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2016/04/08

CHI FINANZIA IL TERRORISMO?


Pasqua di sangue per i cristiani morti a Lahore, in Pakistan, vittime già dimenticate – insieme a molti musulmani – di una violenza cieca ed assurda. Il moltiplicarsi degli attentati nel mondo e la presenza dell’ISIS in molti paesi pone però anche il problema a livello internazionale su chi e come si finanzia il terrorismo. 

In questo senso se l’Italia è stata per ora immune da attentati di grande visibilità vi sono però indizi dell’esistenza di focolai terroristici in Italia, in particolare a Milano, che dovrebbero far riflettere non solo gli specialisti di finanza nei servizi segreti italiani. 

Come sottolinea da tempo Giuseppe Pennisi in una serie di interventi su “Avvenire”, “Formiche” e “Sussidiario” si sa che l’economia “sommersa” è una delle fonti privilegiate del terrorismo in Europa (e in Italia in particolare, a ragione dell’ entità del sommerso nel Pil). Quando il terrorismo era di matrice Al-Qaeda, si parlò a lungo di un fenomeno poco studiato: la micro-finanza del terrorismo che spesso si annida in una rete articolata e molto diffusa dietro il paravento di fondazioni e associazioni islamiche ufficialmente a scopo caritatevole. 

Ciò non vuol dire che tutte le moschee sono ruscelli che alimentano il fiume del terrorismo, ma che spesso attorno alle moschee più radicali si sviluppano fonti di finanziamento singolarmente forse modeste, ma che rappresentano un sostegno importante per una rete disseminata sul territorio. Le fonti principali erano e sono però ancora i Paesi arabi, “amici” (anche se formalmente alleati con l’Occidente) che supportano queste fondazioni (a volte in quanto integralisti, a volte perché sotto ricatto). In questo senso – sottoliea ancora Pennisi - la riunione annuale della World Islamic Banking Conference (l’ultima si è svolta lo scorso dicembre a Manama, capitale del Bahrain), è una sede importante di raccordo in cui tra una preghiera e l’altra e tra un tè e l’altro, si parla d’affari. 

L’associazione conta ben 32 istituzioni bancarie islamiche e da anni è sede dei più importanti organismi internazionali per lo sviluppo della finanza islamica nel mondo: l’Aaoifi, che promuove standard unici per i principi contabili e di governance per le banche che seguono la sharia; il Lmc che sviluppa un mercato interbancario islamico; l’Iifm dedicato alla integrazione di un mercato di capitali del mondo islamico. Alla riunioni non mancano banchieri e consulenti finanziari occidentali, esclusi però dalle sessioni a porte chiuse dedicate agli “impegni” per le fondazioni “culturali” (e non solo) di proselitismo e di difesa dei valori della sharia.

Già dieci anni fa un documento dell’amministrazione finanziaria degli Stati Uniti sui capitali all’estero della rete terroristica avrebbe documentato che una buona parte dei 3 miliardi di dollari appartenuti al Governo di Saddam Hussein già depositati in banche estere soprattutto in Siria, Libano e Giordania sono finiti non si sa dove e che queste risorse finanziarie erano state accantonate sia per il supporto alla guerriglia in Iraq sia per finanziare il terrorismo. 

Molte cose nel frattempo sono cambiate: il Califfato dispone oggi di riserve petrolifere e di greggio destinato al mercato nero in Occidente e in Estremo Oriente. Quindi è abbastanza autosufficiente per le proprie esigenze “statuali” (chiamiamole così) e per le forze armate. Inoltre, le “cellule” sparse in Europa operano con “terrorismo lowcost”. Si stima che la strumentazione terroristica per gli attentanti a Parigi abbia avuto un costo di 20.000 euro e quella per gli attentati a Bruxelles di 15.000 euro; li si finanzia con la questua nelle moschee (un crowfunding terroristico), con lo spaccio di droga e con il “pizzo” in certi quartieri (come potete immaginare anche a Bruxelles...). 

Un campo relativamente nuovo e di grande interesse è quello dell’analisi economica dell’impiego di kamikaze reclutati tra giovani cresciuti in ambiente occidentale oppure “occidentalizzato” (i palestinesi nati e diventati adulti in Israele) dove giovani musulmani esaltati, cresciuti negli Usa o in Europa oppure nelle aree più occidentalizzate del Medio Oriente, lo compiono non per andare in un Paradiso (in cui spesso non credono affatto), ma per sconfiggere il nemico in una guerra millenaria in cui l’intrusione occidentale avrebbe, agli occhi loro e dei loro maestri, tolto il primato economico, scientifico e culturale dell’Islam. Lo scontro con le libertà, la democrazia e il mercato rende più acuta la decisione di commettere gesti estremi come il suicidio-eccidio. 

