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2017/07/10

Summit delle vanità



Passerelle, chiacchiere e tanta vanità: anche il G20 di Amburgo s’è concluso con un nulla di fatto. 

Gli Usa hanno confermato il loro no agli accordi di Parigi sul clima, anche se nel comunicato finale si parla di “irreversibilità” della lotta al riscaldamento globale. Niente accordo neanche per quello che riguarda le sanzioni contro i trafficanti di esseri umani. 

Compromesso minimo solo sul tema del commercio internazionale. Il premier italiano Gentiloni ha commentato affermando che dal «G20 di Amburgo era difficile aspettarsi rusltati scoppiettanti». Bene, allora perché c’è andato? Perché non ha inviato al suo posto la Boschi, che se non altro avrebbe attirato più fotografi sul rappresentante dell’Italia? 

In compenso (si fa per dire) il G20 di Amburgo è servito ai soliti spostati a volto coperto per creare due giorni di sconquasso nella città tedesca: 200 poliziotti feriti negli scontri di questi giorni sono un sacrificio decisamente troppo alto alla vanità dei potenti. 

A questo punto, sorge spontanea una domanda: perché non aboliscono il G20, il G7 e tutti gli inutili, costosissimi summit internazionali che servono solo a dirottare, per un paio di giorni, l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale su eventi più mondani che politici? 

Sembrerebbe una domanda qualunquistica, ma non lo è: il fallimento del G20 e di altre occasioni simili non segna altro che l’insuccesso di una formula, quella della “governance” mondiale, con cui le élites culturali e politiche si trastullano da ormai 25 anni: dopo la fine della guerra fredda, il mondo avrebbe dovuto essere guidato dalla comunità cosmopolitica dei governi della Terra. 

Ma la realtà vera si è rivelata assai diversa: a governare la Terra non sono altro che gli accordi bilaterali tra gli Stati più forti e influenti. Tant’è che il “vero” G20 non è stato altro che quello, riservato, dei tête-à-tête dei maggiori protagonisti mondiali: quello fra Trump e Putin, Trump ed Erdogan e così via. 

Se è così, tanto vale abolire questo inutile baraccone periodico che serve solo a Paesi in declino come l‘Italia ad illudersi di fare parte ancora del club dei “grandi” della Terra. I G7 al tempo della guerra fredda erano ben altra cosa…

2017/07/02

Che fine ha fatto Amelia Earhart?



Ormai quasi nessuno la ricorda più, ma la storia dell’aviatrice americana Amelia Earhart tenne le prime pagine dei giornali per mesi, se non per anni. E ciclicamente la storia della sua misteriosa scomparsa torna alla ribalta, con nuovi ritrovamenti o ipotesi. La giovane aviatrice solitaria ha colpito profondamente l’immaginario collettivo mondiale: sia per il periodo, si usciva dalla Grande Depressione e lei dava una speranza anche alle donne, abbattendo le barriere di genere, sia per il suo aspetto: bella di una bellezza nordica, alta, flessuosa, sensuale come solo certe donne mascoline sanno essere, con quell’aria di americana di campagna (era del Kansas), fintamente spettinata, con gli occhi azzurri anglo-sassoni. 

Le foto che ci rimangono la ritraggono quasi sempre in tuta da volo: in piedi, nella carlinga di un aereo, col giubbotto di pelle degli aviatori americani che avremmo imparato a conoscere durante la guerra mondiale, gli occhialoni; altre ce la mostrano mentre indossa una tuta da palombaro per le sue escursioni in mare, molte con i fiori al ritorno da qualcuna delle sue imprese, e un paio con Italo Balbo, trasvolatore italiano che la ricevette insieme con Benito Mussolini a Roma. Amelia Earhart si consegnò all’immortalità sparendo letteralmente il 2 luglio 1937 insieme con suo aereo e col suo navigatore Fred Noonan, anch’egli scomparso, in un’area remota del Pacifico, vicino a un’isola dove sarebbe dovuta atterrare ma dove non arrivò mai, l’isola Howland. 

Cosa sia successo non lo sapremo mai, fatto sta che l’intrepida aviatrice partì da Lae, in Nuova Guinea, nel tentativo di circumnavigare il globo sulla linea dell’Equatore col suo Lokheed L-10 Electra, diretta appunto a Howland, una striscia di terra lunga due chilometri e larga 500 metri. Nei pressi c’era la Itasca, una nave della Guardia costiera americana che le avrebbe dovuto indicare la rotta e assisterla. Alle 7.42 di quel giorno di 80 anni fa, la Earhart trasmise alla nave questo messaggio: “Dovremmo essere sopra di voi, ma non riusciamo a vedervi ma il carburante si sta esaurendo. Non siamo riusciti a raggiungervi via radio. Stiamo volando a 1.000 piedi”. Si capì che c’erano difficoltà di comunicazione: la nave trasmise segnali Morse, fece fumo con le caldaie per farsi vedere, ma a quanto pare l’aereo non riusciva a trovare l’isola che, essendo piatta, non si distingueva dall’oceano. 

L’ultima comunicazione conosciuta di Amelia fu delle 8.43 di quella mattina: “Siamo sulla linea 157 337. Ripeteremo questo messaggio. Ripeteremo questo messaggio a 6210 kHz. Attendete”.

Amelia Earhart fu cercata inutilmente per decenni, ma nessuno la rivide mai più, né lei né Noonan. I segnali radio, già deboli e disturbati, sembra si protassero per qualche giorno, segno secondo alcuni che l’aereo era atterrato da qualche parte, altrimenti la radio avrebbe smesso di funzionare se si fosse inabissato. In seguito si disse che c’erano stati segnali, comunicazioni, ma non lo si poté mai appurare con certezza. 

