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2023/06/18

SILVIO BERLUSCONI


Sono convinto che avanti alla morte ci debba essere innanzitutto rispetto e che solo il tempo confermi o meno il valore di una persona. Placate le polemiche di parte, solo allora la Storia emetterà un giudizio sereno su Silvio Berlusconi, perché – piaccia o meno – il Cavaliere è stato comunque un cardine della storia politica e sociale italiana, ma anche di profonde trasformazioni di costume della nostra società.

Ricordiamolo come imprenditore prima che politico, un personaggio che con la sua ascesa rampante riuscì a rompere il monopolio RAI facendo progredire l’Italia in molti campi, oltre che aver offerto un lavoro a decine di migliaia di persone. “Pagando tangenti” dirà qualcuno e può darsi, ma avrebbe potuto emergere senza farlo? Lo si è dipinto come “mafioso” e mi sembra francamente esagerato, anche se probabilmente deve essere venuto a patti con poteri forti, o non avrebbe potuto realizzare le sue attività, così come fanno (quasi) tutti. .

C’è poi stato il Berlusconi politico, un uomo capace di capire prima di altri le novità elettorali, il crollo della prima repubblica, la volontà profonda della maggioranza degli italiani di non essere governati dalla sinistra che trent’anni fa era molto diversa da quella di oggi.

E’ seguito il Berlusconi premier che ha varato riforme importanti nonostante una opposizione preconcetta, viscerale, rallentante, a volte ottusa sia da parte del Quirinale (ricordiamoci di Scalfaro), che della Magistratura oltre che – ovviamente - dell’opposizione. Tutto ciò fa sempre parte del gioco, ma con lui la Legge non è stata “uguale per tutti” perché sicuramente nel suo caso tutto è stato anche strumentalizzato, forzato, esagerato tanto che ha passato la vita a difendersi con mille cavilli, rinvii, tentativi di progetti di legge “ad personam” contro chi lo voleva politicamente morto, spendendo un patrimonio di spese legali. Un personaggio egocentrico, a volte molto, imbarazzante ma Berlusconi era anche un uomo coraggioso, diretto, trascinante, generoso tanto che infinite persone ne hanno approfittato in ogni campo e in tante situazioni.

Certamente c’è stato anche il Berlusconi donnaiolo, libertino, eccessivo, ma a ben guardare tutta la sua vita è stata “eccessiva”, perché questa era la caratteristica del personaggio, a volte insopportabile, a volte entusiasmante.

Non esprimo quindi un giudizio, ma certamente se nel 1994 avesse fatto altre scelte non avremmo l’Italia di oggi nella politica, nell’economia e nei costumi.

C’è stato poi un Berlusconi “internazionale”, in Italia sottovalutato e volutamente letto troppe volte in chiave negativa e invece molte volte le sue amicizie personali gli hanno permesso contatti virtualmente impossibili. Spesso Berlusconi non è stato “politicamente corretto”, ma è così che ha costruito (o cercato di costruire) una serie ifinita di rapporti nel mondo. Ha iniziato partite storiche per una diversa integrazione della Russia nella UE nel momento in cui i rapporti con gli USA grazie a lui erano eccellenti ma – un po' come con Enrico Mattei tanti anni fa - se la piccola Italia diventa protagonista allora dà fastidio e chi cerca di farla crescere va emarginato, magari dando grande spazio ad aspetti piccanti ma marginali, ridicoli o negativi connotandoli come fossero la sostanza. Non era così, ma così doveva apparire.

Questi aspetti di Silvio Berlusconi, spesso dimenticati, hanno fatto di lui un personaggio unico, da valutare non oggi, ma nel tempo.

Qui di seguito un ricordo del Berlusconi politico e, nello specifico, per i suoi rapporti con la Destra di allora:


BERLUSCONI E LA DESTRA DI FINI

Cominciò tutto a Casalecchio di Reno, vicino a Bologna, nella tarda mattinata del 23 Novembre 1993. Silvio Berlusconi aveva appena inaugurato un suo nuovo supermercato (che allora si chiamava Euromercato, ora è un Carrefour) e una giornalista della sede ANSA di Bologna, Marisa Ostonali, gli chiese: “Cavaliere, se lei votasse a Roma chi sceglierebbe tra Rutelli e Fini?" Berlusconi rispose “Io credo che la risposta lei la conosca già. Certamente per Gianfranco Fini”.

Una deflagrazione, una bomba. Due giorni prima Fini - complice una DC romana spappolata e dissanguata tra scandali e liti interne – praticamente da solo aveva preso al primo turno delle elezioni comunali 617.000 voti contro i 687.000 del candidato della sinistra, Francesco Rutelli, andando al ballottaggio. Erano le prime elezioni che prevedevano l’elezione diretta del sindaco e con quella risposta Silvio Berlusconi scelse chiaramente una delle due sponde, ma quella che fino a un minuto prima era considerata “la parte sbagliata”.

Da qualche mese si vociferava di una sua possibile “discesa in campo”, ma nessuno aveva ancora capito “il se e il come”, visto che Berlusconi sembrava strettamente ancorato a quel centro-sinistra rappresentato dal PSI di Bettino Craxi, un partito socialista sommerso dai marosi della tempesta di “Mani Pulite”.

Certo pochi avrebbero scommesso su un Berlusconi a fianco di una destra non ancora sdoganata e che allora era rappresentata soltanto dal reietto Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale, roba da 5% o poco meno. Un partito emarginato e ripreso in mano da Fini solo pochi mesi prima dopo la parentesi di Pino Rauti e quasi per scherzo si era candidato a Roma in una “missione impossibile”.

Ma c’era in aria una grande novità che Silvio Berlusconi aveva colto prima degli altri: con la nuova legge elettorale maggioritaria tutti i voti sarebbero stati utili e buona parte del centro ex DC non avrebbe votato per gli ex comunisti.

La “bomba” fu potente: in un secondo Berlusconi rovesciava gli schemi, legittimava un personaggio in crescita (l’allora giovane Fini piaceva come volto nuovo, con picchi di audience in TV) ma facendo crollare quell’ “Arco costituzionale” che aveva emarginato per cinquant’anni la Destra dalla politica italiana.

Alla fine a Roma vinse Rutelli, ma il delfino di Giorgio Almirante conquistò il 47% dei voti.

Partì l’avventura: in poche settimane Silvio Berlusconi fondò Forza Italia con tutte le caratteristiche di un “partito-azienda” e dove i primi quadri furono i suoi manager di Publitalia. Slogan, musichette, inni, minigonne e gadget all’americana: una rivoluzione comunicativa, mentre nel frattempo Fini trasformava il MSI in Alleanza Nazionale e in poche settimane, complice il finissimo mediatore di Fini Pinuccio Tatarella, l’alleanza Fini-Berlusconi si concretizzò.

