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2013/01/26

Preghiera

Non è realmente importante credere a un Dio piuttosto che un altro, ogni idealizzato Messia sta nel cielo di tutti o quasi gli uomini, che poi si chiami Gesù, Buddha o Allah è solo una questione culturale.
Nel supermercato della fede non si vende o si regala nulla, stanno tutti li pronti a essere raccolti da un essere umano che creda in loro per indicargli la retta via.
No, quello che veramente dovrebbe essere importante è credere, e quindi pregare per quello che si crede, autosuggestionarsi dell'esistenza reale, non fisica, in forma spirituale ma realistica, del Dio che noi amiamo e preghiamo.
Adesso so che saranno tanti quelli che mi apostroferanno come un miscredente e troveranno in questo pensiero un'offesa verso una religione piuttosto che un'altra. Assolutamente no, io sono aperto a qualsiasi religione, le accetto tutte e le rispetto, quello che chiedo è che tutte rispettino me, rispettino la mia fede reale, anche se possa sembrare falsa, rispettino la mia immagine, rispettino il mio essere uomo. Non si può pretendere che io sia fedele a una specifica religione e che mi comporti secondo i canoni di una specifica religione piuttosto che un'altra, questo no. 

Sono libero di scegliere a quale Onnipotente Signore Creatore di tutte le cose credere, e se non si tratta di un onnipotente potrei deviare il mio pensiero e fede verso un profeta che accetti le mie preghiere devote anche senza mandarmi una ricevuta di lettura. In definitiva sì, pregare per donare noi stessi, per ricevere comprensione, partecipazione e affetto, non certo per vincere al superenalotto o lotteria di capodanno, che siamine, cerchiamo di essere seri. La preghiera è forza, lo è veramente, la preghiera rafforza l'uomo che acquista un potere che non credeva di avere.  Non sono quindi d'accordo con chi elenca come se fosse una lista della spesa, la spesa dei desideri, quello che vorrebbe Egli possa esaudire. No, perchè tutto sommato Egli sa cosa sta facendo e come si pone nella mente dei propri fedeli e quindi, leggendo nel pensiero di tutti quelli che in lui credono, automaticamente conosce quella lista. Io sono certo che Egli, il mio ma anche il tuo, il suo, il loro Dio conosce già quella lista. 

Non è un genio ma è onnipotente, e anche se non fosse onnipotente, anche se non è ovunque Egli sa, o dice di sapere e a te dovrebbe bastare perchè quello che ti preme veramente è che esaudisca i tuoi desideri, poi a quelli degli altri che ci pensi dopo. Per quello tu preghi, o forse no, ma non lo puoi sapere perchè Egli in effetti non ti viene a informare sui pensieri altrui. Potrei dunque condividere i miei pensieri, desideri, ma non potranno cambiare il risultato. Quindi parte delle mie preghiere servono a ottenere quello che riesco a materializzare, è un segno divino quando si materializzano, significa che la mia preghiera ha vinto come, quando e dove serviva. Con questo posso dire di vedere la sua mano in tutto questo. Il problema semmai riguarda capire a quale Dio appartiene quella mano benevola che ha compiuto un gesto nei miei confronti.

Evidente che quando parlo di me io parlo di voi, idealizzo in me un individuo qualsiasi fra tutti quelli che credono a un sovrano divino, comunque si chiami. Come pure è evidente che dovrei scoprire a chi quella mano appartiene, affinché io possa in seguito e se lo ritenessi necessario, indirizzare le mie preghiere per ottenere un beneficio realizzabile in tempi brevi, altrimenti spreco del tempo e il tempo fugge.

Poi però penso che sarebbe anche ora di ascoltare i segnali divini, quelli che implorano di seguire quella voce che sale dal profondo di noi stessi e ordina di fermare lo scempio a cui stiamo portando la razza umana. Anche se a noi non sembra, la specie umana è destinata a un rapido declino verso l’estinzione se solo dovessimo continuare con queste cattive abitudini. Io prego, prego che l’uomo riconosca di essere cinico e insensibile ai problemi dei propri simili, prego che finalmente si riconosca la donna pari a noi, perchè non è donna ma noi stessi sotto altre spoglie, siamo figli della stessa madre. Prego  affinchè il mondo non precipiti in quel baratro dove noi uomini lo stiamo spingendo. A volte mi sento sopraffatto da tutte queste responsabilità, Ritengo di aver dato abbastanza, e sento una voce che mi chiede di più, uno sforzo sovraumano per realizzare un sogno impossibile. 

Forse è Dio quella vocina nel tuo cuore? Non sono sicuro che sia solo il nostro ego che parla. E se lo fosse invece? Se io riconosco erroneamente come quella di Dio la voce che sento e poi commetto un clamoroso errore, che danno potrò io arrecare alla mia fede-non fede?


2013/01/20

Stupro e castigo


Stupro, una brutta parola, una di quelle che non vorremmo sentire mai, sbattuta in faccia sui giornali come se fosse un fiore, invece è una condanna. Stupro un fenomeno tristemente tornato alla ribalta, in crescita, e non solo in Italia. Le molestie sessuali, i maltrattamento fisici, le percosse e le violenze sessuali contro le donne sono in costante aumento, rappresentano una tragica realtà. La violenza sessuale nei confronti delle donne è un fenomeno molto diffuso che ha radici antichissime negli atteggiamenti culturali che, nelle varie epoche, hanno dominato il modo di intendere il rapporto uomo-donna. Si tratta di atteggiamenti che incidono fortemente sugli schemi soggettivi, sia della vittima che del violentatore che sul suo modo di interpretare lo stupro. Stupro e castigo, un riferimento al famoso libro di Fëdor Dostoevskij: Delitto e Castigo". Perchè per ogni delitto c'è sempre un castigo, o almeno dovrebbe esserci.

Le donne, purtroppo da sempre, sono state considerate inferiori all’uomo e destinate all’obbedienza silenziosa e rispettosa. La donna viene ancora considerata un essere inferiore in molte nazioni, è spesso la religione la responsabile di questo, ma nel nome di questa religione nessuno cerca di cambiare. Le violenze contro le donne, i maltrattamenti, gli stupri, le molestie sessuali fanno rivivere alcune rappresentazioni sociali della donna che la cultura europea, e non solo europea, ha prodotto: il principio dualistico del rapporto sessuale, dove la donna è passività e l’uomo è attività. L’identificazione tra sessualità femminile e procreazione; la donna vista come asessuata, priva di desiderio e strumento del piacere maschile, a conferma di questo penso alla pratica dell’infibulazione, a tutt’oggi ancora praticata in molti Paesi sub-sahariani, una pratica barbarica, ancora lontana dall’essere debellata. 

Le radici

La concezione della donna nell’antichità classica greca, si pensi agli scritti di Platone per esempio, è di considerarla inferiore all’uomo. Anche Aristotele si unisce al coro e la definisce per natura più debole dell’uomo visto che il corpo femminile è incompleto, menomato (di quale organo non è chiaro), tutto questo, secondo questi grandi saggi, autorizza la sottomissione femminile all’uomo. Sul piano culturale, lo stupro viene così identificato come atto lecito o illecito a seconda delle circostanze e dell’età o della situazione coniugale delle donne. Nella Bibbia lo stupro è un reato contro la proprietà, poiché la donna è proprietà di un uomo, e la pena prevista per gli stupri è quella di morte, pratica che evidentemente si è persa nel tempo, purtroppo a quel tempo non era solo per il violentatore, ma anche per la vittima della violenza sessuale, se questa era sposata. Se era invece vergine, non veniva considerata colpevole solo se violentata in luogo isolato, mentre se lo stupro avveniva in città, dove le grida avrebbero potuto udirsi, essa veniva considerata alla stessa stregua del violentatore e secondo una logica che farebbe urlare di disgusto chiunque: colpevole!

Nella antichità romana lo stupro non è considerato reato se viene compiuto dai vincitori sulle donne dei vinti, oppure se viene seguito dal matrimonio come per esempio nel famoso ratto delle Sabine. Durante il Medio Evo la liceità dello stupro e delle violenze sessuali sulle donne sono relative allo stato di verginità della donna stessa e alla sua classe sociale di appartenenza. Nel corso del Rinascimento si riteneva che, se la donna stuprata fosse rimasta incinta, la causa fosse dovuta al piacere da essa provato e quindi poteva essere giudicata colpevole. In Italia già dall’800 e fino al 1950 le ragazze minorenni stuprate venivano chiuse in riformatorio oppure avviate alla professione nelle case chiuse. Aberrante, da vergognarsi. 

