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2020/01/09

In memoria di un bambino



Mentre il personale tecnico dell'aeroporto Charles de Gaulle di Parigi stava facendo una ricognizione di routine sull'aereo di linea della Airfrance partito martedì sera da Abidijan in Costa d'Avorio e atterrato a Parigi alle sei di mattina di mercoledì, ha notato qualcosa di anomalo nel vano del carrello. Avvicinandosi, comprende che c'era qualcuno, immobile: era un cadavere, un piccolo cadavere.

Le comunicazioni che citano fonti della polizia francese parlano di un immigrato: "di una decina di anni". Scritto proprio cosi "d'une dizaine d'annees". La Air France invece conferma ufficialmente la morte di un "clandestino". Sembrano le parole scelte per via di una sorta di accortezza per non turbare il lettore, una specie di buon educazione per preservare dal dolore, invece é solo un orrida astuzia per gestirne il drammatico impatto mediatico, non si pronuncia la parola bambino.

È un bambino ad essere morto. Provate a immaginarvi voi stessi a dieci, dodici anni chi eravate, come eravate. Provate ad avere a tiro di sguardo un bambino di questa età ma fatelo ora in questo istante, fissatelo. Provate a pronunciare nella vostra testa che ha una dozzina d'anni e provate a descriverlo cittadino o clandestino a seconda dei documenti che presumibilmente possiede. Ora provate a misurare il disgusto che sentite per questa metrica di descrizione che avete appena usato.

Mentre scrivo ancora non si conosce il nome ne l'età precisa di questo bambino ivoriano, é facile però immaginarselo nascosto mentre scorge nella radura che circonda l'aeroporto Félix-Houphouët-Boigny di Abidijan in Costa d'Avorio, l'aereo parcheggiato in mezzo al nulla come spesso accade nelle piste africane cosi distanti dall'agglomerato di cemento presidiato. È semplice immaginarlo che corre nell'istante in cui ha intuito di non esser visto, ed è stato cosi veloce e cosi attento nel trovare il momento adatto che quando si è arrampicato sulle enormi gomme dell'aereo e poi con la sola forza delle braccia si è aggrappato al telaio rannicchiandosi nel vano del carrello, davvero nessuno si è accorto di nulla.

Ha sperato cosi di aver trovato il posto giusto per arrivare in Europa, farcela ad avere la sua possibilità di vita. Difficile capire se aveva avvertito qualcuno, se ne aveva parlato con sua madre, se era solo in quella radura o se altri non hanno avuto la sua temerarietà, la sua velocità di corsa e di slancio. Quello che sappiamo di certo é che gli alloggiamenti dei carrelli di atterraggio non sono né riscaldati né pressurizzati. Le temperature scendono a oltre -50°C tra i 9.000 e i 10.000 metri, l'altitudine alla quale volano gli aerei di linea.

Sapete cosa succede quando si é a 4mila metri? È come respirare in una busta di patatine, a 5mila inizi a non riuscire bene a muoverti, a 8 mila come dicono gli alpinisti é come correre su un tapis roulant al massimo e "respirare solo tramite una cannuccia". Poi arriva un ictus e il cuore si spacca. Oltre i 42 gradi sotto zero il corpo non riesce più a termoregolarsi così cerca di scaricare tutto il suo calore, arrivano febbre, sudorazione poi convulsioni, svenimento. Queste descrizioni non sono una fenomenologia dell'orrore ma solo un tentativo di dare prova di quello che un bambino ha provato pagando il suo sogno di volare via in Europa.

Se provassi a descriverne il terrore che deve averlo attanagliato al buio, al gelo estremo mentre spariva l'ossigeno, mentre le orecchie gli sanguinavano per la pressione verrei descritto come un buonista, un molle, un finto tenero speculatore che vuole far politica sul dolore di un bambino. In questo cinismo non annegava l'anima di questo bambino. Il sogno di volare, di volare non visti e di arrivare in Europa riempie il cuore di un bambino più di qualsiasi analisi delle possibilità reali di successo e della valutazione dei pericoli.

