<bgsound loop='infinite' src='https://soundcloud.com/sergio-balacco/misty'></bgsound>

pagine

2016/12/01

Nonostante tutto!




Alle 3 e 27 del pomeriggio del 15 gennaio del 2009, a due minuti dal decollo, a circa 900 metri sopra la città di New York e a 7 chilometri dalla pista di atterraggio più vicina all'aeroporto La Guardia, l'Airbus A320-214 della US Airlines — volo 1549 — intercetta la traiettoria di uno stormo di oche canadesi. Le centra in pieno e il risultato dell'impatto è drammatico: entrambi i motori sono inutilizzabili. L'aereo, diretto a Charlotte, North Carolina, non ha più propulsione, rischia lo stallo. «Hit birds», comunica immediatamente il capitano Chesley Sullenberger, detto Sully, «Abbiamo perso spinta su entrambi i motori. Stiamo tornando verso LaGuardia». Al suo fianco ha il copilota, Jeff Skiles, in cabina, oltre alle 3 hostess, ci sono 150 passeggeri.

Quando Sully pronuncia quella frase sono passati pochi secondi dalla perdita dei motori e lui, che ha 59 anni, 40 anni di esperienza e circa 20mila ore di volo alle spalle, mentre ordina al copilota di prendere il manuale e avviare la procedura di emergenza per tentare di riavviare i motori e riprendere il controllo dell'aereo, non sa ancora cosa deve fare. L'Airbus che sta pilotando sta andando circa 350 km all'ora e, contando che non ha più i motori, ha appena raggiunto la massima altitudine a cui può arrivare.

Dalla torre di controllo del LaGuardia gli propongono due alternative. Per l'uomo della torre sono le uniche: o provare l'atterraggio di emergenza al LaGuardia, da dove è partito due minuti prima, o tentare la stessa manovra all'aeroporto di Teterboro. Ma mentre il controllore della torre dà a Sully le istruzioni per la prima manovra, intanto che il copilota capisce che la procedura di emergenza non gli permetterà di riaccendere i motori, Sully ha già deciso cosa fare. Risentendo ora la comunicazione, la voce del capitano risulta ferma e decisa, ma tutto sommato tranquilla. «We're gonna be in the Hudson», dice, «Stiamo andando nell'Hudson». Mentre in torre di controllo non ci vogliono credere, Sully prende il microfono di bordo e, con la stessa voce ferma e decisa, fa un annuncio in cabina: «Brace for impact». Prepararsi all'impatto.

Dopo 90 secondi l'Airbus galleggia alla deriva sull'Hudson. Sulle ali e dalle uscite di emergenza escono con ordine 155 persone, tutti sulle proprie gambe. L'ultimo a uscire è Chesley Sullenberger. E mentre tutti stanno già parlando di lui come di un eroe e di quello che è successo come un miracolo, una commissione di inchiesta comincia a indagare su Sully, l'uomo che non ha seguito le procedure.

È esattamente questo il punto in cui si inserisce Clint Eastwood, il momento in cui un uomo che fa il suo dovere e diventa suo malgrado un eroe agli occhi degli altri, viene messo in discussione, oltre che dall'autorità e dalla burocrazia, dalla propria coscienza, da se stesso. Eastwood è fatto così. È uno che, nelle sue storie, ama una cosa soprattutto: prendere un eroe, disinnescare la retorica che lo circonda, metterlo allo specchio e mettersi comodo a guardare cosa succede, cercando di vederci in controluce l'umanità. Lo ha fatto tante volte, l'ultima volta proprio con quel Chris Kyle al centro di American Sniper, e lo rifà ancora una volta con Sully.

La storia del volo 1549 della US Airways è una storia difficile da raccontare. Soprattutto se il tuo obiettivo è quello di evitare la retorica. Eppure Clint Eastwood ci riesce. E ci riesce usando la tecnica di sempre: lasciare la retorica alla storia e toglierla dal racconto; non usare il forcipe da commozione e quindi mostrare, senza spiegare.

Quello che interessa Eastwood, infatti, non sono i 200 secondi in cui si gioca tutta la partita, quelli in cui Sully e il copilota, mettendo in pratica una manovra praticamente inedita, riescono a fare atterrare un aereo di linea su un fiume portando a terra sani e salvi tutti i 150 passeggeri a bordo, più le tre assistenti di volo, più loro due. Quello che interessa a Eastwood è tutto quello che succede dopo, nei giorni seguenti — che nella realtà sono a qualche mese di distanza, ma che nel film, per esigenze narrative, sono stati spostate alle ore successive all'incidente — andando a parare su uno dei temi narrativamente più interessanti dell'ultimo secolo: il rapporto tra l'uomo e la macchina.

