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2020/07/24

Il tramonto del petrolio


I loro bilanci non quadrano più. All’Algeria serve che il prezzo del greggio Brent, uno standard internazionale per il petrolio, aumenti fino a 157 dollari al barile. All’Oman serve che arrivi a 87 dollari. Nessun produttore arabo di petrolio, con l’eccezione del minuscolo Qatar, può far quadrare i suoi conti al prezzo attuale, che si aggira attorno ai 40 dollari al barile.

Alcuni paesi stanno perciò prendendo provvedimenti drastici. A maggio il governo algerino ha dichiarato di voler dimezzare le spese. Il nuovo primo ministro dell’Iraq, uno dei principali produttori di petrolio, vuole tagliare i salari pubblici. L’Oman sta avendo difficoltà di accesso al credito dopo che le agenzie di rating hanno classificato il suo debito come spazzatura. Il deficit del Kuwait potrebbe raggiungere il 40 per cento del pil, il livello più alto del mondo.

Il covid-19 ha fatto precipitare il prezzo del petrolio ai minimi storici perché le persone hanno smesso di spostarsi per limitare la diffusione del virus. Con la ripresa dei commerci il prezzo è risalito, anche se potrebbero volerci ancora anni per registrare un picco nella domanda.

Un assaggio del futuro

Non c’è da illudersi però. Le economie globali si stanno allontanando dai combustibili fossili. A causa della sovrapproduzione e della crescente competitività delle fonti di energia più pulite, il petrolio potrebbe continuare a costare poco anche nel prossimo futuro. Il recente sconvolgimento nei mercati petroliferi non è un’aberrazione, ma un assaggio del futuro. Il mondo è entrato in un’epoca di prezzi bassi e le regioni più colpite saranno il Medio Oriente e il Nordafrica.

I leader arabi sapevano che i prezzi del petrolio alle stelle non sarebbero durati per sempre. Quattro anni fa il principe ereditario Mohammed bin Salman, che di fatto governa l’Arabia Saudita, ha presentato un piano chiamato Vision 2030 che aveva l’obiettivo di emancipare la sua economia dal petrolio. Molti paesi vicini hanno la loro versione di questo piano. Tuttavia “il 2030 è diventato il 2020”, dichiara un consulente del principe. I proventi del petrolio in Medio Oriente e Nordafrica, che produce più liquido nero di qualsiasi altra regione, sono crollati secondo l’Fmi da più di mille miliardi di dollari nel 2012 a 575 miliardi di dollari nel 2019. Quest’anno i paesi arabi dovrebbero guadagnare circa 300 miliardi di dollari dalla vendita del petrolio, una cifra che non basta nemmeno a coprire le loro spese. Da marzo hanno tagliato, tassato e preso in prestito soldi. Molti stanno bruciando riserve di denaro liquido che avrebbero dovuto finanziare le riforme.

A soffrire saranno anche i paesi non produttori, che per lungo tempo hanno fatto affidamento sui vicini petroliferi per far lavorare i loro cittadini. In alcuni paesi le rimesse dei lavoratori all’estero costituiscono fino al 10 per cento del pil. Il commercio, il turismo e gli investimenti hanno contribuito in una certa misura a diffondere la ricchezza. E tuttavia, rispetto ad altre regioni, il Medio Oriente ha una proporzione di giovani disoccupati tra le più alte al mondo. Il petrolio ha foraggiato economie improduttive, supportato regimi detestabili e attirato interferenze indesiderate dall’estero. Perciò non è detto che la fine di quest’epoca sarà disastrosa se stimolerà riforme che diano vita a economie più dinamiche e a governi più rappresentativi.

Spese eccessive

Di sicuro ci saranno delle resistenze. Partiamo dai produttori di petrolio più ricchi della regione, che possono affrontare nel breve periodo i prezzi bassi. Il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti possiedono enormi fondi sovrani. L’Arabia Saudita, la più grande economia della regione, ha riserve di valuta estera per un valore di 444mila miliardi di dollari, sufficienti a coprire due anni di spese al ritmo attuale.

Questi paesi però sono stati colpiti duramente dalla pandemia, oltre che dall’abbassamento dei prezzi del petrolio. E per molto tempo hanno speso troppo. A febbraio, prima che l’epidemia di coronavirus esplodesse nel Golfo, il Fondo monetario internazionale prevedeva che i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) – Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – avrebbero esaurito i loro duemila miliardi di dollari di riserve entro il 2034.

Da allora l’Arabia Saudita ha speso almeno 45 miliardi di dollari delle sue riserve liquide. Se continuerà a spendere a questi ritmi per altri sei mesi, l’aggancio del rial saudita al dollaro andrà in sofferenza. La svalutazione colpirebbe i redditi reali in un paese che importa praticamente tutto. I funzionari sono preoccupati. “Ci troviamo davanti a una crisi come il mondo non ne ha mai viste nella storia moderna”, afferma il ministro delle finanze Mohammed Al Jadaan.

Il regno saudita aveva sperato in un aumento del turismo religioso e ricreativo. Oggi quella speranza è una fantasia

Nel tentativo di mettere in ordine i conti, l’Arabia Saudita ha sospeso un’indennità per il costo della vita riconosciuto ai dipendenti statali, ha aumentato il prezzo del carburante e ha triplicato l’imposta sulle vendite. Nonostante queste misure, il deficit di bilancio quest’anno potrebbe superare i 110 miliardi di dollari, pari al 16 per cento del pil. Potrebbero arrivare altre tasse, magari sulle imprese, sul reddito o sulla proprietà terriera. Un aumento delle tasse però potrebbe deprimere ulteriormente il commercio, azzoppato dal tentativo di contenere il coronavirus.

Il regno aveva sperato che un aumento del turismo religioso e ricreativo avrebbe almeno in parte compensato il declino dei proventi del petrolio. Oggi quella speranza appare una fantasia. La città santa della Mecca è chiusa agli stranieri da febbraio. Nel 2019 il pellegrinaggio annuale aveva attirato nel paese 2,6 milioni di pellegrini; quest’anno il limite massimo è stato fissato a mille. “Il regno è bloccato dalla stessa dipendenza dal petrolio da cui dovrebbe tirarsi fuori per sopravvivere”, afferma Farouk Soussa della banca Goldman Sachs.

Ritorno nelle piazze

Eppure, secondo alcuni lo sconvolgimento negli stati produttori di petrolio ha un lato positivo. I paesi del Golfo producono il petrolio più economico del mondo, perciò si preparano ad acquisire delle fette di mercato se i prezzi continueranno a restare bassi. Con la fuga degli stranieri, gli abitanti potrebbero occupare i loro posti di lavoro. E le lotte che serpeggiano nella regione potrebbero convincere alcuni paesi ad accelerare sulle riforme. Le agenzie di rating lodano l’aumento delle tasse in Arabia Saudita come un passo per trasformare un’economia basata sulla rendita in un’economia produttiva. Per riscuotere entrate fresche i leader arabi parlano di un’ondata di privatizzazioni. Il regno ha annunciato di recente la vendita del più grande impianto di desalinizzazione del mondo a Ras al Khair. Al momento però gli investitori sembrano più orientati a far uscire tutti i loro soldi dalla regione.

Un declino prolungato dei prezzi del petrolio manderà ulteriormente in sofferenza anche paesi arabi che non estraggono questa materia prima

Nel frattempo monta la rabbia dell’opinione pubblica. I sauditi si lamentano delle nuove tasse, il cui peso ricade soprattutto sui più poveri. “Perché Mbs non tassa i ricchi?”, si lamentano i disoccupati sui social, riferendosi al principe Mohammed con le sue iniziali. “Perché non vende il suo yatch e non si mette a vivere come noi?”, chiede una madre di quattro figli nel nord del paese, dove il principe sta costruendo altri palazzi. In Iraq funzionari governativi adirati per i tagli dei salari hanno espresso il loro sostegno a un movimento di protesta che sta cercando di rovesciare l’intero sistema politico. In Algeria, dove il reddito pro capite è sceso da 5.600 dollari nel 2012 a meno di quattromila dollari oggi, i manifestanti stanno tornando nelle piazze. I governanti della regione non possono più permettersi di comprare la lealtà dell’opinione pubblica.