Volare via, trovare uno spazio di vita nuovo già immaginarsi dopo poche ore di volo di chiamare a casa dicendo che ce l'hai fatta, queste sono fantasie che riescono ad obliare ogni istinto di prudenza, a dissolvere persino la paura. Così era accaduto anche a Yahuine Koita e Fode Tounkara: avevano 14 e 15 anni quando si nascosero il 29 Luglio del 1999 in un carrello di un aereo partito da Conakry in Guinea e diretto a Bruxelles. Morirono assiderati, ma il mondo si accorse di questi due bambini perché portavano una lettera scritta a mano all'Europa

"...Signori membri e responsabili dell'Europa, è alla vostra solidarietà e alla vostra gentilezza che noi gridiamo aiuto in Africa. Aiutateci, soffriamo enormemente in Africa, aiutateci, abbiamo dei problemi e i bambini non hanno diritti...in Guinea, abbiamo molte scuole ma una grande mancanza di istruzione e d'insegnamento, salvo nelle scuole private dove si può avere una buona istruzione e un buon insegnamento, ma ci vogliono molti soldi, e i nostri genitori sono poveri, in media ci danno da mangiare. E poi non abbiamo scuole di sport come il calcio, il basket, il tennis, eccetera. Dunque in questo caso noi africani, e soprattutto noi bambini e giovani africani, vi chiediamo di fare una grande organizzazione utile per l'Africa perché progredisca..."

L'attenzione e la commozione dilagò sui media, ma nessuna politica cambiò da allora. Continuarono i tentativi di volare nascondendosi nel vano carrelli. Nel 2013 il corpo di un ragazzo sedicenne era stato trovato assiderato nel vano carrello di un aereo proveniente dal Camerun. Nel luglio del 2019 mentre un tranquillo londinese se ne stava in giardino nel quartiere di Clapham proprio dove gli aerei fanno manovra per atterrare a Heatrow ha come avuto la sensazione di un improvvisa esplosione.

Non era una bomba caduta dal cielo ma un cadavere. Su un volo Nairobi Londra della Kenyan Airways un ragazzo si era nascosto precipitando all'apertura del carrello. Negli ultimi dieci anni in Uk era già accaduto altre due volte. Il 60% della popolazione africana è sotto i 25 anni e il 40% ha meno di 15 anni. È il continente più giovane del pianeta. L'Occidente ormai senza giovani, non riesce più a comprendere le dinamiche che portano i giovani africani ad andare via a qualsiasi costo.

Spesso la vergogna più grande in Africa non è non riuscire a raggiungere un salario, a mantenere la propria famiglia, a sposarsi, ma oggi la vergogna più grande é non provare a scappare. La cancrena generata dalla politica populista risiede tutta nell'aver costretto uno dei temi più complessi del nostro tempo, l'Africa e le politiche migratorie, ad una gabbia interpretativa banalissima e ideologica. Il dibattito politico ridotto a slogan talmente meschini da aver impedito a tutti, anche a coloro che provano a smontarli, ad allontanarsi dall'approfondimento su ciò che realmente sta accadendo in Africa e su ciò che porta un intera generazione ad avere un unico obiettivo: scappare per non tornare.

Eppure non doveva andare così, le cose non sono sempre andate così. L'Africa dal 2012 é piena di tentativi politici di mutare il tragico destino a cui sembrava condannata, impedire di essere terra di saccheggio ed impedire che la classe politica corrotta scarichi ogni responsabilità solo sull'Occidente come alibi sempre utile.

Quando il movimento Y'en a Marre (Non se ne può più) senegalese aveva fatto cadere il presidente Wade oppure il Balai Citoyen del Burkina Faso che costrinse alle dimissioni Blaise Compaoré, quando Lucha in Congo, ed En Aucun in Madagascar, e anche Jeune et Fort in Camerun, e ancora Wake Up in Madagascar e Sindimujia (non sono schiavo) del Burundi, parlavano di lotta alla corruzione, di democrazia e partecipazione civile, di mettere fine ai presidenti a vita, di boicottare le politica contro le migrazioni europee, di mettere al centro la donna, di combattere le monoculture, di difendere l'ambiente.

