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2015/10/26

Economia e cultura



Una delle favole dei fratelli Grimm – immagino che siano conosciute anche in Italia – si chiama “Il gatto e il topo in società”. Un gatto convince un topo dell’amicizia che ha per lui; mettono su casa insieme, e in previsione dell’inverno comprano un vasetto di grasso che nascondono in una chiesa. Ma con il pretesto di dover andare a un battesimo, il gatto esce diverse volte e si mangia man mano tutto il grasso, divertendosi poi a dare risposte ambigue al topo su quanto ha fatto. Quando finalmente vanno insieme alla chiesa per mangiare il vasetto di grasso, il topo scopre l’inganno, e il gatto per tutta risposta mangia il topo. L’ultima frase della favola annuncia la morale: “Così va il mondo”.

Direi che il rapporto tra la cultura e l’economia rischia fortemente di assomigliare a questa favola, e vi lascio indovinare chi, tra la cultura e l’economia, svolge il ruolo del topo e chi quello del gatto. Soprattutto oggi, nell’epoca del capitalismo pienamente sviluppato, globalizzato e neoliberale. Le questioni che vuole affrontare questo “foro de arte publico”, e che vertono tra l’altro sulla questione chi deve finanziare le istituzioni culturali e quali aspettative, e di quale pubblico, deve soddisfare un museo, rientrano in una problematica più generale: quale è il posto della cultura nella società capitalistica odierna? Per tentare di rispondere, io prenderò dunque le cose un po’ più alla larga.

A parte la produzione – materiale e immateriale – con cui ogni società deve soddisfare i bisogni vitali e fisici dei suoi membri, essa crea ugualmente una serie di costruzioni simboliche. Con queste, la società elabora la sua rappresentazione di se stessa e del mondo in cui è inserita e propone, o impone, ai suoi membri delle identità e dei modi di comportamento. Per parlarne non utilizzo qui il termine marxista di “sovrastruttura”, opposta alla presunta “base economica”, perché la produzione di senso può – secondo la società in questione - svolgere un ruolo altrettanto grande, se non più grande della soddisfazione dei bisogni primari. La religione e la mitologia così come gli “usi e costumi” quotidiani – soprattutto quelli relativi alla famiglia e alla riproduzione - nonché ciò che dal Rinascimento in poi chiamiamo “arte” entrano in questa categoria del simbolico. 

Per molti versi, questi codici simbolici non erano nemmeno separati tra di loro nelle società antiche, basti pensare al carattere largamente religioso di quasi tutta l’arte. Ma soprattutto non esisteva la separazione tra una sfera economica e un’altra sfera simbolica e culturale. Un oggetto poteva allo stesso tempo soddisfare un bisogno primario e avere un aspetto estetico. Storicamente, è stata la modernità capitalista e industriale a separare il “lavoro” dalle altre attività, e a fare di esso e dei suoi prodotti, sotto il nome di “economia”, il centro sovrano della vita sociale. In concomitanza, il lato culturale e estetico, che nelle società preindustriali era inerente a ogni aspetto della vita, si concentra in una sfera a parte. 

Questa sfera è apparentemente libera dalle costrizioni della sfera economica, e in essa può affiorare una verità critica, altrimenti repressa o rimossa, sulla vita sociale e la sua crescente sottomissione alle esigenze sempre più inumane della concorrenza economica. Ma la cultura paga questa libertà con la sua marginalizzazione, con la sua riduzione a un “gioco” che, non facendo direttamente parte del ciclo di lavoro e accumulazione di capitale, rimane sempre in una posizione subordinata rispetto alla sfera economica e a quelli che la governano. Ma nemmeno quell’”autonomia dell’arte”, che ha avuto il suo apogeo nel XIX secolo, ha potuto resistere alla dinamica del capitalismo, volto a fagocitare tutto e a non lasciare niente al di fuori dalla sua logica di valorizzazione. Prima, le opere dell’arte autonoma – per esempio i quadri – sono entrati nel mercato, diventando merci come le altre. Poi, la produzione stessa di “beni culturali” è stata mercificata, mirando fin dall’inizio solo al profitto e non alla qualità artistica intrinseca. 

Questo è lo stadio della ”industria culturale”, descritto inizialmente da Theodor Adorno, Max Horkheimer, Herbert Marcuse e Günther Anders nei primi anni quaranta del secolo scorso. In seguito, si è assistiti a una specie di perversa reintegrazione della cultura nella vita, ma solo in quanto ornamento della produzione di merci, cioè sotto forma di design, pubblicità, moda ecc. La quasi-sparizione delle istituzioni culturali pubbliche ha infine eliminato gli ultimi resti di indipendenza degli artisti di fronte al denaro; ormai, essi sono raramente altro che i nuovi buffoni e cantanti di corte che debbono azzuffarsi per le briciole che i nuovi padroni, sotto il nome di sponsor, gli gettano.

Questa è la situazione in cui viviamo oggi. Certo, molti provano un disagio vago di fronte a questa “mercificazione della cultura” e preferirebbero che la cultura “di qualità” – a seconda dei gusti, può trattarsi del “cinema d’autore”, dell’opera lirica o dell’artigianato indigeno – non fosse trattata esattamente come la produzione di scarpe, giochi video o viaggi turistici, cioè con la sola logica dell’investimento e del profitto. Evocano dunque ciò che in Francia si chiama “l’eccezione culturale”: la spietata logica capitalistica va bene in tutto (e soprattutto là dove “noi” siamo i vincitori), ma che lasci gentilmente la cultura fuori dalle sue grinfie. In verità, questa speranza mi sembra ingenua e senza molto senso. Infatti, accettando la logica di base della concorrenza capitalistica, se ne accettano poi anche tutte le conseguenze. 

Se è giusto che una scarpa o un viaggio siano considerati esclusivamente in base alla quantità di denaro che rappresentano, è alquanto illogico aspettarsi poi che questa stessa logica si fermi davanti ai “prodotti” culturali. Qui vale lo stesso principio come altrove: non ci si può opporre agli “eccessi” “liberisti” della mercificazione – ciò che oggi fanno in molti - senza metterne in discussione i fondamenti, cosa che quasi nessuno fa. In ogni caso, la speranza è vana, perchè la logica globale della merce non rinuncia a dilaniare corpi di bambini, se può fare un piccolo guadagno con le mine anti-uomo; non si farà dunque certo intimorire dalle rispettose rimostranze di cineasti francesi o di direttori di musei esasperati di dover strisciare sul ventre davanti a dei manager di Coca-cola o dell’industria petrolchimica perché gli finanzino una mostra. 

La capitolazione incondizionata dell’arte di fronte agli imperativi economici è solo parte della mercificazione tendenzialmente totale di ogni aspetto della vita, e non la si può mettere in discussione per la sola arte senza tentare di rompere con la dittatura dell’economia a tutti i livelli. Non c’è nessun motivo perché proprio l’arte dovrebbe riuscire a mantenere la sua autonomia rispetto alla pura logica del profitto, se nessun’altra sfera ci riesce.

Dunque, la necessità per il capitale di trovare sempre nuove aree di valorizzazione non risparmia certo la cultura, e è evidente che all’interno della cultura, in senso lato, l’”industria del divertimento” costituisce il suo oggetto di investimento principale. Già negli anni settanta, il gruppo pop svedese “Abba” era il primo esportatore del paese, davanti all’industria militare Saab; i Beatles furono fatti baronetti dalla Regina già nel 1965 a causa dell’enorme contributo dato all’economia inglese. Inoltre, l’industria dell’intrattenimento, dalla tv alla musica rock, dal turismo alla people’s press, svolge un importante ruolo di pacificazione sociale e di creazione di consenso, ottimamente riassunto nel concetto di “tittytainment” (“entetanimiento” in spagnolo). 

Nel 1995 si riunì a San Francisco un “State of the World Forum” cui parteciparono circa 500 tra i personaggi più potenti del mondo (tra l’altro Gorbaciov, Bush, Thatcher, Bill Gates...) per discutere della questione che cosa fare in futuro con quell’ottanta per cento della popolazione mondiale che non sarebbe più stato necessario per la produzione. Come soluzione fu proposto il “tittytainment”: alle popolazioni “superflue” e tendenzialmente pericolose sarà destinato un miscuglio di nutrimento sufficiente e di intrattenimento, di entertainment abbrutente, per ottenere uno stato di letargia beata simile a quella del neonato che ha bevuto dai seni (tits in gergo americano) della madre. In altre parole, il ruolo centrale che svolge tradizionalmente la repressione per evitare i sovvertimenti sociali viene ormai largamente affiancato dalla infantilizzazione.

Il rapporto tra l’economia e la cultura non si limita dunque alla strumentalizzazione della cultura, al fastidio di vedere su ogni manifestazione artistica i logo dei sponsor – che, sia detto en passant, finanziavano la cultura anche quarant’anni fa, ma attraverso le tasse che pagavano, e dunque senza potersene vantare e soprattutto senza poterne influenzare le scelte. Tuttavia, il rapporto tra la fase attuale del capitalismo e la fase attuale della “produzione culturale” va ancora più lontano. C’è una idiosincrasia profonda tra l’industria dell’intrattenimento e la spinta del capitalismo verso l’infantilizzazione e verso il narcisismo. L’economia materiale è largamente unita alle nuove forme dell’“economia psichica e libidinale”. Per spiegare quello che voglio dire, devo un’altra volta tentare di esporne in poche parole i presupposti.

