricordi quanto ci tenevi a questa cosa? Questo tuo insegnamento è sbagliato. Quando mi è successo questo incidente, il tuo insegnamento non mi è stato d’aiuto. Come mi sono presentata davanti alla corte mi ha fatto sembrareun’assassina fredda e premeditatrice. Come mi hai insegnato tu non ho pianto, non ho implorato perché credevo nella legge.

Ma sono stata anche accusata della mia indifferenza davanti a un crimine. Tu lo sai, io non ho mai ucciso neanche una zanzara, per liberarmi dagli scarafaggi li sollevavo prendendoli dalle loro antenne. E ora sono diventata un’assassina volontaria. Il modo in cui trattavo gli animali è stato interpretato dal giudice come un comportamento maschile, ma non si è nemmeno preoccupato di notare che nel momento dell’incidente avevo lo smalto.

Che ottimista colui che crede nella giustizia. Il giudice non hai mai contestato il fatto che le mie mani non sono ruvide come quelle di uno sportivo, di un pugile. E questo Paese che amo grazie a te, non mi ha mai voluto. Nessuno mi ha sostenuto quando incalzata dagli inquirenti piangevo e gridavo per quei termini così volgari. Quando ho perso anche il mio ultimo segno di bellezza rasandomi i capelli, sono stata ricompensata: 11 giorni di isolamento.

Cara mamma, non piangere per queste parole. Il primo giorno in cui alla stazione di polizia un agente vecchia zitella mi ha schiaffeggiato per le mie unghie, ho capito che la bellezza non è per quest’epoca. La bellezza di un corpo, dei pensieri, dei desideri, degli occhi, della bella scrittura e la bellezza di una voce. 
Cara mamma, i miei ideali sono cambiati e non è colpa tua. Le mie parole sono eterne e le affido a qualcuno così quando verrò impiccata da sola, senza di te, saranno date a te. Ti lascio queste parole scritte come eredità.

Comunque, prima della mia morte, vorrei qualcosa da te. Qualcosa che mi devi dare con tutte le tue forze. In realtà è l’unica cosa che voglio da questo mondo, da questo Paese e anche da te. Lo so che hai bisogno di tempo per questa cosa, ti prego non piangere e ascolta. Voglio che tu vada in tribunale e dica a tutti la mia richiesta. Non posso scrivere questa lettera dalla prigione perché il capo non l’approverebbe mai, soffrirai ancora per me. È una cosa per cui potrai anche implorare, anche se ti ho sempre detto di non implorare per la mia salvezza.

Mia dolce madre, l’unica che mi è cara più della vita, non voglio marcire sottoterra. Non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere. Prega perché venga disposto che non appena sarò stata impiccata il mio cuore, i miei reni, i miei occhi, le mie ossa e qualunque cosa possa essere trapiantata venga data a qualcuno che ne ha bisogno, come un dono. Non voglio che il mio destinatario conosca il mio nome, o che mi compri un mazzo di fiori o che preghi per me. Dal profondo del mio cuore ti dico che non voglio una tomba su cui tu puoi piangere. Non voglio che tu ti vesta di nero, fai il possibile per dimenticare questi giorni difficili. Dammi al vento che mi porti via.

Il mondo non ci ama, non ha voluto che si compisse il mio destino. Mi arrendo a esso e accetto la morte. Di fronte al tribunale di Dio accuserò gli ispettori, accuserò i giudici della Corte Suprema che mi hanno picchiato e minacciato. Accuserò Dr. Farvandi, Qassem Shabani e tutti quelli che per colpa della loro ignoranza o delle loro bugie mi hanno messo in questa posizione e ucciso i miei diritti oscurando che a volte quello che sembra verità non lo è. Cara mamma dal cuore tenero, nell’altro mondo saremo io e te gli accusatori e gli altri gli accusati. Vedremo cosa vuole Dio. Vorrei abbracciarti fino alla morte. 


Ti amo, 
Reyhaneh»


(1) la legge del taglione in Iran, ndr

2014/10/25

Gli scialatori...