Insomma quando questa Africa civile ha iniziato ad organizzarsi, l'Europa l'ha temuta. Spaventata dal non poter più controllare, sclerotizzata dai vecchi accordi per tutelare l'estrazione mineraria, le piantagioni, ricattata dalle imprese che non si fidavano dei nuovi movimenti e preferivano quelli che erano politici "figli di puttana" ma "i nostri figli di puttana".

Ecco l'Europa e gli Usa (in diverso modo) hanno abbandonato l'Africa lasciandola a Cina (e in diversa misura) Russia ma soprattutto lasciandola alla disperazione, se vuoi diritti e una vita dignitosa scappa. Questo bambino che deve nascondersi in un carrello aereo per raggiungere l'Europa mentre il caffè e il cacao della Costa D'Avorio viaggiano senza trovare nessun muro, nessun confine, persino spesso nessuna ispezione é il simbolo terribile dell'ignoranza del dibattito politico.

L'aeroporto da cui é partito l'aereo é dedicato al primo presidente della Costa d'Avorio che costruì alla fine degli anni 80 la chiesa più alta della terra spendendo in un Paese dove mancavano ancora scuole, impianti idrici, modernizzazione degli ospedali, circa 300 milioni di dollari, ecco questo é un altro simbolo del passato africano che ne determina il presente.

Dopo tutte le parole su questa tragedia non vi é che una cosa da fare, fermarsi e ingoiare tutte le lacrime possibili per sopportare lo schifo che siamo diventati manipolando le parole, tradendo ogni significato, compiacendoci del nostro sarcasmo con un semplice 'é stato sempre così'. 

Forse conviene solo tacere di fronte a questo bambino morto di freddo per l'unica possibilità di felicità che gli era stata data: scappare di nascosto.


Fonte: repubblica.it 

2020/01/04

Operazione verità



Sul “Corriere” di qualche giorno fa, Ernesto Galli della Loggia tracciava un quadro impietoso del nostro paese e sui diversi governi che si sono succeduti negli anni.

Giustamente chiedeva una “operazione verità” per far capire agli italiani che - se si vogliono fare cambiamenti sostanziali e positivi anche solo a medio termine - bisogna avere innanzitutto il coraggio di non raccontarsi frottole e fare sacrifici.

Ma se la prospettiva di governo e sempre solo di mesi - quando non di giorni o settimane - come è mai possibile pensare “in grande” al futuro del nostro paese? Di qui il perpetuarsi del solito tirare a campare con i vizi di sempre.

La legge finanziaria di quest’anno, fatta di ben 315 pagine costituenti un solo emendamento votato (come sempre) con il voto di fiducia e senza alcun riscontro, verifica o controllo ma semplicemente per cercare di accontentare un po' tutti è il consueto, esatto contrario di quanto sarebbe stato necessario.

Oltre a coprire nefandezze e interessi non sempre trasparenti si è cercato tra mille ingarbugli di rappezzare la casa accontentando soprattutti i vari partner della coalizione alla ricerca della loro singola visibilità quando sarebbe servito un robusto intervento sulle fondamenta.

Per cominciare finalmente a farlo bisognerebbe innanzitutto ammettere chiaramente lo stato di crisi conclamato e perenne di un Paese che da anni non vive ma sopravvive, che brucia le risorse dei figli e campa con la pensione dei nonni, che si trascina anno dopo anno la palla al piede di un aumento dell’IVA offerto come folle garanzia verso un’Europa che - quando è momentaneamente “amica” come quest’anno - chiude entrambi gli occhi sul maggior deficit mentre se è politicamente “nemica” impone il rigore e ci strozza con lo spread.

La seconda grande verità è che il nostro paese ha rinunciato ad avere una propria linea politica ed economica ed è in mano ad una finanza internazionale che formalmente si traveste e si dichiara di "sinistra ecologica ed illuminata"mentre è spesso invece espressione del più gretto ed avido capitalismo, strutturato per sfruttare il mondo e miliardi di esseri umani.

Siamo sempre più deboli, l’ombra della quinta o sesta potenza economica di un tempo con i nostri marchi che sono stati venduti, in un paese che sopravvive grazie soprattutto a una miriade di piccole e medie imprese spesso rallentate nella loro crescita per ridotto peso politico.

