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2016/01/29

A proposito di gender e famiglia


Non so voi, io la famiglia la vedo come nella fotografia in alto. Un padre (di sesso rigorosamente maschile), una madre (di sesso rigorosamente femminile) una nidiata di marmocchi, poi d'accordo, le famiglie moderne sono allargate e vanno doverosamente aggiunti almeno i nonni, qualche zio, i cugini vicini e magari anche quelli lontani che si rivedono una volta all'anno nelle feste comandate, ma sempre di famiglia parliamo. Lo so che sono vecchio ho delle idee che diventa difficile sradicare. Lasciate che resti nel mio brodo e pensatela come volete ma leggetevi il testo sotto, poi magari discutiamo.

Sarebbe opportuno che su di una questione seria come il riconoscimento delle coppie omosessuali e relativi diritti – comprese le eventuali adozioni – ci fosse una discussione seria, ponderata, che vada al di là degli schieramenti partitici. Credo che per inquadrare il problema dovremmo guardarci indietro e chiederci come mai oggi spesso ci lamentiamo di come la nostra società, la famiglia, la comunità sociale registri una terribile involuzione che si ripercuote sulla stabilità stessa del paese da tutti i punti di vista. 

Se andiamo alle origini di questa crisi strutturale scopriremo che alla base ci sono stati anche tutta una serie di atteggiamenti, mentalità, leggi, cedimenti, compromessi che poco alla volta hanno distrutto i principi stessi di una comunità umana e tutti ne possono vedere gli aspetti negativi. Se la droga diventa libera, se i diritti cancellano i doveri, se il senso di responsabilità diventa una presa in giro, se i genitori sono assenti e non sono da eempio, se la scuola spesso non è all’altezza, se le famiglie sono sfasciate, se il risparmio è disprezzato, se a vincere sono sempre i “furbi”, se ogni debolezza o vizio diventa “scelta personale di libertà”, se ci si ammazza per un telefonino e si dimenticano o si cancellano i doveri, alla fine non crolla solo un paese ma – come avviene – soprattutto si incrinano i rapporti tra le persone e le generazioni. 

Per questo la discussione sulle coppie omosessuali imporrebbe di riflettere non solo sui “diritti” dei singoli, ma sulle conseguenze generali che tutta una serie di scelte portano all’equilibrio sociale. Credo che debba essere garantito il diritto degli/delle omosessuali ad esprimere la propria personalità ed avere tutta una serie di diritti di coppia: diritti civili, fiscali, patrimoniali, pensionistici, ma non che le scelte di una minoranza condizionino una intera società. 

Se ognuno deve essere libero di pensarla e vivere come vuole, un conto è una scelta personale, un’altra condizionare con questa scelta persone estranee, come i figli potenzialmente adottati. Diciamocelo con franchezza: esiste oggi una lobby gay che di fatto controlla e condiziona l’informazione, lo spettacolo e anche la politica, per esempio è stato incredibile vedere come siano stati moltiplicati almeno per cinque il numero delle persone partecipanti alle manifestazioni gay di domenica scorsa, senza che nessuno avesse il coraggio di obiettare qualcosa... 

Era sbagliato criminalizzare, emarginare ed ironizzare ieri sugli omosessuali, ma oggi si ridicolizzano quelli che chi chiedono semplicemente la normalità di una società che - se è arrivata fin qui nel correre dei secoli - in fondo è solo perché c’è una differenza naturale tra uomo e donna. In questo senso non servono crociate religiose o anatemi, ma ricordare per esempio che ci sono migliaia di coppie “normali” che attendono per anni un bambino in adozione e di cui non si parla mai. 

Soprattutto ricordiamoci che le donne italiane generano 1,3 figli a testa mentre 2,1 sarebbe il minimo per mantenere la popolazione, eppure oggi Italia non si fa molto per difendere le famiglie, cominciando da quelle “normali”.  Guardate all’estero come si riempiono le culle con una tutela concreta della maternità e del lavoro, con aiuti per le scuole, gli inserimenti, gli asili-nido, i contributi fiscali, le detrazioni... in Italia siamo spaventosamente indietro. 