Il mondo contemporaneo si caratterizza per il prevalere ormai totale di quel fenomeno che Karl Marx ha chiamato feticismo della merce. Questo termine, spesso frainteso, indica molto più di un’adorazione esagerata delle merci, e neanche vuole solo indicare una semplice mistificazione. Si riferisce al fatto che nella società moderna e capitalistica la maggior parte delle attività sociali prendono la forma di una merce, materiale o immateriale che sia. Il valore di una merce è determinata dal tempo di lavoro necessario per la sua produzione. Non sono le qualità concrete degli oggetti a decidere del loro destino, ma la quantità di lavoro incorporata in loro – e questa quantità si esprime sempre in una somma di denaro. I prodotti che ha creato l’uomo cominciano così a condurre una vita autonoma, governata dalle leggi del denaro e della sua accumulazione in capitale. 

Bisogna prendere alla lettera il termine “feticismo della merce”: gli uomini moderni si comportano come quelli che chiamano i “selvaggi”: venerano i feticci che loro stessi hanno prodotto, attribuendogli una vita indipendente e il potere di governare gli uomini. Questo feticismo della merce non è un’illusione o un inganno, ma il modo di funzionamento reale della società della merce. Domina ormai tutti i settori della vita, ben al di là dell’economia. Questa religione materializzata comporta tra l’altro che tutti gli oggetti e tutti gli atti, in quanto sono merci, sono uguali. Non sono nient’altro che delle quantità più o meno grandi di lavoro accumulato, e dunque di denaro. E’ il mercato che esegue quest’omologazione, indipendentemente dalle intenzioni soggettive degli attori. Il regno della merce è dunque terribilmente montono, e è addirittura senza contenuto proprio. 

Una forma vuota e astratta, sempre la stessa, una pura quantità senza qualità – il denaro – s’impone man mano alla infinita molteplicità concreta del mondo. La merce e il denaro sono indifferenti al mondo che per loro non è altro che un materiale da utilizzare. L’esistenza stessa di un mondo concreto, con le sue leggi e le sue resistenze, è alla fine un ostacolo per l’accumulazione del capitale che non conosce altro scopo che se stesso. Per trasformare ogni somma di denaro in una somma più grande, il capitalismo consuma il mondo intero – sul piano sociale, ecologico, estetico, etico. Dietro la merce e il suo feticismo si nasconde una vera e propria “pulsione di morte”, una tendenza, incosciente ma potente, verso l’annientamento del mondo.

L’equivalente del feticismo della merce nella vita psichica individuale è il narcisismo. Qui, questo termine non indica, come nel linguaggio corrente, un’adorazione del proprio corpo, o della propria persona. Si tratta piuttosto di una grave patologia, ben conosciuta nella psicoanalisi: significa che una persona adulta conserva la stuttura psichica dei primissimi tempi della sua infanzia, quando ancora non c’è distinzione tra l’Io e il mondo. Ogni oggetto esterno è vissuto dal narcisista come una proiezione del proprio Io. Ma in verità questo Io rimane terribilmente povero a causa della sua incapacità di arricchirsi in veri rapporti oggettuali con oggetti esterni – in effetti, il soggetto, per farlo, dovrebbe prima riconoscere l’esistenza del mondo esterno e la sua propria dipendenza da esso, e dunque anche i propri limiti. 

Il narcisista può sembrare una persona “normale”; in verità non è mai uscito dalla fusione originaria con il mondo circostante e fa di tutto per mantenere l’illusione di onnipotenza che ne deriva. Questa forma di psicosi, rara all’epoca di Sigmund Freud, che la descrisse per primo, è diventata da allora uno dei disturbi psichici principali; se ne vedono le tracce un po’ ovunque. E non è un caso: vi si trova la stessa perdita del reale, la stessa assenza del mondo – di un mondo riconosciuto nella sua autonomia fondamentale – che caratterizza il feticismo della merce. D’altronde, questa negazione drastica dell’esistenza di un mondo indipendente dalle nostre azioni e dai nostri desideri ha costituito fin dall’inizio il centro della modernità: è il programma enunciato da Descartes quando aveva scoperto nell’esistenza della propria persona l’unica certezza possibile.

In una società basata sulla produzione di merci era inevitabile, a lungo andare, che il narcisismo diventasse la forma psichica prevalente. Ora, è evidente che l’enorme sviluppo dell’industria del divertimento sia allo stesso tempo causa e conseguenza di questa fioritura del narcisismo. In questo modo, tale industria partecipa a quella vera e propria “regressione antropologica” cui ci porta ormai il capitalismo: un annullamento progressivo delle tappe dell’umanizzazione in cui stava l’essenza della storia antecedente. Anche qui, il discorso da fare sarebbe molto lungo. Mi limito a ricordarvi le tappe per cui ogni essere umano, secondo le conclusioni della psicoanalisi, deve passare nel suo primo sviluppo psichico. 

Deve superare quel senso di fusione rassicurante con la madre che caratterizza il primo anno (si tratta di ciò che Freud chiama “narcisismo primario”, una tappa comunque necessaria) e passare attraverso i dolori del conflitto edipico per arrivare a una realistica valutazione delle proprie forze e dei propri limiti, rinunciando ai sogni infantili di onnipotenza. Solo così può nascere una persona psicologicamente equilibrata. L’educazione tradizionale mirava, più o meno bene, a questo: sostituire il principio di piacere con il principio di realtà, ma senza uccidere del tutto il principio di piacere. Le tappe non correttamente risolte dello sviluppo psicocologico dell’individuo danno luogo a nevrosi e addirittura psicosi. Il bambino non dispone dunque di una perfezione originaria, né abbandona spontaneamente il suo narcisismo iniziale. Ha bisogno di essere guidato per poter accedere al pieno sviluppo della sua umanità. 

Le costruzioni simboliche caratteristiche di ogni cultura svolgono evidentemente un ruolo essenziale in questo processo e costituiscono a questo titolo un patrimonio prezioso dell’umanità (anche se non tutte le costruzioni simboliche tradizionali sembrano ugualmente atte a promuovere una vita umana piena, ma questa è un’altra questione). Al contrario di questo, il capitalismo nella sua fase più recente – diciamo dagli anni settanta in poi -, in cui il consumo e la seduzione sembrano aver sostituito la produzione e la repressione come motore e modalità dello sviluppo, rappresenta storicamente l’unica società che promuove una massiccia infantilizzazione dei soggetti, legata a una desimbolizzazione. Ormai, tutto cospira a mantenere l’essere umano in una condizione infantile. Tutti gli ambiti della cultura, dal fumetto alla televisione, dalle tecniche di restauro delle opere antiche alla pubblicità, dai giochi video ai programmi scolastici, dallo sport di massa ai psicofarmaci, da Second life fino alle esposizioni attuali nei musei contribuisce a creare un consumatore docile e narcisista che vede nel mondo intero una sua estensione, governabile con un mouseclick.

Non può perciò esistere nessuna scusa o giustificazione per l’industria del divertimento e per l’adattamento della cultura alle esigenze del mercato che hanno contribuito così potentemente alle tendenze regressive. Ci si può dunque chiedere perché un tale degrado ha suscitato così poca opposizione. In effetti, tutti hanno contribuito a questa situazione: la destra, perché crede comunque e sempre al mercato, almeno da quando è diventata interamente liberale. La sinistra, perché crede nell’uguaglianza dei cittadini. Quello che è più curioso è proprio il ruolo svolto dalla sinistra in questo adeguamento della cultura alle esigenze del neo-capitalismo. La sinistra ha costituito spesso l’avanguardia, il battistrada nella trasformazione della cultura in una merce. Tutto si è svolto all’insegna delle parole magiche “democratizzazione” e “uguaglianza”. 

La cultura deve essere a disposizione di tutti. Chi può negare che si tratti di un’aspirazione nobile? Molto più rapidamente della destra, la sinistra – “moderata” o “radicale” che sia – ha abbandonato – soprattutto dopo il ’68 - ogni idea che possa esistere una differenza qualitativa tra espressioni culturali. Spiegate a un qualsiasi rappresentante della sinistra culturale che Beethoven vale più di un rap o che i bambini farebbero meglio a imparare a memoria delle poesie piuttosto che giocare alla play station, e lui vi chiamerà automaticamente “reazionario” e “elitista”. La sinistra ha fatto quasi ovunque la pace con le gerarchie di reddito e di potere, trovandole inevitabili o addirittura piacevoli, benché i danni che fanno siano sotto gli occhi di tutti. Ha invece voluto abolire le gerarchie là dove queste possono avere un senso, a condizione che non siano stabilite una volta per tutte, ma mutabili: quelle dell’intelligenza, del gusto, della sensibilità, del talento. 