Negli avvenimenti bellici dell’età contemporanea quello che viene chiamato “stupro etnico” è molto diffuso. L’idea è che la donna sia corresponsabile dello stupro perché si suppone che durante la violenza sessuale vuole che si compia il rapporto sessuale e con il suo comportamento eccita l’uomo. L’idea che il rapporto sessuale è fondamentalmente un rapporto di violenza è stato costruito nel tempo artificialmente, ovviamente non esiste nessuna prova che possa suffragare questa informazione, semmai si è voluto giustificarne l’esistenza in un modo che potesse essere considerato accettabile. Il Cristianesimo riprende e conferma questa sottomissione, benchè dal punto di vista spirituale veda la donna uguale all’uomo. Ne abbiamo la conferma attraverso gli scritti di San Paolo, per lui il capo della donna è l’uomo. La donna non può insegnare, né imporre la sua volontà, ma deve rimanere in silenzio. Da questa concezione deriva la scelta cattolica di vietare alle donne le funzioni sacerdotali. 
Lo stesso concetto si applica quando si tratta di stupro di gruppo, quando il branco di sbandati violenta una vittima, spesso giovane e appariscente. In questo caso c’è quasi sempre una lunga storia di rifiuti, di tentativi andati a vuoto. Per certo va considerata la premeditazione, il branco cerca e violenta non a caso, quasi mai, ma a colpo sicuro, identifica e colpisce chi già conosce, che sia la moglie, l’amante la fidanzata o una semplice amica o perfino solo conoscente di un membro dello stesso branco che ha subito il rifiuto della vittima come un’offesa personale grave. 

Una nuova immagine della donna si instaura durante l’Illuminismo, grazie all’attività di donne dedite allo studio e all’arte, ma è una immagine che riguarda un’esigua minoranza. La maggioranza delle donne rimane relegata a compiti ausiliari. L’idea che la donna non desideri l’appagamento sessuale permane durante il Medioevo, il rinascimento e nei secoli successivi, al punto che nell’800 Rousseau nell’“Emilio” scrive che mentre “l’uomo è attivo e forte, la donna è passiva e debole”: da ciò deriva che la relazione tra i sessi ha un carattere di violenza. La cultura ottocentesca ritiene che la sessualità femminile venga appagata dal parto e dalla cura dei bambini e non abbia quindi, se non raramente, altri desideri da soddisfare. All’incirca cento anni fa Lombroso riteneva che “la donna è normalmente monogama e organicamente frigida”, mentre Moebius (psichiatra positivista del ‘900) scriveva che “ il cervello femminile è inferiore, per permettere alla donna di essere madre”. 

E se in passato, e in un passato niente affatto remoto, si pensi che lo stupro è stato dichiarato crimine di guerra dall’Onu solo nel 2008, la violenza sulle donne era strettamente connessa alla guerra, e utilizzata come strumento di offesa e di umiliazione, si è nel tempo evoluta assumendo tratti differenti. La spinta che ha portato a stupri di massa, sia che si del sacco di Roma a opera dei Celti, sia che si parli della seconda guerra mondiale, nel particolare delle truppe marocchine, alleate con i francesi, che ebbero tacita licenza di stupro sulla popolazione femminile, dopo aver sconfitto i tedeschi, si è progressivamente trasformata in una questione privata.

Lo stupro è la pratica di divertimento maschile più usata nel mondo e non solo occidentale.

Ho trovato in un sito su internet i numeri di questa violenza senza fine, si riferiscono alla sola Italia. È stato difficile trovare quelle cifre, perché chi le possiede non vuole condividerle con la gente, perché ci si rende conto che si tratta di un fenomeno molto diffuso, purtroppo non tutte le vittime ne parlano, non tutte denunciano anzi continuano spesso a vivere come in un incubo, Si autocondannano a subire un’esistenza contraria ai loro sogni, alle loro aspirazioni. Parliamo di donne sottomesse. Parliamo di donne perché, almeno in Italia, il fenomeno riconducibile ai minori viene inserito, considerato, assieme a quello della pedofilia anche se, spesso, troppo spesso sono due problemi che hanno radici lontane, anche simili, legati alle stessa cultura, probabilmente le stesse origini, medesime cause scatenanti con un diverso orientamento sessuale, comunque sempre identificabili con precisione. Purtroppo la pedofilia rappresenta un altro grosso problema del nostro viver civile, comprendere anche le violenze sui minori in questo, per me rappresenta un grosso errore, perché non viene ben compreso dalla gente, il violento non viene così emarginato, isolato. 

Le donne che subiscono violenze vivono quasi schiavizzate, il pregiudizio contro le donne ha radici molto antiche. E tuttora è vivo, presente, respirabile perfino nella nostra società apparentemente cosi’
moderna e aperta. Per anni e anni non si è mai parlato di questi argomenti, un velo di silenzio ha sempre avvolto come un sudario la verità. Parliamo di triste omertà della vergogna di aver subito una violenza. Da parte dei media solo per vigliaccheria, un opportunismo referenziale a un sistema marcio dentro. Vediamo oggi i risultati di questo, lo stupro dopo oltre 2500 anni non è morto e sepolto, anzi è più vivo che mai e i risultati di questa nostra politica, nostra in quanto umanità, sono sotto gli occhi di tutti.

E non pensiate che si parli del solo stupro. C’è una violenza virulenta, senza fine, il desiderio di fare del male, di annichilire, di soggiogare i più deboli alle volontà dei più forti. Lo sappiamo che non sono loro i più forti, non psicologicamente, ma si sentono drammaticamente forti e impunibili. Le istituzioni poi aggiungono un ulteriore fardello, un carico di responsabilità che dovrebbe far riflettere, la ricerca del silenzio, la pratica di non rendere pubblico il disagio di tante donne e bambini, adolescenti lasciati spesso soli con un carico difficilmente sopportabile. Non ci si meravigli poi dei suicidi in epoca adolescenziale. Il silenzio non aiuta a star meglio, ma lascia semplicemente sola la persona con la propria sofferenza. Lo stupro e gli altri crimini sessuali costituiscono un grave attacco all'integrità fisica e mentale delle vittime e alla loro autonomia sessuale e non parlo solo delle donne. Tali reati sono violazioni dei diritti umani e pregiudicano il godimento di altri numerosi diritti tra cui quelli alla salute fisica e mentale, alla sicurezza personale, all'eguaglianza nella famiglia e a un'eguale protezione legale di uomini e donne da parte della legge. È dovere dello Stato perseguire in modo efficace tutti i crimini perpretati in nome di una soddisfazione personale gratuita a danno dei più deboli, inclusa la violenza sessuale, e assicurare l'accesso alla giustizia e alla riparazione attraverso il sistema giudiziario anche se, in effetti, e come sempre, tutto si riconduce alla constatazione che non è un problema di leggi ma culturale, di una cultura che è globalmente maschilista.

E veniamo al dunque, al motivo principe di questo articolo: come si combatte questa cultura maschilista?

Bella domanda, comincio affilandomi le unghie, digrigno i denti e mordo, accuso, offendo. Entro nella coscienza della gente, di quelli che potrebbero far qualcosa ma non fanno, di quelli che devono trovare subito una soluzione ma non si muovono dalle posizioni assunte, perché hanno paura di dover schiodare il deretano da quelle sedie sulle quali sono incollati. È un problema di cultura, non solo spiccia, non solo della gente ma anche delle istituzioni, dei governi, della fame nel mondo, delle cattive abitudini, della paura delle conseguenze, dell’emarginazione.

Per anni solo le femministe e altri gruppi di attiviste per il rispetto e l’applicazione delle leggi per i diritti umani hanno parlato a lungo di cultura dello stupro e hanno intrapreso campagne contro il sistema, tempo perso inutilmente perchè è come se non si fosse fatto nulla. Molti paesi europei e fra questi l’emancipata Inghilterra, hanno ancora il tasso di condanne per stupro più basso d’Europa, e le donne vittime di violenze passano ancora e spesso per colpevoli, e tra le persone l’idea di poter combattere con successo questa cultura è sbiadita. C'è rassegnazione in questo comportamento, sintomo di una incapacità di risolvere il problema andando alla radice. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un aumento dell’infiltrazione della cultura dello stupro nella vita quotidiana. La parola la si legge spesso anche su facebook ma erroneamente intesa, non per accusare ma per fomentare. Per chi dovrebbe tutelare la nostra integrità c’è l’erronea convinzione che le donne vestite in un certo modo, che bevono troppo, che si atteggiano, che si mettono in mostra, è normale siano violentate, e ci sono comici famosi che hanno continuato a usare la parola “rape” come un intercalare delle loro battute. 