Perché allora si discute tanto di figli da fare adottare alle coppie gay e non si sveltiscono per cominciare le pratiche di adozione italiane ed internazionali, un “buco nero” con violenze inaudite verso aspiranti genitori e potenziali figli, affogate spesso in un mare di corruzione? C’è mai stato un dibattito consapevole in Italia su queste vergogne burocratiche di coppie che per anni e anni devono attendere senza neppure sapere se verrà loro assegnato o meno un figlio? 

E poi le questioni “scientifiche” dove si è partiti da aiutare la maternità ma per infilarsi poi in una spirale sempre più folle ed economicamente miniera d’oro per cliniche, medici e ricercatori. Anche qui le questioni si giocano sempre sui “diritti”, ma poi nascono e si moltiplicano situazioni sempre più irreali ed assurde: spermatozoi conservati per anni e impiantati nel ventre di no-mamme ma di uteri in affitto, selezione di geni e di genere, crescite in vitro, banche di seme e manipolazioni genetiche, con gente che va e viene dall’estero “perché là è un mio diritto riconosciuto”. 

Sullo sfondo – come sempre - il solito “dio-denaro” per cui se paghi ottieni e puoi, altrimenti aspetti. Per favore, fermiamoci.

2016/01/15

"I Don't Want To Miss A Thing"



"I Don't Want To Miss A Thing"




I could stay awake just to hear you breathing

Watch you smile while you are sleeping

While you're far away and dreaming

I could spend my life in this sweet surrender

I could stay lost in this moment forever

Every moment spent with you is a moment I treasure




Don't wanna close my eyes

I don't wanna fall asleep

'Cause I'd miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



'Cause even when I dream of you

The sweetest dream would never do

I'd still miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



Lying close to you feeling your heart beating

And I'm wondering what you're dreaming,

Wondering if it's me you're seeing

Then I kiss your eyes and thank God we're together

And I just wanna stay with you

In this moment forever, forever and ever



I don't wanna close my eyes

I don't wanna fall asleep

'Cause I'd miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



'Cause even when I dream of you

The sweetest dream would never do

I'd still miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



I don't wanna miss one smile

I don't wanna miss one kiss

Well, I just wanna be with you

Right here with you, just like this



I just wanna hold you close

I feel your heart so close to mine

And just stay here in this moment

For all the rest of time, yeah, yeah, yeah!



Don't wanna close my eyes

Don't wanna fall asleep

'Cause I'd miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



'Cause even when I dream of you

The sweetest dream would never do

I'd still miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



I don't wanna close my eyes

I don't wanna fall asleep

'Cause I'd miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



'Cause even when I dream of you

The sweetest dream would never do

and I'd still miss you, baby

And I don't wanna miss a thing



Don't wanna close my eyes

I don't wanna fall asleep, yeah

I don't wanna miss a thing

I don't wanna miss a thing

Testi e musica degli Aerosmith

2016/01/05

Trappole climatiche e antropogeniche, in sintesi: ci stanno fregando!



Tra revisionismi, correzioni e ipocriti silenzi, la religione del clima esce dalla Cop21 di Parigi piuttosto acciaccata. All’apparenza compatta nell’obiettivo prometeico: contenere l’aumento temuto della temperatura del pianeta, entro la fine del secolo, sotto i due gradi (1,5). 

In realta’, tra le pieghe, pesantemente, segnata da divisioni, scetticismi, sospetti, fardelli propagandistici e aspettative non credibili. Premessa: il dogmatismo climatico e’ segnato da quella che si potrebbe definire la trappola della CO2. Vale a dire, la pretesa di ridurre il clima, fenomeno caotico per eccellenza, a un modello di laboratorio, astratto e informatico, movimentato da un solo fattore: la quantita’ di CO2 antropogenica immessa in atmosfera. 

Operazione da sciamani. 