Le proteste sono già ricominciate in Libano, dove la pandemia aveva momentaneamente sospeso mesi di manifestazioni contro la corruzione e un’economia al collasso. Il Libano non è un produttore di petrolio (anche se spera di diventarlo). La sua crisi, che quest’anno potrebbe vedere una contrazione superiore al 13 per cento del pil, è stata provocata dalle conseguenze di un ordine economico postbellico eccessivamente dipendente dai servizi e da un settore finanziario sproporzionato. Tuttavia il crollo economico del Golfo ha peggiorato le cose. Un declino prolungato dei prezzi del petrolio manderà ulteriormente in sofferenza anche paesi arabi che non estraggono questa materia prima.

Contratto sociale stravolto

Le rimesse dai paesi ricchi di risorse energetiche sono un’ancora di salvezza per l’intera regione. Più di 2,5 milioni di egiziani, quasi il 3 per cento della popolazione del paese, lavorano in paesi arabi che esportano molto petrolio. Per altri paesi le cifre sono ancora più alte: il 5 per cento per il Libano e la Giordania, il 9 per cento per la Palestina. I soldi che mandano a casa costituiscono una parte considerevole delle economie dei loro paesi d’origine. Al crollo dei proventi petroliferi farà presto seguito il crollo delle rimesse. Ci saranno meno posti di lavoro per gli stranieri e salari più bassi per quelli che trovano lavoro.

Questo determinerà uno sconvolgimento del contratto sociale in paesi che hanno fatto affidamento sull’emigrazione per assorbire cittadini senza lavoro. L’Egitto forniva un tempo manodopera non qualificata al Golfo. Negli anni ottanta più di un quinto dei suoi migranti che sgobbavano in Arabia Saudita era analfabeta. Oggi la maggior parte ha un’istruzione secondaria e la quota di laureati è raddoppiata. L’Egitto oggi fatica a contenere l’epidemia di covid-19 in parte perché non ha un numero sufficiente di medici: dal 2016 ne sono emigrati più di diecimila, molti nei paesi del Golfo.

Un eccesso di laureati senza lavoro è la ricetta ideale per l’esplosione di disordini sociali

Se le opportunità negli stati produttori di petrolio diminuiranno, molti laureati potrebbero non emigrare più. Tuttavia i loro paesi d’origine non possono offrirgli un buon tenore di vita. I medici in Egitto guadagnano appena tremila sterline egiziane (circa 164 euro) al mese, una piccola parte di quanto guadagnano in Arabia Saudita o in Kuwait. Un eccesso di laureati senza lavoro è la ricetta ideale per l’esplosione di disordini sociali. A questo si potrebbe aggiungere un flusso di concittadini costretti a rientrare in patria al termine dei loro contratti di lavoro. Molti non vorrebbero farlo, poiché emirati come Dubai e Qatar offrono non solo posti di lavoro ben retribuiti ma anche servizi di prima classe e un sistema di governo relativamente onesto. Secondo un sondaggio di Gallup pubblicato a gennaio, solo il 10 per cento dei migranti egiziani nelle aree più ricche del Golfo vuole tornare nel suo paese.

Anche gli affari ne risentiranno. I produttori di petrolio sono anche grandi mercati per altri paesi arabi. Nel 2018 hanno assorbito il 21 per cento delle esportazioni dall’Egitto, il 32 per cento dalla Giordania e il 38 per cento dal Libano. Le aziende possono naturalmente cercare altri partner commerciali. Già adesso l’Egitto esporta di più in Italia e in Turchia che in qualsiasi paese arabo. Tuttavia le cose che vende in questi paesi – prodotti derivati dal petrolio, metalli e prodotti chimici – tendono a creare pochi posti di lavoro per gli egiziani. I paesi nella regione acquistano una quantità maggiore di merci ad alta intensità di lavoro, come prodotti agricoli, tessili e beni di consumo. Più della metà dei televisori esportati dall’Egitto finisce nei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo. L’industria farmaceutica giordana, che genera più del 10 per cento delle sue esportazioni complessive e sostiene decine di migliaia di posti di lavoro, invia quasi tre quarti delle sue esportazioni nei paesi arabi produttori di petrolio. Paesi del Golfo ridimensionati e impoveriti avranno molti più consumatori a bassa capacità di spesa.

Avranno anche meno turisti ricchi. In Libano i turisti provenienti da tre soli paesi – Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – rappresentano un terzo di quanto speso in totale dai turisti. La maggior parte dei turisti in Egitto proviene dall’Europa, ma i turisti del Golfo si fermano di più e spendono più soldi nei ristoranti, nei bar e nei centri commerciali. Questi paesi possono cercare altrove fonti di guadagno, ma sarà difficile sostituire i turisti ricchi nel cortile di casa. I sauditi trascorrono l’estate al Cairo o a Beirut perché queste città sono vicine, familiari da un punto di vista culturale e parlano la loro stessa lingua. È improbabile che sloveni o singaporiani facciano lo stesso.

Un incidente storico

In un certo senso gli stati del Golfo sono diventati snodi di potere e influenza nel Medio Oriente per un mero incidente storico. Per secoli sono state aree isolate che si sostentavano grazie ai pellegrinaggi e al commercio delle perle. A governare la regione erano le grandi capitali arabe dell’antichità: il Cairo e Damasco hanno combattuto contro Israele e hanno guidato le rivendicazioni del nazionalismo arabo. Beirut era lo snodo finanziario e culturale.

Per queste antiche potenze, oggi in declino, il rapporto con i nuovi arrivati è improntato a un certo disagio. In una registrazione trapelata nel 2015 il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi si prendeva gioco della ricchezza del Golfo. Diceva a un consigliere di chiedere ai sauditi dieci miliardi di dollari in aiuti finanziari, una richiesta accolta con una risata. “E perché? Scoppiano di soldi”, replicava Al Sisi con un battuta. Erano stati abbastanza generosi con il paese, seppure in modo selettivo. Dopo il 2013, quando Al Sisi ha rovesciato un governo islamista eletto dal popolo, Kuwait, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti avevano concesso all’Egitto aiuti per un valore di circa 30 miliardi.

Molti stati arabi un tempo supportati da Riyadh o Abu Dhabi, adesso sembrano pessimi investimenti


La leadership sunnita in Libano è stata a lungo cliente degli stati arabi. Rafik Hariri, che ha guidato il paese dopo la guerra civile, ha fatto fortuna come appaltatore in Arabia Saudita. Suo figlio Saad, che ha ricoperto a sua volta la carica di primo ministro, ha la cittadinanza saudita. Il Ccg ha salvato la Giordania dalla bancarotta due volte nell’ultimo decennio.

Negli ultimi anni però i finanziamenti hanno cominciato a esaurirsi. In parte questo è avvenuto per controversie di carattere politico. Dal punto di vista di Riyadh o Abu Dhabi, molti stati arabi che un tempo supportavano, adesso sembrano pessimi investimenti. I sauditi sono frustrati dal rifiuto di Al Sisi di mandare truppe a sostegno della loro nefasta invasione dello Yemen e il giovane Hariri si è mostrato troppo tollerante nei confronti di Hezbollah, la milizia sciita in parte sostenuta dall’Iran. La diminuzione della loro prodigalità riflette d’altro canto la diminuzione dei loro patrimoni. L’Egitto non riceve più soldi da anni. Nessuno dei paesi del Golfo sembra disposto a salvare dalla bancarotta il Libano. Nel 2018 la Giordania ha dovuto implorare di ricevere un pacchetto di aiuti di 2,5 miliardi di dollari in cinque anni dai paesi del Golfo, metà di quello che aveva avuto nel 2011. Non si tratta di sviluppi necessariamente negativi: molti arabi apprezzerebbero una minore influenza straniera nei loro paesi. Le pressioni finanziarie sui loro governi già indebitate però aumenteranno.