Ma se la cultura dello stupro continua a diffondersi, la controffensiva femminista è la sola a farsi sentire. E se da una parte mi rendo conto quanto essa sia radicata nella nostra società, dall’altra sono fermamente convinto che il fenomeno debba essere affrontato, sfidato e vinto e abbiamo tutte le armi affilate, possiamo farcela, serve la collaborazione di tutti, non solo delle potenziali vittime, ma anche e soprattutto delle istituzioni, della polizia, carabinieri, esercito e marina e mettiamoci anche l’aviazione. Ma perché questo accada, quello che dobbiamo affrontare non è facile. Per cominciare, bisogna tornare indietro, a quello che alcuni potrebbero definire come le nozioni di base e considerare ciò che costituisce lo stupro in sé. 

Innanzitutto bisognerebbe tornare indietro nel tempo e identificare il momento in cui fosse possibile definire come nozione di base ciò che costituisce lo stupro. È prima necessario scindere in due periodi ben distinti la violenza dello stupro nella società antica e in quella moderna. Non si tratta di voler giustificare il passato, parlo dell’antica Grecia o del tempo dei Romani, includo i vari Rinascimento, Illuminismo, Oscurantismo, le grandi guerre, il fascismo e il nazismo. Voglio semplicemente dividere in due il calendario. Da una parte il passato, con tutte le contraddizioni, le credenze, le conoscenze che al tempo erano permesse. Dunque un passato che possiamo analizzare, sezionare, ma non possiamo più cambiare, quello è e quello rimane. Dall’altra il presente, la nostra storia di questi anni, noi esseri umani dell’era globale, incapaci di prendere seriamente in considerazione la risoluzione del problema, incapaci di trovare una onorevole via d’uscita, eppure scandalizzati giorno dopo giorno leggendo quello che succede, non solo in Italia, nel mondo intero.

Perchè lo stupro? 

Cosa conduce allo stupro? Quale può essere quell’oscuro meccanismo che alberga nella mente di alcuni individui che spinge a abusare della propria forza e violentare, prendere senza il consenso quanto di più intimo ci sia in una persona? Come si determina questa situazione, qual’è la molla che fa scattare la libido umana al punto tale da prendere con la forza quello che non è permesso? Lo stupro non deve esserre considerato alla stregua di un furto, se rubo un quadro di valore ho compiuto un reato, una volta recuperato il quadro e rimesso al suo posto, per il quadro non ci sono conseguenze. Lo stupro no, lascia per sempre i segni nella vittima, non solo quelli fisici ma anche psicologici. Quindi ritorna la domanda perchè lo stupro?

Perchè si arriva allo stupro? Lo so che sto girando attorno a questo argomento, che non approfondisco, mettetevi nei piei panni, non è affatto facile trovare una giustificazione a un’atto compiuto da altri, alle ragioni perchè si arriva anche e solo a desiderarlo prima ancora di compierlo. Affronto dunque il problema ponendo me stesso nel confronto con l’ipotetico stupratore. E naturalmente mi riferisco a quella frase del criticatissimo poliziotto canadese che disse a una vittima di uno stupro: “Vi stuprano perché vi vestite come puttane”. Io vivo in Vietnam, d’estate le temperature salgono e penso salgano anche quelle umane, spesso si sfiorano i 45°C, la gente si difende come può, short e t-shirts sono la normalità, chi dispone di maggiori risorse indossa capi di lino, chi non ha questa fortuna si sveste. Donne in pantaloncini corti da urlo sono la normalità in Vietnam, ovunque si vada: al mercato, in motoretta, la commessa del negozio abituale, la farmacista. Pensate che tutta questa disponibilità di gambe e sederi al vento sfoci in altrettanta violenza? No, assolutamente. Attenzione, non sto dicendo che in Vietnam non si assista al fenomeno, purtroppo esiste anche qui, ma la causa scatenante, diversamente da quello che ha affermato il poliziotto canadese, non risiede nel modo di vestire delle donne, le cause sono altre, certo il vestire aumenta il rischio ma non possiamo dire sia la causa scatenante. Quella va ricercata nella cultura della gente. Non solo leggendo il passato, ma specialmente guardando al presente. Mi spiego meglio. Lo stupro è il frutto finale di una serie di insegnamenti. Attenzione noi non insegnamo ai nostri figli a stuprare le donne, no di sicuro, semmai sono i nostri comportamenti che preludono a un comportamento violento quando loro diventeranno adulti.

E mi rimetto in discussione. Ai miei tempi, al tempo in cui io sono stato un bimbetto di qualche anno, era uso comune - una cattiva abitudine mi si farà notare - dicevo era abitudine malmenare i figli se questi si comportavano male. In genere il babbo, cattivo di turno, si toglieva la cinghia dei pantaloni e con quella provvedeva alla punizione nei confronti del figliuolo discolo. Altri genitori andavano oltre, legavano il colpevole al letto e con la cinghia, ma anche con il battipanni (evoluzione) picchiavano con determinazione il malcapitato. So di alcuni che poi restavano a digiuno per interi giorni come punizione di qualcosa, ne sono certo insignificante, che avevano commesso.
Nel corso della mia adolescenza non ero proprio considerato uno stinco di santo, qualche scappatella c’è stata, qualche botta l’ho presa e forse meritata, almeno secondo il metro di misurazione di allora. Di buono da dire c’è che la nostra, mia e di mio fratello, educazione fu sempre esemplare, scuole di primordine, buoni tutori, eccellenti maestri. Dove non arrivarono le botte arrivò il buon senso e il rispetto per gli altri.
Credete che sia stato così per tutti? Cioè tutti abbiano avuto la fortuna di una famiglia unita, di genitori che si volevano bene tra loro e lo volevano ai propri figli? Pensate che questo sia, o non sia dipende dai punti di vista, la causa scatenante per sviluppare la violenza in tempi successivi?

Ritengo non sia solo nella famiglia che nascono certe deviazioni, ma che comunque la famiglia abbia delle sostanziose responsabilità, è infatti il primo ambiente dove i giovani uomini di domani formano il carattere. Non diamo la colpa alle cattive compagnie, alla scuola, all’oratorio o alla Chiesa. È nella famiglia che nascono questi comportamenti che col tempo vanno a acquistare maggiore forza. Non voglio addossare la colpa a madri e padri di gente violenta che forse aveva nel DNA le ragioni scritte da millenni per essere così, però è evidente come certe attitudini violente, non parlo solo di percosse fisiche ma anche psicologiche, certe privazioni, certe accuse più o meno velate, certi comportamenti sono all’origine della formazione caratteriale del bimbo che crescerà in un certo modo, sfuggendo a determinate responsabilità imposte dalla comunità, possiamo anche dire dal sistema ma, quest’ultima affermazione non mi rincuora nello scoprirlo. Spesso ci si sofferma sulle manifestazioni più macroscopiche e drammatiche, mentre ogni giorno in qualsiasi relazione fra uomini e donne, fra adulti e minori, si nascondono piccole ma non meno gravi espressioni che evocano la violenza. Se la violenza è una malattia, bisogna prestare attenzione ai suoi sintomi. Proprio attraverso di essi è possibile risalire ai modelli sociali e culturali che la alimentano, modelli di cui generalmente vi è scarsa consapevolezza, soprattutto nei giovani. La violenza e i maltrattamenti nell'ambito famigliare dunque sono comunque una contraddizione perché proprio la struttura familiare, fatta di amore, condivisione, di comprensione e solidarietà dovrebbe essere la forma sociale più lontana dalle forme di violenza sorte alle cronache in questi ultimi tempi causa la recrudescenza del fenomeno stupri ma non solo, parliamo di omicidi, altri abusi sessuali anche e soprattutto verso i minori, i maltrattamenti fisici e le violenze psicologiche. Questa contraddizione purtroppo c'è e attraversa le età, i luoghi, le condizioni socio-economiche, le diverse appartenenze etniche e va considerata nelle dinamiche, nei diversi contesti, con i soggetti, autori e vittime, che le esprimono.

La legge

E le istituzioni come affrontano il problema? Come si pongono nei confronti di chi esprime se stesso attraverso la violenza, attraverso lo stupro? Cominciamo col dire quello che non fanno. Lo stupratore in Italia difficilmente viene incarcerato, succede nei casi più gravi, quando c’è l’evidenza, quando ci sono le testimonianze, quando non esistono scappatoie legali, in tutti gli altri casi gli arresti domiciliari con limitazioni varie della libertà personale vengono applicate e, con esclusione dei recidivi, dopo aver applicato le riduzioni di pena, spesso il violentatore torna libero. Purtroppo in Italia predomina una mentalità sessuale maschilista, confusa e inquieta, turbata da antiche superstizioni e da incontrollate passioni, viziata da correnti, banali e pigramente accettate opinioni, spesso avallate e incentivate da comportamenti di singoli parlamentari cosiddetti “machi” o “celoduristi”. La legge 609bis e successive integrazioni, stabilisce pene giudicate lievi se confrontate con quelle inflitte ai colpevoli in altri Paesi europei. In particolare indica che chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto o traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. 