Pare che l’Electra sia atterrato su un’isola deserta, l’isola di Gardner, secondo la migliore tradizione dell’avvenuta hollywoodiana, e che Noonan rimase gravemente ferito mentre Amelia sarebbe sopravvissuta per qualche tempo morendo poi di stenti, ma nessuno ritrovò mai né lei né l’aereo, anche se di tanto in tanto “prove” saltano fuori. L’ultima appena un anno fa, con il ritrovamento di un co0smetico usato dall’aviatrice e di pezzi di un velivolo, ma chissà. 

Fatto sta che la Earhart in quel momento era famosissima, e che il presidente Roosevelt, appresa la vicenda, autorizzò ricerche dispendiosissime, con l’impiego di 9 navi e 66 aerei, che però giunsero sul luogo indicato solo dopo cinque giorni, non trovando assolutamente nulla e nessuno. In quel periodo poi gli Stati Uniti dovevano dimostrare la loro efficienza e potenza, soprattutto sul Pacifico, che era conteso loro dall’impero giapponese, cone risulterà chiaro pochi anni dopo. 

E a questo attrito è legata anche una delle più affascinanti ipotesi sulla sorte di Amelia e del suo navigatore; si disse e scrisse che era stata presa prigioniera dai giapponesi che pensavano fossero spie, e che fossero stati tenuti prigionieri sull’isola di Guam; addirittura c’è chi giura di aver visto Amelia e di averle parlato in qualche campo di prigionia. E una donna, trenta anni dopo, disse persino di aver assistito alla fucilazione della Earhart. Ipotesi infondata, perché, se fosse stato vero, nel 1945 gli americani lo avrebbero saputo e diffuso. 

E anche perché all’epoca alle ricerche, che proseguirono poi ufficiosamente per anni – e ancora proseguono – parteciparono anche due navi giapponesi. Qualcuno azzardò anche che si trattava di una montatura pubblicitaria e che lei fosse tornata negli Usa sotto falso nome. Amelia Earhart stava per compiere quarant’anni, li avrebbe compiuti pochi giorni dopo la sua sparizione. Ci fu addirittura chi, trent’anni dopo, ripercorse fedelmente il volo della Earhart, ma il mistero non si è mai chiarito. 

Si disse che l’aereo a Lae non era stato rifornito del tutto, che Amelia e Noonan avessero sbagliato a calcolare la rotta, e le conclusioni più recenti affermano che probabilmente l’Electra finì semplicemente il carburante sull’oceano. Nel 1940 un inglese, un pilota, disse di aver trovato uno scheletro sull’isola di Nikumaroro, che poi inviò alle isole Figi, dove poi però andò smarrito. Si fece in tempo però a stabilire che poteva appartenere a una donna. Nel 2007 sull’isola furono trovati manufatti di origine incerta, un osso di un dito, e altri reperti, ma nulla che fornisse una prova chiara e definitiva. 

Così il mistero rimane. 

Su Amelia Earhart sono stati scritti libri, effettuate inchieste e documentari, realizzati film, e in tutta l’America esistono statue a lei dedicate e busti e oggetti vari; c’è persino una medaglia dedicatale dallo Smitsonian Institute. Ma il suo rimarrà uno dei grandi misteri insoluti della storia; ci piace rivederla su un’isola deserta, su una spiaggia e con la tuta di volo, che scruta l’oceano e aspetta.

La fine di tutti i dittatori: il prossimo è Maduro!



Non si capisce perché del dramma venezuelano la stampa occidentale non parla, preferendo concentrarsi sulle gaffe di Trump o sulla Crimea o sull’Ucraina. Il Venezuela è un Paese ricchissimo ridotto alla fame da un dittatore sanguinario come Nicolas Maduro, degno erede di Hugo Chavez, che per primo pose le basi per la rovina del Paese latino-americano. 

Almeno altri quattro oppositori sono stati uccisi nelle ultime ore in Venezuela nel corso di manifestazioni di protesta contro il presidente Maduro, ha confermato la procuratrice generale Luisa Ortega Diaz. 

Negli incidenti scoppiati in occasione di un corteo a Barquisimeto nel centro del Paese, sono rimaste ferite anche altre otto persone. Il sindaco della città ha accusato le milizie armate che sostengono Maduro delle responsabilità per le nuove vittime. Sono almeno 100 le persone morte in incidenti come questo dall’inizio delle proteste tre mesi fa. Nuove manifestazioni, in sostegno di Diaz che il governo vuole allontanare dall’incarico, si sono svolte ieri a Caracas. 

Pochi giorni fa Maduro ha denunciato, in un discorso alla nazione trasmesso in televisione, quello che ha definito “un attacco terrorista e golpista” contro l’edificio della Corte Suprema che è stato colpito da granate e raffiche di mitra da un elicottero. Il presidente venezuelano ha specificato che nessuno è stato ferito nell’attacco e che si sta dando la caccia ai responsabili dell’attacco.

Immediatamente dopo l’attacco era stato postato online un video in cui un uomo che si è identificato come Oscar Perez, pilota degli elicotteri dell’unità speciale della polizia venezuelana, ha accusato il “governo criminale” di Maduro ed ha chiesto al presidente di dimettersi. Perez, che nel video appare nella sua uniforme militare da pilota, ha affermato di parlare a nome di una coalizione di ufficiali militari, di polizia e funzionari pubblici ed ha esortato i venezuelani a continuare a combattere per proteggere la costituzione. 

Maduro sembra avere le ore contate.