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2017/01/16

Botta di Sale!


Foto di Roberto Boccaccino

Potevano scendere a dorso di mulo verso il mare con i sacchi carichi di zolfo e ritornare a casa con il sale. Oppure potevano arrampicarsi sulle montagne, seguire controcorrente il corso del fiume e approvvigionarsi in cima. Possedere un mezzo di trasporto, in quel caso lo "scecco" - asino in siciliano - faceva la differenza fra un morto di fame e un benestante.

Un tempo quella polvere bianca era come l'oro, era moneta di scambio, duemila anni fa i soldati romani venivano pagati con quella. Le parole hanno sempre una loro storia e "salario" deriva proprio da sale.

Anche quel fiume che attraversa la Sicilia nel suo cuore più profondo porta un nome che racconta il territorio: Salso, salato. Passa dentro canyon da brividi di bellezza dalle parti di Capodarso, trasporta se stesso sporco di sale e poi di zolfo, le caverne che abitavano le montagne al centro dell'isola.

Più su, un agglomerato di case dove vivevano gli schiavi delle "pirere", le miniere, era tanto arsa e piena di vulcanelli da prendersi il nome di Terrapelata.

Ma quella in alto in alto, a Petralia tra le vette delle Madonie palermitane, era quasi irraggiungibile e sembrava una cattedrale. Poi c'erano e ci sono ancora le altre due, a Realmonte e a Racalmuto, dall'altra parte, nella provincia agrigentina. Realmonte che in Canada è Montreal, in Messico Monterrey, a Palermo semplicemente Monreale.

Racalmuto, il paese di Leonardo Sciascia, ulivi e viti in superficie, un grande teatro sotterraneo fatto di sale. Ce n'era un'altra ancora di miniera di salgemma, a Pasquasia, fra Enna e Caltanissetta. Diventata famosa ma non per le sue naturali sculture abbaglianti ma per vicende di mafia - sub appalti e caporalato - e per voci ricorrenti che la davano scelta come pattumiera di scorie radioattive provenienti da mezza Italia.

La Sicilia e il sale. Le gallerie di Petralia e i mulini a vento di Mozia, le collinette bianche davanti all'isola di Favignana, mare e montagna. Il sopra e il sotto. Ma è soprattutto il sopra che nasconde segreti di milioni e milioni di anni fa, almeno cinque. Il Mediterraneo che si tramuta all'improvviso, la salinità delle sue acque che cambiano, i sollevamenti tettonici provocati dalla placca calabra e da quella africana, le erosioni, i terremoti: ecco da dove è uscita la meraviglia del sale di Petralia. 

È unico in tutta Europa, un capolavoro a 1100 metri di altezza. Quaranta e passa chilometri di cunicoli, un labirinto, viscere, ignoto, l'odore della terra in fondo alla terra, percorso stregato. Ancora oggi con dentro i suoi "perforatori" che hanno il compito di fare i buchi nei fianchi della montagna, con i "fochini" che poi devono caricare l'esplosivo e metterlo abilmente nei fori, con i "disgaggiatori" che si mettono lì a scrollare pazientemente le parti di sale che neanche la dinamite riesce a buttare giù, con i "palisti" che riempiono con i loro bulldozer il sale sui camion in attesa fuori dalla miniera.

Non ci sono più "scecchi" e bisacce, né selle e speroni. Ma ruspe, autoarticolati, giganteschi vagoni. Il miglioramento, l'evoluzione, la tecnologia. Resta il prodigio delle figure e delle forme, le polveri, il bianco che acceca. Resiste un po' di tradizione nella lingua. I siciliani non dimenticano mai il senso delle parole. 

Si diceva una volta e si dice ancora oggi: botta di sale. È una sorta di macumba isolana, un maleficio ma che ormai è di poco conto ma trae origini da un'espressione più cruda e violenta. Originariamente era una vera maledizione: botta di sangue, cioè augurare tutto il male possibile a qualcuno e in qualche caso la morte sul colpo. Addolcita nel corso dei decenni, botta di sale - una sostanza tutto sommato innocua e bella da vedere - viene tutt'ora utilizzata al posto di "accidenti" o "mannaggia". O qualche volta anche per auto-colpevolizzarsi. Botta di sale, ma cosa ho fatto?



2017/01/15

ALITALIA le radici del fallimento!