Il 27 e 28 marzo ‘94 la “gioiosa macchina da guerra” dell’allora leader del PDS Achille Occhetto (data per sicura vincente) finì fuori strada, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro sfiorò l’infarto mentre Berlusconi vinceva alla grande conquistando Palazzo Chigi: era cominciata la “Seconda Repubblica”.

Fini piazzò quattro ministri, ma di fatto iniziò un duello con momenti di autentica condivisione alternati a finti sorrisi e coltellate sottobanco.

“Non dura” si diceva dalle parti di AN pensando al Cavaliere e invece non solo Berlusconi durò, ma - quando Bossi piantò in asso la maggioranza - alle elezioni del 1996 Forza Italia surclassò nuovamente Alleanza Nazionale che, più strutturata, pensava che il partito di plastica del Cavaliere si frantumasse.

Il partito-azienda invece si consolidò e tra alti e bassi continuò una lunga sopportazione reciproca dove il Cavaliere con i suoi colpi di scena squinternava regolarmente gli accordi e gli scenari concordati, con un Fini furioso sempre costretto alla perenne rincorsa.

Un esempio clamoroso fu più di dieci anni dopo, quando – da una portiera semiaperta di un’auto in pieno centro a Milano – una sera (con l’improvvisato “discorso del predellino”) Berlusconi annunciò di fatto la “fusione” di FI con AN nel “Popolo della Libertà”.

Non era vero (quasi) niente, ma a quel punto non si poteva fare altro che confermarlo e fu l’inizio tribolato di un partito mai nato, tra aperti dissidi ai vertici come alla base. Una tensione che divenne pubblica il 22 aprile 2010 quando Fini (allora presidente della Camera) interruppe il Cavaliere che si stava scagliando troppo veemente contro le “toghe rosse” difendendo i magistrati.

Girarono parole grosse davanti alle telecamere, fino al famoso “Che fai, mi cacci?» di Fini che poi se ne andò davvero dal PDL con un gruppo di 33 deputati e 10 senatori fondando “Futuro e Libertà”, partito che guardava al centro ma ebbe una vita meno che effimera.

Una incompatibilità personale tra Silvio e Gianfranco che pesò più del dato politico: Fini non accettava i modi sbrigativi da padrone di casa tipici di Berlusconi e quest’ultimo mal sopportava il ruolo da protagonista di Fini, spesso coccolato dai media in chiave antiberlusconiana.

Le vicende personali si legarono poi a quelle politiche con Berlusconi che considerava quello di Fini un tradimento da figliuol prodigo e Fini che accusava il Cavaliere per le campagne scandalistiche dei media berlusconiani, soprattutto sulla vendita di una casa a Montecarlo a favore del fratello della sua compagna, Elisabetta Tulliani.

Gianfranco Fini - per vent’anni delfino designato alla fine rimasto senza trono - uscì definitivamente di scena con la sconfitta elettorale del 2013, mentre Berlusconi tenne duro nonostante la “legge Severino”, gli alti e bassi di Forza Italia, le indagini delle procure, gli scandali e il correre degli anni. Ritornato al Senato l’anno scorso fino all’ultimo ha voluto essere lui il protagonista, probabilmente soffrendo del crescente seguito goduto da Giorgia Meloni.

2017/07/02

Che fine ha fatto Amelia Earhart?



Ormai quasi nessuno la ricorda più, ma la storia dell’aviatrice americana Amelia Earhart tenne le prime pagine dei giornali per mesi, se non per anni. E ciclicamente la storia della sua misteriosa scomparsa torna alla ribalta, con nuovi ritrovamenti o ipotesi. La giovane aviatrice solitaria ha colpito profondamente l’immaginario collettivo mondiale: sia per il periodo, si usciva dalla Grande Depressione e lei dava una speranza anche alle donne, abbattendo le barriere di genere, sia per il suo aspetto: bella di una bellezza nordica, alta, flessuosa, sensuale come solo certe donne mascoline sanno essere, con quell’aria di americana di campagna (era del Kansas), fintamente spettinata, con gli occhi azzurri anglo-sassoni. 

Le foto che ci rimangono la ritraggono quasi sempre in tuta da volo: in piedi, nella carlinga di un aereo, col giubbotto di pelle degli aviatori americani che avremmo imparato a conoscere durante la guerra mondiale, gli occhialoni; altre ce la mostrano mentre indossa una tuta da palombaro per le sue escursioni in mare, molte con i fiori al ritorno da qualcuna delle sue imprese, e un paio con Italo Balbo, trasvolatore italiano che la ricevette insieme con Benito Mussolini a Roma. Amelia Earhart si consegnò all’immortalità sparendo letteralmente il 2 luglio 1937 insieme con suo aereo e col suo navigatore Fred Noonan, anch’egli scomparso, in un’area remota del Pacifico, vicino a un’isola dove sarebbe dovuta atterrare ma dove non arrivò mai, l’isola Howland. 

Cosa sia successo non lo sapremo mai, fatto sta che l’intrepida aviatrice partì da Lae, in Nuova Guinea, nel tentativo di circumnavigare il globo sulla linea dell’Equatore col suo Lokheed L-10 Electra, diretta appunto a Howland, una striscia di terra lunga due chilometri e larga 500 metri. Nei pressi c’era la Itasca, una nave della Guardia costiera americana che le avrebbe dovuto indicare la rotta e assisterla. Alle 7.42 di quel giorno di 80 anni fa, la Earhart trasmise alla nave questo messaggio: “Dovremmo essere sopra di voi, ma non riusciamo a vedervi ma il carburante si sta esaurendo. Non siamo riusciti a raggiungervi via radio. Stiamo volando a 1.000 piedi”. Si capì che c’erano difficoltà di comunicazione: la nave trasmise segnali Morse, fece fumo con le caldaie per farsi vedere, ma a quanto pare l’aereo non riusciva a trovare l’isola che, essendo piatta, non si distingueva dall’oceano. 

L’ultima comunicazione conosciuta di Amelia fu delle 8.43 di quella mattina: “Siamo sulla linea 157 337. Ripeteremo questo messaggio. Ripeteremo questo messaggio a 6210 kHz. Attendete”.

Amelia Earhart fu cercata inutilmente per decenni, ma nessuno la rivide mai più, né lei né Noonan. I segnali radio, già deboli e disturbati, sembra si protassero per qualche giorno, segno secondo alcuni che l’aereo era atterrato da qualche parte, altrimenti la radio avrebbe smesso di funzionare se si fosse inabissato. In seguito si disse che c’erano stati segnali, comunicazioni, ma non lo si poté mai appurare con certezza. 