Ma anche coloro che ammettono il decadimento della cultura generale, vi aggiungono, come un riflesso condizionato, che una volta la cultura era forse di livello più alto, ma era l'appannaggio di un'infima minoranza, mentre la grande maggioranza sprofondava nell'analfabetismo. Oggi invece tutti vi avrebbero accesso. A me sembra però che i bambini che oggi crescono con Omero e Shakespeare o Cervantes costituiscano una minoranza ancora più infima di quella di una volta. L’industria del divertimento ha semplicemente sostituito una forma di ignoranza con un’altra, così come l’enorme aumento di persone che hanno un diploma di scuola superiore o che frequentano l’Università non sembra aver incrementato molto il numero delle persone che veramente sanno qualcosa. In Francia, per esempio, si può fare un master universitario su dei temi e con delle conoscenze che trent’anni fa sarebbero stati insufficienti per ottenere il diploma di una scuola media tecnica. Non oso sperare che in Messico sia molto diverso. Così è facile che ogni anno il cinquanta per cento dei giovani consegue il diploma liceale – che grande vittoria della democratizzazione.

Non si possono chiamare i prodotti dell’industria del divertimento una “cultura di massa” o “cultura popolare”, come suggerisce per esempio il termine “musica pop”, e come affermano tutti coloro che accusano di “elitismo” ogni critica di ciò che in verità non è altro che la “formattazione” delle masse, per utilizzare una parola contemporanea assai eloquente. Il relativismo generalizzato e il rifiuto di ogni gerarchia culturale si sono spesso spacciati, soprattutto nell’epoca “postmoderna”, per forme di emancipazione e di critica sociale, per esempio in nome delle culture “subalterne”. A me sembra evidente che sono un riflesso culturale del dominio della merce. Come abbiamo già visto, la merce è una pura quantità di lavoro e dunque di denaro, sempre uguale, incapace di distinzioni qualitative. Davanti alla merce, tutto è uguale. Tutto è solo del materiale per il processo sempre uguale di valorizzazione del valore. Questa indifferenza della merce per ogni contenuto si ritrova in una produzione culturale che rifiuta ogni giudizio qualitativo e per cui tutto equivale a tutto. “L’industria culturale rende tutto uguale” sentenziò Adorno già nel 1944.

Qualcuno accuserà un’argomentazione come la mia di “autoritarismo” e affermerà che è “la gente” stessa che spontaneamente vuole, chiede, desidera i prodotti dell’industria culturale, anche in presenza di altre espressioni culturali, così come milioni di persone mangiano volentieri nei fast-food, pur potendo mangiare, per gli stessi soldi, in una taverna tradizionale. E’ facile controbattere ricordando che in presenza di un bombardamento mediatico massiccio e continuo in favore di certi stili di vita la “libera scelta” è alquanto condizionata. Ma c’è di più. Come abbiamo visto, l’accesso alla pienezza dell’essere umano richiede un aiuto da parte di chi già possiede, almeno in parte, questa pienezza. Lasciare libero corso allo sviluppo “spontaneo” non significa affatto creare le condizioni della libertà. La “mano invisibile” del mercato finisce nel monopolio assoluto o nella guerra di tutti contro tutti, non nell’armonia. 

Ugualmente, non aiutare qualcuno a sviluppare la sua capacità di differenziazione significa condannarlo a un infantilismo eterno. Vi do un esempio non tirato dalla psicoanalisi e a cui tengo molto. Esistono quattro gusti fondamentali, nel senso del sapore: dolce, salato, acido e amaro. Ora, il palato umano è in grado di percepire la decimillesima parte di una goccia di amaro in un bicchiere d’acqua, mentre per gli altri gusti ci vuole una goccia intera. Di conseguenza, nessun gusto è tanto capace di differenziazione e di una molteplicità quasi infinita di sensazioni gustative quanto l’amaro. Le culture del vino, del té e del formaggio, queste grandi fonti di piacere nell’esistenza umana, si basano su questi infiniti tipi e gradi di amaro. 

Ma il bambino piccolo rifiuta spontaneamente l’amaro e accetta solo il dolce e poi il salato. Dev’essere educato a apprezzare l’amaro, vincendo una resistenza iniziale. Svilupperà in cambio una capacità di godere che altrimenti gli rimarrebbe preclusa. Tuttavia, se nessuno glielo impone, non chiederà mai altro che il dolce e il salato, che conoscono ben poche sfumature, ma solo il più o meno forte. E così nasce il consumatore di fast food –che è basato solo sul dolce e sul salato - incapace di apprezzare gusti diversi. E quanto non si è appreso da piccoli non si apprenderà più da grandi; se il bambino cresciuto con hamburger e coca-cola diventa un neo-ricco e vuole ostentare cultura e raffinatezza, consumando vini italiani e formaggi francesi, non ci riuscirà a apprezzarli veramente.

Direi che si può applicare questo ragionamento sul “gusto” gastronomico senza molti cambiamenti anche al “gusto” estetico. Ci vuole un’educazione per apprezzare una musica di Bach o una musica tradizionale araba, mentre il semplice possesso del corpo basta per “apprezzare” gli stimoli somatici di una musica rock. E’ vero che la maggior parte delle popolazioni chiede ormai “spontaneamente” coca-cola e musica rock, fumetti e pornografia in rete: ma questo non dimostra che il capitalismo, che offre tutte queste meraviglie a profusione, è in sintonia con la “natura umana”, bensì che è riuscito a mantenere questa natura al suo stadio iniziale. In effetti, nemmeno mangiare con coltello e forchetta fa spontaneamente la sua apparizione nello sviluppo di un individuo.

Dunque, il successo delle industrie del divertimento e della cultura del “facile” – un successo incredibilmente mondiale che travalica tutte le barriere culturali – non è solo dovuto alla propaganda e alla manipolazione, ma anche al fatto che questi vengono incontro al desiderio “naturale” del bambino di non abbandonare la sua posizione narcisista. L’alleanza tra le nuove forme di dominazione, le esigenze della valorizzazione del capitale e le tecniche di marketing è tanto efficace perché si appoggia su una tendenza regressiva già presente nell’uomo. La virtualizzazione del mondo, di cui tanto si parla, è anche una stimolazione dei desideri infantili di onnipotenza. “Abbattere tutti i limiti” è l’incitazione maggiore che si riceve oggi, che si tratti della propria carriera professionale o della promessa di eterna salute e di eterna vita grazie alla medicina, delle esistenze infinite nei video-giochi o dell’idea che un’illimitata “crescita economica” sia la soluzione a tutti i mali. Il capitalismo è storicamente la prima società basata sull’assenza di limiti. E oggi si comincia a prendere la misura di che cosa ciò significa.

L’industria del divertimento è dunque assolutamente consustanziale alla società della merce. La vera arte invece, se essa si prende sul serio, se è fedele alla sua essenza, non dovrebbe dunque mai andare d’accordo con l’economia e il mercato. Il qualitativo e il quantitativo sono qui principi antitetici. Ma esiste questa “vera cultura”, e se esiste, dove la si potrà trovare? L’abbiamo definita fin qui soprattutto ex negativo, parlando di tutto ciò che non è. Manca qui il tempo per dilungarsi sulla grandezza e sull’ambiguità della cultura tradizionale. Era talvolta capace di scuotere l’osservatore, cioè il publico, capace di dire “no” non solo alla società, ma anche alla costituzione di ogni individuo, ingiungendogli, come dice una poesia del poeta tedesco Rainer Maria Rilke : “Tu devi cambiare la tua vita”, o proclamando, come il poeta francese Arthur Rimbaud: “Bisogna cambiare la vita”, o ancora come lo scrittore francese Lautréamont: “L’arte deve essere fatta da tutti, non solo da alcuni”. Certe opere del passato, mentre le guardiamo, sembrano guardarci e aspettare da noi una risposta. 

Tuttavia, non si può opporre in assoluto un’arte “alta “ o “grande” del passato, sempre volta al miglioramento dell’essere umano, all’industria culturale odierna. La complicità aperta o nascosta con i poteri dominanti e con i modi di vita dominanti ha sempre caratterizzato gran parte delle opere culturali. L’importante è che esisteva la possibilità di uno scarto, talvolta espressa attraverso la categoria estetica del “sublime”. L’opera, in quest’ottica, non deve essere “al servizio” del soggetto che la contempla. Non sono le opere che debbono piacere agli uomini, ma gli uomini che devono cercare di essere all’altezza delle opere. Non spetta allo spettatore, o “consumatore”, di scegliere la sua opera, ma all’opera di scegliere il suo pubblico e di determinare chi è degno di essa. Non spetta a noi giudicare Baudelaire o Malevitch; sono loro che ci giudicano e che giudicano della nostra facoltà di giudizio. Fino a un’epoca recente, si giudicava – in campo estetico - una persona sulle opere che sapeva apprezzare, e non le opere sul numero di persone che sapevano attirare. Chi era in grado di cogliere tutta la complessità e la ricchezza di un’opera particolarmente riuscita era dunque considerato come qualcuno che era andato molto avanti sulla strada della realizzazione umana, normalmente grazie a un lavoro duro su se stesso.