Campagne demagogiche mondiali (dal clima alla gestione delle risorse naturali) mostra facciate perbeniste di forma, in un continuo depistaggio intellettuale soprattutto sul come affrontare le priorità planetarie.

La successiva ed amara grande verità è che le radici stesse del Paese sono in crisi. Se 258.000 laureati e diplomati si sono in questi ultimi tempi trasferiti all’estero (in realtà sono molti di più, questi sono solo quelli che per l’ISTAT hanno cancellato ufficialmente la propria residenza italiana) una ragione ci sarà, ma provvedimenti, zero. E’ amaro girare il modo e rendersi conto che l’Italia non ha sbocchi, futuro, prospettive anche perché non vuole sciogliere il nodo di ammettere di essere anello debole di un sistema economico di controllo mondiale.

Se riforme vanno fatte - e vanno fatte !! - allora bisogna avere il coraggio non di sbaciucchiare tutti ma di assumersi l’impopolarità delle scelte e questo vale per chiunque governi.

Scelte di risparmio, di rigore, di tagli di spesa effettivi, di priorità finanziabili: non servono slogan ma fatti. Vale per tutti i campi dove bisogna avere la forza di decidere. La scelta di combattere l’evasione, per esempio, con uno massiccio uso delle carte di credito è e resta ottima, ma allora costringendo le banche ad azzerare le commissioni o nessuno le userà. Se non c’è la forza e la volontà di farlo lo si ammetta in anticipo, basta ipocrisia, rinvii, mezze verità.

Servono scelte, priorità, decisioni e soprattutto di non buttare tutto e sempre in caciara, vedere la punta del dito e mai la luna nel cielo. Sacrifici? Certo che vanno fatti, ma alzi la mano chi li vuole fare sul serio se non sempre a spese del prossimo e così non si comincia mai.

Tutto è provvisorio ed emendabile, mai definitivo, ci si accapiglia sulle sciocchezze e non sulle cose serie. Per esempio non c’è più una posizione italiana credibile nel mondo, men che meno un po' di coraggio.

Guardate in questi giorni la situazione in Libia: arrivano perfino i turchi e noi - che avevamo rapporti (e interessi) importanti con la nostra ex colonia - siamo completamente fuori gioco.

D'altronde uno come Di Maio è assolutamente impreparato al ruolo di gestire una politica estera, ma nessuno pensa che rischiamo gli approvvigionamenti energetici nazionali e non siamo sul teleschermo partecipando a “Scherzi a parte”

Alla base di tutto c’è il dilettantismo, l’impreparazione, l’ Italietta dei soliti “furbi” (o che si credono tale) che fa ridere il mondo e i nostri presunti alleati.
Alla fine non siamo più partner credibili a livello europeo e mondiale, sia a livello economico che militare e strategico,

Per salvare il Paese occorrerebbe subito una classe politica scelta per merito, professionalità, capacità personale. Caratteristiche che non ci saranno mai se non si cambia subito il sistema elettorale e conta poco se il governo sia di destra o di sinistra purchè venga costituito da persone serie e che abbiano davanti cinque anni “certi”, cementati da una solida e coesa maggioranza parlamentare. Esattamente il contrario della situazione odierna.

So di parlare nel deserto, ma se in tanti cominciassimo a chiedere le stesse cose, costi quel che costi, forse si potrebbe cominciare a far cambiare qualcosa,

2020/01/01

La Cina è vicina... al crollo finanziario




Più che i "cigni neri", eventi rari e imprevedibili, il Partito comunista teme i "rinoceronti grigi", pericoli noti ed evidenti, come i grandi mammiferi cornuti, ma che rischiano di essere ignorati fin quando non è troppo tardi. La montagna di debito complessivo della Cina, che ha superato il 300% del Pil, è uno di questi bestioni, e nonostante le autorità comuniste stiano già da anni cercando di contenerla il pericolo è tutt'altro che scongiurato. Anzi, nelle ultime settimane i segnali di allarme si moltiplicano: banche locali che fanno crack, l'indebitamento delle famiglie a livelli record, quasi il 100% del reddito disponibile, un aumento dei default delle imprese, perfino quelle di Stato un tempo considerate al sicuro da ogni tempesta.