Anche il ministro Calenda sostiene e dichiara - come Padoan – cose sante a proposito della Alitalia che da tanti anni è in agonia e ci va giù senza mezzi termini “I dirigenti non sono all’altezza”. Chissà cosa ne pensa il presidente dell’ex compagnia di bandiera, Cordero di Montezemolo, l’onnipresente tuttologo manager parapubblico (o “paraculato”) che passa da un buco industriale all’altro, ma sempre ricevendo interessanti prebende. 

Poi Calenda insiste “Ma non devono pagare i dipendenti”. Giusto se si intendono i poveracci avventizi, un po’ meno per la crosta dorata di tanti (troppi) dipendenti e dirigenti che – come per esempio tanti piloti – hanno ricevuto per decenni stipendi super pur lavorando molto meno dei concorrenti. 

Mentre Alitalia fallisce le altre compagnie aeree hanno intanto superato le crisi e volano alla grande. Dire oggi, per esempio, che Alitalia soffre “per la concorrenza dei low-cost” è ovvio, ma era previsto e sta nelle logiche di mercato, eppure mentre le altre compagnie si sono adeguate Alitalia sprofonda nel baratro.

La crisi Alitalia ha nomi e cognomi anche per le scellerate scelte su rotte e aerei da utilizzare che hanno distrutto una Compagnia da sempre peraltro idrovora di fondi pubblici. Così i numeri sono inequivocabili: a Dubai – per esempio solo dalle 3 alle 4 del mattino - partono in un’ora 21 voli intercontinentali, da Malpensa solo una decina in 12 ore. 

Emirates ha 3 voli giornalieri su Milano sempre pieni, Alitalia ha cancellato l’unico collegamento che aveva, salvo poi piangere per le maxi-perdite. 

L’esempio di Malpensa è infatti un classico esempio di incompetenza ed assurdità, hanno ucciso l’unico vero aeroporto intercontinentale del Nord Italia subito dopo averlo costruito e solo per folli visioni romanocentriche del traffico aereo. Qualcuno pagherà? Non credo, ma certo, pagano e pagheranno tutti gli italiani visto che la “privata” Alitalia in realtà è in mano alle banche che poi vedono di fatto regolarmente ripianati i propri disastri dai risparmiatori e dallo stato. 

E il gioco dell’oca ricomincia, mentre i “dirigenti incompetenti” (parola di ministro) passano da guidare i treni a far volare gli aerei, dalle società partecipate pubbliche ai cantieri, dai telefoni alle autostrade.

Vi stanno fregando, è giusto che lo sappiate.

2017/01/13

Hygge



Viviamo tutti sotto stress, costretti a fare tante cose contemporaneamente, spesso sgradevoli, siamo ansiosi e tristi. Eppure basterebbe ripensare alle priorità della vita,e tentare di vivere al meglio, con il metodo Hygge, secondo le proprie possibilità, con sano realismo, ma anche con determinazione e magari un po’ di entusiasmo. Hygge non è un'idea, è una parola che i danesi, il popolo più felice del mondo secondo il Rapporto Mondiale della Felicità stilato ogni anno dall’Onu, usano da un secolo e mezzo. E che ora è illustrato e raccontato dalla danese Marie Tourell SΦderberg nel suo libro Il metodo danese per vivere felici, Hygge, in libreria e già in cima alle classifiche nel regno Unito. 

Un modo per reagire al buio e al freddo del clima nordico, ma che può funzionare in ogni parte del mondo. “Noi ci riuniamo”, racconta SΦderberg “ci mettiamo comodi e cerchiamo di trarre il meglio dal freddo e dall'oscurità. Aspiriamo al comfort e al nutrimento per l'anima nelle relazioni, nell’ambiente e negli alimenti”. Un metodo che può essere facilmente esportato ovunque perché è uno stile di vita in cui cerchi e trovi gioia nelle piccole cose: la casa, la bellezza, la tranquillità, i bambini, gli affetti, valori comuni a tutti, in ogni parte del pianeta. Hygge, una piccola parola quasi intraducibile che però si potrebbe descrivere con intimità, accoglienza, calore.