Pare che l’Electra sia atterrato su un’isola deserta, l’isola di Gardner, secondo la migliore tradizione dell’avvenuta hollywoodiana, e che Noonan rimase gravemente ferito mentre Amelia sarebbe sopravvissuta per qualche tempo morendo poi di stenti, ma nessuno ritrovò mai né lei né l’aereo, anche se di tanto in tanto “prove” saltano fuori. L’ultima appena un anno fa, con il ritrovamento di un co0smetico usato dall’aviatrice e di pezzi di un velivolo, ma chissà. 

Fatto sta che la Earhart in quel momento era famosissima, e che il presidente Roosevelt, appresa la vicenda, autorizzò ricerche dispendiosissime, con l’impiego di 9 navi e 66 aerei, che però giunsero sul luogo indicato solo dopo cinque giorni, non trovando assolutamente nulla e nessuno. In quel periodo poi gli Stati Uniti dovevano dimostrare la loro efficienza e potenza, soprattutto sul Pacifico, che era conteso loro dall’impero giapponese, cone risulterà chiaro pochi anni dopo. 

E a questo attrito è legata anche una delle più affascinanti ipotesi sulla sorte di Amelia e del suo navigatore; si disse e scrisse che era stata presa prigioniera dai giapponesi che pensavano fossero spie, e che fossero stati tenuti prigionieri sull’isola di Guam; addirittura c’è chi giura di aver visto Amelia e di averle parlato in qualche campo di prigionia. E una donna, trenta anni dopo, disse persino di aver assistito alla fucilazione della Earhart. Ipotesi infondata, perché, se fosse stato vero, nel 1945 gli americani lo avrebbero saputo e diffuso. 

E anche perché all’epoca alle ricerche, che proseguirono poi ufficiosamente per anni – e ancora proseguono – parteciparono anche due navi giapponesi. Qualcuno azzardò anche che si trattava di una montatura pubblicitaria e che lei fosse tornata negli Usa sotto falso nome. Amelia Earhart stava per compiere quarant’anni, li avrebbe compiuti pochi giorni dopo la sua sparizione. Ci fu addirittura chi, trent’anni dopo, ripercorse fedelmente il volo della Earhart, ma il mistero non si è mai chiarito. 

Si disse che l’aereo a Lae non era stato rifornito del tutto, che Amelia e Noonan avessero sbagliato a calcolare la rotta, e le conclusioni più recenti affermano che probabilmente l’Electra finì semplicemente il carburante sull’oceano. Nel 1940 un inglese, un pilota, disse di aver trovato uno scheletro sull’isola di Nikumaroro, che poi inviò alle isole Figi, dove poi però andò smarrito. Si fece in tempo però a stabilire che poteva appartenere a una donna. Nel 2007 sull’isola furono trovati manufatti di origine incerta, un osso di un dito, e altri reperti, ma nulla che fornisse una prova chiara e definitiva. 

Così il mistero rimane. 

Su Amelia Earhart sono stati scritti libri, effettuate inchieste e documentari, realizzati film, e in tutta l’America esistono statue a lei dedicate e busti e oggetti vari; c’è persino una medaglia dedicatale dallo Smitsonian Institute. Ma il suo rimarrà uno dei grandi misteri insoluti della storia; ci piace rivederla su un’isola deserta, su una spiaggia e con la tuta di volo, che scruta l’oceano e aspetta.

2016/06/10

Arrivederci Gianluca.



Su richiesta di un amico, pubblico questo articolo in ricordo di Gianluca Buonanno.
Buonanno mi viene descritto come un politico attento ai bisogni della gente, non uno di quei mezzibusti appiccicato con l'attaccatutto al fondo della poltrona ma sempre in prima linea contro i sopprusi. Non lo conoscevo personalmente ma quello che di lui ho letto l'ho apprezzato. Ciao Gianluca.

Uno schianto e domenica scorsa GIANLUCA BUONANNO, europarlamentare della Lega Nord e sindaco di Borgosesia, è morto improvvisamente in un pauroso incidente stradale e con una dinamica ancora oscura (Ndr: Adesso la dinamica è chiara, Gianluca si piegò per recuperare un oggetto non accorgendosi dello sbandamento dell'auto e della Mercedes ferma in corsia di emergenza, l'urto con la quale gli fu fatale). Permettetemi di ricordarlo in amicizia perché Gianluca non era solo quello delle sparate demagogiche - come è stato superficialmente presentato - ma un (ex) ragazzo che a differenza di quasi tutti non si limitava a “dire” ma soprattutto si dedicava a “fare” .

Ci conoscemmo negli anni ’90. “Il suo consigliere si è barricato da due giorni in consiglio comunale” mi sussurrò una voce al telefono. Era il segretario comunale di Serravalle Sesia (VC) che mi comunicava come l’allora consigliere comunale del MSI-DN Gianluca Buonanno avesse litigato con il sindaco minacciando di non uscire più dall’aula finchè non gli avessero dato ragione e il povero segretario – che non sapeva più pesci pigliare – mi telefonò disperato. 

Ero allora consigliere regionale, uno dei pochi esponenti del partito conosciuti nella zona e arrivai di volata a Serravalle dove la piazzetta del comune sembrava un set cinematografico: Gianluca stava in aula e calava un cestino dalla finestra che la gente riempiva di cibarie, con le TV che inquadravano e lui che - ovviamente - finì forse per la prima volta su tutti i giornali. 

Cominciammo a frequentarci e lui “soffriva” i dirigenti di AN di Vercelli che obiettivamente erano tre dita meno in gamba di lui. Litigi continui, polemiche. Volevano espellerlo, lo salvai, lo feci chiamare a Roma da Fini che gli fece una ramanzina (sorridendo, però) pregandolo di calmarsi e parlando di disciplina e spirito di gruppo: sembrava convinto. Gianluca mi chiamò alla sera “Grazie, Marco, ho già fatto un comunicato stampa dove ho scritto che Fini mi ha dato ragione su tutto…” Ovviamente in AN non era più aria e lui era incerto se aderire all’ allora UDC di Casini o alla Lega. Eravamo buoni amici e quindi mi chiese consiglio. Ci trovammo a parlarne e gli consigliai la Lega perché avrebbe avuto ben altri spazi di crescita e visibilità per quella che fu evidentemente una buona scelta.

Gianluca è stato consigliere comunale, provinciale e regionale, sindaco e parlamentare italiano e europeo, riusciva contemporaneamente a fare tutto perché ci credeva e non solo per una questione di immagine.

Pochi mesi dopo il suo debutto “pubblico” con la famosa occupazione del consiglio cambiò la legge elettorale, lui si candidò a sindaco e fu subito sindaco di Serravalle, poi a Varallo e ora a Borgosesia, ma indubbiamente a Serravalle - in pochi mesi – grazie alla sua nomina era già davvero cambiato tutto, a cominciare dalle sagome di cartone a dimensione naturale con lui raffigurato in divisa da vigile urbano sistemate nei punti strategici per indurre a rallentare le auto di passaggio.