No, non mi sono sbagliato, scialatori, coloro che spendono e sprecano, in questo caso, denaro pubblico. In questo modi si dovrebbero chiamare i presidenti delle regioni a statuto speciale dove sembra, ma è solo un'impressione, che tutto vada bene invece va male come nel resto d'Italia. Parliamo oggi di politica, tanto per cambiare, di quella schietta e pungente e vediamo se a qualcuno viene in mente che gli italiani non sono sempre mucche da mungere ma hanno un cuore e un'anima anche quando si lamentano e dicono che non arrivano a fine mese.

Mentre Renzi sulla legge di stabilità fa un po’ il gradasso in Europa (e vedremo come finirà) tiene banco la polemica sui “tagli” agli enti locali e specialmente alle regioni.
Se si vuole risparmiare perché non si spiega chiaramente agli italiani i motivi per cui le regioni a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e Valle D’Aosta) possono spendere infinitamente di più rispetto a tutte le altre?

Lasciando perdere Molise e Valle d’Aosta che sono micro-regioni (e dove peraltro – secondo Confartigianato – circa il 75% dei dipendenti non sarebbe indispensabile) perché in Lombardia – e considerando nel conteggio sono esclusi i dipendenti della sanità – bastano 3 (tre!) dipendenti regionali ogni 10,000 abitanti che salgono a 6 in Veneto e a 7 in Piemonte mentre in Sicilia ce ne devono essere 38, ma anche 25 in Sardegna e – sempre ogni 10,000 abitanti -  ben 85 a Bolzano con il record di addirittura 90 a Trento, ovvero trenta volte di più per ogni abitante rispetto alla Lombardia?  

Certo che poi a Trento e Bolzano si sta bene, ma i servizi offerti ai siciliani sono forse dieci volte migliori di quelli lombardi o invece è l’esatto contrario? 
In realtà in Sicilia (come a Trento e Bolzano) si sciala e si è super-sprecato nel tempo e allora Mr. Renzi tolga a queste regioni una parte delle loro risorse e non pretenda di farlo allo stesso modo con quelle regioni che – pur tra tanti sprechi - almeno dimostrano di saper impiegare meglio i propri soldi.

Perché di sprechi ce n’è e se ne continuano a fare , anche in Piemonte. 
Questa settimana, per esempio, agli insegnanti piemontesi è giunta, stampata a spese del consiglio regionale, la “AGENDA SCUOLA 2014-2015” ovvero un semplice diario scolastico che, comunque è arrivato 40 giorni dopo l’inizio delle lezioni, non serve a nessuno. Quanto è costato, pur impreziosito con la ridondante presentazione del neo-presidente  Mauro Laus che nel presentare il diario arriva addirittura a citare Victor Hugo e “I Miserabili”? 

Certo nessun insegnante piemontese leggerà le corpose pagine allegate del “Contratto Collettivo nazionale del Comparto Scuola quadriennio giuridico 2006-2009 sottoscritto il 29.11.2007 con successive modificazioni” che, più economicamente, è gratuitamente disponibile (aggiornato) su internet!

Bisogna risparmiare, certo, ma anche avviarsi sulla strada di trasferire a ogni regione e ogni comune lo stesso importo per ciascun suo cittadino oppure trasferire di più ma solo in cambio di obiettivi strategici raggiunti. 
Circa poi l’essere regioni “a statuto speciale” poteva avere un significato 60 anni fa ma non più oggi e quindi questi benefit devono ridursi perché sono ingiustificati per le finanze pubbliche. Perché un paese montano in provincia di Trento deve ricevere così tanto di più rispetto a uno ossolano, valtellinese o a un confinante comune bellunese tutti comuni esattamente uguali per problematiche, distanze, disagi e geografia? 
Non è giusto!

Se si applicassero questi tagli non ci sarebbe alcuna ragione di aumentare le tasse agli italiani, soprattutto con alcune scelte assurde come gli aumenti spropositati delle trattenute sulle rendite vitalizie, le assicurazioni, la previdenza professionale che invece dovrebbe esser incentivata. Ricordiamoci che le pensioni pubbliche saranno sempre più povere e da anni si sostiene quindi l’utilità delle polizze integrative e dei fondi pensione che crescono con i versamenti degli associati e con i guadagni che vengono capitalizzati. 