Pechino ha un ponte da vendere

Potrebbe anche prefigurarsi un cambiamento più ampio nella politica della regione. Per quattro decenni gli Stati Uniti hanno seguito la “dottrina Carter”, che prevedeva l’uso della forza militare per mantenere la libera circolazione del petrolio nel golfo Persico. Con il presidente Donald Trump, tuttavia, la dottrina ha preso a vacillare. Quando lo scorso settembre missili da crociera e droni di fabbricazione iraniana hanno colpito alcune strutture petrolifere saudite, Washington non ha quasi battuto ciglio. Le batterie di missili di difesa Patriot inviate nel regno qualche settimana dopo sono state già ritirate. Fuori del Golfo, Trump si è impegnato ancora meno, ignorando del tutto il caos in Libia, dove la Russia, la Turchia gli Emirati Arabi Uniti (tra gli altri) si stanno contendendo il controllo.

Un Medio Oriente meno centrale nella fornitura globale di energia sarà un Medio Oriente meno importante per gli Stati Uniti. La Russia potrebbe subentrare per riempire il vuoto, ma i suoi interessi regionali sono limitati, così come la sua determinazione a mantenere il suo porto sul Mediterraneo a Tartus, in Siria. Non vuole – e probabilmente non può – mettere in campo uno scudo di sicurezza che comprenda la penisola araba. La Cina ha cercato di restare fuori dalla politica regionale, perseguendo unicamente benefici economici: contratti di costruzione in Algeria, concessioni portuali in Egitto, un’ampia gamma di accordi nel Golfo.

Tuttavia, con il progressivo impoverimento degli stati arabi la natura del loro rapporto con la Cina potrebbe cambiare. Questo sta già accadendo in Iran, dove le sanzioni statunitensi hanno soffocato i proventi del petrolio. I funzionari del paese stanno discutendo un accordo di investimenti di lungo periodo in base al quale aziende cinesi potrebbero costruire di tutto, dai porti alle telecomunicazioni. Viene presentata come “partnership strategica” ma i suoi critici temono che potrebbe portare la Cina a controllare le infrastrutture che costruisce, come fa già in alcuni paesi asiatici e africani indebitati. Il declino dei prezzi del petrolio potrebbe imporre questo modello agli stati arabi e forse complicare ancora di più ciò che resta dei loro rapporti con Washington.

Se chiedete ai giovani arabi dove vorrebbero vivere è molto probabile che sceglieranno Dubai, che secondo il 44 per cento di loro, in un sondaggio del 2019, era il luogo ideale dove emigrare. Definiscono spesso la loro ammirazione facendo paragoni con i loro paesi. Con tutte le sue pecche, Dubai (e i suoi vicini) offrono qualcosa di insolito nella regione: i poliziotti sono onesti, le strade sono ben asfaltate, l’elettricità non subisce interruzioni.

Mentre crolla l’economia, in Libano tutti parlano di emigrazione. Tuttavia nel Golfo ci sono pochi posti di lavoro. “Dubai è sempre stata una via di fuga”, dice una donna. “Adesso è come se fossimo in trappola, senza un piano di riserva”. Gli stessi timori accomunano i giovani in tutta la regione. Quasi dieci anni dopo che un fruttivendolo tunisino ha acceso la miccia della primavera araba, le frustrazioni che l’aveva provocata non sono sparite. La fine dell’era petrolifera potrebbe portare a un cambiamento. Prima però porterà dolore.

2020/05/09

La Cina si allontana



Dobbiamo affrontare seriamente il problema dei rapporti con la Cina sia per quanto riguarda gli aspetti commerciali e strategici sia per capire come sia nato ed evoluto il Coronavirus. Questo non solo per delineare le eventuali responsabilità cinesi, ma soprattutto per il nostro futuro visto che è l’ennesima epidemia che “parte” dalla Cina, segno evidente che qualcosa lì non funziona.

Non mi interessano le spy story ma i fatti, ed è per questo che la comunità internazionale dovrebbe avviare una indagine seria su cosa sia successo e sui protocolli esistenti per capire perché eventualmente non siano stati osservati.

Un’indagine che cominciano a chiedere con sempre più insistenza non solo gli USA ma anche India, Australia, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Germania ma non l’Italia che – soprattutto da quando comanda il M5S – sembra nutrire un inspiegabile sudditanza psicologica nei confronti di Pechino.

Non si può andare avanti con il silenzio: com’è possibile che Wuhan abbia visto migliaia di morti e praticamente nessuno sia stato invece registrato nelle altre megalopoli cinesi, a cominciare dalla capitale? Il virus girava già dall'autunno come sembra e perchè comunque poi due mesi di silenzio, con settimane cruciali perse per allertare il mondo nel tentativo di minimizzare se non di nascondere tutto, addirittura arrestando i medici che denunciavano l’epidemia?

Se il 27 dicembre in Cina era già stato sequenziato il genoma del virus, perché Pechino ha allora fornito successivamente dati falsati e fuorvianti, perché è stato ignorato dall’OMS l’allarme ufficialmente lanciato da Taiwan già a dicembre?

La realtà è che nessuno sa cosa effettivamente sia successo in Cina, quanti siano stati veramente i morti e i contagiasti, la nostra TV mostra solo immagine “concesse”, la corrispondente Rai da Pechino, l’ineffabile Giovanna Botteri (quella tutta scarmigliata che sembra non si cambi mai il solito golfino nero da settimane)  sproloquia di tutto – comprese le polemiche con Trump - ma non può (o non vuole) girare nelle strade. E’ questa la nostra libertà di informazione o siamo succubi di quel che vuole "passi" Pechino?

Non credo all’ipotesi del virus “voluto” e non so se sia credibile la sua volontaria nascita in laboratorio, ma ho visto di persona le condizioni igieniche schifose nei mercati cinesi in una promiscuità agghiacciante e tollerata.

Che Pechino non voglia ispezioni e controlli non va bene, dovrebbe essere l’OMS a pretenderle con forza, ma qui salta fuori l’altro aspetto della medaglia ovvero l’infiltrazione pesante della Cina comunista in tutte le organizzazioni internazionali. L’Occidente scopre solo ora che da anni Pechino semina, sfrutta, convince, compra cariche e interi paesi approfittando della tacita distrazione mondiale.

Trump potrà esservi antipatico e sembrare a volte un fuori di testa, ma ha capito bene che il silenzio generale permette alla Cina di continuare ad espandersi senza regole e senza freni in tutti i campi – compreso lo sfruttamento ambientale, guarda caso così dimenticato dalle Greta di turno - e questo grazie al completo controllo interno e l' incredibile connubio tra comunismo, statalismo e sfrenato capitalismo da libero mercato.

Per esempio è assurdo che Taiwan resti fuori dall’OMS nonostante i suoi avanzati risultati medici e la sua importanza: Non solo gli USA ma ora anche Canada, Australia, Giappone e tanti altri stati (ovviamente non l’Italia) ne chiedono il ritorno (ne faceva parte fino al 2016), ma è Pechino che evidentemente comanda.

Anziché prendere in giro Trump chiediamoci perché gli USA abbiano taciuto per anni – per esempio durante le presidenze Obama - nei confronti della Cina e vedremo che, alla fine, il grande business economico e finanziario è accentrato in poche mani, con solide radici nei Democratici USA ovvero quelli che sono direttamente collegati ai grandi poteri finanziari che controllano il mondo, Soros e multinazionali  in testa.

Ma torniamo all’Italia: perché questo silenzio, perché quell’ ochetta di Di Maio non vuole capire la pericolosità del gioco? Comincio a pensare che sotto sotto ci siano interessi economici molto stretti tra Cina, Casaleggio, M5S che ci rendono sempre di più una colonia diplomatica cinese, una testa di ponte di Pechino in Europa e questo non va bene, non è logico, è davvero pericoloso.

Uscendo dalla superficialità il dibattito politico dovrebbe incentrarsi anche su questo aspetto strategico con atteggiamenti chiari e concordati.