Che contrasto con la visione postmoderna per cui ogni spettatore è democraticamente libero di vedere in un’opera ciò che vuole, e dunque ciò che vi proietta lui stesso! Certo, in questo modo lo spettatore non sarà mai confrontato con niente di veramente nuovo e avrà la confortante certezza di poter sempre rimanere così com’è. E questo è esattamente il rifiuto narcisistico di entrare in un vero rapporto oggettuale con un mondo distinto da lui.

Questa attitudine a conferire dei choc esistenziali, a mettere in crisi l’individuo invece di confortarlo e confermarlo nel suo modo di esistenza è visibilmente del tutto assente nei prodotti dell’industria del divertimento, che mirano all’”esperienza” e all’”evento”. Chi vuole vendere, va incontro ai bisogni degli acquirenti e alla loro ricerca di una soddisfazione immediata, confermando l’opinione alta che hanno di se stessi piuttosto che frustrandoli con delle opere non immediatamente “leggibili”. Da quel punto di vista, non esiste più oggi quasi nessuna differenza tra un’arte “alta” o “colta” e un arte “di massa”. 

Le opere del passato vengono incorporate nella macchina culturale, per esempio tramite mostre spettacolari, restauri che devono rendere le opere godibili per ogni spettatore (per esempio, ravvivando eccessivamente i colori), o tramite versioni massacrate dei classici letterari o musicali per “avvicinarle“ al pubblico. Oppure mescolandoli a espressioni del presente che tolgono ogni specificità storica, come nel caso della famigerata piramide nel cortile del Louvre a Parigi. Il pungolo che le opere del passato potrebbero ancora possedere, foss’anche solo a causa della loro distanza temporale, viene neutralizzato tramite la loro spettacolarizazione e commercializzazione.

Niente di più fastidioso dei musei che diventano “pedagogici” e vogliono “avvicinare” la “gente comune” alla “cultura” con una pletora di spiegazioni sulle pareti e tramite auricolari che prescrivono a ciascuno esattamente che cosa deve provare di fronte alle opere, proiezioni video, giochi interattivi, museum shops, magliette... Si afferma di rendere in questo modo la cultura e la storia fruibili anche agli strati non-borghesi (come se i borghesi di oggi fossero colti). In verità, proprio questo approccio user-friendly mi pare il massimo dell’arroganza verso gli strati popolari, di cui suppone che siano per definizione insensibili alla cultura e che l’apprezzino solo se viene presentata nel modo più frivolo e infantile possibile. 

Sparisce così anche l’atmosfera piacevole dei musei un po’ polverosi di una volta, piacevole proprio perché sembrava di entrare in un mondo a parte, dove si poteva riposare dal turbine che ci circonda sempre – anche perché questi musei erano poco frequentati. Adesso, più un museo è “ben gestito” e attira il pubblico, più assomiglia a un incrocio tra una stazione metropolitana all’ora di punta e una sala informatica. A questo punto, perché ancora andarci? Tanto vale guardare le stesse opere su un CD, perché dell’”aura” dell’opera originale non è comunque rimasto niente. E’ stato un altro modo perverso di unire l’arte alla vita, di cancellare la loro differenza e di eliminare ogni idea che possa esistere qualcosa di diverso dalla piatta realtà che ci circonda. 

Il vecchio museo, con tutte le sue tare, poteva essere lo spazio appropriato all’apparizione di qualcosa di veramente inaudito per lo spettatore, proprio perché era tanto diverso da ciò che viviamo abitualmente. Oggi, le classe scolastiche che vengono trascinate attraverso le sale d’esposizione ricevono più che altro un’efficace vaccinazione preventiva contro ogni rischio di poter sentire un messaggio esistenziale dalla parte dell’arte o della storia, o almeno di andarle a scoprire per conto proprio...

La cultura cosiddetta “contemporanea”, cioè prodotta oggi, partecipa generalmente allo stesso modo regressivo. Gli artisti stessi hanno tradito il compito dell’arte. Lo si vede nell’eterna ripetizione del gesto di Marcel Duchamp nell’arte contemporanea da quarant’anni. L’urinatoio esposto nel 1917 come “fontana” era una provocazione venuta a proposito; in seguito è diventata una patente di nobiltà per esporre qualsiasi oggetto come opera d’arte, eliminando così ogni idea di un’opera eccellente o di un”sublime”. Quest’arte è altrettanto poco capace di scuotere lo spettatore quanto lo sono i prodotti dell’industria dell’intrattenimento. Mentre le avanguardie cosidette “classiche” della prima metà del XX secolo sapevano dire l’essenziale sulla loro epoca storica, l’arte di oggi riesce difficilmente a evitare l’impressione della sua insignificanza. 

Si può anche rifiutare l’idea di una “morte dell’arte” generale (io me ne sono occupato altrove), ma risulta comunque difficile trovare un’arte contemporanea all’altezza dei suoi predecessori. Essa partecipa alla derealizzazione generale, proprio come l’industria del divertimento, quindi è diventata una sottospecie del design e della pubblicità. Essa merita allora la sua commercializzazione. L’arte contemporanea si è buttata nelle braccia dell’industria culturale e chiede umilmente di essere ammessa alla sua tavola. Ciò è un risultato, tardivo e imprevisto, di quell’allargamento della sfera dell’”arte” e di quell’estetizzazione della vita che sono stati cominciati un secolo fa dagli artisti stessi, come appunto Duchamp. Sembra dunque che non esistano più molte opere capaci di contribuire alla nascita di soggetti critici. Esistono solo dei clienti. Allora fa davvero poca differenza come si gestiscono i musei. Si afferma che i musei devono adeguarsi alla necessità di “far pubblico”, pena la loro sparizione. Ma il risultato è lo stesso. Un’arte che serve soltanto a creare dei clienti soddisfatti non è comunque più un’arte degna di questo nome.

Bisognerebbe almeno ammettere una differenza qualitativa, di peso, tra i prodotti dell’industria dell’intrattenimento e una possibile “cultura vera” per poter evocare per quest’ultima un trattamento a parte. Bisogna ammettere dunque la possibilità di un giudizio qualitativo e non puramente relativo e soggettivo. C’è una grande differenza tra voler stabilire dei parametri di giudizio, pur sapendo che non discendono dal cielo, ma che debbono essere soggetti alla discussione e al cambiamento, da un lato, e negare, dall’altro, a priori la possibilità stessa di stabilire dei parametri, di modo che tutto è uguale a tutto. Se tutto si equivale, niente vale più la pena. Sono questa uguaglianza, e l’indifferenza che ne segue, a stendersi come un sudario sulla vita dominata dal mercato e dalla merce. 

Esse minano alla base la capacità degli umani di fare fronte alle minacce onnipresenti di barbarizzazione. Le sfide che ci aspettano nei prossimi tempi hanno bisogno di essere affrontate da persone nel pieno possesso delle loro facoltà umane, non da adulti rimasti bambini nel senso peggiore della parola. Sarà curioso vedere che posto terranno l’arte e le istituzioni culturali in questo passaggio epocale.

Ancora una volta ci stanno fregando, sappiatelo.

2015/10/24

Rassegnazione


C’è in giro una gran brutta bestia: la rassegnazione. 

Notizie inaudite che anni fa avrebbero suscitato scalpore oggi sono accolte con fatalismo e nella totale indifferenza. Vale per i migranti morti in mare come per gli scandali e i problemi irrisolti. La gente è stanca, smaliziata, distratta. Ascolta le notizie politiche e non capisce, non si sente coinvolta, cambia canale. E’ nell’indifferenza che nascono però le cose più turpi, con personaggi-macchietta che diventano “opinion leader” perché non li contrasta nessuno. 

Per esempio in Piemonte la sinistra uccise 15 anni fa l’idea di un ospedale unico, oggi sostiene l’esatto contrario ma nessuno sembra ricordarlo, ma è così che muore la politica, la democrazia, la cura per il bene pubblico e nessuno chiede i danni politici ma anche sociali e finanziari a chi impoverì e impoverisce di servizi il nostro territorio. 

 Altro esempio è la nuova riforma costituzionale che accentra e non delega, riporta poteri a Roma togliendoli alle regioni e di fatto cancella ogni spinta federalista e di decentramento che in qualche modo animava le altre riforme costituzionali che si sono poi più o meno esaurite nei decenni passati, ma anche di questo non ne ha parlato quasi nessuno. 

Solo sulla sanità il governo ha tagliato in un anno 4 miliardi di trasferimenti (frettolosamente giudicati “tagli di sprechi”) che stanno facendo saltare i bilanci regionali: Chiamparino si è dimesso dalla conferenza stato-regioni, pochi se ne sono accorti, nessuno ne ha parlato. Giusto o sbagliato che sia (secondo me è profondamente sbagliato) questo nuovo romano-centrismo se da una parte sottolinea gli sprechi delle varie amministrazioni regionali e spesso l’incapacità di gestire i problemi del territorio, dall’altra sbarra la strada ad una riforma profonda della nostra società che dovrebbe stare alla base di un “federalismo della responsabilità” indispensabile per rilanciare almeno quelle zone d’Italia che possono meglio affrontare la crisi e tentare di tornare a crescere il più presto possibile. 