Il governo Renzi ha deciso di tassare al 26% (ovvero quasi di un terzo) la loro “resa” e quindi di fatto ha impoverito tutti i risparmiatori che avevano investito sulla propria pensione. E i più danneggiati saranno proprio i giovani, quelli che solo su una pensione integrativa possono pensare ad un loro futuro, altro che parlare di incentivi!

Si tassino piuttosto le grandi rendite, le speculazioni che danno guadagni grazie all’elusione fiscale e soprattutto da un certo importo in poi, le troppe transazioni finanziarie immotivate e speculative, le società di comodo ma non i piccoli patrimoni della gente comune e il risparmio di tanti milioni di italiani che tra l’altro, reinvestito in Italia, è fonte di sviluppo economico per l’intera nazione.

Una piccola parentesi finale, mi vengono in mente certe analogie...
Non capisco: Berlusconi dice che Forza Italia “resterà all’opposizione di questo governo” e poi  concorda con il PD di Renzi sulla legge di stabilità, sul sistema elettorale, sulle coppie gay con “il sistema alla tedesca” (specifica espressione – peraltro imprecisa – di entrambi) e adesso perfino sullo “jus soli” per dare la cittadinanza ai figli dei clandestini. 

Dov’è allora, al netto della demagogia, l’“opposizione” di Berlusconi? Soprattutto – ammesso che invece sia giusto sostenere Renzi – dov’è il “rinnovamento” annunciato per Forza Italia se lo stesso Silvio Berlusconi, alla soglia degli 80 anni, conferma che si ripresenterà senz’altro come suo leader alle prossime elezioni? 

Elezioni che peraltro Matteo Renzi vincerà a mani basse soprattutto se passerà il sistema elettorale da lui emendato in questi giorni che nel concreto darà al primo partito, ovvero al PD (e non più alle coalizioni) l’intero premio di maggioranza della futura unica Camera, anche se resterà ben al di sotto del 50% dei voti, per giunta con candidati tutti scelti dallo stesso premier, ovvero da Renzi.

ADESSO VOI VERIFICATE LE SINGOLARI ANALOGIE CON IL SISTEMA DI VOTO ADOTTATO PER LE ELEZIONI POLITICHE DEL 1924 CHE PORTARONO ALL’INSTAURARSI DEL REGIME FASCISTA…

2014/10/18

Il giorno prima era estate


Il 13 agosto scorso ricadeva il settantesimo anniversario del disastro della diga di Molare. Dimenticato da molti, quasi tutti si ricordano del più noto Vajont che invero fu capace di mietere alcune migliaia di vittime, anche questo disastro, come molti in Italia, si origina da una disattenzione, enorme, che rappresenta anche, ai giorni nostri, la ragione delle alluvioni e allagamenti delle nostre città: l'idrologia e più in dettaglio l'analisi delle rocce e del sottosuolo è argomento trattato con insignificante attenzione nel nostro paese e, quando si verificano disastri, lo scaricamento delle responsabilità diventa uno sport nazionale.

Godiamoci questo racconto, sintesi di una storia vera, di un disastro perso nella nostra memoria che bisognerebbe ricordare come un frutto marcio della fretta.

Il giorno prima era estate. Quello dopo, ognuno lo vedeva a suo modo. C'era chi tirava il fiato per la gran paura. Chi alla paura guardava ancora negli occhi, perché era dietro a cercare qualcuno o qualcosa che l'acqua si era portata via. L'acqua. Sempre lei. E quel fiume a dettare a tutti il tempo.

Il giorno prima era estate anche per quei due di Bandita che si erano procurati una corba a testa di uva luglienga da portare a spalle da Marciazza sino all'Acquabianca. 
Roba da non credere, fatiche da non dire. Cose da record, ma nel libro dei primati ci stava per finire la gran acqua che in 4 ore, il 13 agosto del 35, andava nei libri di idrologia a far gara con altre piogge raccolte da fiumi lontani sino all'India. Specialisti nel settore, quelli si abituati a diluvi fuori dal nostro pensare.
Andava così. Che i due di Bandita trovavano rifugio alla casa di Poldo, in faccia alla Sella. E sotto un tetto, loro, destinati a portarsi in spalla tutto quel peso, dovevano star più contenti di quelli che per l'indomani avevano solo pensato a giorni di festa e si ritrovavano con quell'ansia che dà sempre l'acqua quando scroscia e non smette.