Certo bisognerebbe però per lo meno capire i rischi queste politiche: Di Maio ne è in grado? Sintetizzava bene Marcello Veneziani nei giorni scorsi:

“Nella cupola mondiale che detiene il potere mediatico e tecno-finanziario, prevale una priorità: sollevare la Cina dalle sue colpe sul contagio e puntare sul crollo di Trump. È un messaggio continuo che si compiace di sottolineare le difficoltà degli USA e collegarle a ogni gaffe di Trump. In lui si avversa non solo l’egemonia americana quanto il modello populista-sovranista. Abbattendo lui, si pensa, si abbatte il sovranismo diffuso.

Ma oltre Trump le valutazioni poi si dividono: perché una parte vorrebbe restare ancorata al mondo liberal d’Occidente, agli USA politically correct, alla Obama, per capirci. Mentre un’altra parte confida nella Cina o perlomeno giudica utile che il potere globale della Cina bilanci quello statunitense e tenga sotto scacco quello di Putin. Da noi, il partito grillino coincide col partito cinese, da Di Maio a Di Battista, a Grillo; e una parte della sinistra lo segue, in odio a Trump, per amor di capitalismo di stato, ma anche perché filocinese dai tempi di Prodi, poi i gesti di Zingaretti & C, per aprire ai cinesi nonostante l’epidemia. Sullo sfondo risale la tentazione di un comunismo 2.0, un comunismo 5G, maocapitalista, tecnologicamente evoluto, dal controllo capillare e dal reddito universale di cittadinanza per i servi della gleba, anzi servi della global, intesa come globalizzazione. “Il modello italiano” sbandierato per affrontare il virus è in realtà il modello cinese gestito all’italiana.”


2020/04/17

Un grande e brutto pasticcio all'italiana



Ci stiamo avvitando in caduta libera, ma rispetto a quando mi lanciavo da giovane col paracadute stavolta non c’è neppure quello di emergenza. Serve programmare ed attuare subito – con le dovute cautele e verifiche – una immediata ripartenza produttiva.

Troppi annunci del Premier si trasformano in delusioni e gente non all’altezza sta portando l’ Italia a un doppio disastro, sia interno che nei riguardi degli altri paesi europei dove la ripresa è già cominciata.  

Polemico? Davvero non vorrei, ma ditemi voi come si può scrivere un decreto dove, per indicare il tasso cui fare riferimento per un finanziamento alle piccolissime imprese, anziché chiaramente dire 1% (oppure 1,5% o 2%) si debba testualmente scrivere: (art.13) “Il soggetto richiedente (la banca) deve applicare al finanziamento garantito (all’azienda) un tasso di interesse… che tenga conto della copertura dei soli costi di istruttoria e di gestione dell’operazione finanziaria non superiore al tasso di Rendistato con durata residua da 4 anni e 7 mesi a 6 anni e 6 mesi, maggiorato della differenza tra il CDS banche a 5 anni e il CDS ITA a 5 anni così come definiti dall’ accordo-quadro per l’anticipo finanziario  a garanzia pensionistica di cui all’art.1, commi da 166 a 178 della legge 11 dicembre 2016 n. 232, maggiorato dello 0.20% … ecc.”

Il CDS sta per Credit Default Swap che cambia ogni mese (come il CDS ITA) e per calcolarlo si fa riferimento alla piattaforma (privata) Markit. Il punto è che neppure su questa piattaforma c’è un indicatore medio, perché l’interesse applicabile va poi calcolato per il rating e l’operatività di ogni singola banca.

I fondi disponibili, tra l’altro, coprono le necessità di una minima parte dei presunti richiedenti l’aiuto. 

Ma i ministri che approvano un decreto come questo, capiscono cosa ci sta scritto? E se non lo capiscono (come credo, visto che non lo comprendono neppure i tecnici finanziari) perché allora lo approvano, e cosa ci stanno a fare? 

Fin qui per le piccolissime imprese, ma tutte le aziende con giro d’affari oltre i 100,000 euro e fino a 499 dipendenti (il grosso della produzione, insomma) non avranno condizioni preferenziali  perché i tassi sui finanziamenti richiesti, secondo il decreto, andranno poi discussi in “trattativa di libero mercato” tra banca e azienda con affidamenti, tempi, interessi, saldo delle garanzie, procedure, modulistica da definire volta per volta. Quindi non è vero che i soldi saranno concessi a tasso vicino allo zero ma a molto, molto di più (“di libero mercato”, appunto) e in una trattativa tra banca e un'azienda che magari ha già l’acqua alla gola, secondo voi chi vince?

Eppure le banche si possono finanziare a tasso sotto lo zero con la BCE.

Quindi – in definitiva – il decreto di Conte favorisce le banche, non le imprese!

In quanti l’hanno capito dentro e fuori il governo e quanti cittadini lo possono capire, se c’è una continua informazione raffazzonata, supina e tendenziosa? 

Ma come si può pretendere che con queste pantomine l’Italia possa mai uscire dalla crisi più devastante di sempre? Ma perché - anziché chilometriche comparsate di Conte e dei suoi “tecnici” in TV (ormai un esercito tra esperti, commissioni, comitati, istituti superiori, tavoli, tavoli tecnici e task force) - non si chiariscono piuttosto queste cose e soprattutto non si scrivono norme chiare, semplici, veloci, inequivocabili?  

Eppure le norme dell’Agenzia delle Entrate per chiarire il differimento dei termini  fiscali occupano 44 pagine e ben 150 pagine la prima bozza ministeriale per “la semplificazione (!) e l’accelerazione degli investimenti in materia di opere pubbliche”.

 I numeri sottolineano bene la drammatica realtà e la spasmodica necessità di non affogare: in pochi giorni ben 105,727 imprese hanno chiesto ai prefetti di “aprire in deroga”. Di queste - a ieri - 2,296 domande erano state respinte, ma le altre lavorano (o cercano di lavorare) in regime di “silenzio-assenso”: quante siano poi effettivamente quelle in regola o meno, nessuno lo sa.  

2020/04/14

LOTTERY WINNERS: 19 THINGS TO DO WHEN YOU WON THE JACKPOT!


Maybe you?

Our whole life is a lottery, nothing is already written and entrusted to the book of your life, every small step forward is a carefully thought out choice by everyone. But also no, it could also be a choice to live the day.
Whether it is the case that decides for us, or luck, everything must be properly weighted to get the maximum possible.

If you are one of the lucky ones who have recently enjoyed a brazen and blind luck, here is a list of what you will need to do to conserve the capital over time and not lose it too soon. If instead you have not won but hope that sooner or later it will happen to you, read this article, it will help you not lose everything too quickly. Enjoy the reading.

STEP 1: Sign your lottery ticket

If your win is in the form of a ticket, the first step you need to take from the start is to sign the winning ticket. Indeed, a lottery ticket is a bearer title, which means that whoever signs the ticket and presents an ID card or passport can claim his winnings. This practice is not very well known and yet if you have not signed the ticket and lose it, you will have no way of recovering your due.

STEP 2: Stay anonymous

Stay anonymous if circumstances allow. Once the people around you know that you are suddenly wealthy, you will be harassed by requests for association, friends you haven't seen for a long time, car and boat sellers, not to mention all of them. saying "financial experts" who will come to you to "sell" their "products" without putting in place any real coherent investment strategy. You can therefore dodge all these problems by remaining anonymous.

STEP 3: It is urgent to wait before the big expenses

Avoid sudden changes in your lifestyle. During the first six months, do nothing definitive, like quitting your job, buying a big car, moving to a big house, even if the temptation is strong. Schedule major purchases for later.

STEP 4: Pay off all your non-performing debts

Pay all your non-performing debts, there is no better investment! Whether it is your car, consumption, work or principal residence loans, your net rate of return is equal to the interest rate on your financing. With increasingly low financial returns today on conventional investment products (bank investments etc...), paying off your debts is a great idea.