Il popolo italiano assomiglia sempre di più a una rana bollita. 

Ci stanno fregando, sappiatelo.

2015/10/17

IL “CAPOLAVORO”



“Abbiamo fatto un capolavoro” commentano Matteo Renzi e la sua amica il ministro Boschi facendo approvare la nuova riforma del senato. Se tutti concordano che non poteva continuare un sistema parlamentare di “bicameralismo perfetto” il “nuovo Senato” secondo me è però una vera presa in giro. Verranno ora infatti nominati (non eletti!) 95 senatori che siano contemporaneamente già sindaci o consiglieri regionali con compiti molto limitati e un costo complessivo – è già stato stimato – pari a oltre l’80% del bilancio del senato attuale. 

Ma non sarebbe stato molto più semplice e giusto fare eleggere direttamente dai cittadini questi senatori con compiti chiari, specifici e definiti, in numero proporzionale agli abitanti di ogni singola regione? Con questo ulteriore sistema di “democrazia indiretta” invece - guarda caso - 55 dei 95 futuri senatori (gli altri 5 li nomina il Presidente della Repubblica) sarebbero a oggi del PD che con meno del 30% dei voti (pari a poco più del 15% dei cittadini “veri”) ha già anche una maggioranza assoluta nell’altra e unica Camera (anche questa non elettiva e dichiarata incostituzionale!) grazie al premio di maggioranza. 
Conseguentemente la stessa persona è oggi capo del governo, leader del PD, arbitro per eleggere - come è già stato - il presidente della Repubblica, i giudici del CSM, i vertici Rai ecc.ecc. Da domani controllerà completamente anche le maggioranze parlamentari. Questa sarebbe democrazia? Italiani, non fatevi rimbambire dal viso angelico della Boschi, dalle quotidiane interviste no-stop di Renzi, da una stampa e una TV in buona parte prone al gigione di Firenze. 

Ci stanno fregando, ricordatevelo.

DAJE



Le dimissioni di Ignazio Marino a Roma hanno scatenato molti commenti, interessante quello sul fallimento politico da una parte del sistema dei partiti, ma dall’altra anche di quei sindaci come Marino cresciuti e presentati “contro” le strutture partitiche, ricordando che proprio Marino uscì dalle primarie del PD romano come scelta “popolare” o - con il senno di poi – di sola immagine. 

Ma se non vanno bene né i partiti né gli esterni, dov’è allora il futuro della politica italiana? Credo che la risposta sia chiara: non funzionano “questi” partiti senza ideologie e senza “anima”, scheletri vuoti incapaci di dare speranze, ma troppe volte i tecnici che vengono proposti a cariche pubbliche non hanno alle spalle una sufficiente caratura e esperienza “politica” per affrontare le situazioni. Le realtà sono sempre più serie e difficili delle fantasie e soprattutto degli slogan che possono piacere alla “pancia” dei cittadini in campagna elettorale, ma che alla lunga non reggono il peso dei problemi quotidiani.

Il Comune è per esempio una istituzione dove il cittadino si sente coinvolto in prima persona, ma un sindaco che pur voglia migliorare la propria città non può reggere se gli gioca “contro” la struttura comunale (anche se spesso il sindaco avrebbe tutte le ragioni) perché quella stessa struttura lo distruggerà. Il vero potere nei comuni è infatti nell’apparato, nella burocrazia, nei dipendenti (e soprattutto nei dirigenti) che non cambiano quando cambia il sindaco, ma anzi lo condizionano per tutto: i malvezzi e i privilegi indebiti dei dipendenti comunali romani ne sono tragica conferma, perché Marino passa, ma quei privilegiati restano. Alla stesso modo un sindaco cadrà se vorrà andare qualche volta “contro” i partiti che lo sostengono in consiglio comunale e che possono farlo cadere – sfiduciandolo - in ogni momento.

La struttura legislativa del nostro paese infatti è diventata folle e un qualsiasi sindaco di buona volontà e assoluta onestà (l’ho provato sulla mia pelle) si ritrova presto a dover scegliere. Se usa tutti i bilancini delle forme e delle procedure alla fine non combinerà nulla e davanti ai suoi cittadini farà la figura del nullafacente e dello stupido solo perché passerà sempre troppo tempo dall’atto della decisione a quello della realizzazione. Se – invece – il sindaco sarà “decisionista” e romperà le scatole state tranquilli che qualcuno presto lo inforcherà davanti a un Magistrato che riuscirà a bloccare tutto perché - per chi sta a tavolino, vede le carte mesi dopo, non rischia nulla e non vive le quotidiane emergenze di una città - la “forma” è tutto. Non parliamo poi se quel sindaco manderà a quel paese la propria parte politica che magari gli chiede favori più o meno leciti: sarà dipinto come politicamente traditore e pericolo pubblico. 

Credo che la politica oggi si trovi davanti a un bivio: c’è chi la fa per rubare o rubacchiare e mira a un incarico per i suoi possibili vantaggi (e temo allora lo farà sempre, aggirando la legge) ma purtroppo la politica è diventata oggi impossibile da gestire per qualsiasi persona che voglia operare concretamente, velocemente e correttamente. I cittadini credono di eleggere un “loro” sindaco, ma in realtà con le normative attuali spesso eleggono un ostaggio: quanti se ne rendono conto?

Tornando al punto di partenza non si può allora pensare di far eleggere un “tecnico”, un “grande nome” o una più o meno nota e brava persona (Ignazio Marino era un chirurgo) catapultandolo in una situazione dove sono indispensabili anche conoscenze tecnico-politiche e esperienze amministrative. Proprio qui salta fuori tutta la pochezza del sistema politico italiano dove non ci sono più “scuole” di partito e non solo dal punto di vista ideologico, ma anche per la preparazione progressiva all’incarico, facendo un passo alla volta. Per essere buoni sindaci bisogna saper dirigere strutture complesse o macinare anni in consiglio comunale, così come è assurdo eleggere deputati o deputate solo per il loro nome o il bell’aspetto, ma che non sanno nulla di gestione pubblica. 

Ma se fino qui avete condiviso il mio ragionamento vi rendete conto come sia assurdo il nuovo sistema elettorale – l’ “Italicum” - che Renzi ha appena imposto, dove non si eleggono ma si “nomineranno” persone (chi sarà messo a capolista nel collegio di fatto sarà automaticamente eletto). Non importa se saranno intelligenti o cretine, oneste o disoneste, con esperienza o meno: conterà soltanto l’essere un giocattolo nelle mani dei leader. Ma se il sistema non funziona e viene perpetuato con leggi elettorali scritte apposta perché continui a non funzionare, come potrà mai migliorare la gestione del nostro povero paese?

2015/10/11

Ipocrisia



La London University ha deciso: non avrà più alcun legame accademico con i colleghi israeliani per protestare contro l’occupazione dei territori palestinesi. Anche il comune di Reykjavik – capitale dell’Islanda – boicotterà Israele e i suoi prodotti agricoli e industriali per lo stesso motivo. 

Siamo veramente alla follia: si potrà criticare tutto di Israele tranne che sia l’unica democrazia vera del Medio Oriente eppure questi saccenti soloni “democratici” non sollevano il problema degli assassini del Califfato e dell’ISIS, le norme barbare della Jihad islamica, gli attentati di Al Quaeda, le distruzioni di Palmira o in Iraq, le decapitazioni in Arabia Saudita e le impiccagioni in serie in Iran, le condizioni della donna dal Pakistan alla Nigeria, oppure i vari regimi stile Corea del Nord in giro per il mondo…no, i “cattivi” di questo mondo sembrano solo gli israeliani. 

Chissà se in Islanda sanno che il loro boicottaggio includerà quindi anche i parlamentari arabi liberamente eletti alla Knesset, o le imprese ebraiche o palestinesi che operano in Israele con le loro decine di migliaia di lavoratori che proprio solo lavorando in Israele trovano il modo di sfamare le proprie famiglie. Immaginate invece, al contrario, i commenti se a boicottare Israele fosse stata una università o una città tedesca… ci rendiamo conto dell’incredibile cumulo di ipocrisie e di tabù che ci accompagnano ogni giorno?


2015/10/10

La truffa delle Poste Italiane



Ha ragione Corrado Passera, che in anni non lontani è stato capace di trasformare Poste Italiane in una struttura agile ed efficiente rispetto al lento e tardo carrozzone inefficiente di prima: LA PRIVATIZZAZIONE DI POSTE ITALIANE E’ UNA TRUFFA AI DANNI DEI CITTADINI. 

Le poste sono un servizio pubblico da gestire bene e far rendere, non da svendere ai privati (stranieri, per di più!) per i loro interessi secondo una logica di mero profitto. 