Nel film di Paolo Sorrentino Le conseguenze dell'amore, Toni Servillo nei panni di Titta Di Girolamo a un certo punto pronuncia una frase molto potente: «Non bisogna mai smettere di avere fiducia negli uomini. Il giorno che accadrà, sarà un giorno sbagliato». Nel suo caso le macchine sono delle macchine conta soldi, e lui sta per truffare una banca svizzera. Ma la stessa frase, presa di peso e portata nella storia di Sully, mantiene tutto il suo senso.

Per la commissione di inchiesta sull'incidente, infatti, Sully non è un eroe. E non lo è perché non ha salvato 150 persone dalla morte, ma perché quelle stesse 150 persone le avrebbe messe in pericolo a causa della sua improvvida decisione di ignorare le procedure e agire d'istinto. Il tradimento della procedura per la creatività, ovvero la vittoria dell'istinto sulla ragione, per la struttura è un atto gravissimo, insopportabile, di lesa maestà contro la Struttura.

Per punire l'uomo e difendersi, la Struttura si affida alle macchine, schiera gli algoritmi e per sostenere le sue accuse porta al processo decine di simulazioni, sia al computer che con l'ausilio di piloti umani. Il responso è sempre lo stesso: calcolando tutti i parametri inseriti dall'accusa, quell'aereo poteva atterrare sia a LaGuardia che a Teterboro. Secondo le macchine, quindi, non solo Sully avrebbe agito con imprudenza. No, peggio, scambiandosi per un dio, Sully avrebbe messo in pericolo 154 vite solo per affermare egoisticamente la propria individualità ribellandosi alla certezza matematica delle procedure. Sully sembra spacciato, chi mai potrà battere un computer quando di parla di algoritmi e procedure?

La risposta è una sola, ed è l'unica variabile che le procedure non possono calcolare, quella variabile X che è poi quella che ha garantito al volo 1549 di non schiantarsi su New York. È il fattore umano, in questo caso il fattore Sully, che facendo ricorso alle proprie sensazioni, al proprio istinto e alla propria esperienza è riuscito dove nessuna macchina avrebbe potuto riuscire: ha fatto una scelta totalmente contraria a ogni tipo di procedura, ha affrontato una situazione che non si era mai presentata prima e ne uscito camminando sulle sue gambe e salvando 154 vite, più la sua.

Non è detto che Eastwood volesse passarci una morale raccontandoci questa storia. Ma se lo voleva fare, allora la morale è la seguente: l'epoca che stiamo vivendo ci sta portando a consegnare la nostra vita in mano a delle macchine, a degli algoritmi, a delle gelide procedure. Stiamo smettendo di avere fiducia negli uomini. E il giorno sbagliato si sta avvicinando. Per evitare che succeda, per resistere e non abdicare la nostra umanità abbiamo bisogno di ricordarci che non è vero, che le macchine, da sole, per quanto siano miliardi di volte più veloci del nostro cervello, non riusciranno a prendere il suo posto.

Nella filologia, ovvero la disciplina che studia l'origine dei manoscritti ricostruendone l'albero genealogico, esiste un metodo che si usa da metà Ottocento. Non è un metodo scientifico, ma come tutti i metodi basa la propria affidabilità sulla applicazione ferrea di una procedura, un algoritmo. Eppure, una macchina non sarà mai in grado di eseguirlo. Perché? Semplice, perchè c'è un punto dello schema delle procedure in cui l'incertezza davanti a un bivio è totale, in cui non abbiamo sufficienti indizi per scegliere con certezza tra A o B. Per uscirne c'è soltanto una procedura, l'unica che un computer non è in grado di capire e che porta l'affascinante nome latino di Divinatio. Cosa vuol dire? Semplice, che davanti al bivio che lo blocca, il filologo, come il pilota, deve scegliere da sé, ricorrendo alla propria esperienza, al proprio istinto, alle proprie sensazioni. Come Sully.

2016/11/29

Ma Trump è veramente un cretino?




Per quasi tutta la stampa italiana Donald Trump è un cretino. Come sempre avvenuto, quando arriva un candidato diverso dalla sinistra-radical-scic non si va a valutare seriamente come la pensi, ma lo si fa diventare un pagliaccio. La ricetta è semplice: si prende una frase, la si estrapola dal contesto, la si commenta in modo demagogico, la si fa diventare titolone e così lo si censura. 