Arrivammo una volta per una manifestazione a Serravalle Sesia con Maurizio Gasparri (allora sottosegretario all’Interno) e a un certo punto Gianluca sparì. “Ero andato a chiudere i cancelli dei cimiteri” - spiegò poi - e era proprio così, perché lui era onnipresente e nell’interesse del comune faceva di tutto. 

A Varallo, entrando in paese, colpiva per esempio un gigantesco cartellone che – oltre a vietare alcuni costumi islamici – invitava a telefonare al sindaco in caso di necessità con il suo numero, ovviamente, che chiamai una volta alle 4 del mattino mentre andavo a pescare a Rimasco e lui, pronto, rispose subito. Perché questo era il “vero” Gianluca Buonanno, uno che certo si metteva fin troppo in mostra, ma soprattutto lavorava ogni giorno e stava concretamente dalla parte della “sua” gente che lo amava e da vent’anni - ogni volta - puntualmente lo copriva di voti. 

Certo che a volte esagerava e si era creato un personaggio, ma i suoi atteggiamenti avevano sempre un fondo di buon senso e di ragione. Ridemmo insieme quando fu espulso dall’aula a Montecitorio per la famosa spigola sventolata dal suo banco e lo presi in giro tacciandolo di plagio perché mi aveva copiato, visto che era stato uno dei pochi a ricordarsi che una volta ero stato proprio io a spedire per posta (in piena estate) dei pesci a Rosy Bindi, allora ministro della sanità, che per problemi burocratici non voleva riaprire la pesca sul Lago Maggiore. 

Con nostalgia penso fatalmente all’ultima volta che l’ ho saluto a Borgosesia nel suo ufficio da sindaco, un sabato pomeriggio invernale in orari non certo “d’ufficio” anche perché per lui non c’erano orari, come sanno peraltro tutti i sindaci autentici.

Parlavamo del futuro e gli dissi che – visto anche il deserto generale nel centro destra piemontese - l’avrei visto bene proporsi come presidente della Regione Piemonte la prossima volta (in fondo era una carica che ancora gli mancava). Lui sorrise e ovviamente commentò con un “si vedrà…” 

Il destino non ha voluto, ma in qualche modo la sua unicità, amicizia e simpatia resterà sempre con noi. Arrivederci, Gianluca. 

Ps. Il presidente del Consiglio Comunale di Verbania (del PD) martedì sera non ha concesso di commemorare Buonanno e neppure di osservare il consueto minuto di silenzio a inizio seduta, come richiesto dai consiglieri della Lega Nord. Parte dei consiglieri e del pubblico si sono comunque alzati in piedi lo stesso pur mentre proseguivano i lavori. 


Meglio evitare di commentare certe miserie.

2016/04/19

Gianroberto Casaleggio


La morte inaspettata di Gianroberto Casaleggio mi ha lasciato turbato perché in questi anni alla fine è rimasta una persona determinante eppure riservata e nascosta nel mondo politico italiano. 

Credo che in molti si siano chiesti quanto alcuni suoi atteggiamenti abbiano contato nel programma di Grillo, quali capacità strategiche avesse come persona e se e quanto davvero credesse in un rinnovamento del sistema politico da portare avanti con il M5S. 

Peccato – oltre ovviamente all’aspetto umano – che se ne sia andato in incognito alla vigilia di avvenimenti importanti e di una svolta nel sistema politico italiano che temo, se con Renzi passerà ad ottobre il suo referendum costituzionale, si cristallizzerà in una sorta di regime personale.

Ho apprezzato molto quel coro “Onestà” ai funerali di Casaleggio e spero che non resti uno slogan e che il M5S creda davvero fino in fondo alla necessità di una opposizione seria, corretta, puntuale, in attesa che lo capisca anche quel che resta del centrodestra e si comporti di conseguenza.

2016/01/03

Tributo alle vittime innocenti di una ferocia senza confini

Eccoli, sono loro, i volti delle vittime del terrore, di un tranquillo weekend di paura diventato l'incubo peggiore per centinaia di famiglie che in una notte hanno perso figli, padi e madri, fratelli e sorelle, nipoti e amici. Il terrore non deve sovrastare gli animi, l'odio non deve annichilire le menti, non posso parlare di vendette, non sarebbe umano ma l'indifferenza non è la soluzione allora chi ha cOlpito va punito, risalendo la catena dell'odio fino a chi l'ha generata, e non importa quanto in basso o in alto è necessario andare. E se dovessero arrivare a distruggere un popolo lo faranno affinché le genti non vivano sempre nel terrore.







La cosa peggiore è riconoscere, all’uscita della Morgue, i lineamenti di queste ragazze e di questi ragazzi, logorati dal tempo e dalla sofferenza, sul volto delle madri e dei padri venuti a riconoscerli. 

La cosa peggiore è avere 129 vite solo da immaginare. Vite di artisti, di ricercatori, di scrittori: immaginare quanto sarebbero state belle le loro canzoni, le loro scoperte, le loro opere. Immaginare quanto sarebbero stati belli i loro figli. Vite infinite.

La cosa peggiore è che, ora che tutti sono stati riconosciuti, non resta nessuno che possa pensare: lui, o lei, potrebbe essere ancora vivo.

La cosa peggiore è l’ignoranza di assassini che non sanno cosa significhi aver portato un bambino nella pancia o averla accarezzata, aver pianto quand’è nato, essersi svegliati di notte quando piangeva, essersi preoccupati quando faceva tardi con gli amici, aver gioito per la sua laurea, aver provato un misto di orgoglio e di nostalgia a vederlo partire per una grande città.

La cosa peggiore è pensare a tutti i genitori condannati a sopravvivere a un figlio, e alla pena che la strage di Parigi rinnova dentro di loro.

La cosa migliore è considerare quanto il dolore ormai appartenga al mondo, quanto sia globale e condiviso: le vittime venivano da 19 Paesi diversi.

La cosa migliore è la consapevolezza che le vittime sono più forti e lasciano segni più profondi dei carnefici.

La cosa migliore è riascoltare la dichiarazione della madre di Valeria Solesin, le uniche parole in italiano sentite in questi giorni alla tv francese - «nostra figlia mancherà molto a noi e anche al nostro Paese», e concludere che è davvero così.

La cosa migliore è rileggere Pasolini, in morte del fratello Guido: «Quanto sia il dolore di mia madre, mio e di tutti questi fratelli e madri non mi sento ora di esprimere. Certo è una realtà troppo grande, questa di saperli morti, per essere contenuta nei nostri cuori di uomini». Ma «senza il loro martirio non si sarebbe trovata la forza sufficiente a reagire contro la bassezza, e la crudeltà e l’egoismo». «Noi alla società non chiediamo lacrime; chiediamo giustizia».


