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2022/03/18

Prezzi e Speculazioni italiote!



Considero Mario Draghi come un premier autorevole, ma ho l’impressione che “Supermario” sia molto, troppo attento agli interessi delle grandi multinazionali prima ancora di considerare i loro effetti per i comuni cittadini italiani.
Prima gli interessi delle case farmaceutiche che si sono gonfiate con i profitti Covid senza lo straccio di un calmiere europeo, poi il tappeto rosso alle banche che hanno fregato milioni di risparmiatori, adesso i prezzi petroliferi sui quali si sta intervenendo con grandi ritardi e dopo aver permesso profitti scandalosi.

Ne avevo scritto la settimana scorsa, colpito dai silenzi ufficiali e proprio il giorno dopo si è svegliato il ministro Cingolani che ha parlato di speculazioni, truffe, extraprofitti, manco avesse letto il mio blog. Comunque Cingolani è un ministro davvero sconcertante dichiarando pubblicamente : “Non capisco come ciò sia possibile”.

Il signor ministro non capisce?! Si chiama speculazione, quella che arriva puntuale quando un governo interviene con lentezza, permettendo utili stratosferici alle multinazionali senza scrupoli ma anche alle aziende para-pubbliche che pur dovrebbero fare gli interessi dei cittadini.

Servono poco i viaggi di Di Maio in Algeria a implorare gas se la nostra diplomazia e quella europea non riescono a convincere i paesi del Golfo ad aumentare significativamente la produzione. Paesi arabi che ringraziano Putin per l’enorme regalo portato loro dalla guerra in Ucraina e non è un caso che gli Emirati Arabi si siano astenuti anche in sede di votazioni ONU a condannare la Russia.

L’altro aspetto emblematico (e speculativo) è che i prezzi sono schizzati non appena USA e Gran Bretagna hanno parlato di embargo alla Russia. Facile per questi due paesi parlarne perché hanno una quasi assoluta indipendenza estrattiva rispetto a Putin, ma lasciando nei guai tutti gli altri, ad iniziare dai paesi europei. Il problema è acuito anche dalla ipocrisia del nostro governo: il costo del petrolio incide per circa il 35% sul prezzo alla pompa, le altre componenti fiscali, IVA e accise superano invece il 50% e – soprattutto – viene oggi raffinato petrolio che non è stato acquistato agli attuali prezzi correnti, ma stoccato a prezzi molto inferiori, senza contare che tutte le imprese petrolifere si assicurano forniture a prezzi calmierati o sono contro-assicurate rispetto alle fluttuazioni del mercato.

Per avere un’idea dell’imponenza delle speculazioni che Cingolani “non capisce” basta guardare al 2013-2014 quando vi fu una fiammata mondiale dei prezzi petroliferi.
Il 16 giugno 2014 il prezzo di greggio al barile raggiungeva il prezzo-record di 112,83 dollari, prezzo che oggi – dopo una settimana di alternanti diminuzioni, ma non se ne è accorto quasi nessuno – è intorno ai 100 dollari, ma con un prezzo medio alla pompa (fonte ministeriale del 16 marzo) di 2,18 euro al litro, mentre nel 2014 la benzina toccò il prezzo-record medio di soli 1,72 euro al litro. Una differenza alla pompa di quasi mezzo euro frutto di pura e semplice speculazione che infatti – appena si è cominciato a parlarne – per incanto si è “raffreddata”.

Comunque, se rispetto a 3 mesi fa oggi il prezzo del greggio è aumentato del 30% significa che alla pompa il prezzo della benzina dovrebbe essere aumentato di non più del 10% (un terzo del 35% di incidenza del costo del greggio sul prezzo alla pompa) a parità di “guadagno” dello stato. I carburanti sono però aumentati molto di più e la differenza è tutto maggior profitto della “catena”, dove però per oltre il 50% la catena si chiama “Stato”.

Lo Stato sta quindi generando inflazione che erode i risparmi e gli stipendi “guadagnando” molto dai rincari, oltre agli strabilianti profitti di aziende para-pubbliche come ENEL ed ENI. Si parlava di tassare almeno questi extra-profitti, ma poi tutto è evaporato e non è certo una risposta rateizzare le bollette (che prima o poi vanno comunque pagate) o ridurre di un poco le accise, visti gli extra margini.

Lo stesso vale per gli aumenti dell’energia elettrica che per quasi il 40% è fornita da energia rinnovabile che non ha avuto aumenti di prezzo, eppure con la scusa dell'aumento del prezzo del gas tra IVA, accise e balzelli vari le bollette sono più che raddoppiate.

Se lo stesso governo ha imposto lo stato di emergenza, Mario Draghi deve ora dimostrare coraggio e coerenza imponendo prezzi equi e controllati per energia e carburanti.
D'altronde non c’è libera concorrenza se di fatto un cartello di produttori (e raffinatori) fissa i prezzi a proprio piacimento, in un reciproco interesse di pochi e nel disinteresse delle inutili Autority pubbliche. Draghi dimostri insomma la sua autorevolezza ed indipendenza da quei grandi gruppi economici che troppo spesso si delineando alle sue spalle e che sembrano dettare le regole del gioco con il compiacente placet di Bruxelles.

2022/03/11

Strategie italiche che ritornano!




Non credo che l’Italia compia una buona mossa strategica contribuendo ad armare l’Ucraina e – oltre ad accogliere i profughi e ad aiuti umanitari – credo sarebbe meglio inviare aiuti militari solo di carattere difensivo.