E qui verrebbe da chiedersi dove alberga quell’uguaglianza, affermata dalla Costituzione ma troppo spesso negata nella pratica dalla politica, primo e eclatante esempio di una diseguaglianza sociale, dalla giustizia che sembra spesso cieca di fronte ai messaggi che giungono dall’Europa, essa offende in primo luogo le donne che sono le principali destinatarie, e purtroppo non le uniche, della violenza sessuale. L’uguaglianza non esiste nei fatti a causa, soprattutto, di una mentalità distorta, troppo spesso torbida, che in maggiore o minore misura sopravvive in molti di noi italiani, senza alcuna distinzione, poveri o ricchi, famosi e non famosi, anche nelle stesse vittime, anche nelle donne che continuano, lucidamente e coraggiosamente, a combatterla. Siccome questa distorta mentalità sopravvive, tutti dobbiamo vigilare con un’attenzione critica e autocritica continua, affinché non riaffiorino pregiudizi ancestrali molto pericolosi. Questo perché proprio i tanti tabù che avvolgono il sesso e che sono gli stessi che purtroppo incoraggiano gli inclini alla violenza, dissuadono le stesse vittime dall’esigere giustizia. E questo, in un paese civile, non è bene che accada. 

E sbirciando in casa degli altri paesi europei scopro, non senza disgusto se pensiamo a quello che succede in Italia, che la questione oltre le Alpi viene affrontata con ben altre armi, con maggior forza, con più coraggio. In Francia la legge sulla violenza sessuale è stata modificata nel 1990: è perseguito come tale ogni atto di penetrazione sessuale di qualsiasi natura, commesso o tentato sulla persona altrui con violenza, costrizione, minaccia o sorpresa. La pena prevista va da un minimo di 10 anni ad un massimo di 20 (il doppio rispetto all’Italia), con la possibilità della reclusione a vita in caso di aggravanti o stupri di gruppo (proprio così, maggior forza contro lo stupro di gruppo, l’esatto contrario delle giustizia italiana dove la Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di stupro di gruppo il giudice non è più costretto a disporre o a mantenere la custodia in carcere dell'indagato, ma può applicare misure cautelari alternative). In Belgio la legge, votata all’unanimità nel 1982, definisce lo stupro come un atto commesso su una persona in qualunque modo non consenziente. Non vi è l’obbligo della vittima di dimostrare che vi sono state minacce di morte e che si è opposta fortemente alla violenza, basta che dimostri che non vi era il consenso. La vittima ha il diritto all’anonimato e all’assistenza da parte dello Stato. In Spagna nel 1989 la legge sulla violenza sessuale inseriva quel tipo di reati tra i delitti contro la libertà sessuale e non, come in precedenza, contro l’onestà. Punisce il reato con una pena che va da un minimo di 12 ad un massimo di 30 anni. Per poter iniziare l’azione penale è sufficiente la denuncia della persona lesa oppure di un suo ascendente diretto, di un rappresentante legale o custode di fatto. Il successivo perdono della parte lesa non estingue l’azione penale. Chi viene riconosciuto colpevole deve anche risarcire le vittime. In Lussemburgo la legge distingue gli atti atti di libidine violenta dallo stupro e prevede condanne fino a 15 anni di reclusione, mentre in Irlanda, per questo genere di reato, è previsto l’ergastolo.

Sempre tornando con la mente ai casi di violenza sulle donne, i rapporti e le statistiche agghiaccianti provenienti dai rifugi e dai centri per le donne che subiscono violenza, ci fanno capire, prima di tutto, che abbiamo bisogno che la legge, i tribunali, riconoscano l’incitamento all’odio e la cultura della violenza su base di genere, cioè nei confronti delle donne in quanto tali.
Solo in Italia sono quasi sette milioni le donne vittime di violenza. Il 23,7% di loro ha subito violenze sessuali. Il 18,8% ha subito violenze fisiche. Il 4,8% ha subito stupri o tentati stupri. Il 18,8% ha subito comportamenti persecutori. Sette milioni di donne subiscono e continuano a subire violenza psicologica, non solo in passato, anche oggi, mentre scrivo questo articolo di denuncia.

E’ una questione tanto antica, quanto delicata e spinosa. Per le tante, ingiuste, violenze che le donne, i bimbi, gli adolescenti provano oggi si cerca un capro espiatorio. Ma proprio perché la violenza sui deboli non è un male moderno, al contrario presente solidamente nella tradizione e nella mentalità del passato, sarebbe bene prima di puntare il dito, in qualunque direzione, riflettere su questo. E non correre mai il rischio di lasciare in secondo piano la sofferenza di chi subisce violenza.

Come combattere lo stupro?

Non ho la bacchetta magica, non sono in grado di affermare con sicurezza quello che  sia possibile e necessario per limitare il fenomeno, si parla inoltre di una attitudine diffusa a livello mondiale. Abbiamo anche visto che nonostante le pene inflitte, inclusa la carcerazione a vita e in alcuni Stati anche la pena di morte, a vari livelli e in varie nazioni non cambia di molto lo scenario mondiale, lo stupro e la violenza sulle donne e sui minori ci sono da sempre e probabilmente dovremo portarci questo fardello sulle spalle per i secoli a venire. La violenza non nasce solo da un impulso, i latini lo chiamarono raptus, nella lingua italiana un raptus è quando arriva un ordine incontrollabile al cervello, chi lo riceve colpisce e può colpire chiunque, senza distinzioni. La violenza nasce dalla premeditazione, dal voler sottomettere, dal soggiogare un altro essere ai nostri voleri. La cultura però permette questa inibizione, bisogna quindi entrare più in profondità nella psiche umana e studiare meglio i comportamenti. Cercare di ridurre certe manifestazioni che poi sfociano nell’atto violento, bestiale, uno stupro. Nel nostro Paese forse è possibile fare qualcosa di valido. Siamo da sempre un modello del diritto, al combattimento preferiamo il dialogo, ci siamo sempre battuti per far riconoscere i diritti dei più deboli - magari a parole e poi non nella pratica - ma le buone intenzioni ci sono, esistono. Quindi non vedo perchè non si possa partire da noi per cambiare i numeri e vederli drasticamente ridurre.

Questa proposta dunque nasce da una accurata analisi, dopo aver visto, letto e parlato con molta gente al proposito, ho elaborato una serie di azioni che potrebbero, nel lungo periodo, cambiare lo scenario, almeno in Italia, e fornire un esempio da seguire al resto del mondo, i risultati arriveranno col tempo e chissà che non si riesca a ridurre il tragico trend. Ecco dunque il mio “decalogo” applicabile subito, senza indugi, da criticare se volete, da modificare, pensate comunque che ogni allegerimento potrebbe venire a danno vostro e delle persone che vivono con voi. 

1. La donna non è un oggetto, la donna non va considerata un nostro possedimento ma rappresenta, come disse uno famoso, l’altra metà del cielo, del nostro cielo. Non siamo soli su questa terra, condividiamo tutti, maschi e femmine una madre e un padre. Ma è la madre di cui stiamo parlando, una madre che ha prodotto una nuova vita attraverso la partecipazione e l’affetto di un uomo. Non nascondiamo questo aspetto, sappiamo tutti da dove veniamo, ne siamo consapevoli. Detta così sembrerebbe banale, la procreazione spiegata ai bimbi delle elementari. Ma non ci sono altri metodi efficaci per spiegare. È così e per fortuna non possiamo cambiare lo stato delle cose. La donna ha i nostri stessi diritti, le nostre stesse possibilità di esistere e condividere le risorse del pianeta come gli uomini, non perchè questo diritto le viene concesso ma perchè è acquisito al momento della nascita. Ognuno ha un compito su questo pianeta, uomini e donne li dividono equamente, mettiamocelo in testa.

2. Nuova legge contro le violazioni dei minori e delle donne, pene variabili da 15 a 30 anni, secondo la gravità per reati di aggressione, violenza e stupro perpetrati dai singoli. Aumento delle pene pari al 30% se nei confronti di minori. Le stesse pene ma a partire dai 12 anni e comunque fino a 30 se compiuti nell’ambito di un gruppo. Anche in questo caso aumento delle pene del 30% se i reati sono nei confronti dei minori. Piena applicazione delle pene senza sconti di legge, carcere in isolamento per tutta la durata della condanna, nessun allegerimento o riduzione della pena per buona condotta, eventualmente applicazione di tutti gli strumenti per aggravare legalmente la pena stessa. Ergastolo sia nei confronti dei singoli che del gruppo in caso di recidività. La nuova legge deve rendere obbligatorio il giudizio immediato (entro tre mesi) a carico di chi e' stato denunciato per violenza sessuale e deve vietare il giudizio di comparazione tra attenuanti e aggravanti in tutti i casi di violenza sessuale.  