L'articolo originale viene dal Corriere.it, a firma di Aldo Cazzullo. I nomi delle vittime li trovate sul web. Sempre sul web potete trovare tutto, volevo che il ricordo fosse perpetuato dai volti prima che col tempo svaniscano.


2014/04/30

Ayrton Senna, la leggenda della Formula 1 - Tribute

Vent’anni fa, il primo maggio del 1994, morì a Imola Ayrton Senna, uno dei piloti più amati della Formula 1. Un grande uomo, non solo in pista, dove oltre a essere grande era anche un combattente, ma nella vita.

Ayrton Senna è rimasto nella memoria di tutti appassionati e non solo, anche in quella della gente che di F1 non conosceva nulla, per il grande talento e la capacità di emozionare, con gare sempre al limite (e a volte anche oltre), oltre che per la sua grande umanità, non sempre così facile da trovare in un ambiente come la Formula 1. Se dobbiamo però prendere solo alcune delle sue qualità principali, quelle rimaste più impresse, parliamo della sua abilità di guidare in condizioni estreme e quella capacità di saper sfruttare l’ultimo giro utile nelle qualifiche, per strappare la pole position ai rivali.

I suoi numeri strepitosi rendono solo in parte il suo feeling con quel giro secco, per partire davanti a tutti nella gara del giorno dopo, ma vale comunque la pena di citarli: 65 pole position conquistate in 162 gare, cioè una ogni 2 o 3 gran premi. Una media mostruosa, diventata ancora più incredibile se consideriamo solo gli anni in cui aveva una macchina competitiva per il titolo (41 in quattro anni tra il 1988 ed il 1991). E proprio partendo davanti a tutti ha salutato il mondo terreno: tre pole nelle prime tre gare del 1994, seppur senza mai riuscire a terminare la gara.

La domenica, invece, Senna si esaltava se pioveva o, ancor meglio, diluviava. Mentre tutti gli avversari rallentavano o andavano fuori pista, lui macinava giri veloci e sorpassi, quasi come se l’asfalto fosse bagnato solo per gli altri. Le sue prime vittorie sono arrivate tutte con gli ombrelli aperti: la prima grande gara a Montecarlo 1984, il primo successo in Portogallo l’anno successivo ed il primo titolo mondiale a Suzuka 1988. Non è certo un caso, così come non lo è essere stato nominato il "mago della pioggia".

Ayrton Senna il campione. Quarantuno sigilli, poi il brusco stop. La carriera di Ayrton Senna in Formula 1 inizia nel 1984, ma dovrà aspettare un anno prima di salire sul gradino più alto del podio, all’Estoril, in Portogallo. Da allora, una marcia inarrestabile che lo porterà a dominare praticamente ovunque. Avrebbe infranto molti più record di quanti non abbia fatto nella sua carriera, Ayrton Senna. Tra il brasiliano e la conquista di tutte le classifiche si intromise però il destino. 

Ayrton diceva che con il Cielo aveva un rapporto speciale, un'amicizia consolidata, una fede incrollabile: ''Nessuno mi può separare dall'Amore di Dio''. Lui, che qualche tratto divino l'aveva nei lineamenti, nei gesti e soprattutto nell'enorme talento, se ne andò un pomeriggio di 20 anni fa facendo la cosa che, dopo Dio, amava di più: la velocità. Andando al massimo. A 300 all'ora.

Bisogna che qualcuno lo dica chi fosse davvero Ayrton Senna. Che possono saperne i ragazzi d'oggi, vent'anni fa non erano ancora nati! Il mondo al tempo di internet brucia in fretta i suoi protagonisti. Un'ora fa è il vecchio, ieri è il passato. E’ un modo diverso, quello del terzo millennio, di approcciare la storia. Tutto è così immediato, e l'istante dopo qualcosa distrae già l'attenzione. C'è altro da vedere. Vivere nella velocità è un dovere. Ecco, qui tra voi e lui c'è una somiglianza che forse vi aiuta a capire chi fosse in realtà questo gentiluomo brasiliano. Amava la velocità, si diceva. Viveva per lei. Morì, per lei.

Era l'1 maggio del 1994. Festa dei lavoratori. Forse fu l'unico giorno della sua vita, oltre che l'ultimo, in cui andò a lavorare contro voglia. Presagio di quello che sarebbe accaduto alle 14:17 di 20 anni fa? Forse (il Cielo gli era vicino, si diceva), ma soprattutto era quello che era accaduto nei giorni precedenti in quel maledetto fin di settimana imolese che lo turbava.

Lui era il miglior pilota in circolazione, da poco approdato alla corte di Frank Williams, dopo i trionfi e i tre mondiali conquistati con la McLaren. Nel frattempo una diavoleria ingegneristica che teneva le monoposto incollate al suolo, quali erano le sospensioni attive, era stata abolita, circostanza che purtroppo avrebbe giocato un ruolo, assieme a troppe altre, sul suo destino terreno. Lui era il più forte e sicuramente il più veloce in pista. Nelle prime tre gare di quell’anno fatale non a caso partì sempre dalla pole position, di cui era il recordman, 65 in carriera.

Eppure già in Brasile, al debutto, e nel prosieguo, in Giappone, non era riuscito ad arrivare alla bandiera a scacchi, vittima di piccoli e se vogliamo banali incidenti di percorso che avrebbero dovuto avvisarlo che c'era qualcosa nel mezzo che non andava a dovere. Primo al traguardo in entrambe quelle gare arrivò un certo Michael Schumacher, su Benetton. Che effetto fa pensare che, vent'anni dopo la scomparsa di Ayrton, il kaiser tedesco sia in un limbo di incoscienza per danni cerebrali analoghi, anche se non fatali, a quelli che uccisero il tre volte campione sette giri dopo il via del Gp di San Marino. Qualche astuzia tra i paletti del regolamento rendeva velocissima la macchina di Michael, ma soprattutto lui arrivava in fondo. La Williams no.

C'era qualcosa che disturbava la guida pulita (Ayrton resta l’eroe di sempre del giro perfetto) del miglior pilota della storia. Di certo, il nostro non sopportava di subire da quello sprezzante tedesco. E poi c'era qualcosa nella progettazione della sua macchina che non andava. Non c’era spazio a sufficienza, per le mani guantate, tra scocca e volante, le nocche sfregavano sul metallo che le circondava. I tecnici e i meccanici della scuderia fresarono quella parte del telaio, per dare maggiore agio alle manovre del pilota. Ma non bastava, forse fresarono il supporto sbagliato, forse fu quell'azione riparatrice la responsabile di quel cedimento strutturale del supporto che reggeva il volante, forse furono solo dettagli di un grande disegno che era stato scritto da qualche parte e doveva solo avverarsi.