Predire matematicamente il clima, ammonisce il bistrattato professor Zichichi, comporterebbe l’uso di equazioni differenziali con un numero di variabili troppo elevato per consentirne la soluzione. Impresa razionalmente impossibile. E che riporta, piuttosto, alla mente il diavoletto di Maxwell che divide le singole molecole di gas (per ridurre la probabilita’ a certezza) o l’apologo di Laplace: “ …se esistesse una possibilita’ di calcolare e misurare i movimenti di ogni singola particella fisica, sarebbe possibile descrivere passato, presente e futuro del mondo con esattezza matematica…”. 

Esattamente quello che pretendono di fare gli ideologi dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il club internazionale di esperti governativi custode della dottrina ufficiale sul clima. E’ ovviamente impossibile controllare le interazioni della meccanica del clima, al fine di prevederne l’evoluzione. Un calcolo che comporterebbe, esattamente come il diavoletto di Maxwell, la misura di ogni gas o composto atmosferico e del feedback con fattori, naturali e artificiali, variabili nel tempo. 

Impossibile. 

E cosi’, per comodita’ intellettuale, i modellisti del clima hanno ridotto gli algoritmi a una sola variabile: i tassi di CO2 antropogenica immessi in atmosfera. 

Rasoio di Occam? No: riduzionismo elementare. 

Che produce, percio’, modelli irreali, distanti da un effettivo rispecchiamento della realta’, artificiali e, puramente, ipotetici. Basti dire che vengono esclusi, dagli algoritmi della modellistica del clima, i fattori chiave dei suoi andamenti evolutivi, quelli naturali: attivita’ del sole, magnetismo terrestre, oscillazioni orbitali, irraggiamento cosmico ecc. Perche’? Non tanto per la difficolta’ di misurare tali fattori quanto una pretesa programmatica intenzionale: isolare l’attivita’ umana (la CO2 antropogenica) come esclusivo fattore di incidenza. Al fine di farne l’imputato unico del riscaldamento. 

Una metodologia, osserverebbe Einstein, poco “elegante”. 

Essa semplifica l’oggetto indagato, il clima, oltre il lecito e il necessario, riduce eccessivamente la complessita’ delle variabili e insinua nei calcoli un solo fattore ad hoc, una singola costante, i volumi di emissione della CO2, per giungere a esiti pre-determinati. Nella dottrina del clima, i tassi di emissione della CO2 antropica funzionano come una sorta di termometro artificiale: tarato su una scala in cui a ogni grado di misura delle emissioni corrispondono temperature. E a ogni grado di temperatura corrispondono eventi deterministici e effetti conseguenziali. Fino a una soglia, i due gradi di aumento rispetto alle medie attuali, che segna un avvento: l’inizio di un’epoca di catastrofi. 

Insomma: millenarismo. 

Nella letteratura dell’IPCC, l’evoluzione climatica viene raffigurata in modelli predittivi e “scenari” (a 20, 30 o 50 anni e piu’) fondati, tutti, sulle medesime premesse metodologiche e differenziati, negli esisti predeterminati, solo in base a assunzioni del comportamento umano. Davvero l’uomo funziona, nei modelli dell’Ipcc, come il prometeico regolatore del clima. Una proto-scienza, insomma, quella dell’Ipcc e una sorta di religione con tutti gli ingredienti conseguenti: la pretesa del devotismo dai credenti, l’irrisione degli scettici, la scomunica dei negazionisti. Dagli “scenari” proto-scientifici dell’Ipcc, si pretende di dedurne prescrizioni e dettare comportamenti per i policy makers, condotte dei governi e contenuti delle agende politiche. 

Il problema e’ che, col passare degli anni (siamo ormai con quella di Parigi del 2015 alla 21 conferenza sul clima e a 25 anni dalla “madre” di tutti gli eventi sul riscaldamento climatico, la Conferenza di Kyoto del 1997) la dottrina del clima mostra una crescente e imbarazzante contraddizione: l’allarme degli esiti catastrofici sale sempre piu’, e sempre piu’ ravvicinato, ma l’efficacia delle prescrizioni si rivela, crescentemente, discutibile. Di piu’: la CO2 antropica, isolata e esagerata come esclusivo fattore scatenante dei cambiamenti, si rivela una trappola. 