On the other hand, if you have productive credits, for example for real estate investments, be careful not to repay too quickly, because the loan interest is deductible and with a marginal tax bracket rising sharply, you risk giving back to the tax more than 50% of your income. To be studied on a case-by-case basis.

STEP 5: Build a team of Independent Consultants

In such situations, it is very difficult to know who is trying to scam you and who is trying to seriously help you build a stable and efficient wealth in terms of income. Rather than signing your eyes closed with a single financial advisor who risks selling you only "products" and not investments, I recommend that you choose the best lawyers, accountants, wealth management advisers and notaries for them. force to work together. Before describing your financial situation, be certain of everyone's references and do not hesitate to contact some of their customers to verify.
Indeed, the team that you put together around the table will function like the board of directors of a large group. Nothing prevents you from setting up an investment plan with a good advisor and then asking your advisor team for validation. I have been offering this type of operation for several years to my important clients, because in addition to avoiding abuse, this operation makes it possible to use the skills of each of the professionals in an optimal manner, which is never too much especially for technical arrangements (SCI, Holding, etc.)

STEP 6: Train yourself in wealth management

One of the best ways to avoid mistakes and find the best opportunities is to train yourself in wealth management. This area includes financial investments, real estate, financial management, taxation, wealth creation and transmission and other exciting areas. By following a suitable training, which can sometimes take 2 to 3 years, you make sure you make the right choices. Today, we must be aware that with a heritage of only 1 million euros, some manage to generate revenues of 7 to 8,000 euros per month without touching the capital, while others can squander this amount. in less than 2 years… for a low or zero result in the end. Imagine what you can do with several million euros. For this, investing 7 to 10,000 euros in training is often an excellent investment.

STEP 7: Invest prudently

It is important to put your earnings in a safe place in the short term and then ask your team of advisers to put in place a well-balanced heritage. An investment portfolio cannot be improvised, avoid overly speculative investments (stocks) or debts (bonds, funds in euros), unless you have a clearly defined investment strategy, a money management system (preservation of capital) and a crash strategy. Don't fall for investments that you don't understand or that seem too good to be true.

STEP 8: Avoid all risk-free finance

I can already hear you say: "I put it all in the bank, in guaranteed euro funds, and I only live on interest"!
Great idea on paper, but bad idea in fact!
Let me explain. To believe what the banker tells you is to believe a carpet merchant on the quality of the carpet! This is a bit excessive, but in fact the first thing to consider when receiving a large sum is what is called "money management", it is about managing and preserving your capital.
By investing in funds in euros, you invest in bonds, that is to say debts of over-indebted countries like France, Italy, Spain, etc. The risk of loss is not zero, France has already gone bankrupt 8 times in its history. A debt may be blocked at first, then canceled a few years later as was the case with Russian loans.
Financial savings are not an investment
On the other hand, financial savings are a placement, not an investment. Rather than go on any investment, it is better to choose "investments", real and tangible assets that generate cash flow and therefore regular income.

STEP 9: Don't put all your eggs in one basket

You know this rule on diversification of course. But be careful, sometimes, we believe that there are 3 or 4 different baskets and it is actually the same. For example, you diversify between Europe stocks, US stocks, emerging stocks, bonds, euros funds and other FCP; in the event of a crash, all your values ​​will go in the same direction, the financial markets are correlated with each other, so watch out for false diversification!

STEP 10: Avoid intensive diversification

It is important not to invest the whole in the same place, as we have just seen, but be careful not to fall into the opposite excess. If you spread yourself apart, management risks becoming very complex and above all ineffective. Choose tangible real assets (real estate, forest, shops, gold, etc.) rather than dispersing your assets on investment “products” that will not protect you in the event of a banking crisis, stock market crisis or systemic crisis (monetary system and financial). Intensive diversification therefore remains to be avoided.

STEP 11: Live with a budget set in advance

Especially if you are not used to having a lot of money, it is important to maintain a certain budgetary discipline to preserve your earnings and avoid the buying spree. One way to hold back is to live only on the income generated by your investments. Today, you will need a lot of capital to generate net income and if you start by attacking your capital, the great story may turn sour. Learn how to manage your starting capital, this is called Money Management. Also favor the cash flow to the consumption of your capital.

STEP 12: For your cash savings, choose at least 3 or 4 banks

Note that cash savings stored in a bank are debts, not assets. Saving is not an investment in general, keep only what is necessary for current operation (purchase of car, household appliances, etc.)
Open several bank accounts so as not to be dependent on a particular bank, and do not hesitate to use certain alternative payment sites for your internet purchases; thanks to online payment, some sites offer services comparable to banks.

STEP 13: buy no products or debts, only assets

A "product" (banking product) is a packaged investment, decorated with a lot of marketing, which always seems a good idea on paper, but it is often difficult to determine the real risks of this type of investment. Please note, some "products" such as guaranteed euro funds are actually debts!
Debt is not the best investment!
So know how to differentiate a debt from an asset. Funds in euros, money market funds, bonds, bond funds are made up of 100% debt.
A bank account is also a debt!
When you deposit your assets in the bank, the bank gives you a claim in the form of a piece of paper. The money is gone, but the bank admits you owe a certain amount. This is what happened in Cyprus. If you have large amounts, do not leave them in the bank, it is the bank's debt to you, and the debts are often made to not be reimbursed, even if this has not happened in France since loan of a century.

STEP 14: prioritize investments that generate cash flow

A share, unless it generates a large dividend, does not generate cash flow. You only win by making a capital gain. In real estate, you buy an asset (a building) that will change in value (gain or loss on resale), but the enrichment is mainly thanks to the cash flow (rents). So, even if you sell a building at half its value after 20 years, with a good return, you will still gain.

STEP 15: Choose investments, not positioning

A positioning is a store of value (bank, debt, etc.) that loses value with inflation while an investment generates regular income that follows inflation.

STEP 16: Establish a multi-year plan

It is important, in any property decision, to avoid investing everything in 6 months. I remind you that if investing is something new for you, an idea that may have seemed good at the start can turn out to be a real disaster a few years later! You will learn on the job and the experience will come as you go. You will make mistakes for sure, so don't be like some top athletes who have invested everything in one place in one place without following the advice in this article.

STEP 17: Set up an estate plan

In your team, you will need a top notary, experienced people, but not too close to retirement, because these notaries are often exceeded by new standards and practices. If you suddenly become wealthy, now may be the time to plan your estate tax. If you want to share some of your earnings or income with family and friends, this is the perfect time. Your notary (with the approval of your team) will be able to pass on heritage to those you love by limiting taxation and protecting you from the risks of dependence. The idea here is to keep control of your wealth and anticipate when you will no longer be able to make management decisions.

STEP 18: Understand and avoid the "house money" effect

We pay less attention to the money earned from games or inherited than the money earned from our work. In reality, we treat money earned quickly in a more casual and less reasoned way than money obtained by our work. The house money comes from the expression of economist Richard Thaler: "House money effect". We are more willing to take risks with gains made by gambling or speculating, hence the popular expression:
Quickly earned money will be quickly gone!
This is why the lottery winners are often poorer after several years than before having pocketed significant winnings.

STEP 19: make your dreams come true ... without necessarily focusing on spending!

Is it possible to have fun today without thinking of "Expenses"? Of course, yes!
With an almost unlimited purchasing power, the temptation is strong to “have fun” as we say, but I can assure you that spending will not increase your pleasure, on the contrary, it will increase certain frustrations that you didn't have before: some sort of wealthy issues. Wealth brings you an important element: the freedom not to go to work and therefore time to realize your dreams, take advantage of it!

CONCLUSION:

With your fortune, you have time, independence, financial means to realize yourself. Avoid focusing on spending and start by learning in all the areas that make you vibrate, money is never a life goal, but only a way to achieve it. This gain, whether by chance or by hard work, must be invested effectively so that it can permanently protect you. Take the time to make your decisions, and if you apply these 19 steps, it's a safe bet that your children and grandchildren will also be able to take advantage of this great opportunity…

Do the right thing and good luck!.