Scroscia e non smette.

Poldo era ragazzo. Diceva che dalla loro casa la sella era in faccia e la si vedeva coperta da 3 metri buoni d'acqua. Che saltava il bastione e picchiava sulla terra, sulla roccia, su quello che c'era. Che il giorno prima sembrava indistruttibile ed in quelle ore diventava burro agli occhi dei pochi testimoni.
Due moriranno.
Tra i lampi, qualcuno, dai bastioni di lato più saldi, si sbracciava a cercare di segnalare che per il lago non ci sarebbe stato più scampo. Chi si è salvato lo deve a quella storia che dicevo. Le cose ed i panorami che tutti i giorni si vedono vengono quasi a noia, ma anche se non ci se ne accorge entrano nella pelle ed in certi casi la salvano. Quel panorama abituale alla famiglia di Poldo, in quattro ore era diventato una vista intollerabile. Ci si leggeva la fine di tutto e loro scappavano sotto l'acqua in salita su dalla scarpata. Lasciando quelli dell'uva luglienga a scaldarsi una minestra. Loro non c'erano abituati a quella diga e pensavano che le cose fatte dagli uomini non potessero averla persa in mezza giornata. Sotto l'acqua Poldo scappava e la cosa che più ricordava di quegli attimi, anni ed anni dopo, erano le caviglie di sua madre piantate dentro gli zoccoli a schizzare fango davanti a lui. Quelli dell'uva, ora, erano quelli della minestra. Uno avrà avuto la testa bassa a guardare il fuoco e girare nella pentola col mestolo. Ma l'altro di sicuro l'occhio verso la diga l'ha tirato, all'ennesimo lampo, e credo che lo spostamento d'aria l'abbia sollevato, lui, la minestra ed il compagno, tanto in fretta da fargli solo pensare a quei diavoli che i frati delle Rocche avevano ancora il vezzo di descrivere dal pulpito per spaventare i bambini, nel coro dell'Oratorio tra l'ultimo sbuffo di incenso e l'attacco del Tantum Ergo, i giorni della novena dell'Assunta. 
Quando Poldo me lo raccontava mi faceva venire i brividi. Come tutti quelli che in vita han letto poco, ma han sudato abbastanza, usava frasi corte per esprimere paure lunghe delle giornate: "neanche i colombi sono usciti dai coppi". L'acqua che saltava la Sella Zerbino e poi la faceva crollare aveva generato un maglio, fatto solo d'aria, che colpiva la collina di fronte e quella prima casa, disfandola con quello che c'era rimasto: gli oggetti di una famiglia contadina, due corbe d'uva, due di passaggio, una minestra ormai calda e quei colombi che sotto i coppi erano abituati a rifugiarsi.