I risultati sono sotto gli occhi di tutti: chiudono gli uffici periferici e montani, peggiora il servizio con le lettere che saranno recapitate non più in 24 ore ma in 4 giorni, mentre dal 1 ottobre (ma non lo ha detto nessuno) l’affrancatura di una lettera è aumentata di un altro 20% passando a 95 centesimi (erano 70 centesimi un anno fa: + 36% !). 

Altro che asfissiante pubblicità sul “cambiamento siamo noi”: gli italiani (tutti) perdono un patrimonio ed è assurdo che nessuno lo dica, ne parli, si preoccupi. Sta succedendo lo stesso malaffare come con la CASSA DEPOSITI E PRESTITI, l‘altro grande “salvadanaio” italiano a cui Renzi ha cambiato i vertici per motivi incomprensibili, salvo che far fare gli affari a pochi furbetti. 

In Poste Italiane è la grande cassa del risparmio postale che fa gola a tutti ma questi temi non appassionano, non hanno spazio sulla grande informazione. Certo che se Berlusconi avesse fatto queste cose chissà che clamori, ma questo è un governo di “sinistra”, con l’iperipocrita maghetto di Firenze che fa e disfa quello che vuole…

2015/09/21

Business rules


When we talk about business, everyone has a personal opinion to complete the deal in their own way.Often they exceeded the criteria, and regulations, just out of habit or hearsay, almost never the rules you want to believe are imposed by International Chamber of Commerce are really such. How to get out? Let's read the article, and if you want at the bottom of page you leave your commentary.

The following information will give you a better insight into the actual conditions that are acceptable to the real buyers and sellers in this business as opposed to all of the nonsense that has been perpetrated by the brokers and others that simply do not understand this business.

First, let’s put to rest many of the things that are incorrect and inaccurate about this business of buying and selling instruments.

Consider the following corrections to items that are pervasive throughout the brokers’ network, continue to be included in Letters of Intent, have been incorrectly applied to these transaction and are never a part of a real agreement between the seller and the buyer:

1.       First and foremost, the days of the buyer standing in the public square and dropping his pants while the seller hides in the dark and is "protected" by some broker that calls himself the "mandate" are gone from this business, never to return.

2.       The LOI can never become a contract. This is contrary to contract law. The seller and the buyer will always enter into an enforceable commercial contract/agreement. The LOI is just that, an expression of the buyer’s interest or intention. More than 95% of the time, the LOI is written by a broker, not by the seller and, for the most part, these brokers have just cut and pasted information that they obtained from other brokers. Thus all of the conflicts and errors in the  are copied and pass along from joker to joker (err..i meant to say, broker).

3.       Banking coordinates are never conveyed in a LOI. These are very confidential and are not the business of the broker network. In fact, banking coordinates are never conveyed in an agreement. Banking coordinates are only conveyed principal to principal.

4.       The laws of perjury do not apply to any commercial document,  or agreements. This is contrary to contract law and it is impossible for someone to perjure themselves in a letter of intent or interest.

5.       The term “no proof” means just that.

6.       There are no rules, regulations. Acts, ordinances or laws (including the US. Patriot Act of 2001) that require a buyer to produce a proof of financial capability prior to acquiring any instruments.

7.       There is no agency or department of any Government that approved the private sale of Medium Term Notes (MTNs) or Bank Guarantees (BGs) and there is no department that issues a “fed number” for MTNs. This is all joker-broker nonsense.

8.       Banks do not endorse fee agreements, contracts or LOIs. This action would place a financial liability on the bank and they cannot and will not incur that liability on behalf of their depositors.

9.       Banks do not issue irrevocable conditional bank purchase orders (ICBPO), or any purchase orders, period. In fact, a bank is precluded from incurring any liability on behalf of a depositor. And, the words “irrevocable conditional” form an oxymoron. No western world bank will issue a MT543, as it is a liability on behalf of the bank. In fact, as of September 1, 2003, the MT543 is gone from the banking world.

10.     Issuing banks do not enter into agreements to sell their financial instruments and the buyer’s banks do not enter into agreements to purchase the financial instruments. The agreement is always between the buyer and the seller. And no banker or securities officer is going to act on behalf of the buyer or seller until and unless there is an agreement in place.

11.     Collateral first is the most misunderstood phrase. Collateral first does not mean that the actual instruments move to the buyer before payment. It means that the seller must provide an invoice setting forth the details of the instruments, before the payment is made. There is no longer such a thing as a collateral first settlement via Euroclear and there is no such thing as a “collateral first“ DVP settlement, these are not the same settlement types.

12.     Buyer’s confidential documents (passport, resolution, client information sheet, banking coordinates) are not sent through the brokers’ network. This always results in the documents being shopped around the world. These documents are only sent on a principal to principal basis, period.

13.     There is no such thing as “due diligence” by some “agency” for seasoned instruments. The buy/sell transaction between private parties is private and does not require the approval of any governmental body or agency.

14.     As a result of the post-September 11 rules on wire transfers of funds, it is no longer possible for buyers to move cash funds in amounts over US$500M without the funds being stopped and investigated. Accordingly, offers that set forth tranches of $1b, $5b and more, are just pure nonsense.

15.     The ICC in Paris, France, is not an enforcement, adjudication or legislative body. They are simply an information body. However they have recently published the ICC769e concerning the NCNDA. Butr, the ICC has no jurisdictional authority or standing in any commercial agreement.

16.     Contract law sets forth that there cannot be any conflict of jurisdictional oversight to an agreement. Accordingly, an agreement cannot contain multiple jurisdictions as the controlling laws. Example: “this agreement is governed by the laws where the buyer and the seller reside and the ICC. Paris, France”.  Or “this agreement is governed by the laws of the USA, UK, Hong Kong, Switzerland and Germany” were written by someone that know nothing about the law, period.

17.     Bank guarantees are never on any screen (DTC or Euroclear) for screening, authentication or settlement. All BGs must be transacted via standard non-Euroclear DVP protocol settlement procedures.

18.     Medium term notes (MTNs) are only on Euroclear, not on DTC, for screening, authentication and settlement. All MTNs and bonds on Euroclear must be transacted via standard Euroclear DVP protocol settlement procedures.

19.     Some of the webs are starting to issue bank promissory notes. These notes can be posted and settled on Euroclear, via standard Euroclear DVP protocol procedures.

20.     Prior to January 1, 2003, it was possible to settle on Euroclear with a collateral first settlement. The seller provided the buyer with the invoice containing all of the instrument and Euroclear codes, including the blocking code. The buyer would then screen the instruments, block (delivery) the instruments in its name and then pay the seller via wire transfer of funds. Euroclear called this a “free delivery” as the instruments were blocked in the name of the buyer without any funds being delivered (payment) at the same time. There were too many incidents where the funds never were wired, causing both the seller and Euroclear big problems. So, as of January 1, 2003, there are no more “free deliveries”.. All instruments on Euroclear must be transacted via standard Euroclear dvp protocol settlement procedures.

21.     Standard Euroclear DVP protocol settlement procedures and standard non-Euroclear DVP protocol settlement procedures, do not require and, in fact, preclude the need for a proof of funds, proof of capability, financial capability letter, MT760, MT543 or MT799. This is handled in the bank to bank call, after the agreement is signed and in place. Accordingly, no one will issue these documents, as they are replaced by the bank to bank confirmation call that must take place immediately after the agreement is signed.

22.     MT100 and MT103 are conditional swift transfers of cash funds. The MT100 has not been used for more than two years. The MT103 is the current method of sending a conditional swift transfer of cash funds. However, the MT103 is only used for fresh cut (new issue), funds first transactions and never for seasoned paper or a DVP settlement transaction.

23.     MT543 is a bank commitment or undertaking and is not issued by any US Bank and is not issued by most western european banks. Banks do not make commitments or undertakings on behalf of their depositors. If they were to do so, this would cause the bank to move liquid assets to the liability section of the balance sheet and bank simply will not do this. MT543s have been cancelled by the banking authorities and after September 1, 2003, are no longer used in the banking world.

24.     MT760 is not a proof of funds, blocking of funds, movement of funds or settlement document. It only has one purpose. Its purpose is for the actual movement of the bank guarantee (not MTNs or bonds) from the seller’s bank officer to the buyer’s bank officer.

25.     MT799 is a simple text message, sent bank to bank. In this business, this is used for a bank to bank proof of funds, only. The MT799 is not a form of payment and it is not a bank undertaking or promise to pay. It is simply a bank to bank confirmation of the funds on deposit, nothing more. And, all of these joker-brokers that modify the MT799 to make it look like a bank undertaking are just kidding themselves.

26.     Standby Letters of Credit (SBLCs) are not instruments that are issued, bought and sold at discounted prices. When a bank issues a SBLC, the price to the buyer is 100% of face value, plus the bank service charge for the instrument. And, the purchaser of the SBLC will ask the bank to place a restrictive endorsement on the SBLC, for the payment of a specific item of goods or services. All offers for large amounts of SBLCs at discounted prices are absolutely fraudulent offers.