2020/01/01

La Cina è vicina... al crollo finanziario




Più che i "cigni neri", eventi rari e imprevedibili, il Partito comunista teme i "rinoceronti grigi", pericoli noti ed evidenti, come i grandi mammiferi cornuti, ma che rischiano di essere ignorati fin quando non è troppo tardi. La montagna di debito complessivo della Cina, che ha superato il 300% del Pil, è uno di questi bestioni, e nonostante le autorità comuniste stiano già da anni cercando di contenerla il pericolo è tutt'altro che scongiurato. Anzi, nelle ultime settimane i segnali di allarme si moltiplicano: banche locali che fanno crack, l'indebitamento delle famiglie a livelli record, quasi il 100% del reddito disponibile, un aumento dei default delle imprese, perfino quelle di Stato un tempo considerate al sicuro da ogni tempesta.

Per il momento non si tratta ancora di un'emergenza. Un'asta di titoli di Stato per 6 miliardi di dollari conclusa con successo dalla Banca centrale lo conferma. Eppure lo stress finanziario rende molto più stretta la strada del governo, nel momento in cui l'economia cinese sta rallentando in maniera brusca. Un tempo a frenate di questo tipo la leadership rispondeva varando mega stimoli, ora né la Banca del popolo né il governo sembrano intenzionati a rovesciare soldi dall'elicottero: sciogliere le briglie della politica monetaria o di quella fiscale rischierebbe di far crescere ancora l'indebitamento, incentiverebbe bolle speculative e spingerebbe aziende e famiglie a spendere oltre le loro possibilità. 

I rischi finanziari in questo momento non si concentrano tanto a livello centrale, di debito pubblico, quanto alla periferia dell'Impero. Secondo un recente rapporto della Banca del popolo, dei 4.400 prestatori attivi in Cina, 586 sono classificati ad "alto rischio". Si tratta soprattutto di piccoli operatori locali, distributori di contanti che alimentano i sogni di espansione delle aziende e le ambizioni di carriera dei funzionari provinciali. Negli ultimi mesi il governo è dovuto intervenire per nazionalizzare Baoshang bank, semi sconosciuto istituto della Mongolia Interna, poi ha coordinato un salvataggio di altri due operatori, Jinzhou e Hengfeng. A inizio novembre i correntisti di due banche, una dello Henan e una del Liaoning, si sono precipitati agli sportelli per prelevare i loro risparmi, dopo aver sentito di indagini che riguardavano i manager. Solo l'intervento delle autorità ha impedito il collasso, ma in un Paese privo di trasparenza e revisori indipendenti i dubbi sulle reali condizioni delle banchette di provincia restano enormi.

La autorità hanno annunciato che costringeranno gli istituti in difficoltà a puntellarsi, ricapitalizzando, fondendosi e tagliando i crediti deteriorati. È un intervento coerente con l'imperativo della stabilità, in questo caso finanziaria, messo in primo piano da Xi Jinping. Solo che la stretta sul credito voluta dal presidente cinese è anche uno dei fattori, se non il principale, alla base del rallentamento dell'economia. Molte aziende, soprattutto quelle private, senza sponde politiche, faticano a finanziarsi o rifinanziarsi (il loro debito complessivo è al 165% del Pil), proprio mentre i profitti si riducono. Il numero dei default cresce: a inizio dicembre hanno raggiunto i 17 miliardi di dollari, superando il totale del 2018. E tra le imprese che non riescono più a onorare i debiti alcune sono di Stato: mercoledì scorso il gruppo Tewoo, specializzato nel trading delle commodities, ha annunciato che non potrà ripagare un bond da 300 milioni di dollari, proponendo ai sottoscrittori una conversione in perdita, quello che in termini tecnici si chiama "haircut".

È una clamorosa prima volta per un'azienda di Stato, status che fino a oggi offriva la garanzia, implicita ma non per questo meno reale, di un salvagente anti crisi. Ora il messaggio del governo sembra essere diverso: non tutti potranno essere sostenuti. In teoria è un segno di maturità del sistema, in pratica rischia di trasformarsi in un terremoto, considerato che nell'economia cinese il rischio creditizio non è mai stato davvero prezzato dal mercato.

Per Xi e i suoi consiglieri economici dunque i prossimi mesi si annunciano un complicato gioco di equilibrismo tra contenimento del debito e stimolo alla crescita. Da condurre con aggiustamenti quotidiani e cercando di evitare contraddizioni, per quanto possibile. Nei giorni scorsi il governo ha ordinato alle province di procedere all'emissione di bond per finanziare le infrastrutture, anticipando le quote previste per i primi mesi del prossimo anno. Nuovo debito per evitare una frenata troppo brusca, ma nuovo debito che sarà sempre più difficile onorare in un'economia dalla produttività stagnante. Con il rinoceronte grigio prima o poi Pechino dovrà fare i conti.

2018/05/28

Colpo di Stato



Copio qui la lettera aperta del Professor Paolo Savona indirizzata a tutti quelli che non l'hanno voluto come minostro dell'economia.
E' doveroso ricordare che il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rifiutato il Prof. Savona perché spaventato dalla minaccia di uscire dall'Euro ma anche dal ricatto di istituzioni straniere, prima tra tutti Moody's che hanno affermato di voler ridurre il rating dell'Italia se Savona fosse diventato ministro.
Il presidente ha quindi tradito la fiducia degli italiani cedendo al ricatto esterno di chi, nel nostro paese non conta nulla ma specula largamente sulla nostra economia e sui nostri risparmi.
Peggio di così l'Italia potrà andare, segnatevelo, ormai siamo in caduta libera.

Governo, Savona: "Ho subìto un grave torto da Mattarella"

Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del Paese sulla base di un paradossale processo alle intenzioni". La risposta di Savona a Mattarella.


Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del Paese sulla base di un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall’euro e non a quelle che professo e che ho ripetuto nel mio Comunicato, criticato dalla maggior parte dei media senza neanche illustrarne i contenuti. Insieme alla solidarietà espressa da chi mi conosce e non distorce il mio pensiero, una particolare consolazione mi è venuta da Jean Paul Fitoussi sul Mattino di Napoli e da Wolfgang Münchau sul Financial Times. 

Il primo, con cui ho da decenni civili discussioni sul tema, afferma correttamente che non avrei mai messo in discussione l’euro, ma avrei chiesto all’Unione Europea di dare risposte alle esigenze di cambiamento che provengono dall’interno di tutti i paesi-membri; aggiungo che ciò si sarebbe dovuto svolgere secondo la strategia di negoziazione suggerita dalla teoria dei giochi che raccomanda di non rivelare i limiti dell’azione,perché altrimenti si è già sconfitti, un concetto da me ripetutamente espresso pubblicamente. Nell’epoca dei like o don’t like anche la Presidenza della Repubblica segue questa moda.

Più incisivo e vicino al mio pensiero è il commento di Münchau. Nel suo commento egli analizza come deve essere l’euro per non subire la dominanza mondiale del dollaro e della geopolitica degli Stati Uniti, affermando che la moneta europea è stata mal costruita per colpa della miopia dei tedeschi. La Germania impedisce che l’euro divenga come il dollaro “una parte essenziale della politica estera”. Purtroppo, egli aggiunge, il dollaro ha perso questa caratteristica, l’euro non è in condizione di rimpiazzarlo o, quanto meno, svolgere un ruolo parallelo, e di conseguenza siamo nel caos delle relazioni economiche internazionali; queste volgono verso il protezionismo nazionalistico, non certo foriero di stabilità politica, sociale ed economica. 

È il tema che con Paolo Panerai ho toccato nel pamphlet recentemente pubblicato su Carli e il Trattato di Maastricht, dove emerge la lucida grandezza di Paolo Baffi. L’Italia registra fenomeni di povertà, minore reddito e maggiore disuguaglianze. Il 28 e 29 giugno si terrà un incontro importante tra Capi di Stato a Bruxelles: chi rappresenterà le istanze del popolo italiano? 