Non è dando forza militare a Kiev che si avvicina la pace, anzi, se illudiamo l’Ucraina di difenderla militarmente si sentirà più forte per combattere i russi e sarà sempre più difficile trovare un accordo.
Sia ben chiaro che è Putin l’aggressore ed il responsabile principale della crisi, ma ora serve una tregua, un armistizio, una reciproca serie di garanzie, non altre armi da impegnare sul terreno.
Aiutare l’Ucraina significa per esempio inviare cibo e materiale sanitario, ma anche “militare” di difesa passiva (giubbotti, tecnologia difensiva, tende, ospedali da campo, cucine, mezzi di trasporto) ma NON materiale bellico o munizioni e non tanto o non solo per ragioni costituzionali, ma perché in questo modo la guerra sul terreno rischia di allungarsi.
A questo proposito non mi piace l’equivoca posizione di Biden che fa il “furbo”. Vende armi e lancia proclami, ma per gli USA conta poco l’embargo energetico russo visto che vale meno del 10% dei loro consumi, per noi Europei è ben diverso con punte del 48% delle forniture di gas. Così come l’economia USA non commercia con la Russia mentre per l’Europa è un partner importante e interi settori italiani (dalla moda ai mobili, dalla alta gamma agli elettrodomestici) sono in crisi per l’embargo.

Per uscire dalla crisi ucraina servirebbe piuttosto un colpo di scena: per esempio offrire alla Russia la possibilità di nuovamente bussare in Europa.
Detto così può sembrare assurdo mentre i tank girano per Kiev, eppure sarebbe la logica conclusione di un conflitto atroce ed assurdo, ma che sta mettendo a nudo anche tutte le contraddizioni interne al regime di Putin dove la credibilità del leader penso stia crollando di pari passo all’impantanarsi della situazione.

Un’ Ucraina garantita nella sua neutralità dalla UE, una ampia autonomia alla parte russofila del paese con una striscia di sicurezza tra le parti, il libero accesso russo alla Crimea (com’è già) e - in cambio del ritiro delle forze russe in modo almeno progressivo – anche una immediata apertura europea proprio al “nemico” del Cremlino, ovviamente obbligandolo ad alcuni passi-chiave non solo sulla via della pace, ma anche dell’accettazione dei principi europei di democrazia e pluralismo.

Impossibile? E perché mai?

Entrambe le parti avrebbero solo da guadagnaci: l’Europa blinderebbe le sue necessità energetiche, la Russia ritornerebbe ad essere aperta al commercio internazionale con una garanzia dovuta di tranquillità ai propri confini tornando a guardare ad Ovest e non ad Est dove l’abbraccio della Cina è un rischio anche per loro.

La realtà di due settimane di guerra ha messo a nudo i limiti delle forze russe in termini logistici e di combattimento recitando un copione che è già più volte andato in scena. Quando una dittatura è fragile deve inventarsi un nemico esterno per tentare di cambiare le carte sul tappeto, ma significa che ha i giorni contati o almeno il fiato corto.
Nella storia è sempre stato così e forse anche Putin ha rischiato al tavolo da poker del conflitto convinto che l’Europa e la Nato non avrebbero rilanciato, ma – quando il piatto sale – è sempre più pericoloso stare al gioco e si rischia di perdere tutto. Forse lo Zar si è reso conto che alla fine il bluff rischiava di travolgerlo e soprattutto per questo ha cominciato (forse) a trattare.

Delineare almeno all’orizzonte una strategia di riapertura a Mosca sarebbe utile, anche perché l’Europa deve sinceramente ammettere di avere delle responsabilità nella crisi ucraina e non solo dopo il 2014 ma soprattutto prima. Di fatto si è tirato in lungo quando la Russia veniva incontro con il cappello in mano ad inizio degli anni 2000 ed è trascorso invano il “momento magico” in cui Mosca avrebbe forse accettato più miti condizioni e più serie riforme in cambio dell’accesso al “salotto buono” europeo. L’Europa ha aspettato troppo, ha minimizzato, ha forse pensato di vincere facile di fatto umiliando l’avversario ed è stato un disastro per tutti.

I russi li abbiamo sottovalutati e con il senno di poi è stato un errore gravissimo dimenticare la storia, la mentalità, il nazionalismo di un popolo orgoglioso ed abituato a stringere i denti nelle difficoltà e che della democrazia non ha ancora fiducia, anche perché troppe volte è più rapida la soluzione d’imperio, dentro e fuori le mura di casa.
Non commettiamo atti potenzialmente sbagliati: quanti sanno che la Russia fa parte del Consiglio d’Europa di Strasburgo? Ora è stata logicamente “sospesa”, ma forse c’è da chiedersi se non si stia chiudendo una delle poche possibilità di incontro e di confronto. In fondo anche la Russia ha diritto di esprimere il proprio punto di vista, non certo con i carri armati ma in sede diplomatica, anche perché la presenza di popolazioni russe in Ucraina è una realtà che non si può nascondere e per la quale va trovato un equo compromesso.

Già il Consiglio d’Europa ha negato l’accesso alla Bielorussia perché “antidemocratica” ma – anche qui – come si può discutere con una controparte se la si allontana e si chiudono i rapporti?
Non ripetiamo gli errori di qualche anno fa che in qualche modo hanno poi contribuito a creare il clima che ha portato alle bombe su Kiev. Non si tratta solo di ricordarci che abbiamo bisogno della Russia anche in chiave di rifornimenti energetici, è ovvio che prima dell’economia conta la libertà ed il rispetto delle persone. Per questo la critica e la censura a Putin per i suoi metodi deve essere chiara ed inequivocabile, ma poi bisogna avere la forza di almeno tentare un minimo di dialogo.

Se si apre una fiammella di pace alimentiamola e non soffiamoci sopra per spegnere tutto: una Russia più vicina è negli interessi di tutta l’Europa, oltre che per i popoli che ci stanno in mezzo e sono le vere, innocenti vittime accerchiate dalla violenza.