3. Derubricazione delle vittime per compartecipazione anche nei casi dubbi, la vittima è la parte offesa, non esistendo il consenso, non può esserci pena per lei. Alcune sentenze della Corte di Cassazione hanno sentenziato che certi atteggiamenti anche provocanti della donna sono all’origine della violenza, ciò è invece totalmente infondato, nello stupro c’è quasi sempre premeditazione, attraverso l’osservazione della vittima designata anche per lungo tempo, ricordiamoci che un buon 70% degli stupri, delle violenze che sfociano in uno stupro avvengono in seno all’ambiente famigliare. Che sia un amico, ex fidanzato, marito, fratello, padre o cugino. È irrilevante come la donna si vesta e come si possa comportare nel breve o medio periodo prima di subire l’aggressione è insignificante e non contribuisce a una accelerazione dell’aggressione stessa.

4. Semplificazione della procedura per denunciare una violenza, uno stupro. Per poter iniziare l’azione penale deve essere sufficiente la denuncia della persona lesa oppure di un suo ascendente diretto, di un rappresentante legale o custode di fatto. Il successivo perdono della parte lesa non estingue l’azione penale. Chi viene riconosciuto colpevole deve anche risarcire alle vittime il danno biologico, partendo da un minimo di €500,000 imposto per legge. 
Ndr: qualcuno potrà ovviamente pensare che si tratta di una cifra esagerata ma non è così, non lo è. Chi subisce uno stupro porterà per sempre dentro di se i segni di quell’aggressione, sia a livello psicologico che fisico, molte vittime sono state costrette a abbandonare le famiglie, i figli, i luoghi dove abitavano. Molte hanno trovato rifugio in case e organizzazioni che le proteggono perchè troppo spesso la vittima viene giudicata allo stesso livello dell’aggressore, la gente tende a accomunare, a dividere la responsabilità in parti uguali fra aggressore e vittima. Un marchio indelebile per il resto dell’esistenza, forse la cifra minima non lo cancellerà però potrà servire a ricrearsi una esistenza lontano. 

5. Sensibilizzazione dell’opinione pubblica e informazione, la promozione di attività di educazione, di prevenzione e di cura. Spesso le violenze o gli atteggiamenti violenti hanno origine all’interno delle famiglie, l’esposizione a questo nel lungo periodo porta l’uomo a identificarssi in essi e a comportarsi allo stesso modo nel corso della vita. Il figlio del ladro non significa che diventi un ladro a sua volta, ci sono però buone probabilità che succeda. Il figlio del mafioso abbiamo visto quanto sia facile che ripercorra le impronte paterne, questo perchè l’essere mafioso fa parte di una cultura, esserlo equivale a sentirsi più forti e invincibili, il poter sfidare le istituzioni porta a queste convinzioni, diventa una caccia al gatto con il topo e, purtroppo, in questi casi spesso vince il topo. Negli ultimi anni, in Italia abbiamo assistito ad una inversione delle situazioni, il gatto Stato è diventato più forte, il topo mafia (tutte le mafie italiche) ha perso credibilità, per dirla all’inglese ha perso appeal, è più debole e sta venendo meno il sostegno della gente, quella più ignorante, quegli individui che con l’omertà, la vigliaccheria e le paure delle conseguenze le sostenevano. Lo stesso sistema si può attuare per combattere la violenza nei confronti delle donne e in egual modo dei minori. Isolare gli aggressori, metterli nell’angolo, additarli, screditarli, rendere loro la vita pubblica difficile, metterli nella condizione di sentirsi vittime a loro volta, la gente li giudica e il giudizio è sempre di condanna, sia quelli conclamati, condannati, incarcerati, sia quelli potenzialmente in grado di produrre danno. Bisogna far capire che sono braccati, che non ci sarà mai pace finchè non saranno dietro le sbarre o non saranno stati annientati, ridotti a uno stato vegetale. Bisogna far capire tutto questo ai bimbi partendo dalle scuole, con tatto, con garbo, affinché imparino a discernere il bene dal male, a condannare gli stupratori e tutti quelli che compiono violenze, anche in famiglia, a denunciarli, fossero anche mamma e papà. Così si estirpa il male alla radice, serve tempo ma ci sono grandi possibilità di riuscita. 

6. Non devono essere solo gli individui a modificare un modo di essere che favorisce la violenza, ma il cambiamento di politica deve essere attuato sia a livello famigliare che sociale. Certi modelli culturali vanno modificati, è impensabile e dannoso per chi ha minor controllo dei propri istinti sessuali vedersi praticamente sbattuti in faccia in ogni dove corpi di donne più o meno vestiti, sui siti internet, nei giornali, cartelloni stradali, pubblicità. Non dico che bisogna tornare a una cultura proibizionista, sarebbe la cura peggiore ma limitare certe manifestazioni che urtano la sensibilità è possibile. Un esempio, leggo spesso il sito di un telegiornale nazionale che da una decina di anni è anche su internet. La rubrica “culi e seni” in mostra - non si chiama così ma ci siamo capiti - continua a mostrare appunto donne in abiti discinti, a proporre servizi sul lato B migliore, a indagare nella vita delle donne, a inventarsi improbabili storie di avvenenti personaggi pubblici famosi, quasi come un voyeur, giustificando questo sotto il capppello della notorietà. È ora di finirla, non dico che sia necessario darci un taglio, di far sparire tutto il nudo femminile dai media, dico soltanto che un sito d’informazione dovrebbe limitarsi a fornire notizie, informazioni di carattere generale, cronaca, cronaca nera, politica, spettacolo e cultura, anche sportive ma non scendere nel volgare, nel gossip, nella messa in mostra di nudità più o meno velate solo per attirare visite dei soliti marpioni, per creare audience. Detto fra noi, il tormentone che da mesi continua a proposito dell’ex consigliera lombarda, francamente, ha rotto le palle.   

7. Certezza della condanna. Per ogni 950 stupri solo 100 vengono denunciati. Di questi, solo 30 presunti stupratori finiscono davanti a un giudice e solamente in 10 casi si aprono le porte del carcere. I casi di falsa accusa sono soltanto 2. Su 950. Molti stupratori tornano liberi, non vengono incarcerati, non scontano la loro giusta pena. Si dirà che è colpa della solita giustizia all’italiana. Non è sempre così, la percentuale è applicabile a molti Paesi, sia europei che nel resto del mondo e prevalentemente occidentali. Spesso un buon avvocato risolve molti problemi, spesso il giudice non condanna secondo la legge ma utilizza un metro di giudizio molto maschilista, molto personale, spesso le prove fornite non sono abbastanza o il beneficio del dubbio si insinua nella mente di chi dovrebbe giudicare. Alla fine, alla vittima restano i problemi fisici, psicologici, l’emarginazione della gente soprattutto se il fatto avviene in aree culturalmente e socialmente degradate.

8. Bisogna ricordarsi che quando le ferite del corpo saranno rimarginate e apparentemente tutto sarà come prima, comincerà il momento più difficile e complicato per il pieno recupero di una donna violata. Il cammino per ritrovare fiducia in se stesse e negli altri sarà drammaticamente lungo. Perché lo stupro è uno di quei reati che coinvolge tutta la persona, il suo rapporto col corpo, la fiducia nel mondo. Molte persone, a torto, confondono lo stupro con il sesso, errore grossolano, in questo modo si colpevolizza la donna, socialmente viene portato avanti da secoli un’errata idea che, a proposito di sesso, la donna è colpevole sempre in qualsiasi frangente e situazione, tuttavia l'uomo può concedersi di tutto. Lo stupro, però, con il sesso non spartisce nulla. Chi stupra, chi violenta, non è mai interessato a ottenere il piacere fisico. Lo scopo è uno solo, è aberrante lo so, ma riguarda la volontà di imporre un essere umano a un altro essere umano. È tutta una questione di dominio,  una conquista forzata, una dimostrazione di forza che culmina col pieno possesso del dominato, è un pensiero fisso «la voglio è mia, la possiedo con la forza, con ogni mezzo.» Il bisogno di prevalere supera ogni condizionamento, sfocia sempre nell’imposizione dellla violenza, del volere di un individuo. E quando succede che una donna soccombe alla cattiveria di chi è intenzionato a violarla per soddisfare le proprie voglie e sentirsi superiore, ecco che quella donna si spegne. Smette di essere ciò che era prima. Proprio perché non si tratta di sesso, ma di violenza. Psicologica, oltre che fisica.  