Non potrà andarci Mattarella, né può farlo Cottarelli. Se non avesse avuto veti inaccettabili, perché infondati, il Governo Conte avrebbe potuto contare sul sostegno di Macron, così incanalando le reazioni scomposte che provengono dall’interno di tutti indistintamente i paesi-membri europei verso decisioni che aiutino l’Italia a uscire dalla china verso cui è stata spinta. Münchau giustamente afferma che “teme non vi sia un sostegno politico nel Nord Europa” e quindi non ci resta che patire gli effetti del protezionismo e dell’instabilità sociale. Si tratta di decidere se gli europeisti sono quelli che stanno creando le condizioni per la fine dell’UE o chi, come me, ne chiede la riforma per salvare gli obiettivi che si era prefissi

2017/08/15

Carta di credito: le dieci regole per non avere brutte sorprese



Vacanze all’insegna del divertimento e del relax, ma occhio alla carta di credito se non vogliamo trovare al rientro dalle ferie brutte sorprese sul nostro conto corrente. Per gli oltre 15 milioni di italiani che, per evitare di viaggiare con grosse somme in contanti quando sono in vacanza all’estero, scelgono di pagare con carte di credito o bancomat, Facile.it, il principale comparatore italiano di prodotti finanziari, ha creato un breve vademecum con 10 regole d’oro da seguire per non incappare in truffe, raggiri e sbadataggini. 

Carta il credito, ecco il decalogo

1) Consultare la banca prima di partire. Non tutte le carte attive nel vostro paese possono essere usate all’estero e, inoltre, alcune possono essere abilitate, ma con limitazioni; per questo motivo, anche se può sembrare ovvio, prima di partire meglio verificare con l’istituto che ha emesso la nostra carta se il Paese in cui stiamo per fare le vacanze ne ammette o meno l’uso: poche cose potrebbero crearci problemi quanto quella di essere oltre confine e senza denaro.

2) Carte di credito o debito, quale scegliere? Purché abilitate al funzionamento in altri Stati, con entrambi è possibile pagare e prelevare contante, ma per il prelievo le commissioni applicate variano notevolmente; per la carta di credito si aggirano in media intorno al 4%, per quella di debito sono pari a circa il 2%. Il secondo, però, ha spesso un limite di utilizzo giornaliero o mensile che all’estero potrebbe variare rispetto a quello applicato nel vostro paese. Verifichiamo, quindi di non sforare.

3) Per il pagamento poche differenze. Per quanto riguarda i pagamenti effettuati direttamente presso l’esercizio commerciale non ci sono grosse differenze tra le due soluzioni; se l’operazione avviene in uno dei Paesi Sepa generalmente non sono previste commissioni, mentre è possibile vedere applicati costi aggiuntivi legati al cambio in caso di uso in aree con valuta diversa dall’euro.

4) Furto, clonazione o smarrimento, cosa fare? Conviene chiamare immediatamente la banca per bloccare la carta smarrita; non appena informato, l’istituto provvederà all’immediata disattivazione. Importante da sapere è che se la carta rubata viene utilizzata prima della denuncia del furto per legge possono essere addebitati fino a un massimo di 150 euro. Il denaro eventualmente sottratto dopo la segnalazione, invece, verrà rimborsato interamente.

5) Conviene cambiare i contanti all’aeroporto? No. Generalmente utilizzare all’estero la carta per acquisti in valuta locale consente di ottenere un tasso di cambio più vantaggioso rispetto a quelli offerti dagli uffici di cambio presenti all’aeroporto. Cerchiamo quindi di cambiare la minore quantità di valuta possibile, magari nella nostra nazione prima di fare le valigie, e usare quel denaro solo dove non è accettata la carta.

6) Scegliere la valuta locale. In caso di pagamento o prelievo in area extra-euro, se viene richiesto, è consigliato scegliere di pagare in valuta locale anziché nella propria moneta; questo consente di evitare commissioni nascoste legate al cambio e ottenere, così, tariffe più convenienti.

7) Con l’app, tutto sotto controllo. Scegliere una banca dotata di app per mobile consente di monitorare tutti i pagamenti in tempo reale, così da tenere sott’occhio i movimenti e relative spese.

8) Un sms può salvare la situazione. Se non ci si trova a proprio agio con le app, o non si vuole aspettare di arrivare a portata di wi-fi per sapere cosa accade al conto corrente, ci si può sempre affidare alle vecchie tecnologie. Molti istituti consentono di attivare un servizio di alert che, in caso di utilizzo della carta, tramite sms avvisa subito il cliente; una soluzione estremamente pratica per avere il pieno controllo della situazione.

9) La vacanza finisce, ma i rischi continuano. Anche una volta tornati a casa e dopo che tutto è andato liscio, meglio continuare a monitorare i conti con attenzione; i malintenzionati sanno bene che pochi osservano i conti dopo il rientro e, per questo, capita agiscano anche a mesi di distanza dal furto dei dati; gli addebiti non autorizzati o le anomalie quindi potrebbero apparire dopo diverso tempo. Nel caso, informare subito la banca e il problema sarà risolto.

10) Quale carta dare ai figli che viaggiano da soli? I ragazzi, soprattutto se al loro primo viaggio all’estero con gli amici, difficilmente pongono la giusta attenzione alle regole di sicurezza delle carte di credito; come fare a limitare i danni di un figlio troppo sbadato? La soluzione migliore è una carta prepagata.

Si tratta di uno strumento di pagamento sempre più diffuso e un’ottima soluzione, perché garantisce la stessa praticità della carta di debito con il vantaggio di avere un plafond limitato, così da tutelare i giovani, e soprattutto i genitori, da eventuali smarrimenti o spese folli. Il consiglio, però, è verificare prima di partire che la carta sia abilitata e accettata nel Paese di destinazione.


2017/04/02

E noi paghiamo....



C’è l’Europa dei soldi, e c’è l’Europa dei valori morali. In entrambe, l’Italia è messa male. Nessun leader politico ne ha parlato in questa campagna elettorale, e questo mi induce a pensare che anche dopo il voto di domenica non cambierà nulla, o ben poco. Non è pessimismo, ma una previsione basata sui fatti. Prendiamo l’Europa dei soldi. Per ogni euro che versa all’Unione europea, l’Italia riporta a casa appena 60 centesimi, e li spende non male, ma malissimo.

COME FUNZIONA IL SALDO NEGATIVO

Il sistema funziona così. Ogni Paese contribuisce al bilancio europeo con l’1% del pil nazionale. Nel 2013 l’Italia ha così versato nelle casse di Bruxelles circa 15 miliardi di euro e ne ha riportati a casa poco più di 9 da investire in progetti che, in teoria, dovevano rilanciare l’economia, ma in realtà hanno ingrassato le clientele. È un andazzo vergognoso che dura da anni. Rispetto al contributo versato, l’Italia ha perso 5,4 miliardi nel 2012, addirittura 7,4 nel 2011, ben 6,5 nel 2010, e così via. In dieci anni abbiamo versato nelle casse europee 159 miliardi di euro (presi dalle tasse pagate in Italia), e ne abbiamo ripresi appena 104: in totale, 55 miliardi persi, buttati via per grave insipienza politica, sia a livello nazionale che regionale. Mancavano i progetti sui quali investire. E quando sono stati presentati e finanziati, il risultato è stato deprimente: a malapena l’Italia è riuscita a spendere il 52,7% dei fondi comunitari assegnati.

NON E’ UNA NOVITA’

Questo saldo negativo tra il dare e l’avere con l’Europa non è una novità. Su internet si trova ancora il libro bianco che nel 2006 l’allora ministro per le politiche europee, Emma Bonino (governo Prodi), dedicò allo scarso utilizzo dei fondi europei, promettendo un maggiore impegno per il futuro. Da allora non è cambiato nulla. Il Censis lo ha confermato di recente: pur essendo al 12.mo posto nella graduatoria europea del pil, l’Italia è il terzo «contribuente netto» dell’Ue, finanzia il 12% del bilancio europeo (pari a 140 miliardi), ma non riesce mai a riportare a casa i soldi che versa. Meglio di noi fanno altri Paesi, considerati «percettori netti», come la Polonia che porta a casa 8 miliardi l’anno più del versato e la Spagna con 3,1 miliardi. Perfino la Grecia ci supera, incassando ogni anno 4,6 miliardi più del contributo pagato.