Ciò spiega la scelta di terroristi istruiti (oltre che probabilmente laicizzati) per le missioni più importanti. Attenzione: il suicidio-eccidio è contrario al Corano dove si prescrive che l’uomo non deve uccidere “neanche una formica” e la “guerra santa” è consentita unicamente per la riconquista e difesa dei “luoghi sacri”. Il kamikaze o è imbevuto di eresia, ossia di un’interpretazione distorta del Corano, oppure considera il suicidio-eccidio come strumento di una guerra laica tra civiltà necessariamente in forte contrapposizione. Dobbiamo renderci conto che il contenimento del terrorismo è un “dovere pubblico internazionale”, che non può essere fornito da un solo Paese e di cui beneficia tutta la comunità mondiale.

Dopo le risoluzioni Onu anche Siria e Libano hanno dato la loro disponibilità a operare di concerto con il resto del mondo per bloccare i soldi del terrore. Ciò implica vigilare su conti sospetti di “cellule” terroristiche dovunque esse siano ma questo significa anche una necessaria e ben maggiore vigilanza bancaria. 

Si sente spesso questa frase in tempi di lotta al terrorismo:

Anche se non tutti i musulmani sono terroristi, la gran parte dei terroristi sono musulmani.

Sappiate che si tratta di una frase del musulmano saudita Abdel Rahman al Rashed che all’epoca dell'intervista di Oriana Fallaci era direttore della televisione Al Arabiya e futratta da un suo editoriale e riportata nel libro “Oriana Fallaci intervista se stessa – L’apocalisse”.

2016/03/25

Terrorismo


La realtà è che davanti al terrorismo non abbiamo risposte, non abbiamo risorse, non abbiamo una strategia, non sappiamo che cosa fare. 

La nostra mentalità non capisce il terrorismo, non lo ammette: ci sembra incomprensibile, violento, barbaro, indiscriminato, assurdo scatenare un terrore che non ha logica e se la prende con inermi. In passato in Italia abbiamo avuto periodi bui, bombe rosse e nere con attentati e vittime, ma erano piccoli gruppi di fanatici senza radici e che infatti furono sgominati.

“Questo” terrorismo invece ha ora diffuse complicità internazionali, l’alibi di una religione, ha assoldato kamikaze e finanziamenti senza fine, è cresciuto ormai “dentro” l’Europa dove ha tessuto una rete che gode di omertà, appoggi, simpatie diffuse tra centinaia di migliaia di persone, sicuramente minoranza tra milioni di musulmani europei, ma in crescita esponenziale e virtualmente senza controlli.

Possiamo difendere mille punte sensibili ma è impossibile difenderli tutti. Una bomba in un centro commerciale scatenerebbe il caos e non puoi controllare chiunque entri in un locale, posteggi un’auto o trasporti una borsa. La stessa presenza dei terroristi-kamikaze ha rovesciato la questione: come puoi immaginare che chi ti sta di fianco in quell’istante vuole uccidersi ed ucciderti con lui? Una barriera invalicabile di mentalità, lingua, religione, abitudini, stato sociale che innalza fatalmente nuovi muri e scava distanze.

Non ci sono risposte per un’Europa che si trova in questa situazione anche perché ha perso ideali, anima, volontà di riscossa, unicità di intenti. E’ attaccata perché debole, divisa, attonita, impreparata: non condivide indagini, intelligence, priorità. Abbiamo perso? Sicuramente sì, ma forse possiamo giocare ancora qualche pedina se evitassimo il buonismo inutile e – non siamo forse in guerra? – se si avesse finalmente perlomeno il coraggio di prendere decisioni comuni. Non è possibile che la polizia belga francofona non parli invece con quella fiamminga, che a Bruxelles non si sappia su che cosa si indaghi a Parigi, che uno dei terroristi di martedì era stato preso in Turchia otto mesi fa, estradato in Olanda o in Belgio ma poi comunque rilasciato. 

