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2017/11/20

Norimberga




Con la lettura dell’atto d’accusa, si apre il 20 novembre 1945 a Norimberga il processo contro i crimini del nazismo che si concluderà con 12 condanne a morte, 7 a pene detentive e 3 assoluzioni. Il principale imputato, Hermann Goering sfugge al capestro, suicidandosi con una fiala di cianuro alla vigilia dell’esecuzione

“Tutti noi sappiamo che in realtà quel tribunale è stato organizzato dai vincitori per giudicare e condannare i vinti. C’è chi, al proposito, ha osservato che la vittoria più completa non consiste nel distruggere fisicamente il nemico in guerra ma nel processarlo e condannarlo ad ostilità sul terreno concluse, perché ciò significa che la sua sconfitta è irreparabile, estendendosi dal piano militare a quello etico e simbolico”. Chi esprime questo severo giudizio non è un neonazista e neanche un pensatore conservatore o di destra: è anzi uno dei filosofi che hanno fissato i princìpi dell’odierno cosmopolitismo giuridico, quello, per intenderci, che ha portato al Tribunale penale internazionale con sede all’Aja. Parliamo di Hans Kelsen, uno dei grandi giuristi del Novecento, fautore del primato della giustizia sulla politica. Era stato lui stesso, mentre la guerra era ancora in corso, a teorizzare la nascita di un Tribunale internazionale come centro-motore di un nuovo ordine mondiale orientato al mantenimento della pace e alla tutela dei diritti dell’uomo.

Se persino Kelsen aveva da ridire, significa proprio che il Tribunale di Norimberga nacque con qualcosa di sbagliato alla base, con una confusione tra princìpi giuridici e interessi politici che ne minava la solidità teorica e il funzionamento pratico. Innanzi tutto il grande giurista criticò il fatto che la Corte era composta solo da rappresentanti dei Paesi vincitori, laddove sarebbero dovuti essere presenti anche giudici provenienti da quelli neutrali. In secondo luogo, a parere di Kelsen, non si dovevano giudicare soltanto i crimini commessi dai nazisti ma anche le violazioni ai princìpi di umanità commesse dalle altre potenze belligeranti e quindi le atrocità compiute da americani, inglesi e sovietici. Solo in questo caso il processo di Norimberga avrebbe costituito un vero precedente per la costruzione di un sistema mondiale realmente orientato verso la pace e la tutela dei diritti dell’uomo. Ma tutto ciò non era evidentemente negli obiettivi degli Alleati e di Mosca.

“Se i princìpi applicati nel giudizio di Norimberga -così concluse Kelsen- dovessero diventare un precedente, allora al termine della prossima guerra i governi degli Stati vittoriosi giudicherebbero i membri degli Stati sconfitti per aver commesso crimini definiti tali unilateralmente e con forza retroattiva dai vincitori. C’è dunque da sperare che questo non avvenga”.

Ci sarà pure un motivo se, a 72 anni da Norimberga, della presenza del Tribunale internazionale penale permanente dell’Aja non si accorge nessuno. Gli Stati Uniti, principale potenza militare mondiale, si sono rifiutati di ratificarne la nascita.

2017/11/10

Le incredibili avventure di Mr P alle prese con internet



Paolo P. è un collega, ex collega di quando lavoravo in Salini. Vive e lavora a Parigi ma, da buon italiano è portato a confrontare spesso le due realtà francese e italiana e a commentarle. Questa volta si è trovato faccia a faccia con quella francese, il risultato non è dei più confortanti, giudicate voi.

Buona lettura

Dunque ho affittato un bilocale uso ufficio non lontano da casa, e visto che per le scale c'era un cartellino che comunicava ai condomini l'arrivo della fibra con Bouygues, beh, cosa aspetto ? Ho subito sottoscritto un abbonamento con Bouygues senza neanche guardare quanto costa.

"Bien bien nous allons installer la fibre en maximum 1 semaine Monsieur P".
Riempio un modulo firmo un contratto do un documento e do il mio IBAN. Bella la Francia dove gli IBAN si chiamano RIB e tutto è piu facile.

E mi mandano a casa il Bbox, il Modem e tutta una serie di cavi e cavetti per installare il prodigio della tecnologia. Cioè non a casa, all'ufficio Postale, dove sono andato a ritirarlo un bel mattino di giugno. Quello stesso mattino l'ho portato nell'ufficio (ancora vuoto) e ho atteso fiducioso la chiamata di Bouygues.

Dopo 2 settimane mi arriva un messaggio che dice che il mio appuntamento è spostato di una settimana. Poco male non ho ancora una attività fervente nel mio ufficio.

All'appuntamento arriva un omino con la tuta che dice subito di essere un subappaltatore di Bouygues quindi non potrà rispondere alle mie domande sulla data di attivazione. Poi va per le scale esamina il cavidotto fa una smorfia e dice che non c'è posto per un cavo supplementare bisognerà sentire il condominio. E che non puo assolutamente dirmi nulla di piu non sa quando ne chi lo farà, non è nelle sue responsabilità, e fugge per le scale.

La settimana dopo, è passato un mese dalla mia prima domanda e quindi riporto il materiale a Bouygues dicendogli che annullo l'ordine.
"C'est votre droit" mi risponde ligio il commesso che si chiama Ahmed.
Quindi passo alla casella successiva del mio cammino di croce-gioco dell'oca. Orange. Con Orange ho già il contratto del cellulare perche sono andato da Bouygues ? Basterà estendere il contratto di cellulare all'internet dello studio e il gioco è fatto, mi dico.
Il negozio di Orange effettivamente è molto tipo Apple, con tutti commessi bellini e vestiti di arancione, uno che gira frenetico con un Ipad che organizza l'attesa dei Clienti, con mega schermi che ti ricordano che hai fatto bene a rivolgerti a loro, famiglie sorridenti che fanno colazione su un prato che inneggia al futuro. In basso allo schermo scorrono i numeri del turno. Tocca a me, "M. P Orange Pro". Wow.

Il commesso si chiama Benoît, ha un sorriso da star mi fa accomodare su un trespolo, mi spiega che ho fatto bene ad andare da loro che sono i piu veloci in tutta la Francia, oscillando ritmicamente il capo davanti allo schermo, poi vedo che lei ha già un contratto Business insomma perche non ci ha pensato prima le mettiamo la fibra in massimo una settimana. Siamo il 12 luglio.

Mi propone un contratto flexi Europe che posso telefonare in tutta Europa con una leggera modifica del contratto Orange che avevo prima. Ma si perché risparmiare.
Non mi manderanno niente a casa porta tutto il tecnico. Mica sono degli straccioni come Bouygues.

Riempio un modulo firmo un contratto do un documento e do il mio RIB.
Inizia l'estate, la gente si rilassa "Monsieur P le technicien va pas venir tout de suite voyons voir ce que j'ai comme date dispo, on va dire le 12 Aout ?"
Ma si tanto che problema c'è sono nelle mani di Orange. Rien ne presse comme disait l'orange.

Il 12 Agosto arriva un omino che dice di essere un sous-traitant di Orange che quindi non puo dirmi proprio nulla sulle date di attivazione del mio contratto ma tranquillo Orange sono gente seria.

E va sul pianerottolo, apre il condotto con le fibre, le esamina e fa una smorfia. Il palazzo è stato cablato da Free, sono dei pescecani non ci daranno mai le fibre io intanto faccio la domanda ma non le garantisco nulla Monsieur P.
E se ne va lasciando nel mio stomaco una nascente angoscia.
Passa l'estate. E mi arriva una bolletta del cellulare. In piu del consumo telefonico ci sono 370 Euro per recesso anticipato del contratto. Panico, chiamo Orange, prego premere asterisco selezionare un'opzione 1 per il telefono 2 per la Box 3 per ... scelgo 1, prego selezionare 1 per un ordine in corso 2 per un nuovo ordine 3 per … scelgo 1, selezionare 1 per un problema tecnico 2 per un problema amministrativo … oddio ma il mio è un problema tecnico o amministrativo aiutoooo scelgo 1 "le temps d'attente est estimé a plus de 10 minutes je vous rappelle que le site internet www.orange.fr saura répondre a toutes vos questions mais si vous voulez attendre faites merci de rester en ligne". 

E partono 38 minuti di una musichetta cantata da uno con la voce suadente che vuole metterti sicurezza ma dopo 1 minuto mi viene già il latte alle ginocchia. Dopo 38 minuti cade la linea.

Il giorno dopo rifaccio la trafila uguale a se stessa salvo che i minuti sono 47 e arriva finalmente una voce che dice che il call center si trova in Francia e la telefonata potrebbe essere registrata. Chiudo a chiave la porta dell'ufficio, spengo la luce per aumentare la concentrazione, e mi siedo con calma.

La commessa che si sforza di fare una voce sexy mi dice che i 370 sono perché ho cambiato operatore prima della scadenza del contratto.
"Mais je n'ai rien changé du tout puisque je suis resté chez Orange !!!"
"Ah non Monsieur Patrizi je vois que vous êtes passé de Orange Business à Orange Pro".
Che dio li fulmini, riattacco e i 47 minuti di attesa si dissolvono come una aspirina effervescente.