Agli ingegneri, categoria sempre osannata a torto o ragione, venne in mente una soluzione stile uovo di Colombo. Segarono il piantone dello sterzo e saldarono una sezione di pochi centimetri, tra i due monconi separati, di spessore più ridotto nel giunto in cui l’asta si appoggiava, l’intero sistema sterzante sarebbe potuto scendere verso il basso di qualche millimetro, per dare maggiore agio alle mani di Ayrton.

Questo empirismo da officina ebbe un ruolo nel destino del campione brasiliano. Non c’erano più le sospensioni intelligenti, gli asfalti che fino a un anno prima risultavano lisci come un biliardo si rivelarono quell’anno per le nuove e meno sofisticate sospensioni un po' meno confortevoli, almeno il fondo del Circuito del Santerno. Dove prima le macchine passavano come sui binari, ecco che all’improvviso pareva di correre una sorta di rally. Pieni di dossi e di avvallamenti, di rugosità, i circuiti ’94. Le monoposto ballavano sull’asfalto come fosse un’esibizione di tip-tap. Troppo, evidentemente troppo, per l’indebolito piantone della Williams su cui Ayrton scaricava la forza delle sue mani per le curve e le correzioni di rotta.

E poi… Ci sono troppi poi in questa storia, eccolo, un ennesimo poi: i regolamenti erano meno sofisticati di oggi, le vie di fuga per ridurre le conseguenze di fuoripista erano meno lunghe, i muri erano di cemento e non protetti da schermi di gomma, e i prati in alcuni casi non erano in salita com’è logico ma a volte in discesa, con conseguente perdita di contatto col suolo e un devastante effetto planante. Così era quella al Tamburello di triste memoria.

E come un presagio di morte, l’uomo che sussurrava al Cielo aveva fatto triste tesoro dell’incidente a Roland Ratzenberger, in cui uno schianto su un muro costò la vita allo sfortunato pilota austriaco nel sabato di qualifica.

Nulla sarebbe più stato come prima. Prima di Senna. Dopo Senna. E non è un caso che dopo Ayrton, in pista, non sia più morto nessuno. Cambiò tutto, a partite dai regolamenti e dai crash test. Lui amava la velocità, i milioni di appassionati che lo compiangono come nessuno odiano che la velocità e un banale guasto meccanico abbiano privato il mondo del suo immenso talento. 

Oggi è tutto più sicuro. Almeno quel sacrificio non fu del tutto vano.
















Pensiero della sera: Se fosse sopravvissuto al terribile incidente di Imola, oggi Ayrton Senna avrebbe 54 anni.
Sicuramente si sarebbe ritirato molto prima di Schumacher, forse già dopo aver vinto almeno due mondiali con la Ferrari. Se avesse firmato lui con la Ferrari, non ci sarebbe andato Schumacher che di mondiali con la Ferrari ne ha vinti 5. Avremmo tutti preferito che Ayrton restasse in vita e continuasse a correre per la sua e nostra gioia e chissenefrega dei mondiali di Schumacher.
Purtroppo è andata diversamente e, francamente, non mi sento di gioire per qualche mondiale in più!

2014/04/25

Cent'anni di solitudine - Tributo a Gabriel Garcia Marquez

Chissà se quel giorno in cui Gabo si accorse che stava per morire chiamato dal grande signore che sta in cielo, si ricordò del giorno in cui scrisse il suo più grande e indimenticato romanzo "Cent'anni di solitudine"?

Quel romanzo epico e travolgente, abbastanza da attirare milioni di lettori a leggerlo e rileggerlo inizia grosso modo così, con un ricordo di molti anni prima: 
""Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio. Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito."

La fucilazione del colonnello Aureliano Buendia
in un dipinto di autore ignoto.
Venite gente a Macondo, un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come pietre preistoriche. Avvicinatevi signore e signori e lasciatevi ammaliare da Melquìades, lo zingaro che "diceva di possedere le chiavi di Nostradamus". Volate con Josè Arcadio Buendìa verso un futuro fantastico, fatto di pindarici progetti e illimitate fantasie. Combattete e amate donne in ogni dove, al fianco del generale Aureliano Buendìa. Guardate, guardate bene signori, e vedrete sei generazioni di Buendìa segnare le sorti di questo paese, divenuto alla fine, un "pauroso vortice di polvere e macerie centrifugato dalla collera dell'uragano biblico". Una saga familiare ricca di forza e visioni, un romanzo eccezionale, scritto nello stile suggestivo di uno dei padri della letteratura Sudamericana.

Chi era Gabriel Garcia Marquez?

Era prima di tutto un amante dello scrivere, scrivere per affascinare, per attrarre il lettore, anche quello più distratto. Per distrazione o per noia iniziai a leggere il mio primo libro di Gabo, quei Cent'anni di solitudine che non m'hanno più abbandonato. L'unico libro che ho letto e riletto almeno tre volte nella mia lingua e poi in inglese, in francese e recentemente nella lingua originale. E queste continue letture possono sembrare astruse, vuote di significato, invece ne hanno molti. Leggere e rileggere focalizzandosi ogni volta su un diverso filone della storia per cogliere le sfumature. Cent'anni di solitudine credo che sia l'unico libro che permette, attraverso un lirismo mitico e un accentuato surrealismo, svariate interpretazioni personalizzate. Diviene difficile scrivere un commento al libro perché arriva a sfiorare delle corde profonde, che appartengono a ognuno di noi e sono parte del nostro (più o meno celato, ma immancabile) disagio esistenziale. Tra queste pagine c'è solitudine, appunto, c'è malinconia, rabbia, volontà di cambiare, e nonostante la lotta si giunge sempre alla resa davanti ad un “tiempo” che sembra riproporre, quasi beffardo, giorni sempre uguali, in cui si succedono generazioni di uomini dal nome altrettanto uguale, che ricorda loro - fin dalla nascita - un destino segnato e distinato alla solitudine. 

Gabriel García Márquez, morto il 17 Aprile 2014 a Città del Messico aveva 87 anni. Era stato ricoverato in ospedale il 3 aprile per una polmonite che tardava a guarire ma anche una lunga malattia succeduta al tumore estratto e apparentemente ben curato che lo colpi nel 1999. L'autore colombiano, premio Nobel per la Letteratura e padre del realismo magico ibero-americano, se n'è andato in silenzio e tutto il mondo piange la sua scomparsa.