Poldo quel giorno diventava uomo. Non credo che a correre via avesse il comando, ma il giorno dopo, quando arrivarono i primi carabinieri e qualche giornalista per spiegarsi tutto il disastro che era successo a valle, servivano braccia forti e gente che conoscesse tutte le curve del fiume, vecchie e nuove di quel giorno. Poldo era lì e a differenza di altri sapeva cosa cercare. Lasciamo stare i colombi, ma quei due di Bandita erano cristiani e se non si fossero fermati a casa sua sarebbero spariti. Neanche buoni per le statistiche. Poldo fu arruolato "volontario" ad entrare nelle acque limacciose che ora scorrevano lente e formavano nuovi grandi laghi, pericolosi perché pieni di mulinelli e detriti. "Castellunzè" sembrava un'isola e la spalla dove era stata la sua casa, la vigna e sopra, la strada per Olbicella, avevano perso ogni dettaglio lasciato dal lavoro degli uomini. Dopo quel maglio fatto d'aria compressa, era arrivata una mazzata d'acqua tanto dura e forte da compattare qualsiasi profilo, qualsiasi segno. Dove c'erano state terrazze coltivate, ora c'era una parete liscia come un intonaco. In fondo alla scarpata Poldo trovava il primo morto ufficiale di quel disastro. Uno che lì non avrebbe dovuto essere. Partito con il sole e previsioni di gran fatica, si era fatto tentare da una minestra nel posto sbagliato. Aveva finito la sua strada terrena sbucciato come un limone a galleggiare in acque che due giorni prima non c'erano. Poldo l'aveva trovato incastrato tra gli arbusti, duro e pesante, e l'aveva trascinato, mi diceva lui, afferrandolo in mezzo alle gambe dove un po' di stoffa rimasta lo faceva scivolare di meno. Per quei giochi che fa il destino, quel viaggio a riva aveva la sua importanza. Furono dati, voglio sperare, aiuti alle famiglie colpite, ma credo che dimostrare d'aver avuto dei lutti fosse necessario. E aiuti credo proprio che servissero a chi per arrotondare portava per chilometri in spalla una corba d'uva. Dimostrare di esserci, anzi, di esserci stato, lì a prendersi tutta la sventura sino all'ultima goccia, era certo difficile per chi non poteva contare su una residenza conosciuta da quelle parti. Non mi risulta che il compagno di minestra abbia avuto altrettanta fortuna. Altri corpi a valle se ne trovavano, ma fu certo più semplice attribuirli a chi si sapeva per certo che da qualche parte doveva pur essere finito.

Quel giorno di agosto fu una specie di sposalizio tra il torrente ed il paese. Dissero chiaro e tondo a tutti gli invitati che si trattava di un'unione ufficiale e definitiva. Nel bene e nel male. Si erano sempre frequentati e la vita certo ne era derivata. Ma quel giorno l'acqua era scesa, sulle sue solite strade, con un vestito nuovo, ampio come un turbine. Travolgeva, faceva nuovi passi e si faceva annunciare da un rombo sordo che durò tutto il tempo di pranzo.

Al meglio, sarebbe occorso un maestro di cerimonia che la precedesse fino al paese per mettere in riga gli invitati - una carrozza che corresse sotto l'acqua a perdifiato per i tornanti dalla diga sino a San Sebastiano. Capitò invece come quelle volte che in piazza c'è animazione crescente per qualche macchina lustra e qualche buon vestito che vanno a fermarsi davanti al sagrato. E chi passa si immagina di lì a poco l'arrivo di quelli della sposa. E aspetta e chiede chi sono. E' un po' preparato alla sorpresa ed un po' no. Ma aspetta per vedere. Il preannuncio non fu quindi dato al telefono, né da qualche uomo che fosse riuscito a correre davanti a quella lingua d'acqua che riempiva le gole. Prima di un metro, poi di dieci, venti, sino a strozzarsi contro qualche barriera e poi riesplodere nella corsa. Niente campane. Un muggito sordo, basse frequenze che toccano qualcosa dentro e fan prima a spaventare gatti ed uccelli, ma tormentano anche i cristiani più sensibili.
Quelli agitati quel giorno o da quando eran nati.

Pagine fa avevamo un bel posto per seguire le storie e raccontarle. La riva 
che punta verso Battagliosi sulla riva destra del fiume. La miglior terrazza per guardare il paese. Ma sarà il caso che ci si tolga, che si vada via. A guardare si, ma da più lontano. E' quello che tanti per fortuna hanno pensato. Meno quelli che avevano le cose in basso e che avevano poco tempo per decidere e molti motivi per convincersi che l'impossibile non potesse succedere.

Di quell'ora ho parlato con tanti.

Ora so che c'era un gruppo numeroso in fondo al paese all'imbocco del ponte.
Una banda di ragazzi che si muoveva tra la Chiccolina e la scarpata sotto l'Oratorio.
Qualcuno della famiglia Bruno dentro la loro casa nuova.

Sarà il nostro testimone. I nostri occhi tutti questi anni dopo. A fermare un rumore. Trasformare un rimbombo che durava da un'ora e che adesso aveva la sua forma liquida a divorare il paesaggio.