E cerco su internet una associazione di difesa del consumatore.
Passa l'estate e Orange si ripresenta in settembre con un nuovo subappaltatore che dice che c'è un problema con il condominio e che non sa dirmi nulla di più.

Poi mi arriva un messaggio che dice che faranno il possibile ma che non possono garantire che la data del 13 Novembre sarà effettivamente la data ai sensi della clausola ecc ecc…
Annullo Orange e passo con Free, hanno cablato il palazzo sapranno fare le cose piu in fretta.
Riempio un modulo firmo un contratto do un documento e do il mio RIB.
"C'est bien que vous soyez venu chez nous M. P nous allons vite vous donner la fibre".
Stavolta è tutto virtuale al telefono non sono neanche sicuro che fosse in Francia.

Dopo una settimana arriva un omino che dice di essere un subappaltatore di Free che guarda lo scatolare con le fibre sul pianerottolo e dice con una smorfia "queste sono di Orange…". 
Come di Orange, mormoro con la voce tremante ma mi hanno detto che il palazzo lo avete cablato voi.
"Oui Monsieur P mais il nous arrive de donner des fibres aux autres qui les demandent on n'est pas propriétaires … vous énervez pas Monsieur P".
E se ne va dicendo che non puo dirmi nulla sulle date tutto è nelle mani di Free, ricevero una mail di conferma.

Dopo una settimana mi arriva un messaggio da Kelly, agente Free che dice che sarà da me il 7 Novembre tra le 13 e le 15. Il 7 Novembre ho una mega riunione ma non importa userò la pausa pranzo per farmi mettere la fibra. E un mio diritto.

Il 7 Novembre comincia a fare freddo a Parigi e non avendo il citofono, passo 2 ore dalle 13 alle 15 davanti al portone.
Alle 1415 ancora non si vede nessuno e telefono a Free.

"Bonjour et bienvenue chez Free. Pour une question technique faites le 1…faccio 1 perche non voglio perdere tempo e mi chiedono il mio codice utente. Non ho il codice utente, anche se una vocina in sottofondo di musica dice che mi deve essere stato mandato per mail insieme alla password insomma riesco a recuperare il codice utente mi chiedono la password prima la sbaglio (l'avevo imparata a memoria in questo racconto che sta sempre piu somigliando alla piccola fiammiferaia), si alla fine mi dicono che la chiamata potrebbe essere registrata quindi si, sto per parlare con un essere umano.

"Magalie à votre écoute que puis-je faire pour vous Monsieur P?"
"J'avais rendez-vous entre 13 et 15 h mais personne n'est venu"
"Ah non Monsieur dans votre dossier je ne vois pas de rendez-vous de prévu"
"Mais si c'est Kelly qui m'a dit que j'ai rendez-vous !!!"
"Monsieur P vous avez l'air de confondre Free et ses sous-traitants, Free ne vous a rien dit et les sous-traitants ne sont pas autorisés à prendre des engagements au nom de Free"

Free vi ringrazia per la vostra scelta e per la telefonata. Seguirà un breve questionario in cui potrete esprimere un giudizio sulla conversazione con i nostri operatori.

2017/10/21

Ha già vinto lui!



Detta in parole povere e comprensibili, la deterrenza è quella cosa in base alla quale una nazione scoraggia un suo nemico dall’aggredirla minacciando di infliggere allo stesso danni e distruzioni assolutamente insopportabili e tali da rendere l’aggressione o la guerra non convenienti e non paganti. In questo contesto possiamo dire che la Corea del Nord, dotandosi di un discreto arsenale nucleare, sta perseguendo con notevole successo proprio la strada della deterrenza. Infatti, se noi guardiamo alla storia degli ultimi decenni, vedremo che gli Stati Unitihanno perseguito, con costanza e coerenza, una politica di eliminazione fisica di tutti i regimi che erano contrari ai propri interessi geostrategici. 

Nel 1961 gli Stati Uniti organizzano, con il beneplacito del presidente John F. Kennedy, la cosiddetta operazione della Baia dei Porci. Millecinquecento esuli cubani addestrati dalla Cia sbarcano a Cuba con lo scopo di rovesciare il governo rivoluzionario di Fidel Castro. L’operazione, male organizzata e ancor peggio diretta, abortisce ma il tentativo di rovesciamento resta e sarà seguito da innumerevole tentativi di uccidere Castro. Nel 1983, nell’isola caraibica di Grenada, un regime filo sovietico guidato da Bernard Coard, leader del Military Revolutionary Council, prende il potere. 

Gli Stati Uniti, con il pretesto di salvare la vita di seicento studenti americani presenti sull’isola, organizzano l’operazione Urgent Fury e, senza nessuna copertura giuridica da parte delle Nazioni Unite, invadono l’isola e ne rovesciano il governo installandone uno nuovo filo americano. Il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite condanna l’intervento con il solo voto contrario degli Usa. Nel 1999 gli Stati Uniti e la Nato intervengono in Kosovo bombardando pesantemente la Serbiacostrigendo la stessa ad evacuare il territorio kosovaro e aprendo la strada, in tal modo, alla indipendenza del Paese e alla caduta di Milosevic, leader della Serbia. 

Nel 2003, facendo seguito agli attacchi dell’undici settembre e con il pretesto di eliminare inesistenti armi di distruzione di massa, gli Stati Uniti invadono l’Iraq rovesciando il regime di Saddam Hussein il quale, dopo la cattura, viene impiccato nel 2006. Nel 2011 gli Usa partecipano alla campagna contro la Libia e contribuiscono al rovesciamento di Gheddafi il quale viene ucciso il 20 ottobre 2011. E infine laSiria. Gli Stati Uniti cercano in ogni modo di rovesciare il leader siriano Bashar al Assad e non ci riescono solo grazie all’intervento sul campo della Russia che garantisce la sopravvivenza del regime.

Evidentemente la dirigenza della Nord Corea ha imparato la lezione della storia e ha capito che nessuna forza armata convenzionale, per quanto forte e addestrata, può resistere a una campagna militare condotta dagli Stati Uniti d’America e, pertanto, ha deciso di dotarsi dell’unica arma, quella nucleare, dotata di un potere deterrente tale da rendere difficile, se non impossibile, una invasione del suo territorio. E in questo la Corea del Nord è molto aiutata dalla sua posizione geografica. Infatti, Seoul la capitale della Corea del Sud, è a poche decine di chilometri trentottesimo parallelo e per colpirla non sarebbe nemmeno necessario utilizzare missile balistici ma sarebbero sufficienti dei missili da crociera, molto più semplici ed economici. 

Il Giappone poi, storico e odiato nemico della Corea, è abbastanza vicino da essere colpito con missile balistici a corta/media gittata. In caso di attacco, quindi, la Corea del Nord potrebbe mettere in atto una “retaliation” in grado di causare, in pochi minuti, milioni di morti, tenuto conto che le città colpite sono molto popolose. In queste condizioni la deterrenza è assicurata perché è assai dubbio che il Giappone e la Corea del Sud diano un loro avallo a un attacco Usa contro la Corea del Nord visto che sarebbero loro e non gli Stati Uniti a pagare un terribile tributo di sangue e devastazione. 

E infine alcune considerazione finali. Ove mai il regime della Corea del Nord cadesse repentinamente, milioni di Nordcoreani affamati si riverserebbero come un fiume umano nella Corea del Sud per godere del suo tenore di vita e delle sue libertà. Un poco quello che successe con l’unificazione tedesca ma in chiave molto ma molto più grande. Un simile evento metterebbe a rischio il benessere, l’economia, l’ordine pubblico e la coesione sociale della Corea del Sud. Inoltre, e qui concludo, la riunificazione della Corea porterebbe sullo Yalu il confine della nuova Corea unificata e, dato che il Paese è alleato degli Stati Uniti e che sul suo territorio vi sono ingentissime forze militari americane, ciò vuol dire che la Cina si ritroverebbe gli Stati Uniti al suo confine meridionale. 

Siamo sicuri che la Cina sia disposta di accettare un simile evento?

2017/10/19

Ma sì, che ci restiamo a fare in Italia?


Centoventimila italiani emigrati solo nel 2016, +16% le iscrizioni di minorenni agli elenchi dei residenti all’estero. Giovani, vecchi, famiglie. Anche Asia Argento. Tutti abbandonano l’Italia. Una volta si partiva per desiderio d’avventura, ora lo si fa per cercare tranquillità, regole, disciplina

Ma sì, che ci restiamo a fare in Italia? A quanto pare se ne vogliono andare tutti. La Lombardia e il Veneto, ma anche l'Emilia le Marche e “tutte le altre Regioni” dove FI promette referendum per l'autonomia. Se ne vanno i giovani nella misura di cinquantamila l'anno, se ne vanno i cinquantenni, se ne vanno le famiglie con bambini piccoli: Migrantes ci avvisa che le iscrizioni di minorenni agli elenchi dei residenti all'estero sono cresciute del 16 per cento. Se ne va Asia Argento - «Tornerò quando le cose miglioreranno» – inorridita dagli attacchi sessisti che ha ricevuto, ma pure uno come Fabrizio Del Noce guarda Domenica In dal Portogallo, dove – ci informa – si è trasferito a fare il pensionato, salvo farsi venire gli attacchi di bile per l'esordio delle sorelle Parodi sulla sua vecchia Rete.