Il simbolo di Macondo copertina di una 
versione Italiana di Cent'anni di Solitudine.
Prima di diventare l’autore-simbolo di un’intera generazione, di un continente e di una lingua, "Gabo" è stato per anni un grande giornalista, un periodista attento, poetico e duro, dei più drammatici avvenimenti che avevano mutato la mappa di mezzo mondo, dalle rivoluzioni di Cuba e del Portogallo alla tragedia cilena, a Ernesto "Che" Guevara, ai cubani in Angola, ai montoneros, ai dittatori centroamericani, alla Spagna postfranchista di Felipe Gonzales. Nato ad Aracataca, Magdalena, nel 1928, ha mescolato nella propria opera la dimensione reale e quella fantastica, dando impulso allo stile della narrativa latino-americana definito "realismo magico", di cui “Cien anos de soledad” (1967) rappresenta un manifesto. Nel 1982 ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura. Pubblicò “La hojarasca” nel 1955, analisi di un suicidio attraverso il monologo di tre testimoni che portano alla luce vicende e passioni di tutto un paese nel corso di un secolo. Seguirono Nessuno scrive al colonnelle (1961), I funerali della Mamà Grande (1962) e La mala ora (1962).

La sua opera di maggior successo, “Cent’anni di solitudine”, narra di un paese leggendario, Macondo, sul cui sfondo si intrecciano avvenimenti e fantasticherie, eroismi, crudeltà e solitudine. Ma ciò che più conta nel romanzo è la particolare struttura narrativa in cui la metafora e il mito acquistano valore nel quadro di una nuova visione della realtà. Dopo “Racconto di un naufrago” (1970), il volume di racconti “La incredibile e triste storia de la candida Erendira e della sua nonna snaturata” (1972) e una raccolta di articoli torna al romanzo con “L’autunno del patriarca” (1975), in cui rievoca, con il suo personale lirismo mitico e con accentuato surrealismo, la figura tragico-grottesca di un dittatore sudamericano. 

Disegni raffiguranti gli abitanti di Macondo
La sua produzione, quasi interamente tradotta in italiano, comprende i romanzi “Cronaca di una morte annunciate” (1982), “L’amore ai tempi del colera” (1985) e “Il generale nel suo labirinto” (1989), riflessione sul potere attraverso la narrazione degli ultimi giorni di vita di Simon Bolivar. Del 1992 è, invece, la raccolta di racconti “Dodici racconti raminghi”, a metà tra realtà e fantasia. “Dell’amore e altri demoni” (1994) indaga, attraverso la storia di una ragazza internata in un convento perché ritenuta indemoniata, sull’ineluttabilità e sull’inspiegabilità del sentimento amoroso. Ha poi scritto “Vivere per raccontarla” (2002) e “Memoria delle mie puttane tristi” (2004), un romanzo che racconta la storia di un vecchio giornalista che, a novant’anni, trascorre una notte con una ragazzina illibata, rimanendone piacevolmente sconvolto al punto da incominciare, quasi, un nuovo percorso di vita.
Rappresentazione dell'allegoria 
di Macondo e della sua gente

Lo scoprirono i tanti figli del Sessantotto, colpiti proprio da “Cent’anni di solitudine”, presto imitati dalla generazione successiva: milioni di lettori sparsi ovunque. Gli amici lo chiamavano Gabo. Per tutti gli altri era uno dei più amati premi Nobel per la letteratura, che vinse 1982. I titoli dei suoi romanzi sono entrati perfino nei luoghi comuni, quante volte avrete sicuramente letto titoloni sui quotidiani recitare a caratteri cubitali “Cronaca di una morte annunciata” a proposito di qualche politico caduto in disgrazia? Ebbene si tratta di un libro di Gabriel Garcia Marquez, un libro di successo come molti altri. Anche quell'altro “L’amore ai tempi del colera” trova spesso mezione per altri intendimenti nei nostri luoghi comuni.
Gabo non aveva mai nascosto le sue simpatie per Fidel Castro e per il regime di Chavez in Venezuela, tantomeno la sua acerrima avversità per i narcos che ammorbano la Colombia con immensi traffici di droga. Era perfino celebre la rivalità, anche in amore, con il peruviano Mario Vargas Llosa, che lo sfidò a duello a pugni, anche se poi non mancò di lodarlo come un gigante della letteratura.
Il tumore che lo afflisse nel 1999 lo portò anche ad una svolta letteraria, più rivolta verso uno stile memorialistico, ma sempre caratterizzato dall’ironia. Fu così che pubblicò “Memoria delle mie puttane tristi”, ultimo sforzo narrativo. I quotidiani di tutto il mondo hanno riportato la notizia della sua morte con grande risalto in prima pagina.
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†  Rest in Peace Gabo.

2014/03/29

Veloce come il vento: Michael Schumacher



No, non è morto, non ancora. Ma è come se lo fosse.

Ridotto ormai a meno di 60kg Michael Schumacher sembra l'ombra di quel grandissimo pilota che è stato. Le speranze che possa risvegliarsi sono ormai ridotte a una percentuale inferiore allo zero virgola moltissimi zeri e un solitario uno. Prepariamoci al peggio, prepariamoci a considerarlo perso per sempre anche se, tutti sperano, non morirà presto. 


Quanto durerà il coma? Nessuno può dirlo con precisione, potrebbe non svegliarsi mai, e noi dimenticarci di lui.


Questo mio articolo serve a ricordare, a tutti, chi era Michael Schumacher quando calcava le piste di tutto il mondo guidando bolidi da leggenda e anche chi è ora.


Spesso se ne vanno cosi', per motivi banali, senza nemmeno salutare.
E' successo a molti campioni dello sport, imbarazzati da quell'immobilismo che diventa la vita una volta smessi i panni dello sportivo, specialmente se lo "sport" praticato significava provare l'ebbrezza della velocità, una scarica di adrenalina costante nelle vene. Chi non l'ha provato non può capire.

Ma Michael Schumacher non se n'è andato, si trova ancora all'ospedale di Grenoble e sebbene i medici che hanno in cura il sette volte campione del mondo di Formula 1 abbiano già detto che esistono pochissime possibilità di risveglio, la moglie avrebbe deciso di riportare Michael nella loro villa di Nyon, sul lago di Ginevra. Nelle prossime settimane verrà approntata una struttura dotata dei più sofisticati macchinari ospedalieri così che Michael possa essere assistito come fosse in ospedale. 


Non più fra la vita e la morte ma in uno stato che non è vita e nemmeno morte. E' ancora fra noi. Non può parlare, ringraziare i tifosi, quelli che sempre gli hanno voluto bene. Non lo può fare ora e nessuno sa quando potrà, ma lui c'è sempre, dorme. 


Piloti di Formula 1, superbike o altre discipline motoristiche, rischiano la vita in ogni gara, poi quando smettono i panni da pilota, rimangono spesso invischiati in attività al limite dell'impossibile per continuare a voler dimostrare di essere ancora superuomini, e l'incidente è dietro l'angolo. Qualcuno potrà obiettare che sciare non rientra fra le discipline sportive a rischio specialmente se praticata con amici fuori dalle competizioni. Verissimo, ma non dimentichiamo, non esiste un vero limite di sicurezza quando si praticano discipline sportive, anche se non si cerca il limite, potrebbe accadere di tutto e non esserne consapevoli. 