Ma non si può anche continuare ad ammettere migranti senza identificazione, senza prendere e pretendere (anche “a forza”!) le loro impronte digitali. D'altronde se ciascuno di noi va all’estero deve mostrare un passaporto e chi non ce l’ha deve comunque essere identificato in modo certo: vale per tutti!

Ritorna fortemente il concetto che certamente non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani e allora o arriva una risposta corale, limpida, conclamata, veemente dalle comunità islamiche europee (e non arriva mai, e è grave: anche a novembre in Italia fu flebile e impercettibile) di dissociazione e di protesta o servono leggi nuove, rigorose, adatte alle necessità. Limitazioni religiose, di culto, di espressione? E’ un concetto che fa a pungi con il diritto, ma se siamo in una emergenza tutti i musulmani devono sentirsi coinvolti e responsabili: non è possibile avere pericolose zone d’ombra o dare coperture dove si inseriscono singoli criminali che tali restano, anche se si ammantano di fanatismo religioso. 

E’ tardi perchè ormai in Europa sono troppi? Certo, ma se non fermiamo il flusso o lo regoliamo sarà sempre peggio e definitivamente vinceranno “loro”. Se io, cristiano, comincio a ammazzare la gente la polizia forse non mi arresta e con me i miei complici o fiancheggiatori? 

Il punto è che può integrarsi chi lo vuole (e sicuramente molti lo vogliono) ma quando si rifiuta l’integrazione e anzi l’essere “diversi” diventa un titolo di merito all’interno di una comunità religiosa guadagnandosi il paradiso ammazzando il prossimo, quale deve essere la nostra risposta? Credo che come minimo debba anche esserci la possibilità di detenzioni preventive, identificazioni immediate, espulsioni “vere” e non solo formali, senza ritorno. Se sono vere le cifre di centinaia di militanti ISIS in giro per l’Europa occorrono misure di emergenza fatalmente discriminanti, ma in fondo di legittima difesa.

Vale più una limitazione alla libertà o il rischio di centinaia di morti ammazzati? Purtroppo “loro” vogliono distruggerci, non ragionano, non discutono: odiano. Noi NON dobbiamo odiare, mi ripugna farlo, ma dobbiamo pur prendere atto di quello che avviene e allora - come cittadini italiani ed europei - dobbiamo cercare di difenderci e in questo senso la prevenzione, il controllo, le verifiche su chi arriva sono indispensabili. Non volerlo fare, dimenticare, minimizzare è complicità al nostro suicidio.

2016/03/12

COME SI DISTRUGGE LA DEMOCRAZIA




Snaturare i referendum e le “primarie” significa uccidere un sistema più moderno e diretto di democrazia, impedire alla gente di esprimersi e costringerla a rimanere sempre più dipendente dai vertici di partito allontanando i cittadini dalla politica partecipata e impedendo che possano esprimersi direttamente sulle persone e le questioni importanti.

E’ un discorso serio e complesso ma che va affrontato perché gli italiani non sono più degli elettori analfabeti o ideologizzati e sono sempre di più quelli che volta per volta vogliono distinguere il valore delle singole persone e sui temi etici scelgono di testa propria, senza essere condizionati - come una volta - dai vincoli e dalle indicazioni di partito.

Il REFERENDUM PROPOSITIVO (e non solo abrogativo) sarebbe un sistema eccellente e democratico per sentire il parere degli elettori, ma va tenuto su temi etici chiari o importanti, su “linee di indirizzo” che il Parlamento dovrebbe poi osservare varando leggi conseguenti, non umiliando il sistema referendario che si sta riducendo solo a pareri su questioni di nessun interesse. 

Vi sembra logico spendere centinaia di milioni di euro per votare il 17 aprile sul “Divieto di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Esenzione da tale divieto per i titoli abilitativi già rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della vita del giacimento” ? A parte la grammatica claudicante non si capisce nulla della questione e come potrebbero mai i cittadini comuni esprimere un parere sensato su una materia così tecnica? 

Alla fine voterà meno del 20% degli elettori, non si raggiungerà il quorum e quindi il referendum sarà nullo, ma intanto si saranno buttati tempo e denaro. 

Aspetti che non sfiorano una Magistratura sofista che riesce a cancellare tutte le questioni vere per ammettere il voto solo questioni del tutto marginali e questa insensibilità di Magistrati in ermellino la dice lunga sul perché dei problemi del nostro paese. 

Oltretutto il prossimo referendum ha aspetti surreali: la mia regione non si affaccia neppure sul mare, quindi su cosa mai dovrei votare? 