L'Italia è il Paese che amavamo, ma non lo amiamo più. E se una volta si partiva mercenari per desiderio d'avventura, ora lo si fa per l'esatto contrario: voglia di tranquillità, regole, disciplina. In testa all'elenco delle destinazioni c'è il Regno Unito di Sua Maestà e al secondo posto l'ordinata e noiosissima Germania. I Paesi dove chi sgarra è perduto hanno sostituito nell'immaginario collettivo le anarchiche e suggestive mete dell'immigrazione anni '50: il Sudamerica, l'Africa, la sconosciuta Australia. Non partiamo più per cambiare vita ma per tenerci quella che abbiamo col minor numero di scocciature possibili. Studiare in posti dove le sessioni non saltano ogni due per tre. Vivere in case che non costino il doppio del salario. Lavorare con paghe certe, tasse certe, orari certi, e persino con contratti nero su bianco (all'estero li fanno).


Sembra che restare sia il destino degli sfigati, dei rassegnati, degli scemi. 


Lo scrittore Alessandro D'Avenia dice che è colpa della “narrazione del Paese”, che non genera cose capaci di «nutrire i sogni». Fa l'esempio di un bambino nella sua stanza al buio, il quale «teme che sotto il letto ci siano le sue peggiori paure» e per questo chiama i genitori. «Il più delle volte basta accendere una lampadina», dice. Ma qui, con la lampadina accesa, spesso lo spettacolo peggiora. Sembra che restare sia il destino degli sfigati, dei rassegnati, degli scemi. Su Fb è un groviglio di madri che annunciano trasferimenti e si informano sulla vita a Londra, Francoforte, Madrid, Dublino, oltreché nei più svariati Stati americani. Un po' piangono, un po' sono orgogliose: «Ma sì, che si restava a fare?».

L'Ocse, che è un'organizzazione molto pratica, mette davanti a tutto il problema soldi: in Italia ce ne sono solo per i vecchi. Il Papa ci ammonisce sulle diseguaglianze. I sociologi più a là page rovesciano la cosa, dicono che è normale effetto della globalizzazione. Sarà. A noi sembra che la fuga dal Paese abbia caratteristiche al tempo stesso più profonde e più superficiali. Ci si è stufati. Si è espresso questo sentimento in ogni modo, per vent'anni, protestando in ogni maniera consentita, votando ogni faccia che promettesse cambiamento, resistendo, arrangiandosi, cercando scorciatoie, e adesso non si vuole restare nel mazzo di quelli che continuano ad aspettare un impossibile Sol dell'Avvenire.

Centoventimila italiani scappati solo nel 2016 sono Latina che si cancella, Monza che sparisce, Siracusa o Trento che all'improviso si svuotano. Esci di casa e non c'è più nessuno. Quelli famosi, come Asia e Fabrizio, con le loro ragioni da prima pagina, ma pure tutti gli altri, con i loro motivi misteriosi, i nuovi migranti della Settima od Ottava Economia del Mondo che all'improvviso si sono detti: ma sì, che ci restiamo a fare?

2017/10/15

R.I.P. Alvaro



Un’altra bruttissma notizia per la nostra comunità umana e politica: Alvaro Bocchini, storico segretario della sezione del Movimento Sociale Italiano di Colle Oppio, “Istria e Dalmazia”, se ne è andato prematuramente. Era nato nel 1949 e le esequie dsi sono tenute ieri nella parrocchia di San Giovanni Leonardi al Casilino. Inoltre, dal 1976 al 1981 ha lavorato presso il quotidiano Secolo d’Italia, e era amato e benvoluto da tutti. Sposato con Nicoletta Grossi, anche lei storica esponente missina, ha avuto tre figli. Alvaro lavorava al comune di Roma, nella sede di via Prenestina. Alvaro fu segretario della Colle Oppio, proprio negli anni di piombo, quando l’estrema sinistra riteneva che uccidere un fascista non fosse reato: innumerevoli furono gli assalti, le bombe, gli incendi perpetrati dagli intolleranti della sinsitra contro la sede. Ma essa è ancora lì, anche oggi, grazie all’impegno e al coraggio di ragazzi come Alvaro. 

Voglio pubblicare la bellissima lettera che i figli hanno scritto per Alvaro e letto in chiesa:

Dì qualcosa, sto rinunciando a te. Sarò l’unico per te se tu mi vorrai. Ti avrei seguito ovunque. Dì qualcosa, sto rinunciando a te. Inciamperò e cadrò e sto ancora imparando ad amare.

Cosi recita una bellissima canzone che mille volte mi ero promesso di imparare per poterla cantare nel momento di dirti addio. E allora eccoci qui, in quel momento, solo che io non sono pronto e non ho imparato la canzone, perché in fondo in questo momento non mi ci sarei mai voluto trovare. 

Eppure sapendo che prima o poi sarebbe arrivato, ho pensato centinaia di volte a cosa avrei detto nel momento in cui ti avrei dovuto dire addio per provare a condividere il mio dolore con gli altri, ho pensato diverse volte a quale sarebbe stato il comportamento da dover tenere per far finta di essere forte e sorreggere gli altri nascondendo il dolore interno, ho pensato molte volte a come e quando suonarti e cantarti questa canzone, ho pensato mille volte a come sarei dovuto arrivare pronto ad affrontare il tuo addio. Ma la realtà è che io ora in questo momento non sono pronto. 

Ora che sono qui, davanti a te, la verità è che il dolore è così strettamente proporzionale all’amore che ho per te, che non c’è lettera che possa solo anche minimante provare a spiegare quanto quell’amore sia immenso e di conseguenza il dolore cosi devastante,che non c’è recita che tenga per nasconderlo, non c’è canzone che spieghi il perché, non c’è previsione che ti possa preparare ad affrontare tutto questo. La realtà è che io ora in questo momento non sono pronto, e mi sento cosi vuoto, cosi debole e cosi perso. 

Perché tu per me sei sempre stato il faro, il sostegno, la guida, ciò che mi dava la forza di sembrare forte agli occhi di tutti, mi hai insegnato ad amare ma anche ad odiare all’occorrenza, mi hai forgiato come si fa con le spade insegnandomi a rimanere nel fodero per gran parte del tempo e sguainarmi solo quando veramente necessario solo per nobili motivi e solo per difendermi. Mi hai insegnato che un uomo può piangere, amare, soffrire ed essere un vero uomo proprio per questo. Mi hai insegnato che il sacrificio è tutto, e tu hai sacrificato tutto per noi. 

Mi hai insegnato che solo gli stupidi non cambiano idea, per questo non scorderò mai che quando tutto il mondo mi dava addosso per il tatuaggio sul braccio in quanto politicamente sconveniente e tutti si ergevano a paladini dei buoni consigli su cosa fosse giusto e sbagliato, io tutto fiero correvo da te convinto che almeno tu lo avresti apprezzato essendo in fondo quel simbolo parte di te e invece mentre mangiavi uno yogurt mi dicesti: sei un idiota perché se fra 20 anni cambi idea? Eccola la tua grandezza. 

Non hai avuto una vita facile e fino all’ultimo giorno hanno provato a buttarti giù, ma tu hai sempre reagito a volte con più vigore a volte con più stanchezza, ed è per questo che non hai mai perso tempo a insegnarmi come si fa a non cadere ma ti sei concentrato sull’insegnarmi a come ci si rialza e i frutti di tutto questo avrai modo di ammirarli da qualunque posto tu sia ora, sulle tue piccole nipoti che spero possano riprendere da te anche solo una delle tue innumerevoli qualità. Amavi scrivere libri e lettere, e in una delle ultime scrivesti “spero che la vostra vita sia migliore della mia”, e forse sarà cosi ma sicuramente ora sarà più difficile. 

Negli ultimi tempi inoltre mentre un po’ ti indurivi, mentre un po’ cedevi allo sconforto, mentre sembrava che a volte non avessi più voglia di combattere, mi hai insegnato a sorreggerti quando tu ne avevi bisogno, anche se mi sento di non averti sorretto abbastanza, anche se ultimamente eravamo tutti un po’ arrabbiati con te, anche quando eri testardo, anche quando non ci vedevamo per giorni o settimane perché io avevo sempre da fare e ora vorrei tornare a quei giorni e sedermi li vicino a te anche solo in silenzio, anche quando sentivo di non avere abbastanza forza per sorreggerti cosi a lungo, tu eri li e inconsapevole mi insegnavi tutto questo, anche ad ammettere di non farcela anche ad essere tenero per questo ogni volta che ci sentivamo al telefono mi salutavi dicendomi un bacio a te e un bacio immenso alle tue donne, che amavi da impazzire. 