Per il momento non si tratta ancora di un'emergenza. Un'asta di titoli di Stato per 6 miliardi di dollari conclusa con successo dalla Banca centrale lo conferma. Eppure lo stress finanziario rende molto più stretta la strada del governo, nel momento in cui l'economia cinese sta rallentando in maniera brusca. Un tempo a frenate di questo tipo la leadership rispondeva varando mega stimoli, ora né la Banca del popolo né il governo sembrano intenzionati a rovesciare soldi dall'elicottero: sciogliere le briglie della politica monetaria o di quella fiscale rischierebbe di far crescere ancora l'indebitamento, incentiverebbe bolle speculative e spingerebbe aziende e famiglie a spendere oltre le loro possibilità. 

I rischi finanziari in questo momento non si concentrano tanto a livello centrale, di debito pubblico, quanto alla periferia dell'Impero. Secondo un recente rapporto della Banca del popolo, dei 4.400 prestatori attivi in Cina, 586 sono classificati ad "alto rischio". Si tratta soprattutto di piccoli operatori locali, distributori di contanti che alimentano i sogni di espansione delle aziende e le ambizioni di carriera dei funzionari provinciali. Negli ultimi mesi il governo è dovuto intervenire per nazionalizzare Baoshang bank, semi sconosciuto istituto della Mongolia Interna, poi ha coordinato un salvataggio di altri due operatori, Jinzhou e Hengfeng. A inizio novembre i correntisti di due banche, una dello Henan e una del Liaoning, si sono precipitati agli sportelli per prelevare i loro risparmi, dopo aver sentito di indagini che riguardavano i manager. Solo l'intervento delle autorità ha impedito il collasso, ma in un Paese privo di trasparenza e revisori indipendenti i dubbi sulle reali condizioni delle banchette di provincia restano enormi.

La autorità hanno annunciato che costringeranno gli istituti in difficoltà a puntellarsi, ricapitalizzando, fondendosi e tagliando i crediti deteriorati. È un intervento coerente con l'imperativo della stabilità, in questo caso finanziaria, messo in primo piano da Xi Jinping. Solo che la stretta sul credito voluta dal presidente cinese è anche uno dei fattori, se non il principale, alla base del rallentamento dell'economia. Molte aziende, soprattutto quelle private, senza sponde politiche, faticano a finanziarsi o rifinanziarsi (il loro debito complessivo è al 165% del Pil), proprio mentre i profitti si riducono. Il numero dei default cresce: a inizio dicembre hanno raggiunto i 17 miliardi di dollari, superando il totale del 2018. E tra le imprese che non riescono più a onorare i debiti alcune sono di Stato: mercoledì scorso il gruppo Tewoo, specializzato nel trading delle commodities, ha annunciato che non potrà ripagare un bond da 300 milioni di dollari, proponendo ai sottoscrittori una conversione in perdita, quello che in termini tecnici si chiama "haircut".

È una clamorosa prima volta per un'azienda di Stato, status che fino a oggi offriva la garanzia, implicita ma non per questo meno reale, di un salvagente anti crisi. Ora il messaggio del governo sembra essere diverso: non tutti potranno essere sostenuti. In teoria è un segno di maturità del sistema, in pratica rischia di trasformarsi in un terremoto, considerato che nell'economia cinese il rischio creditizio non è mai stato davvero prezzato dal mercato.

Per Xi e i suoi consiglieri economici dunque i prossimi mesi si annunciano un complicato gioco di equilibrismo tra contenimento del debito e stimolo alla crescita. Da condurre con aggiustamenti quotidiani e cercando di evitare contraddizioni, per quanto possibile. Nei giorni scorsi il governo ha ordinato alle province di procedere all'emissione di bond per finanziare le infrastrutture, anticipando le quote previste per i primi mesi del prossimo anno. Nuovo debito per evitare una frenata troppo brusca, ma nuovo debito che sarà sempre più difficile onorare in un'economia dalla produttività stagnante. Con il rinoceronte grigio prima o poi Pechino dovrà fare i conti.