Per essere Hygge è necessario riflettere su cosa ci fa veramente stare bene, in testa la capacità di creare sempre e in ogni luogo l’ambiente migliore in modo di accogliere al meglio se stessi, familiari e amici e predisporli alla serenità. Il libro di Marie Tourell SΦderberg, non è un manuale, ma una descrizione del modo di vivere danese, ricco di fotografie e suggerimenti semplici ed efficaci: come cucinare tutti insieme, come condividere gli spazi ideali, come predisporre una tavola conviviale, in breve come godersi la vita, in città e in compagnia. 

Va da sé che, nei momenti Hygge, l’ideale è spegnere computer e cellulari, connettersi solo con chi ci è accanto ed essere realmente in quel luogo in quel momento, predisposti all’ascolto reciproco e alla gioia. Più facile a dirsi che a farsi. Ma tentare si può. “L'erba del vicino non è più verde, negli Stati Uniti, in Italia o in Scandinavia “, conclude Sodenberg “ma è più verde dove si innaffia”.

Che cosa vuol dire vivere Hygge e come riuscirci?

Hygge è la sensazione di un momento piacevole trascorso in buona compagnia. Si verifica quando si è in grado di essere presenti nel momento, quando ci si sente soddisfatti e a proprio agio. Hygge spesso c'è quando si sta insieme a persone che conosci molto bene; persone con le quali puoi essere aperto e sincero. Quando non c'è bisogno di fingere di essere qualcosa diverso da quello che sei.

Hygge è un modo di vivere in cui cerchi e trovi gioia nelle piccole cose. Andare a lavoro può diventare più hygge con una tazza di tè in mano, guardando dal finestrino. Hygge rende le cose semplici più piacevoli.
Vivere hygge significa anche dare priorità alle cose che realmente contano - stare insieme e godersi il tempo con le persone che amiamo, non mettere troppa pressione su noi stessi, il nostro lavoro e il nostro quotidiano, ma concedendoci più hygge nel fare le cose. Molti Danesi hanno scelto di avere molto hygge nella loro vita, e le loro storie ispiratrici si basano sulle cose essenziali che contano davvero.

Contro lo stress, in una parola un metodo di vita. Dove metterlo in atto? In casa, nel cibo, nel lavoro, con gli amici?
Hygge è una parola danese che i Danesi utilizzano molte, molte volte durante il giorno. La usano per descrivere le persone con cui sono, l’atmosfera, le conversazioni. E tutti sanno esattamente quali sono le qualità che rendono hygge queste cose: semplici, rilassate, autentiche, invitanti, avvolgenti, amorevoli.

Hygge non è un'idea, è una parola che usiamo da quasi 150 anni. Ma è diventato un modo per far fronte al buio e al freddo del clima nordico. Hygge è ciò che facciamo per superare l'inverno - ci riuniamo, ci mettiamo comodi e cerchiamo di trarre il meglio dal freddo e dall'oscurità. La parola e l'idea si è diffusa su tutti gli aspetti della vita quotidiana - può essere difficile mangiare in un posto che non è hyggelig, per esempio. Aspiriamo al comfort e al nutrimento per l'anima nelle relazioni, nell’ambiente e negli alimenti. E trovo che praticare hygge mi renda davvero più felice.

Decalogo sintetico per lo Hygge internazionale; come armonizzarlo con i propri usi e stili di vita.

Hygge non è una ricetta o una forma specifica - è una qualità universale che tutti conosciamo, in tutto il mondo. È abbastanza banale come le cose più belle della vita: stare seduti con un bambino appena nato e i suoi genitori a bere il caffè e non fare nient’altro che guardare il bambino. Stare con buoni amici, mangiare bene, ridendo e godendo della reciproca compagnia. Tornando a casa dopo il lavoro, fuori cade la pioggia, si scivola in abiti comodi, si accende una candela e ci si mette in un angolo con un libro e una coperta - è un sentimento universale. 

Ma avere una parola per definire tutto questo, ci rende più consapevoli nella nostra vita di tutti i giorni. "Hygge -Il metodo danese per vivere felici" è fonte di ispirazione su come trovare più hygge nella vostra vita. L'erba del vicino non è più verde, negli Stati Uniti o in Scandinavia – ma è più verde dove si innaffia! E hygge è un invito a portare nella nostra vita più cose che hanno un significato per noi. È un invito a godere di tutte le cose piccole e buone della vita – come il cibo, la famiglia e gli amici, e quando penso all’Italia, mi sembra che voi siete effettivamente molto stimolanti in questo senso. La prossima volta che verrò in Italia, non vedo l'ora di assaporare l’hygge italiana.