Ed è vero che non sono pronto, ma forse alla fine mentre tento di continuare a scrivere su una tastiera piuttosto bagnata, tu oggi mi hai insegnato ciò che mi serviva in questo momento, perché proprio mentre ripensavo a te per scrivere queste parole mentre tutti mi raccontavano di quanto fossi fantastico, mi sono reso conto che alla fine oggi tu mi hai insegnato anche ad essere finalmente pronto, perché proprio come dice questa canzone:

Ingoierò il mio orgoglio, tu sei l’unico che amo, e ti sto dicendo addio

2017/10/12

UNESCO il fallimento di un'idea





Gli Stati Uniti hanno notificato all’Unesco (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), la loro uscita dall’organizzazione a partire dal 31 dicembre prossimo. Lo ha riferito il direttore generale dell’agenzia culturale dell’Onu, la bulgara socialista Irina Bokova. 

Gli Usa accusano l’Unesco di essere “anti Israele”, perché nel 2011 accettarono l’ingresso della Palestina nell’organizzazione, nonostante la contrarietà di molti Paesi. In quell’occasione, ovviamente, l’Italia scelse di non schierarsi e si astenne. Contestualmente Washington ha ritirato il sostegno di 60 milioni di dollari all’Unesco, creando non pochi problemi all’Onu. Gli States sono infatti il più grande finanziatore dell’Unesco, con una quota pari al 22 per cento dei finanziamenti totali. 

L’Unesco, per chi non lo sapesse. è uno dei tanti carrozzoni delle agenzie dell’Onu, istituito nel 1945, all’indomani della fine della guerra, conosciuto qui in Italia solo per la faccenda dei “siti patrimonio dell’Unesco”. In realtà il bubbone sarebbe dovuto esplodere, prima o poi. Sono anni che le Nazioni Unite, anziché svolgere il loro compito istituzionale, si dedicano alla politica, favorendo ora questo ora quell’attore internazionale secondo gli specifici interessi del Palazzo di Vetro, che raramente coincidono con quelli della popolazione mondiale. 

Troppo spesso l’Onu si è apertamente schierata con una delle parti in lotta, rinunciando al suo nobile ruolo di super partes e compisizione dei contrasti. Individuando di volta in volta, arbitrariamente, il “cattivo” di turno, l’Onu ha schierato i suoi caschi blu e il suo peso diplomatico per proteggere gli interessi di ben determinate nazioni. 

Qualche esempio? 

Congo (dove i caschi blu furono diretti responsabili della strage dei nostri soldati a Kindu), Biafra, Vietnam, Iraq e, più recentemente, guerra dei Balcani, dove i caschi blu si sono smaccatamente schierati con i musulmani di Bosnia e del Kosovo con l’obiettivo – raggiunto – di destabilizzare l’Europa creando nel proprio cuore due Stati islamici, con le conseguenze che vediano oggi. Ma oltre a schierarsi, le Nazioni Unite evitano di proteggere le popolazioni in guerra: nei Balcani, in Libano, e oggi in Siria, dove si tengono bene alla larga dalle zone particolarmente calde. 

Quindi, non è questione di Unesco, o Fao o altro, mastodonti che sprecano soldi per la loro manutenzione piuttosto che per gli scopi sociali: sono le Nazioni Unite a essere ormai un’organizzazione tutta da ripensare e da riformare. Il socialista Guterres, attuale segretario generale, ha già dato prova di essere di parte, e bene fa Donald Trump a denunciare le storture di un Palazzo di Vetro obsoleto nato all’ombra di una tremenda guerra che certo non ha favorito la serenità delle scelte sovranazionali. 

E questo peccato originale accompagna ancora oggi le dissennate strategie dell’Onu.

2017/09/26

Faccio il docente per fare tre mesi di vacanza

Lo ammetto: faccio il docente per fare tre mesi di vacanza… Stupenda lettera di un insegnante al Ministro Poletti ed a Matteo Renzi – leggetela tutta, ne vale la pena !!

Egregio Ministro Poletti,
ebbene sì lo devo e lo voglio ammettere. Mi sono laureato, ho preso due abilitazioni a numero chiuso, ho fatto un concorso nazionale e sono precario da 13 anni (assunto il primo di settembre e licenziato il 30 giugno) non tanto perché volevo far l’insegnante, ma per godermi tre mesi di vacanze estive, oltre ovviamente a quelle natalizie, pasquali, di carnevale e ai ponti dei santi, dell’immacolata, del 25 aprile, del primo maggio e del 2 giugno. Peccato non si stia a casa anche il giorno della festa della mamma, del papà, della donna e magari dei nonni.

Egregio ministro Poletti,
ebbene sì lo devo e lo voglio ammettere, la volgarità e la disonestà intellettuale che caratterizza lei e tutto il governo Renzi è squallida e imbarazzante, sintomo di un paese sempre più allo sbando, retto da personaggi di piccolo cabotaggio, corrotti, prepotenti e mediocri.

Probabilmente signor Ministro lei è troppo impegnato in cene e feste con importanti esponenti di Mafia Capitale per conoscere la professione dei docenti e la realtà in cui vivono gli studenti italiani; altrimenti saprebbe che il numero di giorni di scuola in Italia è pari a quello dei principali stati europei (Germania, Francia, Spagna. ..).
Le vacanze sono solo distribuite in modo diverso.
Se conoscesse le condizioni in cui versano gli edifici scolastici italiani e l’ubicazione geografica del Paese che governa, saprebbe, inoltre, che andare a scuola a luglio e agosto nella maggior parte delle città (Napoli, Bari, Palermo, Roma, Sassari, Milano) sarebbe impossibile.

Infine, signor Ministro, le ricordo che ormai anche il mio macellaio di fiducia (purtroppo sono carnivoro) non pensa che un insegnante faccia tre mesi di vacanza. Tra esami di stato, esami di riparazione, riunioni e programmazione le ferie dei docenti (trenta giorni più le domeniche) si concentrano per lo più da metà luglio al 31 agosto.

Comunque Egregio Ministro e Esimio Premier, fate bene ad umiliare costantemente noi insegnanti. Ce lo meritiamo. Negli ultimi decenni abbiamo accettato tutto supinamente: blocco salariale, classi pollaio, precarietà, aumento dell’orario di lavoro, edifici insicuri, cattedre spezzatino e concorsi truffa.

Ed ora, sprezzanti ma con il sorriso sulle labbra, state realizzando la privatizzazione della scuola e la sua trasformazione in un’azienda senza che il corpo docente italiano dia un sussulto di vitalità. Tra chi aspetta la pensione e chi pensa che un salario fisso anche se basso è meglio che niente, tra chi è stanco di lottare e chi si considera intellettuale, tra chi “tanto mio marito è un dirigente o libero professionista” e chi è solo e disperato, tra chi “o si blocca il paese per settimane o uno sciopero non serve a nulla” e chi ” ora servirebbe la rivoluzione”, gli insegnanti stanno assistendo inerti e rassegnati alla lenta morte della scuola pubblica, democratica e costituzionale.
Il nostro silenzio è complice. E non basta più (se mai è servito a qualcosa) sfogarsi solo sui social network.

Per chi non si vuole arrendere non vi è altra strada che la lotta, per la nostra dignità e per il futuro dei nostri figli e dei nostri studenti.
Una terza via non ci è data.

Matteo Saudino, docente di storia e filosofia a Torino.
Libero pensatore e cittadino del mondo.
(da https://www.facebook.com/pages/Matteo-Saudino/1400008323610329?fref=nf)

2017/08/15

Carta di credito: le dieci regole per non avere brutte sorprese



Vacanze all’insegna del divertimento e del relax, ma occhio alla carta di credito se non vogliamo trovare al rientro dalle ferie brutte sorprese sul nostro conto corrente. Per gli oltre 15 milioni di italiani che, per evitare di viaggiare con grosse somme in contanti quando sono in vacanza all’estero, scelgono di pagare con carte di credito o bancomat, Facile.it, il principale comparatore italiano di prodotti finanziari, ha creato un breve vademecum con 10 regole d’oro da seguire per non incappare in truffe, raggiri e sbadataggini. 

Carta il credito, ecco il decalogo

1) Consultare la banca prima di partire. Non tutte le carte attive nel vostro paese possono essere usate all’estero e, inoltre, alcune possono essere abilitate, ma con limitazioni; per questo motivo, anche se può sembrare ovvio, prima di partire meglio verificare con l’istituto che ha emesso la nostra carta se il Paese in cui stiamo per fare le vacanze ne ammette o meno l’uso: poche cose potrebbero crearci problemi quanto quella di essere oltre confine e senza denaro.

2) Carte di credito o debito, quale scegliere? Purché abilitate al funzionamento in altri Stati, con entrambi è possibile pagare e prelevare contante, ma per il prelievo le commissioni applicate variano notevolmente; per la carta di credito si aggirano in media intorno al 4%, per quella di debito sono pari a circa il 2%. Il secondo, però, ha spesso un limite di utilizzo giornaliero o mensile che all’estero potrebbe variare rispetto a quello applicato nel vostro paese. Verifichiamo, quindi di non sforare.