27.     A fee protection agreement that states “to be determined” or “to be nominated” as the name of the paymaster for either the buyer’s side or the seller’s side is absolutely worthless. No prudent business person will issue a blank document. And, if you do not know the name of the seller’s side paymaster, then you do not have a valid offer and you do not have any way of delivering the Ready Willing and Able (RWA) letter to the seller.

28.     There is no such thing as slightly seasoned instruments. Instruments are either fresh cut (new issue that has not been registered with a buyer) or they are seasoned (instruments that have already been sold to one or more buyers). While the price of seasoned instrument can vary, the fact that they are either seasoned or not seasoned is binary in nature.

29.     There is no such thing as the “gray screen”. This is just joker-broker nonsense.

30.     There is no such thing as a “fed id” approving the acquisition of MTNs. This is just joker-broker nonsense.

31.     There is no such thing as a “fed pool” for MTNs. This is just joker-broker nonsense.

32.     There is no such thing as a “fed program” or  “fed trader”.  These are just terms created by the joker-brokers in this business. 

2015/09/11

Orgoglio Americano



Il giorno che è appena terminato, è una data già entrata nella storia. A Ground Zero, luogo simbolo degli attacchi, nel cuore di New York, il tempo si è nuovamente fermato e, nel silenzio, una campanella ha ricordato quel giorno di 14 anni fa. Uno per uno i nomi delle vittime sono stati ripetuti in una cerimonia che, dopo anni, è tornata pubblica sul luogo delle Twin Towers, per un momento di commemorazione collettiva.

"14 anni dopo gli attacchi terroristici dell'11/9, onoriamo coloro che abbiamo perso. Salutiamo coloro che garantiscono la nostra sicurezza. Ci leviamo piu' forti che mai". 

Lo ha scritto su Twitter il presidente degli Stati Uniti Barack Obama nel 14/mo anniversario dell'11 settembre. 



Questa è l'America dei nostri sogni, dei ricordi sempre vivi e della voglia di eccellere nonostante tante contraddizioni. I lettori che mi seguono sanno che ogni tanto viaggio negli USA, e non solo virtualmente, per analizzare punto per punto questo grande paese e cercare di cogliere le novità per capire meglio questa grande realtà. 

Anche quest’anno sono tornato preoccupato e scoraggiato e non solo perché del nostro paese nell’ultimo mese i media americani hanno parlato solo per l’immigrazione dall’Africa e lo sciagurato funerale mafioso a Roma in stile “Il Padrino” (immaginatevi la brutta figura e l’ironia che siamo riusciti ancora una volta a sollevare) quanto perché mentre da noi tutto sembra andare alla moviola e in modo rallentato in questi ultimi anni e soprattutto quest’anno gli Stati Uniti sembrano aver ripreso con slancio una ripresa economica che è ben più visibile dello “ zero virgola” italiano tanto strombazzato dai media e dal governo.

Scelte di strategia finanziaria azzeccate (uno dei pochi meriti di Obama), con “mani libere” all’esecutivo per salvataggio di banche e di imprese riuscendo – tra l’altro - a far pagare il prezzo delle loro bolle speculative del 2007-2008 anche (se non soprattutto) al resto del mondo.
Intanto il mercato immobiliare è tornato a tirare, così come di conseguenza l’ occupazione e la produzione industriale 

Questa rinnovata vitalità non nasconde pregi e difetti del modello americano, per esempio nel loro mercato del lavoro che è infinitamente più svincolato del nostro, ma dove una occupazione si trova subito – anche se magari provvisoria - ma comunque sempre legata alle capacità e volontà dell’individuo. Da noi si direbbe “meno tutelato” ma se uno è trattato male se ne va e di lavoro ne trova un altro il che porta ad un equilibrio tra domanda ed offerta ed è forse per questo che non c’è una strada dove nelle vetrine non si cerchino nuovi assunti con il “sogno americano” che così autoalimenta sé stesso. 

Soprattutto si nota - nelle piccole e grandi cose - come l’informatica, l’automazione e l’interconnessione dei servizi sia molto più avanzata che da noi semplificando la vita e riducendo i costi mentre restano diversi problemi di base come lo spreco di energia (ad esempio l’aria condizionata esagerata, magari con le porte o le finestre che restano aperte) e uno stile di vita spesso per noi assurdo. 

Vale per l’alimentazione e gli sprechi, visibili in molte famiglie, di apparecchiature, imballaggi e anche di cibo visto che porzioni e confezioni – come tutto, in America – sono sempre “extra large”.

In generale la ripresa è quindi anche basata su un consumismo esagerato e spesso forzato. 

Certo molte cose costano decisamente meno che da noi favorendo la ripresa: l’anno scorso la benzina costava intorno ai 4 dollari a gallone, ovvero circa 1 dollaro al litro. Il prezzo è sceso ora a 2,2 dollari a gallone: vi immaginate se in Italia la benzina costasse meno di 60 centesimi al litro e le autostrade – come negli USA – fossero gratuite? La ripresa economica nasce anche da qui ed è triste vedere invece come in Europa, nonostante il costo del denaro “ufficiale” sia quasi a zero, quello del petrolio il più basso di sempre e pur con l’Euro ormai stabile sia così difficile la ripresa. Ancora più difficile da noi dove investire è impossibile sia per una burocrazia assurda che per la difficoltà reale di poter ricorrere al credito. Così tutto è “impallato” e restiamo sempre più indietro. 


2015/08/29

Bank Comfort Letter (BCL)




BCL, which stands for Bank Comfort Letter, has been called by one expert, one of “the most widely used acronyms which are both unsafe and impracticable” in the hands of the Internet intermediaries, and which has been a prime reason “why past trades have failed” with those intermediaries who use it. Often called by other names, such as the ‘Bank Capability Letter’ or‘Bank Confirmation Letter,’ the BCL is simply a letter provided by the buyer’s bank to confirm that the buyer has sufficient funds to carry out a particular transaction.


The BCL is viewed as a flawed, inappropriate, dangerous, and “silly” method when employed by modern Internet intermediaries, for essential the same reasons that other similar procedures(e.g., the LOI, ICPO, etc) have been similarly viewed by experts – it is often misused and misapplied by greedy, overzealous, devious and misguided Internet joker broker types and agents to try to gain, for themselves, an undue control and advantage of the trading process with potential buyers, by essentially “cornering and boxing in” the would-be buyer to commit,upfront, to an offer so as to unduly and hurriedly secure or safeguard a commission for themselves from such a buyer, with total disregard as to whether the offer is genuine or not, or has been verified or not.

An Illustrative Example from Case of a Seller’s Offer to the Author’s Office

The above problem is manifested in about two basic ways.

A) Let’s take, for the purposes of an illustration, this particular offer received at the author’s petroleum consultancy office from a dealer who purported he was acting as a Mandate/Agent for refined JP54 & D2 products from Russia, through an entity that he claimed was connected with Russia’s OAO Gazprom and Ufa Refineries. He demanded that our potential buyer provide the following documents to initiate a purchase, in order for the buyer “to be considered as credible”: 

The Seller’s Basic Procedures for Sale on a C.I.F Basis:

Seller issues a Soft Corporate Offer (SCO) [This is a Sales letter outlining the seller’s offer] to Buyer

Buyer confirms the SCO and issues Company Bio, a Letter of Intent (LOI), and Bank Comfort Letter (BCL).

Seller issues Full Corporate Offer (FCO) which buyer endorses and returns.

Seller issues draft contract open for amendments.

Both parties confirm draft Contract by endorsing it.

Buyer and Seller lodge the contract in their respective banks and finalize the bank to bank process.

The first problem with this request for a BCL by an intermediary, is the issue of practicality and feasibility. For example, whereas this agent is asking that the interested buyer should first provide him a BCL, as a purely practical matter the reality is that generally Banks (i.e., in this case, the buyer’s bank) will usually not give BCLs without FIRST seeing the POP from the seller or supplier. To put it another way, the fact is that such matter usually always boils down to the so-called ‘chicken or the egg’ proposition. That is, on the one hand, if, in fact, the “seller”actually truly has the crude allocation in hand, then there is no reason why they would not immediately give a POP to a credible buyer. It is not possible to go around that. But, on the other hand, if the “seller” FIRST receives a BCL (and ICPO) from a potential buyer, then it’s quite possible, or perhaps even likely, that they then can go out on their own and shop around for the product. The simple reality is that, at least to this author’s own knowledge, most petroleum buying entities in operation, will not send an ICPO and BCL to a supposed seller without first receiving a POP, and ONLY if a supplier were to send a buyer a legitimate deal with a POP, will the buyer send supplier an ICPO and a BCL, even accompanied with permission to do a soft probe of the BCL.

Buyers cannot buy “nothing.” This seller, in fact, not even the seller but a third-party intermediary agent, is asking a buyer to disclose to them a vital financial information without even having seen or being shown a product, or knowing who they are dealing with and whether it’s a legitimate seller at all, in the first place.