Il nostro uomo al riparo della casa, scattava la foto alla sposa che arrivava in paese.

Eccola.

Disastro di Molare
Con il suo strascico avrebbe fatto una decina di vittime tra la "fontana" e la "ghiaia". Avrete capito che forse qualcosa nel conto saltò e che i nomi ed i corpi per farli coincidere ci volle molta buona volontà. Ma proseguendo su Ovada ebbe la sua gloria, incrementò il bottino e conobbe giorni dopo i Reali in visita. Noi ci fermiamo dove siamo. Altri hanno raccontato e bene quello che accadde passato il ponte di ferro. 
Sotto San Giorgio era roba da uomini. L'acqua lambiva le prime case del paese. C'era qualche carabiniere, braccia forti pronte a far qualcosa e di sicuro una macchina fotografica dalla quale nulla ci è pervenuto. L'hanno vista in più d'uno ed ho idea di chi l'avesse. Non so che possa aver visto e a noi non testimoniato. Doveva essere un diluvio. Assordante il rumore delle acque che sbattevano contro il ponte, sgretolandolo con i colpi d'ariete scagliati da tronchi, pietre e macerie trascinate dalla valle. Una foto, da lì, sarebbe certo stata difficile da fare ed avrebbe offerto poco da vedere: solo un gran tumulto di grigi impastati l'uno con l'altro dal tremore della mano. Ci mancherà quindi, e non potremo far altro che immaginarcelo, un gruppo di cappellacci grondanti d'acqua con volti sotto mezzi coperti e con in vista solo gli occhi sbarrati ed un braccio teso ad indicare a tutti qualcosa. Sul bordo del fotogramma due carabinieri, più composti degli altri, a fornire un minimo di règia dignità e sicurezza. In fondo in fondo, a salire, qualche puntino ad indicare ragazzi e qualche donna a spingerli in direzione di Cassinelle e Cremolino. Verso case di cugini che offrissero riparo e il tempo per pensare. Dalla casa dei Bruno invece si vedeva tutto con comodo ed il tetto era nuovo e l'orrore poteva riguardare solo quanto era di altri e non proprio. Che lì tutto era sicuro. Tante furono le foto. Una sola quella arrivata sin qui. Mostra un mare d'acqua che trova ostacolo nel ponte e vi rigurgita sopra, scavalcandolo, ma sentendone ancora la consistenza forma un profilo, come di un'onda, su tutto quel bastione che legava Molare ad Ovada. Persino il Rio Granozza ha trovato da riempirsi ed allagare tutta la sua gola. Quello che si prepara è l'ennesimo sfondamento che trasformerà l'acqua, che sta ribollendo contro la diga precaria rappresentata dal ponte materiale, nel fronte in grado di travolgere e far scomparire l'intero ponte ferroviario. Sono i ragazzotti che abitano nella parte alta del paese gli unici a vedere tutto con occhio diverso. Le loro famiglie sono già abituate da un pezzo a non seguirli perché non si ha tempo e perché si impara in fretta a badare a se stessi. Le loro case sono in cima alla rocca, che ora sembra un promontorio su un mare in burrasca. Non hanno niente di particolare da mettere al sicuro. Quello spettacolo in compenso merita di essere seguito in modo estremo ed allora il posto migliore è la scarpata sotto l'Oratorio. Anni dopo Nizzurin, parlandomi, non ricordava quasi più nulla, confondendo volti, tempi e luoghi perché la vita per fortuna è lunga e tante sono le cose che si ammucchiano. Ma come Poldo con i suoi colombi sotto il tetto, anche a lui un'immagine era rimasta impressa e per combinazione ancora di animali si parlava. Il ponte della Genova-Acqui, voluto dal Ministro Saracco 37 anni prima piroettava nel cielo ed i binari erano "bisce per aria" a sibilare come fruste dentro il rimbombo cupo e generale che da un'ora passava dal terreno allo stomaco della gente.