3) Per il pagamento poche differenze. Per quanto riguarda i pagamenti effettuati direttamente presso l’esercizio commerciale non ci sono grosse differenze tra le due soluzioni; se l’operazione avviene in uno dei Paesi Sepa generalmente non sono previste commissioni, mentre è possibile vedere applicati costi aggiuntivi legati al cambio in caso di uso in aree con valuta diversa dall’euro.

4) Furto, clonazione o smarrimento, cosa fare? Conviene chiamare immediatamente la banca per bloccare la carta smarrita; non appena informato, l’istituto provvederà all’immediata disattivazione. Importante da sapere è che se la carta rubata viene utilizzata prima della denuncia del furto per legge possono essere addebitati fino a un massimo di 150 euro. Il denaro eventualmente sottratto dopo la segnalazione, invece, verrà rimborsato interamente.

5) Conviene cambiare i contanti all’aeroporto? No. Generalmente utilizzare all’estero la carta per acquisti in valuta locale consente di ottenere un tasso di cambio più vantaggioso rispetto a quelli offerti dagli uffici di cambio presenti all’aeroporto. Cerchiamo quindi di cambiare la minore quantità di valuta possibile, magari nella nostra nazione prima di fare le valigie, e usare quel denaro solo dove non è accettata la carta.

6) Scegliere la valuta locale. In caso di pagamento o prelievo in area extra-euro, se viene richiesto, è consigliato scegliere di pagare in valuta locale anziché nella propria moneta; questo consente di evitare commissioni nascoste legate al cambio e ottenere, così, tariffe più convenienti.

7) Con l’app, tutto sotto controllo. Scegliere una banca dotata di app per mobile consente di monitorare tutti i pagamenti in tempo reale, così da tenere sott’occhio i movimenti e relative spese.

8) Un sms può salvare la situazione. Se non ci si trova a proprio agio con le app, o non si vuole aspettare di arrivare a portata di wi-fi per sapere cosa accade al conto corrente, ci si può sempre affidare alle vecchie tecnologie. Molti istituti consentono di attivare un servizio di alert che, in caso di utilizzo della carta, tramite sms avvisa subito il cliente; una soluzione estremamente pratica per avere il pieno controllo della situazione.

9) La vacanza finisce, ma i rischi continuano. Anche una volta tornati a casa e dopo che tutto è andato liscio, meglio continuare a monitorare i conti con attenzione; i malintenzionati sanno bene che pochi osservano i conti dopo il rientro e, per questo, capita agiscano anche a mesi di distanza dal furto dei dati; gli addebiti non autorizzati o le anomalie quindi potrebbero apparire dopo diverso tempo. Nel caso, informare subito la banca e il problema sarà risolto.

10) Quale carta dare ai figli che viaggiano da soli? I ragazzi, soprattutto se al loro primo viaggio all’estero con gli amici, difficilmente pongono la giusta attenzione alle regole di sicurezza delle carte di credito; come fare a limitare i danni di un figlio troppo sbadato? La soluzione migliore è una carta prepagata.

Si tratta di uno strumento di pagamento sempre più diffuso e un’ottima soluzione, perché garantisce la stessa praticità della carta di debito con il vantaggio di avere un plafond limitato, così da tutelare i giovani, e soprattutto i genitori, da eventuali smarrimenti o spese folli. Il consiglio, però, è verificare prima di partire che la carta sia abilitata e accettata nel Paese di destinazione.


2017/08/01

Un Tonneau mal riuscito


Scritto da Roberto Sardo, il pezzo fa parte di un libro di imminente pubblicazione. L'autore ha autorizzato la pubblicazione su questo blog.

Premessa:

Io sono un appassionato degli aerei in generale, sia di quelli civili che uso spesso per lavoro nei miei viaggi all'estero, sia di quelli militari. Anzi, per quelli militari è una vera e propria venerazione, in particolare i caccia. In Italia non abbiamo avuti aerei importanti, di quelli che emozionano, parlo dell'F-14 Tomcat, dell'F-15 Eagle, dell'F-18 Hornet e anche dell'F-16 Fighting Falcon. Molti di questi aerei sono stati venduti a diversi paesi europei, forse il solo F-14 è rimasto prettamente americano, ma gli altri si sono visti e si vedono ancora nei cieli europei. Adesso poi è arrivato l'F-35 Lightning che finalmente sarà anche dell'Aviazione e Marina Italiana e sarà una grande festa, e questo nonostante i detrattori.
Il Fiat G.91 oggetto di questo articolo in dotazione all'aviazione italiana divenne poi Aeritalia G-91. Spesso soprannominato "Gina" dai suoi piloti, era un cacciabombardiere-ricognitore monomotore a getto ed ala a freccia progettato dall'ing. Giuseppe Gabrielli e prodotto dall'azienda aeronautica italiana Fiat Aviazione (divenuta Aeritalia in un secondo tempo) dalla metà degli anni cinquanta. Fu il vincitore del concorso della NATO del 1953 per la produzione di un nuovo aereo leggero da supporto tattico.

in Italia è noto anche per essere stato a lungo il velivolo della pattuglia acrobatica nazionale Frecce Tricolori fino alla sua sostituzione con l'Aermacchi MB-339PAN.

Ecco il pezzo di Roberto Sardo:

Gigi era di poco più anziano di me, anche se oramai era alle scuole di volo da un tempo notevolmente più lungo. Segaligno e nervoso, dal carattere levantino, era sempre sicuro di sé, fino al margine dell'arroganza. In accademia lo avevo conosciuto fin dall'ingresso, nel periodo degli scherzi che dovevano cementare lo spirito di gruppo dei nuovi arrivati. Con lui, uno dei più agguerriti allievi “anziani” del secondo anno, le cose arrivavano facilmente al punto di rottura, dato l'impegno che ci metteva... poi ci eravamo persi di vista, salvo ritrovarci appunto ad Amendola, da istruttori. 

La scuola doveva partecipare ad una serie di manifestazioni, per le quali dovevano essere esibite formazioni compatte di numerosi aerei. A tale scopo avevamo iniziato ad addestrarci tra istruttori, in sezioni di quattro, che ben presto sarebbero entrate a far parte di pattuglioni più nutriti di 12, 16 e 20 G91T. 

Gigi si stava allenando a fare da capo sezione nella "Whisky" della quale ero il gregario sinistro. Una volta raggiunto l'affiatamento necessario, la nostra sezione sarebbe appunto entrata a far parte di un pattuglione Balbo di 20 aerei. Ovviamente l'addestramento, per non sottrarre ore di volo alla scuola, veniva effettuato a margine delle missioni istruzionali, ritagliando una decina di minuti alle vere Whisky con gli allievi. 

Questo tempo serviva agli istruttori per "smanettare" sui comandi, anziché solo seguire i movimenti della cloche, normalmente manovrata dall'allievo, seduto al posto anteriore... A pochi giorni dall'evento, viene allestita una Whisky di soli istruttori, per poter completare l'allenamento dal posto anteriore. Gigi è molto accurato, anche se sbrigativo, nel briefing, dando del cane morto a chi fa troppe domande. 

Quando finiamo di trattare le finalità, le manovre, le tecniche di ricongiungimento, la gestione delle possibili emergenze (tutto ovviamente ben conosciuto, in quanto nei canoni standard della scuola), Gigi lancia una specie di sfida, minacciando che chi si fosse sfilato dalla posizione assegnata, avrebbe pagato da bere agli altri componenti. 

In sala equipaggiamento, tra una cerniera da tirare ed un casco da pulire, ci prendiamo in giro, immaginando cosa ne sarebbe venuto fuori. Alla fine, con caschi, cosciali, giubbino ed anti-G, ci sediamo tutti fuori dalla palazzina, in attesa del fedele pulmino che ci avrebbe portati in linea volo. Il tragitto è ancora costellato di punzecchiature circa le capacità più o meno buone di ognuno di noi... 

Mano a mano che percorriamo la linea volo, accompagniamo la discesa di ogni componente, in corrispondenza del proprio velivolo, con battute e lazzi molto goliardici... alla fine, ci troviamo da soli, Gigi ed io, per recarci ai nostri aerei. Fiutando l’adrenalina dei compagni di volo, mi sento di raccomandare al capo formazione di tenersi ben dentro i limiti di sicurezza standard ma... mi arriva un “cani muertu” per risposta! 

Dopo il giro esterno, compiuto velocemente per non restare ultimo, mi lego a bordo, con l'aiuto del fedelissimo capo velivolo. Finita la sequenza delle cinghie e delle connessioni radio, finisco di aggiustarmi il sottocasco, che continua a scivolarmi sugli occhi. Seduto al posto anteriore, assaporo la gioia di questo volo, insolitamente da solo, senza un allievo da seguire! L'ultimo passaggio è il malloppo delle spine di sicurezza del seggiolino, che sistemo nell'apposito cassettino. 