Laddove i suoi effetti sono descritti, ansiologicamente, come sempre piu’ minacciosi, la possibilita’ e la capacita’ anche solo di mitigarne il peso in atmosfera si dimostra impossibile. In 25 anni di politiche anticarbonifere e in 20 anni di denunce e prescrizioni dell’IPCC, la quantita’ di CO2 antropica in atmosfera e’ aumentata del 60%. E con essa i costi della (inefficace) mitigazione. I criteri e le ricette della dottrina del clima inchiodano i governi a condotte e agende tanto piu’ costose quanto inefficaci ai fini dell’obiettivo dichiarato: un arresto della crescita delle emissioni. 

Una dottrina, quella del riscaldamento del clima, nata per contestare la sostenibilita’ dei modelli di sviluppo dell’ultimo secolo e mezzo, si va dimostrando, crescentemente, insostenibile nella costosa inefficacia delle prescrizioni. Negli ultimi quindici anni, tralaltro, in cui la CO2 e’ sempre aumentata, non si registrano aumenti delle temperature. La correlazione clima-CO2 non appare cosi’ salda. Appare salda, al contrario, la correlazione inversa tra costi delle politiche climatiche e efficacia. 

Il burden economico delle politiche del clima, tra il 2005 e il 2015, e’ impressionante: 176 miliardi di dollari (dati World Bank del 2011). E solo considerando il global carbon market: l’enorme bolla alimentata dal trading delle emissioni e e dai progetti di investimenti verdi. A questi volumi della finanza verde vanno aggiunti il costo degli incentivi fuori mercato alle energie rinnovabili e la fattura legata all’ import dei loro componenti impiantistici. Questa enorme esplosione finanziaria (in cui e’ prevalsa, col tempo, la componente puramente speculativa) ha partorito un aumento delle emissioni di CO2 e un costo dell’energia crescente. 

L’80 % del fardello di queste politiche si e’ concentrato in Europa. Dove, non a caso, il decennio del global carbon market ha coinciso con la crescita lenta, la crisi del debito e l’arretramento manifatturiero. Il bilancio delle politiche verdi comincia a indurre stress nei governi. E a Parigi lo si e’ avvertito. La trappola della CO2 comincia a far sentire la stretta dei suoi lacci. E fa aggrovigliare i calcoli. Il bilancio dei 25 anni alle spalle pesa. Il 90% del mondo, formalmente, sottoscrive l’impegno della Cop21: tenere le temperature del pianeta sotto i due gradi di aumento nel 2050. Ma il pathway verso l’obiettivo e’ del tutto incerto, evanescente e problematico. Azzerare in 34 anni le emissioni di CO2 (aumentate invece, come abbiamo visto, del 60% negli ultimi 25) e’, palesemente, irrealistico. 

Nelle stesse conclusioni della Cop21 il problema si e’ evidenziato in modi bizzarri: da un lato, l’unanimita’ commossa sull’obiettivo di contenere l’aumento di temperatura sotto I due gradi; dall’altro, l’evidenza che gli impegni sottoscritti dai governi portano a sforare quel tetto e a attestare l’aumento delle temperature, oltre la soglia, a 2,7 gradi. Come dire: piena catastrofe (se stessimo alle assunzioni dell’IPCC). Quello che appare sempre piu’ imbarazzante per molti osservatori e policy makers e’ l’impasse delle politiche climatiste: raggiungere l’azzeramento delle emissioni serra al 2050, attraverso la sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili e con il risparmio energetico, e’ tecnicamente irrealizzabile. 

I conti dell’IPCC non stanno in piedi. 