9. Incrementare i Centri Antiviolenza, in Italia esiste un numero telefonico (1522) facilmente contattabile nel caso si subisca uno stupro, una violenza. È necessario il supporto di queste strutture, perchè come detto precedentemente, il 70% delle aggressioni avvengono nell’ambito familiare. Per questa ragione aiutare chi ha subito violenza è difficile, complesso. Bisogna anche incrementare e potenziare le altre strutture specializzate di assistenza alle vittime, spesso private, deve essere fondamentale, come già accaduto nel corso degli anni passati, la collaborazione tra le strutture sul territorio, sia che siano private, per esempio le case delle donne, che da sempre in Italia si sono occupate di accogliere ed aiutare le vittime di violenza domestica, sia pubbliche compresi gruppi di volontariato sociale disponibili a attivarsi immediatamente in relazione a questi temi e a portare all’attenzione dei cittadini attraverso informative nelle scuole, nelle chiese, in tutti i luoghi di lavoro e di riunione collettiva i temi rilevanti e utili alla prevenzione. 

10. Le vittime inella maggioranza dei casi, sono costrette a lasciare il proprio ambiente, impossibile continuare a vivere negli stessi luoghi dove si è siluppata la violenza che non sempre sfocia in uno stupro ma si trascina in un tempo anche lungo. Una vittima di stupro  va ascoltata, rispettando i suoi tempi, mai pressata a raccontare, la violenza in se genera confusione, per rimuovere in lei il triste ricordo è necessaria l’opera incessante di psicologi e specialisti che sappiano proporsi, mediatori dell’anima che siano in grado di restituirle fiducia, che credono al racconto della vittima. Dare giudizi diventa controproducente, va ripetuto sempre che che non esiste nessuna giustificazione alla violenza.

So che non sarà facile, ma se mai si inzia, mai ci si libererà da questo cancro che ci corrode dentro.


“La violenza contro le donne è forse la più vergognosa violazione dei diritti umani. E forse è la più diffusa. Non conosce confini geografici, culturali o di stato sociale. Finché continuerà, non potremo pretendere di realizzare un vero progresso verso l’eguaglianza, lo sviluppo e la pace”.
Kofi Annan, Segretario Generale delle Nazioni Unite“A World Free of Violence Women”Global Videoconference, 8 Marzo 1999, Nazioni Unite

Nota dell’autore: L’immagine, che come mia abitudine pongo all’inizio dei miei articoli, non rappresenta una donna e neppure un bambino in qualche modo protagonisti incolpevoli delle vicende qui narrate. I massmedia italiani hanno la pessima abitudine di inserire spesso l’immagine di una donna violata, un volto nascosto, un atteggiamento sottomesso, di paura, terrore, ansia, sgomento quando trattano, nei loro articoli, lo stupro. È sempre la donna a essere mostrata, mai l’uomo, mai il colpevole. Questa volta voglio controvertire questa abitudine che non condivido, la mia immagine rappresenta invece un uomo, indubbiamente si tratta di un’immagine violenta, dura, di quelle che non vorremmo mai vedere. Rappresenta il massimo castigo per chi, con svariate scuse, fa della propria violenza e desiderio una pratica di vita spesso impunibile. La figura tristemente appesa a un cartello autostradale era uno stupratore messicano, al secolo Eladio Martinez Cruz, evirato dai narcos e lì appeso per ricordare a tutti, casomai lo avessero dimenticato, la fine che si fa, che si dovrebbe fare, quando la violenza coinvolge donne e bambini, quando, per soddisfare propri bisogni sessuali si usano gli altri attraverso un uso continuato della violenza per soddisfarli. Anche se non vogliono condividere, anche se sono indifesi, soprattutto se sono innocenti. Che serva di lezione.



2013/01/18

L'Africa dal basso!

L’Africa non è solo un continente, smisurato, unico, ma anche un modo diverso di concepire la vita. In Africa tutto ha un tempo che scorre e il suo scorrere spesso ci porta a pensare che stiamo perdendo il nostro tempo. Chi ha avuto modo di viverci per lungo tempo sa che non è così, l’africano vive la vita seguendo canoni diversi, maggiormente legati al territorio, si adatta al proprio ambiente e cerca di assimilarne le esigenze, non cerca di modellarlo, non prova nemmeno a cambiarlo. È in Africa, culla della vita, che è nato l’uomo, si è sviluppato, evoluto, cresciuto e lì tutto ha avuto origine. Un’Africa umile e grandiosa, simbolo di un’umanità smarrita che cerca il suo potente soffio vitale. Lo stesso che affascina da secoli inesauribili schiere di viaggiatori. 

Perchè dal basso?

Quando sei in basso giudichi quello che vedi da un altro punto di vista, magari limitato, pur sempre reale, a contatto con tutto quello che ti circonda. Ti porto un esempio: se guardo la Tour Eiffel dal piazzale, la vedo in tutta la sua maestosità, in quel momento lei è la protagonista della scena e io solo un puntino piccolo piccolo alla base, un osservatore attento farebbe fatica a individuarmi, a riconoscermi perchè la mia figura si confonderebbe nell’immagine della torre. Restando però in basso io vivo la realtà che mi circonda, annuso gli odori, ascolto le voci, vedo i colori, provo dolore e gioia insieme a quelli che mi circondano. Se io salgo su quella torre, il mio orizzonte si ampia, sono sempre un puntino ma all’ultima terrazza della torre non c’è spazio per migliaia di persone, sono pochi gli eletti che di volta in volta hanno accesso a essa, da quel punto privilegiato allora posso guardare la città che mi circonda, domino tutto ma quello che realmente potrebbe interessarmi lo vedo distante, come puntini in mezzo al verde, come puntini in mezzo al grigiore, come puntini su un bateau mouche che naviga nella Senna, un mondo a me distante del quale non posso sapere nulla, perchè troppo lontano. Dal basso invece sintetizza il modo come ho iniziato a scoprire l’Africa.

Cioè sei andato in Sud Africa?

No, l’Africa nera l’ho scoperta dalla Nigeria. In questo caso il titolo non ha un riferimento geografico, è semmai un percorso il mio, la scoperta di un continente, della sua gente, abitudini, delle usanze e costumi partendo dal gradino inferiore di una ipotetica scala di valori. Più in basso di così non era possibile, avrei dovuto assumere le loro sembianze. Questo non vuol dire che mi elevo in ogni caso a un gradino superiore, io uomo bianco ho cercato di essere come loro, ho cercato di immedesimarmi nel ruolo di uomo nero riuscendone a cogliere tutti gli aspetti del loro modo di vivere arrivando perfino ad una sorta di simbiosi fra la mia cultura e la loro. Io ne sono uscito rafforzato, tutta la mia conoscenza ha beneficiato di questo processo negli anni seguenti e i benefici li posso percepire ancora adesso.

Quindi il tuo era un viaggio al contrario, sei fuggito dalla realtà deve vivevi per entrare in un mondo totalmente sconosciuto e scoprire sulla tua pelle come vive l’uomo nero?

Non necessariamente, non sono partito con quell’intento, io in Nigeria sono andato per lavorare, non ho scelto l’Africa semmai, parafrasando, l’Africa ha scelto me.
Non è stato un percorso facile. Arrivare in Nigeria fu un tremendo impatto con una realtà che non mi aspettavo, tutto era molto, troppo diverso da quello che pensavo fosse possibile, la gente, i colori, gli odori colpivano i sensi e rendevano un’immagine ben diversa da quegli stereotipi che anni di scuole e università erano riusciti a insegnarmi. La prima reazione fu agghiacciante, il primo pensiero fu di scappare e lasciare ad altri quelle responsabilità che mi si chiedevano, anzi imponevano. Fu la perseveranza che sempre mi contradistingue e la consapevolezza che potevo farcela che mi tennero li, col tempo imparai a conoscere l’ambiente ove vivevo e integrarmi in un mondo così diverso. Ma solo dopo i primi mesi mi resi conto che il processo per la piena accettazione del vivere nel continente nero aveva avuto un esito positivo, che desideravo restare e potevo integrare il loro modo di vivere al mio.

Uhmm restare? Per restare ti sei sposato un’africana?