Un esempio? Se leggo “Trump; la Clinton ha fondato l’ISIS!” (titolo Corsera) è una idiozia, ma se lo ascolto e comprendo che ha detto “L’ex segretaria di stato Hillary Clinton con la sua politica di destabilizzazione americana in Medio Oriente ha portato alla nascita dell’ISIS” Trump ha perfettamente ragione. Purtroppo in Italia la politica estera è spot, sensazioni, superficialità e - nello specifico - è in atto una “santificazione” della Clinton considerando i sostenitori di Trump dei buzzurri cretini. 

Si aggregano al cicaleggio i cinquettii della Boldrini, della Mogherini, della Boschi tutte corse alla convention democratica (con i soldi dei contribuenti) a sbavare per un “selfie” insieme alla candidata.

Ricordo la stessa politica di demonizzazione verso il partito di destra della mia gioventù o anche recentemente contro la Lega Nord (e oggi contro il M5S) , con tanti servizi TV dove i leghisti apparivano sempre come degli zoticoni con le corna di mucca in testa, ma raramente c’era spazio per capire od approfondire gli avvenimenti. I commenti alle elezioni americane sono stati sconcertanti davanti a due candidati entrambi discutibili, ma dove da una parte c’era per lo meno un forte senso di discontinuità, dall’altro una liturgica approvazione dello “status quo” e non mi pare che gli USA in questi anni abbiano fatto sfolgoranti progressi, soprattutto facendo pagare a altri (come agli europei) le loro speculazioni finanziarie. Certo che ora che ha vinto Trump, per l’Europa sarà dura, ma per prima cosa credo si dovrebbe cercare di capirne meglio il fenomeno. 

Lo stesso vale per la crisi delle banche dove leggendo dozzine di articoli sfugge un concetto: chi, come e perché ha permesso gli indebitamenti colossali di tanti creditori insolventi, quelli che – per esempio – hanno affossato Monte dei Paschi di Siena, banca “politica” (di sinistra) per eccellenza? 

Nel mio lavoro ho assistito tanti clienti nei loro rapporti con le banche ed ho visto come sia stato sempre difficile ottenere correttamente crediti, finanziamenti, aiuti per le piccole imprese e sempre - anche per poche migliaia di euro di crediti - servono firme, fidejussioni, avvalli ecc.

Ma come è mai possibile arrivare a sofferenze di miliardi di euro? Non ci sono direttori generali, consigli di amministrazione, responsabili dei fidi cui oggi andrebbe chiesto conto? Nessuno paga se non gli azionisti (quelli piccoli, gli altri sono stati prioritariamente sistemati) che in campo bancario hanno visto perdere anche il 99% del proprio investimento. Ma possibile che Banca d'Italia e CONSOB non si sono accorte di niente anche negli ultimi anni? Ed è corretto che ora le banche dietro al Fondo Atlante possano acquisire banche per mezzo piatto di lenticchie? Questi sono misteri tutti italiani che nessuno sembra voler approfondire. 

Un ulteriore esempio di disinformazione è per la Turchia e lo pseudo golpe di Erdogan dove ho letto ben poco fuori dal coro. Ma chi sono stati i golpisti, come hanno portato avanti questo maldestro tentativo di colpo di stato che è abortito in pochi minuti? Oppure – come temo – è stata una plateale “patacca” auto-organizzata o almeno ben a conoscenza di Erdogan che ne ha approfittato per far fuori ogni opposizione? Non si arrestano 2.350 giudici in poche ore senza avere dietro un piano preciso, così come poter impunemente epurare e imprigionare giornalisti, TV, partiti, professori, militari a decine di migliaia. 

Diciamoci la verità, ovvero che oggi la Turchia serve all’Europa e agli USA per molti “lavori sporchi”, ricatta l’UE per i profughi, ha in Europa milioni di suoi cittadini. Erdogan è furbo, tratta e commercia come tutti i turchi e ha scoperto un “cliente” europeo da tenere per le palle. Ecco che in Europa spariscono i guaiti sui diritti umani, non si vedono più le immagini delle torture, non ci sono sanzioni, nessuna delegazione “va a vedere” sul serio cosa succeda nelle carceri turche. Poche le eccezioni, come quella coraggiosa di Lucia Goracci che ha intervistato Erdogan senza ipocrisie, anche se lui ha risposto ovviamente come voleva. 