Il World Energy Outlook (WEO) smentisce, clamorosamente, scenari e aspettative del climatismo ufficiale: nel 2040 le fonti fossili e emissive peseranno, ancora, per il 55% dei consumi energetici (solo 15% di riduzione, quindi, rispetto ai consumi attuali); le fonti rinnovabili rappresenteranno solo un quarto del mix di energia del 2040 (e solo comprendendo il nucleare tra le fonti carbon free). Il nucleare, tralaltro, con buona pace di Greenpeace, e’ la fonte che conoscera’ il maggiore boost rispetto ai dati attuali (con una crescita del 60%). Questa e’ la vera novita’. Che gli ideologi dell’IPCC non avevano considerato. La percezione crescente di un ruolo limitato delle tecnologie rinnovabili come sostituzione delle fonti fossili, ha riproposto l’attualita’ e l’indispensabilita’ del nucleare come fonte carbon-free. 

Con evidente imbarazzo dell’attivismo climatista. 

L’esistenza di una quota di energia nucleare, attestata piu’ o meno intorno ai livelli attuali (6% di contributo di energia e 11% di energia elettrica) e’, ormai, ineliminabile in qualsiasi scenario realistico di mix energetico che intenda ridurre la quota di gas e carbone. Con 438 reattori attivi in 30 paesi e una potenza installata di 400 GWe, il nucleare e’ diventato imprescindibile nella contabilita’ della de-carbonizzazione: in termini di CO2 evitata e in termini di mix futuro. Senza la stabilizzazione della quota attuale di contributo del nucleare al portafoglio energetico non sarebbe ipotizzabile alcuno scenario di riduzione delle fonti fossili. 

Archiviati, ormai, irrazionalismi e emotivita’del post-Fukushima, la partita del nucleare si gioca non piu’ sulla sicurezza ma, solo sulla sua affordability economica: i costi degli investimenti fissi piu’ alti comparati a quelli degli impianti fossili (gas e carbone). Uno scenario destinato a cambiare: per il peso che assumeranno le politiche di tassazione della CO2; per la possibile ripresa di investimenti orientati al lungo periodo: le tecnologie di oggi consentono a una centrale nucleare un ciclo vita di oltre 60 anni (fino a quasi 100) rispetto ai 20 di media degli impianti fossili. 

In ogni caso la de-carbonizzazione totale e’ un mito da sfatare. Secondo il WEO lo scenario che ne prevede la realizzabilita’ al 2050, risultera’ gia’ vanificato nel 2040. I numeri evidenziano un racconto del tutto diverso. Le fonti fossili (gas e carbone) copriranno, alla fine del secolo, ancora oltre la meta’ del mix energetico. Le energie rinnovabili non riusciranno a essere sostitutive delle fonti convenzionali (gas, carbone e nucleare) e si attesteranno, inesorabilmente, intorno al 30% del mix energetico. Il risparmio energetico non portera’ a una decrescita dei consumi di energia ma, in base al cosiddetto paradosso di Jevons e al rebound effect (“una risorsa energetica, resa piu’ efficiente, e’ usata di piu’”) piuttosto a un aumento di essi. La de-carbonizzazione entro questo secolo, dunque, non esiste. E, conseguentemente, si dovranno rivedere le correlazioni, schematiche e perentorie, tra CO2 e temperatura imposte dalla dottrina del clima. 