Sicuramente no, non era nelle mie intenzioni entrare in Africa dalla porta più facile. L’idea prevalente che si fanno gli italiani è che il matrimonio risolve tutto, anche le difficoltà ad ottenere un visto. Salvo poi scoprire che un matrimonio dovrebbe essere “per sempre” e quasi mai, in Africa, va a finire così. 
Perchè? Perche le tentazioni sono tante, se ti sei sposato con uno scopo ben preciso e non “per amore” vuol dire che sei anche africanizzato, quindi non più padrone di te stesso, devi rendere conto di una parte della tua vita alla tua dolce metà che sarà dolce solo i primi mesi di vita insieme. Dopo la convivenza ti sembrerà sempre più salata, non è lei a peggiorare, non solo, sei tu. Perché cerchi e vorresti continuare a fare quello che facevi prima. Perché sai che il tuo matrimonio non è per dividere una vita insieme ma solo un salvacondotto per restare in quella particolare nazione che fa gola ai tuoi interessi.... A questo punto della storia il matrimonio scoppia perché ti rendi conto che lei non è l’arrendevole donna che cercavi e lei capisce che tu non sei l’uomo innamorato che voleva portarla via da li. 
Tu vuoi restare, il matrimonio è solo una scusa. Lei voleva andarsene e a quel punto della storia si sente presa in giro, gabbata. Parliamoci chiaro, sono poche le donne africane che aspirano a restare in Africa, se si sposano l’uomo bianco, principe azzurro, verde o blu, è per avere un passaporto per un mondo che si dovrebbe aprire toccando appena la maniglia. Un mondo dove c’è tutto quello che desiderano o hanno sempre desiderato: dalla tv ai fast food, dai cinema al coperto alla piscina con l’acqua chiara, vestirsi come vuoi, un’auto scoperta con il vento che scompiglierebbe i capelli (finti)... Insomma le avete illuse e tagliate i loro sogni? 
Avrete vita matrimoniale molto breve in Africa. 
Appena capiscono le vostre intenzioni non dichiarate prima del grande passo vi salutano in un momento, piantandovi li con una montagna di conti da pagare ed una famiglia della sposa sull’uscio armata di machete e con intenzioni non proprio da buon samaritano.
L’Africa non è quello che il comune senso del pensare crede che sia, non è la terra da colonizzare. L’Africa è viva, pulsante, colorata, vanitosa, volenterosa, ambiziosa. Vuole crescere nonostante molte classi dirigenti africane - copiando molto da quelle europee -  credano che sia sufficente riempire il proprio conto in banca.

Bene, sani principi. Come ti sei organizzato? 

L’intento era di creare una base, non in Nigeria e nemmeno in uno dei paesi limitrofi dove vivere per un uomo bianco equivaleva ad andarsi a cercare i guai col lanternino. Avevo in mente un’idea che andava affinata, mi serviva inoltre una più vasta conoscenza della gente, delle autorità, come potevo muovermi, come potevo evitare i problemi e crescere. A quel tempo mi offrirono di lavorare in Kenya per una multinazionale impegnata nella costruzione di alcuni impianti di desalinizzazione acqua. Scoprii che non era esattamente quello che mi aspettavo. La multinazionale non aveva alcuna esperienza del Kenya, nessuna conoscenza dell’ambiente e nemmeno delle leggi, quelle scritte e quelle non scritte. Insomma un incubo. I lavori civili li avevano affidati ad un’impresa kenyota, le installazioni meccaniche ad un’impresa indiana riservandosi per se stessa la conduzione dei lavori, a me fu affidato il difficile incarico di project manager. Difficile perché alla fine mi ritrovai a dover litigare dalla mattina alla sera con i kenyoti in ritardo abissale, con gli indiani che litigavano con i kenyoti e con il cliente che non voleva pagare per via del ritardo abissale. Trovai la soluzione e la proposi alle parti. Il cliente accettò senza compromessi, gli indiani mugugnando, i kenyoti tagliarono la corda lasciandoci in braghe di tela e la multinazionale si defilò fiutando il fallimento. Libero da condizionamenti e con carta bianca del cliente che mi assunse a tempo pieno completai l’impianto nei tempi supplementari senza dover ricorrere ai rigori, pagammo tutti i subcontractors che ero riuscito a recuperare dopo la dipartita del partner civile e gli indiani che sorridevano anche quando prendevano legnate sui denti. Quell’esperienza mi fece capire che l’Africa non era da sottovalutare, che le difficoltà di un’azienda italiana vengono moltiplicate per cento non appena questa metteva piede nel continente nero, che non si possono gabbare le persone raccontando storielle o vendendo loro la cassa di vetri colorati, che gli affari sono affari ma bisogna condurli con capacità imprenditoriali, che l’africano si era evoluto e al posto dell’orecchino d’osso aveva l’auricolare del telefonino.
Lasciai il Kenya destinazione South Africa due settimane dopo la fine dei lavori, deciso ad iniziare la mia attività.

Diventare imprenditori in Sud Africa? Wow, un bel salto di qualità. Successo immediato suppongo?

Valutazione errata. Intanto dovevo guardarmi attorno per cercare la location più adatta allo scopo. Il South Africa ruota attorno a tre capitali ognuna con una ben distinta identità: 
Pretoria, sede del Governo, Città del Capo, dove si trova il Parlamento, e Bloemfontein, sede del potere giudiziario. Ai fini internazionali, tuttavia, è Pretoria a essere identificata come capitale in quanto sede della Presidenza, Johannesburg non è nella lista delle capitali ma, nel corso degli ultimi tre decenni è stata la città che più di tutte ha cambiato il volto di questo grande paese arcobaleno. A Johannesburg ci sono le sedi di molte banche, africane, europee, americane e nei tempi più recenti asiatiche. Ci sono le industrie manifatturiere, estrattive, quelle di trasformazione delle materie prime. L’oro dall’estrazione alla vendita passa tutto da qui, ma anche altri metalli preziosi. Moltissime ambasciate hanno sede qui o a Pretoria che comunque dista solo una decina di km, alberghi internazionali e catene di negozi sono comunque presenti e operano attraverso centri di servizi a Johannesburg.
Nonostante tutto è anche la città con il più alto crime rated in tutto il South Africa. Non molto distante da Jo’burg, come viene soprannominata, c’è Soweto il cui nome è un acronimo, significa infatti South West Township. Negli anni vicini alla fine dell’apartheid molti degli eventi che hanno accelerato la fine di un periodo buio della storia di questo grande Paese, si sono svolti qui. Come dimenticare quel 16 Giugno 1976 quando iniziarono violenti scontri tra gli studenti neri e la polizia segregazionista del National Party, partito nazionalista al governo del paese? Il motivo specifico della protesta studentesca di Soweto fu un decreto governativo che imponeva a tutte le scuole in cui erano segregati i neri, di utilizzare l'afrikaans come lingua paritetica all'inglese. Quest' ultimo episodio, preceduto da una lunga serie di imposizioni da parte degli afrikaner, fu percepito come direttamente associato alla logica generale dell'apartheid. L'inglese era la lingua più diffusa presso la popolazione nera ed era stata scelta come lingua ufficiale da molti bantustan al contrario dell'afrikaans, la lingua degli oppressori. Il Ministro per l'Istruzione Bantu, Punt Janson, incurante del volere della popolazione arrivo ad affermare « Non ho consultato gli africani sulla questione della lingua e non intendo farlo. Un africano potrebbe trovarsi di fronte a un "capo" che parla afrikaans o che parla inglese. È nel suo interesse conoscere entrambe le lingue. »
Queste ultime dichiarazioni suscitarono numerose proteste da parte del corpo docenti e degli studenti neri delle scuole dov'erano segregati. Il 30 aprile 1976, i bambini della "Orlando West Junior School" diedero inizio a uno sciopero, rifiutandosi di andare a scuola.
Gli studenti di Soweto intanto formarono un comitato d'azione, il "Soweto Students' Representative Council" per organizzare la protesta, indicendo una manifestazione di massa per il 16 giugno. Migliaia di studenti e docenti neri si riversarono nelle piazze e si diressero verso lo stadio di Orlando. Si decise per la linea pacifica, pianificando in modo accurato il tutto, in modo tale che fosse chiaro: nelle prime file del corteo erano esposti cartelli con scritte come "Non sparateci - non siamo armati". Il corteo incontrò la polizia, che aveva preparato delle vere e proprie barricate. Si optò per una deviazione del corteo su di un percorso alternativo: anziché andare allo stadio, giunsero presso la Orlando High School.
Qui, nuovamente trovarono la polizia ad attenderli che cercò subito di disperdere la folla con i gas lacrimogeni.
Dal corteo cominciarono a levarsi slogan di protesta ed i bambini esasperati dalla condizione di segregazione in cui si trovavano costretti a vivere sin dalla nascita e dal crescendo di angherie che erano costretti a subire, cominciarono a tirare pietre verso la polizia.
La polizia prontamente e senza alcuno scrupolo, aprì il fuoco uccidendo quattro bambini, fra cui il tredicenne Hector Pieterson di cui la fotografia del suo corpo martoriato divenne un simbolo della violenza della polizia Sud Africana.
Negli scontri che seguirono durante la giornata morirono altre 23 persone.
Dopo il massacro del 16 giugno, la tensione fra gli studenti neri di Soweto e la polizia continuò a crescere.
Il giorno successivo, le forze dell'ordine Sud Africane giunsero a Soweto armate di fucili automatici, inoltre furono dispiegate anche forze dell'esercito.
Soweto era pattugliata da elicotteri e automobili della polizia e diverse fonti riportarono di agenti in borghese che giravano in automobili civili e sparavano a vista sui dimostranti neri.
Le contestazioni durarono circa 10 giorni e si dovette arrivare alla morte di più di 500 manifestanti e il ferimento di oltre 1000, perchè il regime dell'apartheid crollasse.
La rivolta contribuì a consolidare il sentimento anti-afrikaner nelle masse nere e la posizione predominante dell'ANC come principale interprete di questo sentimento.
Molti dei cittadini bianchi Sud Africani presero parte in modo deciso a favore dei dimostranti. Alle manifestazioni di studenti neri si andarono ad aggiungere quelle degli studenti bianchi. Dal mondo studentesco, inoltre, la protesta si allargò a diversi settori produttivi con una catena di scioperi da parte degli operai di molte fabbriche. La rivoltà che si estese in tutto il Sud Africa pagò ed ebbe un ruolo fondamentale nella caduta del National Party e nella fine dell'apartheid, sancita definitivamente nel 1994.
Pagine buie, orrende, errori che non si dovevano commettere. L’arroganza di certi afrikaneer ricorda molto da vicino gli eventi che hanno caratterizzato la nostra storia, un’altra pagina triste, dal 1939 al 1944 quando alleati dei tedeschi entrammo in guerra contro il resto dell’Europa. 