Accesa la batteria e la radio, sento il “Check” e l'ordine di avviamento. Con il dito indice sollevato e roteante sopra la testa, avviso il Crew Chief. Luce Anticollisione per avvertire, Master, Pompa, Pulsante di accensione. In un attimo la cartuccia si innesca fragorosamente, appena il contagiri si anima, manetta Idle, ed il sordo muggito della turbina, in aumento di giri, invade l'abitacolo. Temperature nei limiti, pressione olio in aumento, minimo stabilizzato... controlli, Aerofreni, Flaps, Radio ed apparati accesi, prova "Tail Plane", Pressioni Idrauliche in arco verde, tutto in ordine. "Viola check" "Due!" "Tre" "Quattro". “Leader pronto, esce”. “Amendola, Viola, 4 velivoli, rullaggio” “Viola, autorizzati rullaggio pista 29, riportate all'attesa”. 

L'uscita dal parcheggio può sembrare una manovra banale, ma ha il suo perché... ed è una bestia nera degli allievi. Quando vi sono i novizi, tutta la linea volo si ferma ad osservare, ridacchiando.. il G91 non ha lo “Steering” e la sterzata si basa solo sull'uso differenziale dei freni. Questo comporta dover dare abbastanza abbrivio al velivolo, con la giusta dose di motore, per far sì che la curva di 90 gradi venga completata, senza che la frenata provochi l'arresto in posizioni intermedie. Se la manovra riesce, con l’aereo allineato sul raccordo, sarà possibile ridare motore per il successivo rullaggio. In caso contrario, fermarsi di traverso significa investire gli altri aerei parcheggiati con un uragano di vento, che farà volare cappottature, protezioni, scalette e, alla peggio, scardinare il tettuccio del velivolo parcheggiato di fianco. 

Esco tranquillamente, forte dell'esperienza acquisita, ghignando al pensiero delle mie prime manovre impacciate, da allievo. Rulliamo sfalsati, per comprimere la formazione senza che lo scarico di chi precede possa sollevare detriti che danneggerebbero il compressore. Al punto attesa ci allineiamo a 45° ed insieme facciamo le prove motore, dando repentinamente gas e togliendo quindi manetta, per controllare la regolare accelerazione della turbina. Tutto ok. Parametri ok. Aziono il pulsante di chiusura ed abbasso il tettuccio, bloccandolo con la maniglia tutta avanti. La spia spenta conferma il corretto bloccaggio. 

"Amendola, Viola bloccato, allineamento" "Due bloccato", "Tre bloccato", "Quattro bloccato"! "Viola, autorizzati allineamento e decollo, riportate quando cielo campo" "Viola"! Quando siamo in pista, in linea di fronte, al roteare dell'indice del leader diamo tutto motore, con i piedi ben piantati sui freni. Controllo i parametri, guardo gli altri due, i caschi oscillano in assenso, mi giro verso il leader e muovo il casco, in assenso, anch'io.. 

Gigi mima una capocciata in avanti ed una repentina impennata del nasetto anticipa il balzo in avanti del suo '91. Conto 5", mimo la capocciata e mollo i freni. Ognuno degli altri conterà 5" prima di mollare i freni. Velocità in aumento, accelerazione regolare, 135kts alleggerisco il ruotino, 155 le ruote staccano, contrasto con due dita il rollio.. Anche qui penso ai decolli dei novizi, caratterizzati dal "Rock del Gina", un continuo oscillare nervoso delle ali dopo il distacco, dovuto alle correzioni maldestre sulla cloche, in lotta con la innata sensibilità dei comandi del '91... 

Gigi accelera e si porta in virata, per aiutare il ricongiungimento. Il mio posto sarà a sinistra; il tre, anch'egli anziano, si metterà a destra, con il n.4 alla sua destra. In caso di problemi, le coppie agiranno separatamente, il N.3 sarà responsabile del N.4. La tranquilla virata a sinistra, in salita, mi consente di iniziare a tagliare la traiettoria, per accelerare il ricongiungimento. Gli altri due taglieranno a loro volta, poi passeranno sotto di me e si posizioneranno in ala destra. 

Manovre basiche, provate mille volte! In breve vedo fugacemente il 3 e 4 comparire nel mio specchietto sinistro, per poi sparire, mentre passano sotto la mia coda. Lo sguardo è concentrato sulla estremità alare di Gigi, per tenere fissati i riferimenti di posizione. In un attimo la formazione è completa. Iniziamo un’ampia sfogata sul campo. La formazione tiene bene la posizione, quindi Gigi inanella una serie di sfogate sempre più accentuate, per dare “l’invito” alla rotazione, fino a girare un tonneau completo. Uno a destra, più favorevole al 3 e 4, poi uno a sinistra, più favorevole a me, da interno alla rotazione, mentre il N.4 deve usare tutta potenza per rimanere in posizione. 

Nel tonneau a destra, dove divengo esterno, invece, devo essere io a dare generosamente motore nella fase di ingresso e di uscita, per non sfilarmi. La catena delle manovre, eseguite sul cielo campo, ci ha fatto perdere un bel po’ di quota. Me ne accorgo con la coda dell'occhio, dai riferimenti sul terreno e, con una occhiata furtiva, dalla lettura dell'altimetro. 

Siamo sopra la pista, Gigi alza nuovamente il muso per quella che immagino voglia essere una sfogata di posizionamento a sinistra. Da interno, diminuisco automaticamente motore, per mantenere la posizione, pronto a ridarlo nella posizione di uscita, ma... la rotazione prosegue.. siamo partiti troppo piatti e lenti per un tonneau completo, per giunta nel verso sfavorevole al 3 e 4 e, come se non bastasse… BASSI... vedo il N3 ed il N.4 danzare oltre il leader, stagliati contro il cielo, mentre ci stiamo per arrotolare, solidali, intorno al N.1... ora il 3 e 4 sono alla sommità esterna della manovra, in una traiettoria ruotante intorno a me ed al leader, che in un attimo li porterà, rovesci, a volteggiare verso il terreno.. qualcosa non mi convince.. lascio per un attimo i riferimenti, per lanciare un'occhiata davanti al blindovetro.. già... siamo partiti più piatti del dovuto, con rotazione troppo lenta, ed il muso, già quasi rovescio, è sceso prematuramente sotto l'orizzonte.. continuando così, questa traiettoria pigra ci porterà a chiudere la rotazione a 350 kts, sotto terra! Sento il tre che chiama per radio "Tre e Quattro rompono!" Sono quasi rovesci anche loro, ma liberi di interrompere la rotazione, staccandosi e raddrizzandosi, per rimettere il muso al cielo. Io invece no... ora sto per essere stretto, con le ali a coltello, tra il leader ed il terreno, che vedo, con la coda dell'occhio, ingrandirsi in modo preoccupante... schiaccio il pulsante del microfono, grido rauco “li murtà....!” In tempo per accorgermi che l'ala di Gigi sta ora scendendo rapidissima rispetto al mio riferimento: si è reso conto della situazione e sta accelerando disperatamente la rotazione, con leggero appoggio in negativo, per non chiudere la sua traiettoria per terra.. mi trovo dunque "positivo" rispetto a lui, ormai praticamente rovescio ed in discesa... non posso raddrizzare verso il cielo, perché urterei il leader. 

Avrei dovuto rompere anch'io, prima.. Ora, tra lui ed il terreno, ho una sola via di uscita.. Dò tutto motore, appoggio la barra in avanti ed a sinistra, accelerando a mia volta la rotazione, ora in pieni G negativi.. vedo i tetti del villaggio azzurro passarmi sopra il tettuccio, mentre ormai rovescio, con tutta barra avanti e di lato, sto rialzando il muso dell'aereo... 

“il due rompe!” È la mia voce, ma non è uscita a comando! Le cinghie del seggiolino mi stanno segando le spalle, trattenendomi, mentre il casco vorrebbe sfuggire verso il tettuccio, se non fosse per la maschera che mi tira la faccia in alto.. nugoli di polvere e terriccio salgono dal pavimento, il tubo dell'ossigeno si allunga in alto, in posizione innaturale... devo sforzarmi di tenere i piedi sulla pedaliera, perché vorrebbero calciare il cruscotto soprastante.. mi conforta rivedere di nuovo l'azzurro davanti, e passando per i 90°, oltre la fase rovescia, riprendo la tirata normale... 

Negli attimi passati sottosopra, dietro il velo dell’adrenalina sparata a secchiate, nel cielo del tettuccio tutto era colore ocra dell'erba, rosso dei tetti e verde dei pini... grazie alla meravigliosa agilità in rollio del ‘91, qualità maledetta dai novizi, termino in un attimo gli ultimi 90° della rotazione, passando dal “G” negativo al positivo, prima spingendo la barra in avanti, e poi tirandola nuovamente a me, come un dannato, per rimettere sicuramente il muso al cielo..! 

Gigi è ancora di fianco a me, ma ora alla mia sinistra, un po' più basso ed avanzato. Anche lui deve aver dato G negativi e barra laterale a josa per uscire, altrimenti sarebbe diventato una scia di fiamme e fumo nero per terra... la Torre non ha osato fiatare, per paura forse che una qualsiasi comunicazione potesse distrarci e fare un disastro..! Gli ripasso sotto la coda e riprendo il mio posto alla sua sinistra, senza profferire parola... ci mettiamo in virata per riprendere il Tre ed il Quattro.. mentre manovriamo per tornare all'atterraggio, ripenso a quando, da allievi solisti con gli MB326 di Lecce, molti anni prima, ci davamo appuntamento in cielo. Max ed io, le pecore nere, di nascosto ci intercettavamo in qualcuno dei primi voli a solo pilota e, contro ogni regolamento, inventavamo manovre azzardate. 