Quei ragazzotti i giorni prima erano polverosi come patate appena raccolte. Il 13 agosto del 1935, tempo d'arrivare all'una dopo pranzo, erano lavati dalla testa ai piedi. Anzi, quelli lasciamoli da parte, che gli zoccoli erano a casa. Dalla riva del Tanarone, dove si erano fermati quando era volato per aria il ponte, erano rimasti per un attimo, finalmente, tutti fermi e zitti. E schierate ad assistere a quello scempio si contavano le loro dita dei piedi, allineate e sporche di fango.
Angelo, che era tra loro, anni dopo fece un quadro per dare forma a quei momenti (che secondo lui foto non ce ne potevano essere). E non poté trattenersi dal dedicare qualche centimetro di tela in basso a destra ad un dettaglio che aveva bene a memoria: quella riga di dita che sembravano una tastiera di pianoforte. Il ricordo più chiaro di se stesso e della sua banda di amici. Era l'effetto finale di quella scena da incubo, vista come un imponente cinemascope che li aveva schiacciati e fatti star zitti e confinati ai bordi del mondo. 
Con solo le dita che spuntavano, quel giorno e per molti di loro per tutta la vita, dentro il trambusto delle cose che succedono.
Disastro di Molare
Non so se gli fosse chiaro, ad uno per l'altro, che lì si trattava di morte e di destini di intere famiglie che avrebbero cambiato strada. Certo c'era chi diceva che la diga aveva liberato solo parte dell'acqua (e Cristo, aveva ragione) e che sarebbe da lì a poco potuto arrivare ben di peggio. Toccava a loro, più agili di tutti, curiosi, protagonisti più di uomini, cercare un posto dove vedere. Volevano raggiungere la Priarona, ma non c'era ponte di ferro, spazzato via e a quest'ora impegnato ad arare i campi della Rebba. L'unica era risalire verso il Casello e trovare il passo per scavalcare il Crosio che si era gonfiato tanto da far sembrare la scarpata sotto la casa delle Suore l'ingresso di un fiordo. Fu così che a mettere il piede sui binari, prima dell'imbocco della galleria di Prasco, a qualcuno di loro venne in mente che il treno sarebbe sceso puntando su un ponte che non c'era. Questa storia gira in cento versioni. Certo che qualcuno fermò il treno che viaggiava senza notizie e a noi piace pensare che toccasse a questi ragazzi l'impresa. Fu una beffa cavare dai guai due carrozze ed una motrice, che, passata la guerra, li avrebbero portati per anni ed anni su e giù per Genova a lavorare in qualche fabbrica.
Arrivarono alla fine nel punto più alto. Saran state le 6 dopopranzo. Era spiovuto e si vedeva, ora, tutto. E tornava qualche colore. Furono raggiunti da un signore di Cremolino che aveva in mano una fotocamera coi fiocchi. Non vi erano ancora né giornalisti, né soccorsi.