Che tristezza, l’uomo non impara mai dai propri errori. Quindi non fu facile?

Non fu facile, e non fu nemmeno una bella esperienza, almeno nei primi anni. Fu così difficile che dopo un periodo euforico decisi di abbandonare i sogni di gloria e cercarmi un lavoro da dipendente. E non andò meglio, anzi peggio di prima. Il fatto era che ormai ero abituato all’idea di essere imprenditore, così cercavo sempre la soluzione migliore per risolvere i problemi man mano che si verificavano o venivano identificati, attirandomi le ire di chi con quei problemi aveva convissuto per anni e goduto dei privilegi derivanti dal denunciarli e risolverli e non più di uno all’anno. In sei mesi di lavoro presso un’impresa trovai almeno trenta anomalie e risolsi una decina di contratti che vivacchiavano sugli aiuti di chi invece doveva chiuderli. Quando trovai le gomme dell’auto bucate per la terza volta, decisi che non era il caso di insistere, a quel punto però il mio datore di lavoro pretese la stessa profusione di impegno e dedizione di prima, per un pò fui capace di mantenere il ritmo e guardarmi le spalle dai cattivi, quando raggiunsi il punto di saturazione mi dimisi con sommo dispiacere del direttore e tornai a riflettere sulle situazioni strane della mia vita. Per tornare a vivere veramente, eufemismo visto che io stavo vivendo, dovevo ritrovare la via, un percorso che fosse tutto mio da poter plasmare secondo le mie esigenze e desideri. Nel 1992 tornai in Italia per cercare idee e alternative da poter applicare in Africa.

Esperienza negativa da imprenditore, ancora negativa da dipendente, che alternativa speravi di trovare?

Nessuna esperienza, anche quelle peggiori, può essere considerata negativamente, tutte arricchiscono il bagaglio dell’individuo in quanto essere umano che pensa e comprende e sa giudicare con cognizione di causa le diverse situazioni e trarne giovamento. Da quelle esperienze avevo capito che avrei dovoto prima di tutto cercare dentro me stesso le necessarie motivazioni e quindi cercare di raggiungere i miei obbiettivi con tutta l’ostinazione e la caparbietà che sempre mi aveva caratterizzato fin dai tempi della scuola. Poi successe un fatto strano, nel 1993  una persona che conoscevo da una decina d’anni, mi informa che sta partendo per un’esperienza africana in un villaggio vacanze, il paese scelto è la Tanzania, qualche chilometro a sud di Dar Es Salaam. Mi chiede se sono disposto a partire con lui e, nel caso di informarlo per poter organizzare il viaggio. 

Non è quello che cercavo ma un’esperienza africana di quel tipo mi mancava e accettai. In realtà quello che giustificava la scelta non era direttamente connessa con quella filosofia anche spiccia dei villaggi turistici, argomento che mi era totalmente sconosciuto fino a allora, bensì il contatto con le popolazioni locali e l’eventuale interazione fra la nostra cultura e la loro, mi interessava cogliere le eventuali similitudini comportamentali e assimilare quanto più possibile di quegli aspetti per poter in seguito mettere in pratica quando imparato. Invece non m'immaginavo lontanamente che i contatti con l'esterno erano ridotti al minimo e la gente locale veniva prontamente tenuta lontana dalla struttura e dai turisti. Così, il momento del beach volley per me si trasformava in un angoscia, puntualmente la zona di gioco si animava di bimbi e ragazzi africani che pur di toccare e dare anche solo un calcio, correvano avanti e indietro a recuperare e riportarci il pallone per poter continuare la partita, il gioco è unione, e li invece era vissuto come separazione, c’erano ospiti che giunsero perfino a spintonare i bimbi per cacciarli dal terreno di gioco, il gioco è complicità e rispetto, spesso la fratellanza e la reciproca fiducia si fondono magicamente mentre ci si diverte, purtroppo ogni nuovo gioco era invece vissuto come un dramma e meditai numerose volte di andarmente così su due piedi lasciando come statue di sale l’amico e il gestore del villaggio. 

Inoltre proprio in quel periodo il villaggio stava finendo la costruzione di un ennesimo muro che avrebbe dato così la possibilità ai turisti di raggiungere la spiaggia tranquillamente, evitando nello stesso tempo qualsiasi contatto e disturbo da parte degli africani! Rabbrividivo, giorno dopo giorno, alla parola "ignoranza" che lo staff italiano facilmente usava. Ero deluso e mi sentivo soffocare, così nelle piccole pause giornaliere e alla notte, terminato lo spettacolo ed il nostro lavoro, sgattaiolavo di nascosto all'aria aperta bramoso ogni volta di aprire il mio cuore all'Africa e facendo la felicità della guardia africana ai cancelli del villaggio a cui davo qualche dollaro per ringraziarlo del suo silenzio! Uscita dopo uscita, aggiungevo nuove ed indimenticabili immagini ai miei occhi ed indelebili impronte alla mia vita. Quella che ora posso dire, mi ha donato l'Africa!

Amavo già l’Africa, il mio percorso era nato in Africa e volevo poterlo terminare, anche se mi rendevo conto che non avrei trovato lo stesso idilliaco ambiente in nessuna delle destinazioni future da tempo programmate. L’esperienza tanzaniana potevo giudicarla positivamente, avevo accumulato la necessaria conoscenza e credevo di poter essere in grado di organizzare viaggi africani a mia volta improntati a un diverso rapporto di coesione, partecipazione e complicità del baturi uomo bianco con la gente che avremmo potuto incontrare nel corso dei viaggi di esplorazione che mi ero prefissato. 

Avevo naturalmente ancora degli aspetti da identificare, il disegno andava piano piano affinato e completato con informazioni pratiche e organizzative ma sentivo già crescere in me quel desiderio di simbiosi con la gente africana come non l’avevo mai provato prima e che, in quel momento, era portato a farmi credere non l’avrei più trovato se non prendevo al volo quello che il caso o la fortuna mi stavano offrendo sul classico piatto d’argento.  Quei quattro mesi non hanno fatto altro che alimentare questo grande amore e rendere ormai sofferenti i mesi che devo passare lontana da quella Terra! Ogni volta che ritornavo, ritrovavo il mio cuore. In Africa tutto è accentuato, è sentito, è grande e assorbito profondamente, a partire dalle emozioni e dalla fame fino al suono della Terra e della Natura, dal bisogno d'amore all'amore per la vita e ancora all'inno alla vita che giornalmente l'Africa esprime con il sorriso dei bambini, con i maestosi baobab, con la musica e con le stelle! Per tutto questo e per tutto quello che è l'Africa vorrei non sentirne più la mancanza, vorrei dissetarmene all'infinito e sopratutto vorrei che un domani mio figlio potesse esser circondato da questa meravigliosa Terra per crescere con la stessa umiltà e sensibilità alla vita, con lo stesso fiero sorriso negli occhi e nell'anima con cui i miei fratelli africani ci guardano! La mia vita è cambiata dalla prima volta che ho messo piede su quella terra rossa anni addietro, ma è nell'ultimo ritorno che ho definitivamente maturato la convinzione che in realtà quello sarà il mio piccolo angolo di  paradiso dove vorrei stare, è lì che la mia nuova vita deve iniziare! 

Continua....