Tra queste, non poteva mancare un po' di formazione in volo negativo... In quelle manovre proibite acquisimmo, senza rendercene conto, la manualità anti-istintiva del volo rovescio, che mi avrebbe salvato la pelle ad Amendola, anni dopo. Se avessi accennato a tirare la cloche, come istintivamente si potrebbe fare per riprendere quota, anziché spingerla senza indugi, in quanto ormai rovescio, non sarei uscito vivo da quel tonneau nato male... siamo “all'iniziale”, con “apertura” a sinistra. Il 3 e 4 si allargano per lasciarmi posto, riduco motore, inclino a destra e passo sotto la coda di Gigi, anticipo potenza, un'occhiata alla clearance dal Tre, e prendo il suo posto di gregario destro. Nell'abitacolo del N.1 il pugno rotea davanti al casco, per fermarsi con tre dita aperte: Apertura a 3". La mano guantata del leader fa ciao, guardo avanti per non seguirlo inavvertitamente. Diecimilauno, Diecimiladue, Diecimilatre, inclino bruscamente a sinistra, ritirando la manetta al minimo ed aprendo gli aerofreni. Sostengo la virata, cavalcando l'aria resa ruvida dalle superfici frenanti sotto la pancia, fino ad effettuare 180° di arco.. davanti a me galleggia il ‘91 di Gigi, mi metto alla sua quota, leggermente esterno rispetto alla pista. 

Vedo gli aerofreni rientrare e, subito dopo, i flap scendere ed il suo carrello uscire e bloccarsi. Velocità sotto i 190, pulsante sulla manetta in avanti, i freni rientrano. Medio e mignolo scivolano di lato e portano indietro la levetta dei flap. Seguo l'indicatore che scende, la sirena del carrello stride, tre dita sulla leva tonda rossa, che si abbassa di scatto, dopo aver vinto la molla. Un klunk sotto la pancia, gli indicatori segnalano carrello bloccato, la sirena tace. Gigi ha iniziato la virata base: quando mi sfila al traverso, riduco motore, inclino ed entro a mia volta in virata per l'atterraggio. "Amendola, Viola, Uno bloccato, Full Stop". "Uno autorizzato, vento frontale 8 nodi" "Due bloccato, Full Stop" "due continuare". Raccordo la virata in discesa, controllo che Gigi sia ben distanziato, un filino di motore per sostenere la velocità in virata, "Tre bloccato Full Stop" “Tre continuare" vedo il parafreno bianco sbocciare dietro la coda del leader, che si sposta nella mezzeria destra. Mi allineo al centro, "Due autorizzato atterraggio" via motore, "Quattro bloccato Full Stop" contatto, giù il ruotino, la mano sale alla maniglia grigia del para, la tira tutta fuori, "Tre e Quattro autorizzati, a seguire" sento la decelerazione, accosto a destra, allineato dietro il leader, lungo la linea gialla di bordo pista, mentre nello specchietto controllo il tre, prossimo al contatto. 

Dò un po' di motore, perché il vento mi farebbe fermare a metà pista. In un attimo il getto centra il para, lo sgonfia e il 91 fa un piccolo balzo avanti. Lo lascio andare, fino al raccordo di uscita. Freno destro, l'aereo segue docile la curva, contraccosto, mi angolo a 45°, un po’ di motore e maniglia grigia dentro. Il para, spinto dal getto, vola nel prato. Freno destro, lungo la bretella. Davanti si snoda la linea volo con la meravigliosa teoria di musetti arancioni e neri, di code eleganti, parafreni penzolanti e tettucci spalancati, perfettamente allineati, come bocche affamate pronte ad ingurgitare piloti.. passo dietro la linea volo col tettuccio aperto ed un braccio penzoloni fuori dall'abitacolo.. prossimo allo spazio a me riservato, vedo lo specialista che mi fa segno di girare.. una spuntatina di motore, freno destro ed il muso si incastra nel parcheggio assegnato. 

Allineato sulla riga gialla, giù flaps, giù aerofreni, fermo la corsa. Radio spente, manetta off. Aspetto che la turbina, rallentando, emetta con gli ultimi giri il tipico suono tintinnante. Subito dopo arriva la pacca sulla fusoliera: motore fermo, controllare i secondi. Inserisco le spine di sicurezza e rimango a bordo, imbambolato, a fissare l'infinito... rivedo il terreno sopra il tettuccio, risento la violenza dei i G negativi, mi chiedo come diavolo ne sia uscito... 

Eppure sono qua. Una reazione istintiva, immediata, che mi ha portato fuori da quell'angolo senza via di scampo, nel quale mi ero trovato... Mi slego, mi tolgo il casco, stacco tutte le connessioni, mi alzo in piedi sul seggiolino, scavalco il bordo dell'abitacolo infilando le punte dei piedi nei predellini ed inizio a scendere. Ormai la sequenza dei movimenti è più che familiare. Con una mano mi reggo al velivolo, con l'altra tengo il casco ed il cosciale. Sono a terra, madre terra. Mi siedo davanti al muso del 91, a gambe larghe. Respiro forte l'aria, come se non ne avessi respirata per giorni. Alzo la faccia e mi lascio inondare dal sole. 

Che bella la vita, quanto la apprezzi, dopo che l'hai riacciuffata al volo, dopo che i tuoi riflessi te l'hanno regalata, provi quasi la sensazione di una rinascita. Vedo il pulmino percorrere la linea volo. Si ferma davanti agli altri aerei, i piloti salgono. Ad ogni tappa si avvicina, tra poco è il mio turno. Mi alzo, salgo goffo di tutto il mio armamentario, mi siedo. Anche l'odore di caserma di cui è impregnato l’interno mi sembra gradevole. Nessuno profferisce parola. 

La strada fino al gruppo di volo è intrisa di un silenzio pesante. Guardo i tetti del villaggio azzurro, oltre gli alberi, oltre la strada. Erano sopra la mia testa, vicini. Troppo vicini. Con uno scossone il pulmino si ferma, siamo arrivati. Scendiamo. Il silenzio ci avvolge mentre ci togliamo l'equipaggiamento di dosso. Mi cambio la maglietta, madida di sudore, poi trascino i piedi fino alla Sala Briefing. Ci scambiamo un'occhiata carica di mille significati. Siamo qui a raccontarcela, che altro bisogna aggiungere..? Gigi ci guarda uno per uno, poi sbotta "Beh che avete fatto..?" Ci guardiamo negli occhi, "non era il nostro giorno, Gigi". "Così ci facciamo male, troppo basso, troppo lento... lo hai visto, non farlo più.." non risponde. 

"Si mi è uscito male" ammette dopo qualche istante di silenzio... Niente "cani morti" niente bevute da offrire... Anche la nostra goliardia sconfinata ha un limite. E quel limite e arrivato a sfiorare l'autodistruzione, per una manovra azzardata, per un eccesso di sicurezza nelle proprie capacità... "Sardo in sala operazioni.." l'altoparlante squarcia il drappo pesante che era calato intorno a noi. C'è un altro volo che mi attende. Non c'è tempo da perdere. Mi alzo, cambio Sala Briefing. L'allievo pilota aspetta, ci sediamo, inizio il briefing per la nuova missione. Siamo qui per insegnare a volare e, sia ben chiaro, siamo qui ad imparare, da ogni nuovo volo, la bellezza della vita.



2017/07/21

Le mozzarelle...



I fatti li conoscono tutti, più o meno, una storia di ordinaria corruzione italica. Niente di cui parlarne in realtà visto che questi episodi sono all'ordine del giorno nel bel paese, senonché in quel periodo io lavoravo per il gruppo Salini-Impregilo e Piersandro Tagliabue era il mio "capo" funzionale.

Ricordo che quando venni assunto a Parigi, fui istruito da Pier Sandro con particolare attenzione al rispetto, alla correttezza nei confronti di tutte le parti, in definitiva non dovevano esistere inciuci. Con i fatti di poi posso solo pensare amaramente da che pulpito veniva la predica.

Io li ho conosciuti quasi tutti, il mio trascursus in Salini Impregilo è disegnato in venticinque anni di frequentazione non continuativa. Entrai in Salini la prima volta nel 1992, poi nel 2009, nel 2014 e infine nel 2016 alla cui fine sono definitivamente uscito. Un ciclo si era concluso. 

Non ho mai lavorato al COCIV, meno male, e quindi sono uno spettatore esterno. Quando scoppiò il caso inviai, senza saperlo, una email al mio capo non ricevendo alcuna risposta. All'oscuro di tutto, mi dissero che aveva dei problemi personali, pensai a una malattia, un incidente. Mai e poi mai avrei immaginato la verità: Corruzione, arrestato (Piersandro) nell'ambito dell'inchiesta COCIV e la corruzione da essa derivata.