COME SONO STATI SPESI I SOLDI

Se poi si va a vedere come sono stati spesi i soldi europei, c’è da restare allibiti. Invece di investire in progetti di ricerca, innovazione delle tecnologie e ammodernamento delle infrastrutture come dovrebbe fare un Paese industriale degno di questo nome, l’Italia si è distinta per i finanziamenti a pioggia, destinati alle iniziative più incredibili. Per averne un’idea basta leggere due libri, il primo di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo («Se muore il Sud», Feltrinelli) e il secondo di Mario Giordano («Non vale una lira», Mondadori). Vista dalla Sicilia con gli occhi di Stella e Rizzo, l’Europa non è altro che una allegra dispensatrice di mance alle clientele politiche («Currìti! Currìti! Piccioli europei pì tutti!»): 3.541 euro alla trattoria Don Ciccio di Bagheria, specialità «pasta cu finocchi e i sardi»; 12.075 euro all’impresa edile Pippo Pizzo di Montagnareale; 2.271 euro alla gelateria Mozart di Castelvetrano; perfino 3.264 euro all’agenzia funebre Al Giardino dei Fiori di Gangi. Non solo. In Sicilia non sembra esserci un solo evento sportivo che non sia stato finanziato da Bruxelles: 188 mila euro per la maratona di Palermo (due edizioni); un milione e mezzo per il concorso di salto a ostacoli; 2,4 milioni per i mondiali di scherma; 127 mila euro per il volley femminile. Attività che con i fondi europei per lo sviluppo non hanno nulla a che fare.

IL CLIENTELISMO DEL NORD E DEL CENTRO

Oltre a quello del Sud, l’Italia ha fatto conoscere a Bruxelles anche il clientelismo del Nord e del Centro. Tra il 2011 e il 2012, segnala Mario Giordano, il Friuli Venezia Giulia è riuscito a ottenere decine di migliaia di euro per finanziare corsi di long drink e cocktail nelle principali città della Regione. La Lombardia ha ottenuto 2.239 euro per «controllare la genuinità della polenta valpadana» e altri 18.095 per «le tecniche di pizzeria» di Tolmezzo; idem in Piemonte, dove tra i tanti progetti insulsi spiccano i tremila euro destinati a una ditta di onoranze cimiteriali di Baveno. Nel Centro Italia sono arrivati finanziamenti a pioggia per le scuole di tattoo, spuntate come funghi dall’oggi al domani, il che aiuta a capire come sia cresciuta questa moda tra i giovani. Idem per i centri massaggi: quello di Serrungarina nelle Marche ha preso 817 euro, mentre il Dharma Centro Massaggi a Civitanova Marche ne ha incassati 2.971. Più robusto il contributo allo Sport Village di Castel di Sangro: 80 mila euro.

L’EUROPA DEI SOLDI SPESI MALE

Si potrebbe continuare con i fondi agricoli europei destinati alle gare di motocross, ai circoli del golf, alle scuole di equitazione, il tutto grazie alla complicità tra politici miopi, clientele fameliche e burocrati strapagati quanto indifferenti al pessimo uso dei fondi Ue. Questa è l’Europa dei soldi spesi male, che vorremmo non vedere più. Anche perché è questa Europa che, mentre dispensava mance, ha distrutto i valori della tradizione culturale europea per imporne una diversa, mai votata da nessuno. Ha scritto Giordano: «È l’Europa che celebra le festività sikh e indù, ma vuole cancellare il Natale; che vieta il crocifisso e punisce chi lo indossa; che non riconosce le proprie radici cristiane; che propone l’insegnamento della masturbazione negli asili o l’abolizione del concetto di mamma e papà (meglio il più neutro genitore 1 e genitore 2); che ha perso i riferimenti morali. L’Europa che si è svenduta all’euro». Tutto vero, purtroppo. E cambiare questa Europa matrigna, per rilanciare il sogno di un’Europa solidale, prospera e democratica, non sarà facile per nessuno.

2016/12/12

Apocalisse finanziaria mondiale


Prima di Natale e prima dei migliori astrologi Saxo Bank, specialista danese nel trading e negli investimenti, si getta in dieci previsioni shock sull'economia per il 2017. Con senso dell'humor tipico delle brume del paese di Amleto la banca ci elenca quelli che chiama, con cautela, "cigni neri" cioè gli eventi inaspettati e imprevedibili, resi noti dal libro di Nassim Nicholas Taleb che, appunto, nell'edizione italia, recita: "Come l'impossibile governa la nostra vita".

Vediamo la top ten di Saxo, così alla fine del prossimo anno potremo verificare se ha centrato le previsioni.

Il Pil cinese raggiunge l'8 per cento.

Come è noto la Cina sta attraversando una fase di transizione che punta su investimenti e consumi. Il rapporto prevede che arrivi a termine con successo, riporti Pechino ad una crescita dell'8 per cento (oggi è intorno al 6) e che l'indice del mercato azionario di Shanghai superi quota 5.000.

La Fed torna al QE

Tutti pensano che sia finita l'onda del quantitative easing e, anzi guardano a Mario Draghi perché fischi il termine della partita. Invece Saxo prevede che con il previsto aumento dei tassi della Fed ci saranno turbolenze sui mercati e che la banca centrale Usa sarà costretta a nuove misure di "allentamento": nascerebbe il QE Endless che agirebbe tenendo bassi i tassi a lungo.

Il default rate sui rendimenti supera il 25%

Previsione nefasta: il tasso medio di insolvenza delle obbligazioni ad alto rendimento è oggi del 3,77 per cento: nel 2017 raggiungerà un picco del 25 per cento.

Brexit, la Gran Bretagna ci ripensa

La sollevazione populista globale riconduce a più miti consigli Bruxelles che ammorbidisce le proprie posizioni sulla Gran Bretagna. Di conseguenza Londra ha margini di ripensamento sul Brexit: il Parlamento fa marcia indietro.

Doctor Copper frena

Il rame, anticipatore di ripresa, dopo l'elezione di Trump, ha cominciato a correre. Ma secondo Saxo, il nuovo presidente Usa non manterrà la promessa degli investimenti e la crescita globale comincerà ad affievolirsi. Rame in calo a due dollari alla libbra dopo l'exploit.

Trionfo dei Bitcoin e l'apocalisse valutaria

Trump fa spesa pubblica, il decit Usa triplica dai 600 miliardi di dollari a 1,8 trilioni. La crescita dell'inflazione farà tracollare il dollaro Usa e la Cina e gli altri paesi cercheranno valute alternative come i Bitcoin. Scenario apocalittico.

Obamacare nel panico

Secondo Saxo Trump alla fine taglierà la spesa sanitaria, nonostante le rassicurazioni sull'Obamacare. Di conseguenza il settore sanitario andrà a precipizio: per il fondo Health care select sector si prevede un dimezzamento delle quotazioni.

Effetto tequila

Sovrastimata la reale capacità di Trump di reprimere gli scambi commerciali con il Messico. Il peso risale.

Banche italiane top performer in Europa

Miracolo al limite della fantafinanza. Fallisce una banca tedesca e la musica cambia: nasce la Banca europea dei crediti detriorati per ripulire i bilanci delle banche europee. L'Italia beneficia del male comune.

L'Europa si rilancia con gli Eurobond

Le elezioni europee, dalla Francia alla Germania, sono dominate dai populisti. Ultima spiaggia delle tecnocrazie che giocheranno la carta di un New Deal europeo finanziato con una enorme emssione di Eurobond da 1 miliardo di euro.

Sarà vero? Memorizziamo le informazioni e ritroviamoci qui per confrontare i dati reali con la fantascienza, poi vediamo se hanno indovinato.