Ancora una volta basta uno scatto e tanta fortuna a non averlo perso. E' come una foto della scentifica sulla scena del crimine. Niente è stato ancora toccato e c'è l'impronta del colpevole in quello sbuffo bianco che compare in alto a destra su dalla Valle dell'Orba.
(Da un racconto di Paolo Arbetelli)

2014/10/09

Cinque Passi

Questa volta non e' un mio racconto a essere qui pubblicato ma uno di uno scrittore indipendente che apprezzo. Una bella storia, breve e intensa che spero possa piacere anche a voi.  Dopo il racconto una breve biografia dell'autore. I suoi libri sono pubblicati online, su Amazon e le principali case di distribuzione ne dispongono, non esistate a acquistare e leggere i suoi scritti, lui e' uno che sa entrare nell'anima della gente.

- Cinque passi - 

Uniti. Nel bene e nel male. 

Aveva sceso le scale urlando lasciami stare. Ivan era rimasto sul divano con le mani 
tra i capelli. Erano passati giorni, ma lo ricordava ancora bene. Eccome.
Anni di convivenza buttati nel cesso. Così, con un lasciami stare. Avesse aggiunto brutto stronzo! No, nemmeno quello. Doveva finire perché era la sua decisione, ogni spiegazione l’aveva ritenuta superflua. 
Il ragazzo tirò su col naso e strizzò gli occhi umidi di dolore.
«La Padania ha una sua storia!» urlava la TV.
Non poteva ancora crederci. Come quando senti al TG di un infanticidio e pensi non è possibile. Come quando vedi scene di guerra e credi che non esistano. Come quando t’illudi che il destino possa riservare dolori solo agli altri. E poi ti svegli dal sogno, per comprendere che quegli altri possiamo diventare noi. E allora ti dici: sì, tutto è possibile.
«Non parteciperemo ai festeggiamenti dei 150 anni di Italia!». Guardò la TV con un senso di schifo. Gli faceva schifo tutto. I sacrifici, le gioie, i dolori. Aveva condiviso con Irene una vita, o almeno così la vedeva lui. Una vita di speranze e progetti. Molti sacrifici e diverse gioie. Ma era stato fatto tutto insieme. I meriti e le colpe erano di entrambi. 
Da quel giorno non più. Non più.

Ognuno riprendeva i propri meriti e le proprie colpe. Ma avevano ancora valore? 
Lo avevano ancora adesso che ognuno tornava per la propria strada? Aveva senso aver faticato e sofferto tanto per tutto quello che avevano costruito insieme e che ora non esisteva più? 

No, non lo aveva. Si alzò. Cinque passi. Solo cinque.

Tanto lo separava dal balcone. Guardò giù da quell’undicesimo piano. La città festeggiava. Festeggiava un’Italia unita contro la volontà di alcuni. Un’unità che non gli apparteneva più. Quei visi sorridenti, la parata musicale. 

Chiuse gli occhi e spiccò il volo.

Ma un uomo non ha le ali.

Non più dopo aver sofferto l’abbandono.

L’autore
Roberto Tartaglia, nato il 25 Luglio 1977, giornalista e, dal 2009, scrittore indipendente. Da sempre animo irrequieto e sensibile all’arte. Nel corso degli anni ha studiato solfeggio, canto, clarinetto, arti marziali, letteratura, filosofia, psicologia e tutto ciò che lo affascinava. La scrittura, però, è sempre stata la sua vera passione e fonte di grandi soddisfazioni. Il lavoro di giornalista gli ha permesso, sinora, di entrare in contatto e intervistare personaggi dello spettacolo, come l’attore/regista Clemente Pernarella, il grande Roberto Vecchioni, protagonisti della cronaca nazionale come l’ex comandante dei RIS di Parma, Luciano Garofano, e personaggi di fama mondiale come il professor Yuri Bandazhevsky, primo uomo a sfidare i poteri forti e a rendere noti al mondo i segreti del disastro di Chernobyl.
Il mestiere di scrittore, invece, gli ha dato modo di pubblicare, dal 2007 a oggi, numerosi racconti e un romanzo collettivo con l’editoria tradizionale, di essere finalista in diversi concorsi di scrittura e selezionato per partecipare alla stesura di opere in occasione di importanti ricorrenze, come i 150 anni d’Italia e la Giornata Mondiale UNESCO del Libro e del Diritto d’Autore. Ha avuto modo di scrivere insieme a grandi del calibro di Maria Luisa Spaziani, Leandro Castellani, Pedro Casals, Andrea Carlo Cappi, Paola Barbato, Andrea Pinketts, Ben Pastor e tanti altri. Davvero grandi soddisfazioni e ottime occasioni di crescita, non solo professionale.
Nel 2009, a seguito di una serie di delusioni ricevute dall’editoria tradizionale, però, ha deciso di pubblicare il suo primo romanzo, “Casus belli”, in self publishing. Risultato? 5 mila copie in circa sei mesi. Da allora ha deciso di diventare a tutti gli effetti uno scrittore indipendente. Senza casa editrice, senza direttive editoriali e limiti contrattuali. Libero di scrivere ciò che voleva, quando e come voleva.

Un’emozione unica!

Roberto al proposito scrive: "E allora mi sono chiesto: quanti altri autori, come me, vorrebbero percorrere questa strada ma non sanno come fare? Tantissimi! Per questo ho deciso di creare anche il progetto “Vivere di scrittura”: per aiutare questi amici di 
penna, guidandoli passo passo sulla via per diventare scrittori indipendenti."