Ora che non lavoro più per l'azienda e i tempi sono maturi, ora che non devo più aver paura di farmi tagliare virtualmente le gambe dagli amici degli amici che si preoccuperebbero per non farmi più assumere da nessuno, ora pubblico l'articolo, già pubblicato su Dagospia al quale allego l'ordinanza della procura sperando che il tutto possa servire a capire.

In Italia non cambierà mai nulla, godiamoci il momento e restiamo pronti per il prossimo scandalo. Niente di nuovo sotto al sole Signora Longari, direbbe un attempato Mike Bongiorno, buona lettura.

SE NON BASTAVANO I SOLDI SI PASSAVA AI RICATTI

Il sistema era, a suo modo, semplice e funzionava così. Sempre. Quale che fosse la grande opera da portare a termine (si fa per dire). E non era un Sistema nuovo, come le inchieste della Procura di Firenze nel 2010 avevano già documentato. Sfruttava l’inganno, il “baco” della Legge Obiettivo sulle Grandi Opere del 2001.

Quello per il quale il controllore (il direttore dei lavori) veniva scelto dal controllato (le aziende costruttrici). Giampiero de Michelis, ingegnere e direttore tecnico, ha potuto giocare così su due tavoli: su quello dei committenti dell’opera. Entrambi i tavoli, naturalmenete, erano truccati. De Michelis, il “mostro”, aveva anche un socio occulto, Domenico Gallo. Gallo guadagnava. De Michelis guadagnava.

I CERTIFICATI TAROCCATI

Il “mostro” era anche lo strumento con cui i mega consorzi di imprese truffavano lo Stato fingendo di non essere in ritardo. I due amministratori di Salini-Impregilo, Ettore Pagani e Michele Longo, ad esempio, promettono a De Michelis un pezzetto del business da 750 milioni dello stadio del Qatar a patto che lui sostituisca il Sal (stato di avanzamento lavori) di aprile 2015 con uno a loro più favorevole.

De Michelis obbedisce, i finanziamenti per 607 milioni di euro vengono sbloccati, tra l’altro riuscendo a far lievitare le spese del Sal di aprile da 18 a 61 milioni di euro stracciando documenti e fabbricandone di falsi. Stessa cosa per Pisa Movers, il general contractor cui fa parte anche Condotte: De Michelis tarocca i Sal inserendo opere che non erano nemmeno state ultimate.

GLI EREDI ILLUSTRI

Le regole truccate erano note a tutti e di noto c’era anche qualche cognome illustre. Quello di Giuseppe Lunardi, ad esempio. Figlio di Pietro, il potentissimo ex ministro delle Infrastrutture del governo Berlusconi. Con la sua Rocksoil Lunardi junior, indagato per corruzione, si era messo in linea con le aspettative del “mostro”, cui aveva promesso qualcosa della gara da 15 milioni bandita dalla Regione Friuli.

I due si vedono, almeno in un’occasione. «Lunardi mi è sembrato interessato, dobbiamo cominciare a fare cose insieme», dirà poi De Michelis. E chi era il capo di De Michelis, l’amministratore della Sintel da cui il “mostro” proveniva? Giandomenico Monorchio, il figlio dell’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio. Monorchio jr è stato arrestato per alcuni contratti (uno da 288.000 euro, altri due da 40.000 e 20.000) che ha fatto assegnare alla Crono, società a lui riferibile.

Naturalmente anche De Michelis tiene famiglia: sua figlia Jennifer vuole lavorare nel mondo di papà. Le trovano un posticino nell’azienda Oikomodos per il quale si chiede un’ingegnere. «Non voglio fare incazzare nessuno — si lamenta un’imprenditore, tale Marchetti, con Enrico Pagani — ma lei non ha i requisiti che voi richiedete, c’è scritto che deve essere laureata... non è manco geometra». La ragazza rimane al suo posto. Perché l’imprenditore «vuole finire i suoi 54 milioni di lavori e portare a casa la pagnotta».

L’ORTICELLO DELL’AZIENDA

Il lessico familiare della corruzione, naturalmente, si arricchisce di nuove metafore. «Hai portato la mozzarella? », dicono tra loro. Il 16 dicembre 2014 l’imprenditore Antonio Giugliano incontra l’allora presidente del Cociv Pier Paolo Marcheselli. Prende una busta dalla tasca. «Ingegnè.... grazie mille... la paghetta....». Secondo i finanzieri di Genova, era una mazzetta. Poco prima, lo stesso Giugliano aveva consegnato un’altra busta a Maurizio Dionisi, responsabile appalti Cociv.

Era questa la flora e la fauna dell’”orticello” coltivato dalla combriccola. «Le aziende hanno un’orticello loro, però in joint venture con l’ingegnere (De Michelis, ndr)... se l’ingegnere fa alla lettera il suo lavoro, è meglio che rinunciano, che si buttano a mare», ricorda a tutti Domenico Gallo. L’”amalgama” funzionava così, è teoria criminale applicata agli appalti pubblici. Primo comandamento: non fare guerre. Gli amici devono essere tutti contenti. «Perché se ognuno tira e l’altro storce, non si va mai avanti».

L’AUTOSTRADA NON COLLAUDABILE

C’è un momento in cui De Michelis, però, storce. «Sembra un Marlin che sbatte la coda», dicono. Monorchio jr lo vuole tagliare fuori. «Sappi che da domani sei deposto da tutti quanti i ruoli che hai». È il 17 dicembre scorso. Lui ne parla con la moglie Perla, la quale conviene che è venuto il momento di battere il pugno sul tavolo. Ma non per fare giustizia. Per farla fare sotto ai compari della combriccola. Ha un dossier sull’Anas che riguarda i cantieri dell’A3 affidati alla Impregilo di Ettore Pagani.

Minaccia di farlo vedere al “maresciallo” della Finanza che indaga sui grandi appalti a Firenze nell’inchiesta “Sistema”. «Io le so tutte, e tenete conto di un’altra cosa allora che qua caschiamo, e tutta la Salerno-Reggio Calabria, dell’opera non collaudabile, dell’arbitrato... Ho le relazioni, di quando dovevate chiudere a 40 milioni. Ora qua o fate le persone per bene, completiamo il ciclo e poi mi mandate a fare in culo... perché così vi siete messi tutti d’accordo per mettermi in mezzo a una strada? Io mi difendo». E infatti, è rimasto al suo posto fino al giorno dell’arresto.

IL MOZZARELLARO

Il “mozzarellaro” arrivava da Afragola e negli uffici del Cociv di via Renata Bianchi, a Genova, ma non portava soltanto mozzarelle di bufala. Antonio Giugliano consegnava buste bianche, gonfie come mozzarelle, ma piene di banconote. E muto come un pesce per non farsi captare dalle intercettazioni ambientali, con le dita delle mani aperte indicava “dieci”. Diecimila euro.

Una tranche che secondo le indagini del Nucleo di Polizia Tributaria avrebbe tappato le bocche di Pietro Paolo Marcheselli e Maurizio Dionisi, dirigenti di Cociv. Il consorzio, general contractor del Terzo Valico per conto di Rfi, in cambio affidava appalti a Giugliano, titolare della “Giugliano Costruzione Metalliche”.

Che con ribasso di 35 euro rispetto al concorrente, si aggiudicava l’appalto di 2 milioni e 500mila euro per la fornitura relativa alle gallerie di Cravasco e l’innesto del Polcevera. «Missione compiuta... secondo le indicazioni ricevute!», esclamava Piersandro Tagliabue, membro del comitato tecnico del consorzio.

VIAGRA

Gli appalti finivano agli “amici”. Non solo distribuendo mozzarelle e mazzette. Anche offrendo escort brasiliane, notti sfrenate in un albergo del capoluogo ligure. Gallerie e pasticche di Viagra, regali e gare truccate. Le intercettazioni dell’inchiesta dei pm Francesco Cardona Albini e Paola Calleri (coordinata dall’aggiunto Vincenzo Calia) regalano passaggi a luci rosse. Come quando l’imprenditore di “Europea 92”, Marciano Ricci, per cercare di assicurarsi l’appalto per la galleria Vecchie Fornaci (affidamento che poi non si materializza), paga a Giulio Frulloni, coordinatore costruzioni del Cociv, una prostituta.

Organizza dopocena hot, e per cercare di convincerlo, gli dice che non sarà solo, che è stato invitato anche Ettore Pagani, il vice presidente del consorzio. È tutto pronto, Denise e Morena sono già state contattate e disponibili a farsi trovare all’interno della suite. Lui deve solo aprire la porta. «Senti, ho due amiche brasiliane nere. Ti piacciono nere?». Frulloni ride, risponde con titubanza: «No... mi fanno schifo... ». Anche se Ricci ha subito una soluzione di riserva. «...O bianche, bianche!».

Notti euforiche. Frulloni parla con un altro imprenditore, genovese, che è nel giro delle grandi opere. «Pronto dove sei? Io sono con Ricci: andiamo a figa!». «Beati voi, c’è qualcosa per me?». E Ricci: «I soldi ce li spendiamo in mignotte». E l’altro: «Le pasticche ce l’hai?».

Ordinanza applicativa di misure cautelari