Ben piu’ importante, nel medio-periodo, sara’ un dilemma che va insinuandosi, dietro l’immagine di facciata delle foto di gruppo di Parigi. Gli ultimi 25 anni, in contrasto con la retorica climatista, hanno registrato un aumento continuo delle emissioni di CO2. Secondo alcuni a tassi che sono i piu’ alti di sempre. Sara’ un caso che gli ultimi due decenni sono stati anche quelli di una prepotente riduzione degli indici di poverta’? E dell’ingresso, a un ritmo inedito nella storia moderna, di due miliardi di persone nel perimetro dello sviluppo? C’e’ una correlazione tra i due processi? C’e’ chi non si sente di escluderlo. E inoltre. Per i prossimi 34 anni (fino al 2050) la politica “ufficiale” del clima si propone non piu’ una “mitigazione” degli impatti emissivi ma, addirittura, un azzardato “azzeramento” delle emissioni fossili e, comunque, un loro drastico abbassamento. Quale sara’ l’effetto sociale di tale proposito? Come abbiamo visto l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni carbonifere e’, tecnicamente, irrealizzabile dal lato della generazione di energia (le fonti rinnovabili si attesteranno solo sul 30% del mix di energia e sul 40 % di quello elettrico). E allora? Il timore e’ che possa farsi strada l’idea di abbordare l’azzeramento delle emissioni dal lato, invece, dei consumi. 

C’e’ un dato piuttosto inquietante degli scenari dell’IPCC per il 2050: la scarsa considerazione e, spesso, il silenzio sul tema dei consumi energetici futuri. Qualcuno (R.Partenen & M.Korhonen, Climate Gamble) vi ha visto il gioco d’azzardo che allignerebbe nella contabilita’ energetica del climatismo ufficiale: la velleita’ e l’illusione di congelare, sul lungo periodo, i consumi di energia. Tendenzialmente la domanda di energia nel mondo aumentera’ del 37% gia’ nel 2040. La popolazione mondiale, dai 7 miliardi attuali, raggiungera’ i 10 miliardi di persone nel 2050. 

Gli scenari dell’IPCC riflettono scarsamente questo dato. Nei modelli piu’ ottimistici del club del clima si percepisce una convinzione: al 2050 la dotazione di energie rinnovabili sara’ tale da coprire, da sola, il livello attuale di consumi energetici. Appunto: il livello attuale! E che ne facciamo della domanda di energia di tre miliardi di persone in piu’ esistenti a quella data? Proiettato sulla popolazione mondiale al 2050, il livello attuale di consumi soddisfarebbe solo un terzo del fabbisogno energetico dell’unanita’. Per non parlare dei numeri diffusi nei programmi dell’ambientalismo radicale. Per Greenpeace al 100% dei fabbisogni energetici al 2050 provvederanno fonti rinnovabili (80%) e risparmio energetico (20%). 

Ma il fabbisogno ipotizzato al 2050 e’ l’attuale livello dei consumi. Vale a dire: 9 miliardi e mezzo di persone dovrebbero, necessariamente, dimezzare il consumo di energia oppure, in cambio, 3 miliardi e mezzo di persone dovrebbero rinunciare, quasi del tutto, a consumare energia e elettricita’. Il sospetto dei paesi poveri o in via di sviluppo verso le implicazioni sociali e sottosviluppiste della de-carbonizzazione e’, dunque, fondato. 

La trappola della CO2 puo’ operare, effettivamente, come un fattore di freno dello sviluppo: nell’impossibilita’ tecnica di sostituire le fonti fossili dal lato della generazione di energia, qualcuno immagina, follemente, di realizzare l’obiettivo dal lato dei consumi. Una prospettiva terrificante di impoverimento e di stagnazione. E una clausola dissolvente formidabile frapposta alle aspettative dei paesi in ritardo. Strano che questo sospetto sociale e malthusiano della retorica della de-carbonizzazione sia sfuggito alla Chiesa della Laudato si. 

A Parigi, invece, nel backstage delle celebrazioni ufficiali della Cop21, la diffidenza sociale e la preoccupazione del gamble stagnazionista si e’ fatta avvertire: con il nulla di fatto sulle ipotesi di massiccio ricorso alla tassazione del carbonio; con il rifiuto dei paesi poveri di aderire, sin da oggi, a impegni troppo vincolanti sulle emissioni future; con lo stesso ridimensionamento lessicale della de-carbonizzazione nei documenti ufficiali; con la richiesta di massicci trasferimenti verso I paesi poveri. La talpa del revisionismo climatico sembra aver iniziato a scavare.

Scritto da Umberto Minopoli per Il Foglio 6 Gennaio 2016