Sul piano interno lo spettacolo più indecoroso: la “dispar condicio sul referendum” dove non c’è un minimo di equità nell’illustrare anche le ragioni del NO ed è un continuo inno al SI senza vero contradditorio o spazio per spiegare le critiche. Così il SI serve - dice la fatina Boschi - addirittura contro il terrorismo, per dar soldi ai poveri, per superare la crisi economica e via a spararle più grosse. 

Vale per le grandi testate ma soprattutto per la RAI TV, piegata come sempre sul leader a violare qualsiasi regola di “par condicio” con il maghetto di Firenze che appare ovunque con le sue cicalanti vestali. Avevo allegato al blog il documento di un gruppo di parlamentari del PD (che ovviamente rischiavano il posto) che coraggiosamente spiegano il loro NO e un articolo apparso sul Corriere della Sera del prof. Stefano Passigli che – sfuggito alla censura? – con molta pacatezza fa dei ragionamenti chiarissimi e che i fautori del SI dovrebbero forse mediare. 

Ma a fronte di queste indecenze l’unica cosa che conta è sempre la demagogia ricordate la notizia del licenziamento in tronco del direttore di QS (quotidiano sportivo del gruppo Monti) perché in un articolo (tra l'altro in chiave di simpatia) erano state definite "cicciottelle" le tre atlete che hanno perso le possibili medaglie alle olimpiadi nel tiro con l'arco? Ebbene, è di questo che sto parlando mentre nessuno se ne accorge, rane oramai bollite in attesa del pranzo frugale di mister Renzi, alla faccia nostra.

Ma vi sembra un termine così offensivo?! Ogni giorno la verità è mistificata, nascosta, ignorata su problemi ben più gravi e ben altri sarebbero da licenziare! Ma è quel “cicciottelle” a contare… Può funzionare un paese così intriso di ipocrisia? No, ma a furia di buonismi e di "political correct" viene francamente da vomitare, è la sublimazione delle imbecillità.


2016/10/28

Lettera alla UE con affetto dall'Italia!


Facciamo che quest’anno all’Ue non gli diamo un centesimo. 

Niente di niente. 
Né quest’anno né per i prossimi cinque. 

Dopodichè quei 14 miliardi e mezzo che versiamo, in media, ogni anno all’Unione europea li destiniamo, tutti quanti, al risanamento del territorio. Per sventare, ove e quando possibile, il drammatico rischio idrogeologico e per attrezzare le aree più pericolose con il meglio della tecnologia esistente al mondo nella prevenzione dei terremoti. Facciamo, cioè, per una volta davvero qualcosa per noi tutti. Per noi e per la nostra bellissima e sventurata Italia. Facciamo in modo che quel che si può prevenire lo si prevenga e non solo a parole.

E quel che si può rinforzare, sostenere, strutturare lo si faccia col meglio dei materiali e delle professionalità reperibili. A pensarlo sembra semplice. E pure fattibile. In realtà ci vuole una ferrea volontà politica. La capacità di una visione. Di un futuro. Che poi è ciò che qualificherebbe un leader e una forza politica. Tempo da perdere non ce n’è. E il disastro lo vedono pure i burocrati Ue. Interi borghi spazzati via, intere comunità in ginocchio e l’assoluta certezza che l’evento più imprevedibile ed implacabile si ripeterà: non si può continuare così. 


Non si può più nell’era digitale, nel millennio dell’intelligenza artificiale continuare a vedere certi disastri. Non ce la si fa più a soppportare dapprima il terremoto, poi i servizi e le analisi sul terrore e sulle lacrime e quindi l’immancabile impegno sui fondi per la ricostruzione. Perchè neppure hai finito la raccolta e organizzato il lavoro che subentra un altro sito, un’altra devastazione. 

Perciò, all’Ue dei burocrati mandiamogliela noi una bella letterina. Una garbata missiva nella quale spieghiamo che quei soldi destinati al funzionamento Ue, insieme ad almeno altrettanti che lo Stato italiano dovrebbe anch’esso mettere in campo, serviranno, da adesso in poi, per porre l’Italia in sicurezza. Tutta l’Italia. Un piano particolareggiato che ci affranchi dalla peggiore delle paure: morire seppelliti dalle nostre stesse case. 

Facciamolo per davvero, non solo parole ma fatti.

Scriviamolo al signor Juncker e pure alla signora Merkel. L’emergenza è qui. È adesso. È l’Italia. E non ci può essere alcun problema di burocrazia, di conti da rispettare o di tetto al deficit che non si possa sforare. Il tetto a tanti nostri concittadini gli è già cascato addosso.