E finalmente sono
finite le Olimpiadi di Londra.
Per due settimane
tutti i media hanno scritto di tutto su questo evento passando dalla carta
igienica dei cessi del villaggio olimpico fino al colore delle scarpe delle
atlete statunitensi.
Diciamo che si
sono sbizzarriti, a briglia sciolta a mostrarci il lato nascosto di un evento
epocale che si ripeterà puntualmente fra quattro anni a Rio de Janeiro in
Brasile.
Hai aperto un
blog per parlarci (anche tu) delle Olimpiadi?
No di sicuro, ho
aperto un blog per parlarvi di me, della mia passione inconfessabile, della
scrittura, del desiderio folle di essere uno scrittore, non necessariamente uno
scrittore di successo perchè quello (il successo) lo si costruisce giorno per
giorno attraverso gli scritti ed i pensieri che riusciamo a mettere in ordine
lettera su lettera in un foglio di carta bianca, perchè il successo non viene
da solo ma va cercato, rincorso, afferrato e convinto a non abbandonarti più e
con lui tutte le schiere di affezzionati lettori che attendono ansiosi la
prossima opera, affamati di cultura e di storie che li possa emozionare.
Ma quanto conosco
io di questa vita che pure è trascorsa senza troppi sussulti, senza drammi e
dolori grandi, senza la percezione dello scorrere intenso del tempo.
Nulla, non
conosco nulla. Cerco di spremere i ricordi e man mano che essi scaturiscono
dalla mente li trascrivo in perfetto ordine in queste pagine per antica e nuova
memoria affinchè qualcuno, in un giorno lontano, abbia a dire: io c'ero, l'ho
conosciuto.
Ci fu qualcuno
che condannava la letteratura come un "vizio", sintomo di
inettitudine e di malattia, chiedendosi provocatoriamente che posto possa avere
la letteratura in una società capitalistica in cui il potere economico ha
soppiantato ogni altro valore, in cui cresce sempre di più la divaricazione tra
realtà e apparenza, tra essere e avere. Scrivere è un involontario banco di
prova per una ridefinizione del rapporto vita-letteratura, anticipazione, in un
gioco di specchi, lo scrittore compone e scompone l'esistenza ricreando il
passato alla luce delle esperienze successive con la fluidità che la parola
possiede e la sua capacità di dire e nel contempo di non dire, di affermare ma
anche di insinuare dubbi sulla veridicità di quanto affermato.
La scrittura
dunque come memoria del passato, testimone di una identità conquistata che
fissa il presente e accoglie le fantasticherie del futuro. E' con la scrittura
che si crea l'illusione di scampare alla condanna terrena del non più essere,
l'io scrittore si immedesima nel personaggio principale e lo fa suo raccontando
la propria vita o quella di un altro individuo, a questo punto non è importante
sapere chi è o chi fu, ma chi sarà in modo da trasformarlo in un racconto a
finale aperto, mai concluso, mai definitivo che richiama il lettore a
rimisurarsi con i propri scritti per cercare quella fine che rimbalza, con una
palla impazzita, e non si svela mai.
La fatica
letteraria quindi sottrae al caos della realtà la propria esistenza e in
quest'operazione scrittura privata, epistolare e letteraria si fondono. La
scrittura corregge il reale come il ricordo, corregge il passato ricomponendo
gli avvenimenti, grezzi, stonati e disordinati per sempre o mai, in una
superiore armonia che sfugge nell'atto e nel momento.
E' attraverso la
scrittura che la macchina disorganizzata della vita può ricomporsi. I fatti hanno
così poca importanza perchè indifferenti al corso delle cose, si fondono nella
supponenza e scompaiono alla vista di chi vorrebbe ma non sa, in se sono nulla,
ricomposti in uno scritto prendono corpo, eccitano spingono, emozionano,
sollecitano quello che transiterebbe meccanicamente nella perfetta indifferenza
nella vita dello scrittore per avviarsi all'oblio più assoluto. Solo la
scrittura diventa il testimone della vita, della capacità di fondere il
pensiero con il sogno e creare la storia. Da surrogato della vita la scrittura
diventa un mezzo d'elezione per superare i confini angusti dell'esistenza, i
limiti dello spazio e del tempo.
Solo la letteratura può correggere la vita, può riplasmare la vita vera in una finzione
da tutti accettata in modo da non riconoscerla da quella reale, ha quindi una
funzione compensativa, niente affatto trascurabile che si giustifica e si
scagiona da sé, rendendo in definitiva paradossalmente superiore la dimensione
contemplativa.