Thirdly, whereas the impression being conveyed by such a seller who demands a BCL is that it is some kind of security and a conveyance of proof of financial capability or assurance of payment on the part of the buyer, the reality of the matter is that the BCL really confers no such security. Why? Because, in practice, with a great many number of banks, it often takes very little to for them to issue that document to a customer,especially if he is one of their prized accounts – whether that customer actually has the funds in his account with them, or not. In sum, if a customer were to actually provide a BCL for, say, $200 million (the value of one shipment of 2 million barrels of crude oil), the fact of such presentation would still be NO proof, nevertheless, that he is, in fact,good for the amount represented in the BCL, the $200 million. Or, even for anything close to that! Hence, asking for a BCL, or getting a copy of one in your hands, virtually proves nothing as to the financial capability of a buyer to buy a product. Even if a principal does disclose this information to an intermediary, what use is this information to them?

They cannot personally conduct a ‘soft probe’ so what business does an intermediary have asking another intermediary for this type of third-party information?”

Joker Brokers waste time in requesting non-sense documents. For example requesting a buyer for a Bank Confirmation Letters (BCL) or to provide Proof of Funds (POF) prior to the acceptance of offer and contract signing is foolish. Business confidentiality is paramount, as a full mining consulting firm can undertake no action to endanger its principals or clients, providing loose access to client banking is such an action. No serious buyer gives an untested vendor access to banking confidential.

In general only brokers, not principal Suppliers seem to request BCL's. This seems to be for the comfort of the brokers. However at most a BCL will only provide limited degree of financial capacity. A professional seller understands that a Buyer trying to provide premature proof of "Ready, Willing, and Able" (RWA) via a BCL does not guarantee purchase. It only says "I (the buyer) have money to buy something ", but it does not say "I (the buyer) will buy something from you."

BCL's never prove buyer's RWA for reasons detailed below, therefore requiring them is a waste of time and generally will kill your deals. Brokers who request a BCL need to consider that few serious Buyers will issue a financial statement of such confidentiality in today's International area filled with fraud, identity theft, piracy, and other financial threats. In a world of rampant fraud no serious buyer allows soft probes into their banking. 

A serious Seller is concerned about one thing only, closing a sale. Where the Buyer's funds come from, at what stage in a transaction Buyer might choose to fund a certain account, and other matters are simply not the Seller's concern as long as the Buyer is able to perform as required under the contract. A fully funded LC at the appropriate stage of transaction is the most appropriate method of demonstrating RWA, such an Irrevocable payment is useless until the documents passing title to the Buyer are produced. No money, no product, no product documents no money. This is the most secure and safe protocol protecting Buyers and Sellers Globally.

The Joker Broker
This is a letter to us from a former admitted Joker that is now a closer!

What do you do when you receive an offer of over one hundred millions barrels of JP-54 and more than five millions ton of D2 requiring an ICPO with BCL or Soft Probe, NCND and IMFPA up front?

This is pure Broker rubbish - throw it in your rubbish bin. No delivery port can handle such volumes. Do you realize how much fuel you are talking about here? Do you know those huge VVLC tankers, which are as long as 3 soccer fields put together? Well this quantity is 17 of those huge tankers!!!! Which refinery can handle such quantities? Which Port has enough spare tank space for this “lake” of fuel? Which pipeline will bring this “river” of fuel to the Port? And which refinery will produce it? 

Answer: “It simply does not exist”. I know that brokers don’t like to hear it, but I have to tell you that you are filling up peoples’ email systems with nonsense from brokers and it is spoiling your name. Maybe you are getting these so-called “deals” from good people, but perhaps they are getting them from the Joker Broker “Daisy-chain”. Please listen to good advice - instead of sending 100 emails with Broker nonsense which does not work, find just one…… only one….. Good deal where you are talking directly to the Seller (legal owner of the product) or his Mandate and you will save yourself (and all of us) a lot of unnecessary work. Let me give you (for free) some good advice, coming from years and years of experience in this business: (It cost me a lot of money and years of hard work with no successful deals to gain this experience, but I am giving it to you for free, so this is your lucky day to get something valuable for free!!).

1. When a deal starts off with “send ICPO with BCL or Soft Probe, NCND and IMFPA” this is “Broker Language”. Those that know this “Broker-Language” know that this means: “I was a Joker-Broker - I don’t have any product for sale and I don’t know anyone who has got any (real) product for sale - so I want you to give me an Irrevocable Purchase Order with your full financial details disclosed, so that I can then run around with your order and your money in my hands, looking for product and the next thing you will be seeing is your company details and your banking details exposed to the world, running around on the internet between thousands of other Joker-Brokers”. I was a Joker and I have closed a five deals now after years of the rubberish.I am a closer and recommend The Joker Brokers from any that would like to at least learn this business!

This is what this language means - I suggest you “learn the language” and please do not send me EVEN ONE “deal” which starts off with this procedure - please just put them straight into the rubbish bin - which is exactly the place that I will put them when someone sends them to me.

2. Next valuable tip:
Question: ‘What do the real buyer’s want?’ -
Answer: Real buyers want to receive offers ONLY from real sellers.
Next Question: ‘How do I recognize a “real seller” from one who is not?
Answer: A ‘real seller’ actually owns the product - he is the legal title holder of the product and 98% of the time he is not offering this product to the “Joker-Broker world” for sale. So you need to be sure of the circumstances as to why a “real seller” is offering “real product” for sale to a broker network when he can just call up Shell Oil or ExxonMobil or BP or Total Oil and sell it direct to them as they are always needing product. 

QUESTION: “WHAT DO I LEARN FROM THIS? ”Answer: “I learn that I will not receive “real” offers from a Broker Daisy-Chain. I will only receive them from a real seller or his real appointed Mandate”.

3. Next valuable tip: NOBODY gives oil products away for nothing. About 95% of deals which have a low fixed price are “scams” and there is no product available. They are the fabrications of the Joker-Broker brigade. A real seller will in 95% of all cases only sell with a discount off a Platt’s based price. (Why would a Seller sell D2 for somewhere in the $400’s when he can get over 50% more, anytime from any major oil company? - Sellers are not that stupid!!)

4. The remaining 5% of deals which sell for a fixed price are mostly “Spot” deals and they have a time window of a maximum of about 3 days. Within this time, they are normally sold and delivered because nobody can afford the tank storage space costs for any extra days - it eats up all the profit. Unfortunately the Joker-Broker brigade pick up on some of these deals and continue to offer them all around the world for months and months after they have already been sold. The Brokers will swear to you that the deals are genuine, as they may have been at the time, but what use is a so-called “genuine” deal when it was already sold and delivered two months ago?

5. A “real buyer” who has money in his bank to buy product with, wants ONLY to receive offers from a REAL seller who: (a) actually owns the product (b) the product is already ‘in tank’ at the delivery port with tank receipts issued, or (c) the product is in the pipeline on the way to the port, or (d) the seller has bought crude oil which is on the way to the refinery and the product he wants to sell will be available in 30 to 45 days at the loading port, and (e) the Seller has some kind of documentary proof (Soft POP) that the product is real and available.This “REAL SELLER” will always be prepared to offer product to a genuine buyer on an FCO and he will always be in a position to give some sort of partial POP (proof of product) in exchange for POF (proof of funds) and he will normally be ready to do this bank-to-bank. What does this mean? It means that you should ask your so-called “seller” if he can produce (bank-to-bank if he likes) some sort of evidence to a buyer/buyer’s bank to prove that the product is real, owned and available for sale. If the seller cannot do this, you need to find out why, because in most cases it will be found that he can't produce this because he doesn’t have it, because the deal is a fake.

6. In any “real deal” there will never be a huge discount offered with huge commissions to intermediaries - it just doesn’t happen. So when you see a huge discount and/or huge commissions to intermediaries, it is more than likely that the deal is fake.

7. Please be aware that very often someone in the Broker fraternity hears about a deal which, at the time, may be genuine. This deal is then widely circulated amongst brokers, even months after the product has been “sold and delivered”. This is called “chasing after rainbows”.

8. Whenever you see JP54 offered in huge quantities, throw it in the bin. Remember that the largest airline in the world uses only 7,800,000 barrels per month and that is “worldwide” at numerous different destinations!! Also remember that the largest airline in the world will not be buying from us - they have long term, long standing arrangements direct with producers. So do yourself a favour and put all “huge” JP54 offers where they belong - straight into the rubbish bin.

9. Do some research on the delivery ports? Whenever anyone is offering you more product than the available tank capacity in the delivery port, it is obviously a fake deal.

10. Take some good advice - treat every deal as a “fake deal” until it is proven to be genuine - you will be right in over 90% of the cases….. The large majority of deals (in fact, almost all of them) running around the broker world are either fake deals, or they might have been available for a 3-day window but are still circulating days, weeks and even months after the deal was closed and delivered.

11. Lastly - only deal with people who are either a genuine Seller Mandate (with official Mandate Appointment Letters from the Seller - and beware… there are many fakes!!!) or not more than one step away from such a genuine Seller Mandate. On everything else you will find out that you are wasting your valuable time….. And mine (which by the way, I am not going to allow to happen).

Have a nice deal!