E cosa volete capiscano del quesito gli italiani residenti in Australia o in Argentina, pure loro chiamati a queste dispendiosissime elezioni? (Già, votano anche loro!)

Ma perché i cittadini non dovrebbero piuttosto esprimersi su ben altre questioni, tipo se vogliono o no una repubblica presidenziale, se condividono la nuova legge elettorale, se accettano la porcheria delle liste bloccate con l’eliminazione del Senato. Oppure, perché non si vota sulla eliminazione delle regioni a statuto speciale, il federalismo fiscale, la riduzione dei parlamentari, la responsabilità dei magistrati, le coppie di fatto ecc.ecc. 

Questi sì che sarebbero temi “di indirizzo” importanti e che una nuova Costituzione dovrebbe poi recepire, non un semplice “si” o “no” a un testo costituzionale già preconfezionato – come saremo chiamati a votare in autunno - dove ci sono ovviamente cose buone e meno buone ma che fatalmente diventerà uno scontro politico pro o contro Renzi, pro o contro il PD e quindi non terrà conto della sostanza? 

Una Costituzione deve durare nei decenni, che senso ha il “prendere o lasciare” su un testo votato da un Parlamento tra l’altro delegittimato (perché dichiarato incostituzionale il sistema elettorale che lo ha eletto) e per di più da parlamentari che spesso hanno cambiato bandiera passando da uno schieramento all’altro solo nella speranza di auto-conservarsi?

Ancora più incredibile che per il referendum costituzionale non servirà neanche il “quorum” (che ci vuole invece per le trivelle in Adriatico!) ovvero basterà una minoranza per decidere per tutti e così cambiare la Costituzione: ma vi sembra logico?

LE PRIMARIE sono un altro sistema per permettere di individuare candidati a sindaco graditi agli elettori, ma quello che sta succedendo è semplicemente vergognoso, sia a destra che a sinistra. 

Eppure le primarie sarebbero utili visto che con l’attuale sistema elettorale amministrativo il sindaco dovrebbe avere un ruolo sganciato dai partiti che invece vogliono condizionare ogni aspetto della vita comunale e quindi è importante avere dei candidati che rappresentino la realtà del corpo elettorale..

Ma le PRIMARIE fatte così sono assurde con il PD si sta auto-massacrando cadendo nel ridicolo e è triste vedere il maggior partito italiano che a Napoli sia in evidente collusione con gentaglia che ne falsa il risultato, mentre a Roma migliaia di schede bianche vanno e vengono dai conteggi solo per dimostrare una falsa partecipazione al voto un po’ meno scarsa della desolante realtà. 

Non che a destra si stia meglio: Berlusconi le “primarie” non le ha mai volute, a nessun titolo e a nessun livello, ma il suo “voglio – posso - comando” ha ormai fatto il suo tempo, anche se lui evidentemente non se ne rende conto. 

Anche per questo milioni di elettori restano poi a casa sconfortati, prendendo atto di contare meno di una zoccola che passeggi dalle parti di Arcore.

Nel caos e senza regole condivise tutti si inventano allora le consultazioni “fai da te” con risultati scontati in stile Corea del Nord, ricorsi, candidati sconfitti che corrono comunque per conto proprio. Risultato? Spappolamento degli schieramenti, moltiplicazione dei candidati e nessuna loro vera credibilità. 

Non solo, nei piccoli centri si è scoperto che chi si candida a sindaco - anche prendendo pochi voti e sapendo in partenza di perdere - ha comunque più possibilità di diventare almeno consigliere comunale e quindi di fatto ovunque è tutto un fiorire di auto-candidature.

Un gioco generale al massacro che alla fine premia marginalmente i partiti d’opinione che possono candidare chiunque sapendo che con la loro quota di voti “politici” possono sperare di andare al ballottaggio e poi magari addirittura vincere perché tra i pochi che votano al secondo turno, sempre di meno, prevale l’antagonismo del “contro” (tipo che chi è di destra vota Grillo per far perdere il PD, e viceversa). 

Risultato? Candidati di poca credibilità e nessuna capacità, crisi senza fine delle istituzioni e lenta agonia della democrazia. Sono cose di cui tutti ci accorgiamo ogni giorno, ma sembra che non ci sia più nessuno che veda queste cose e abbia un minimo di contatto con gli italiani normali.

CI STANNO FREGANDO, SAPPIATELO