Graham Hill è l'esempio lampante ma i casi funesti non mancano. 
Si dirà che non è il destino del pilota, salvare la pelle in pista e morire altrove, morire con onore, sappiamo che è maledettamente normale. La gente, tutti quelli che non spendono la vita al volante di una formula 1, muore in banali circostanze ogni giorno senza, per questo, che si gridi all'eccezionalità, al destino beffardo. Succede, come a tutti prima o poi. A Michael Schumacher stava per succedere molto prima di quando uno se l'aspettasse anche se poi, potrebbe non risvegliarsi mai.

"Vivi ogni giorno come se fosse l'ultimo. Siate affamati, siate folli.  Nessuno vuole morire. Neanche chi vuole andare in paradiso vuole morire per arrivarci. E nonostante tutto, la morte è la destinazione che condividiamo. Nessuno vi è mai sfuggito. E così dovrebbe essere perché la Morte è probabilmente l'unica, migliore invenzione della Vita. E' l'agente di cambiamento della Vita. Elimina il vecchio per far spazio al nuovo." 

Tutti i grandi campioni restano a lungo nel cuore della gente, è successo con Jim Clark, con Gilles Villeneuve, con Juan Manuel Fangio, chi sostituirà Michael Schumacher? Si dirà che lui rimarra' sempre li, nel profondo del cuore di ognuno degli appassionati, di chi l'aveva amato e apprezzato, magari anche odiato e invidiato. L'unico, perfetto. Eppure, la gente deve avere un cuore grande così, almeno i tifosi di formula 1 perché oltre al grande Schumacher quel cuore riserva uno spazio a un altro grande, quel Gilles Villeneuve che, pur non avendo mai vinto un titolo mondiale, è rimasto nel cuore di molti e sopravvive tuttora. Sarà dunque Schumacher capace di scalzare Gilles Villeneuve? Non credo, a ognuno i propri estimatori, per ognuno un tempo, dei ricordi e una leggenda, la leggenda degli uomini veloci come il vento.

Chi è Michael Schumacher?


Come l'Avaro di Moliere, così Michael Schumacher ha vissuto dentro a una maschera: quella dell'Antipatico. Perché ai tempi della sua militanza in Ferrari non ne voleva sapere di parlare italiano, perché rifiutava di concedere al pubblico la sua vita privata, perché sapeva di essere considerato il più bravo, il più ricco, il più ambizioso. Anche per questo era un personaggio. Capace però anche di momenti di tristezza infinita, di lacrime e di pianto e davanti a tutti senza nascondersi. In realtà Michael Schumacher, primo campione del mondo targato Ferrari dopo 21 anni, antipatico non era. Era timido, e come tutti i timidi spesso aggrediva, oppure taceva, non rispondeva, oppure rispondeva ma in modo scostante. Era quello che correva a trecento all’ora rasentando i cordoli e guidando con una perfezione da orologio svizzero, era quello che aveva sognato la Ferrari per tutta la vita e quando era riuscito a entrare in paradiso s'era accorto che forse non era quello che si aspettava. Era quello che la cura Ferrari aveva faticosamente smussato il carattere chiuso senza scheggiarlo più di tanto, regalandogli in dote un italiano comprensibile ma simpaticamente impreciso, che il micidiale accento da Sturmtruppen, di cui lui era dolorosamente consapevole, gli impediva di parlare in pubblico, riservandone una dose omeopatica per gli auguri di Natale o durante la festa di fine anno con quelli della Ferrari. 

Considerato da moltissimi il miglior pilota di Formula 1 di sempre, detiene imbattuto il record assoluto di mondiali vinti e di vittorie nei gran premi, davanti a nomi illustri quali Alain Prost, Ayrton Senna, Niki Lauda, Manuel Fangio. Michael nacque a Huerth-Hermuelheim, vicino a Kerpen (Colonia), il 3 gennaio del 1969, figlio di Rolf e Elisabeth Schumacher, lui ancora in vita, lei deceduta nel 2010. Lui ex piccolo artigiano che fabbricava camini in pietra, lei casalinga. Poveri (allora) e con i due figli, Michael e Ralf, destinati ad un futuro sostanzialmente anonimo, forse da contabile, forse da giardiniere. Oppure, come è più probabile, da meccanico. Senonché il signor Rolf cessa l'attività dei camini e accetta un nuovo impiego nuovo: il 'factotum' in un kartodromo vicino a Kerpen, dal giardiniere al meccanico a quant'altro. È la svolta della famiglia Schumacher, anche se ancora nessuno lo sa. 

Perché nel giro di pochi mesi di quel kartodromo il padre rileva la gestione, e anche la signora Elisabeth smette i panni della casalinga per occuparsi della mensa. E all'età di 4 anni il piccolo Michael si siede per la prima volta su un kart. A 8 ne avrà uno personalissimo. Glielo costruì letteralmente il padre, dopo aver notato che quel bimbo aveva per i motori una passione fuori dal comune. La scoperta - narra la leggenda, riferita da Schumacher a alcuni amici e da questi bisbigliata di bocca in bocca con la forza del "mi raccomando non dirlo in giro" - avvenne mentre passeggiavano una domenica ai margini di un lago: il bimbo notò nell'acqua uno scooter. Era sul fondo. Chiese al padre. "Me lo prendi?". "Sei matto?". "No, dai, lo voglio". Insomma, quello strano bambino tanto fece e strillò che il padre si procurò una corda e pescò dal lago lo scooter miracoloso. Una volta a casa, poi, ne prese il motore, lo aggiustò di tutto punto e ci costruì sopra un veicolo su misura per il figlio. Una specie di kart, raccontano, sul quale Michael provò per la prima volta l'ebbrezza della velocità. Fu la rivelazione.

Schumi cominciò così a gareggiare (e vincere). Vinceva pur non avendo un marco in tasca. Pur di esserci, al termine di ogni corsa andava di nascosto a visionare le gomme gettate via dai suoi concorrenti, sceglieva quelle migliori e se le montava sul kart per la gara successiva. 

Dicono che sia nato lì il suo talento sull'acqua. A 14 anni Michael comincia a disputare gare karting ufficiali, a 15 è campione di Germania jr, a 16 è campione del mondo jr. Nell'88 è campione di Germania in formula Konig, nell'89 passa in formula 3000, nel '90 - per la Sauber-Mercedes - è campione d'Europa anche in quella categoria. E ha solo 21 anni. 


Da allora è un crescendo: approda in formula 1 nel 1991, con la Jordan. Succede a Spa, che dalla tedesca Kerpen dista pochi chilometri. E succede e per caso: il pilota ufficiale della scuderia inglese, Bertrand Gachot, la notte prima della gara si fa arrestare per ubriachezza. Preso in contropiede Eddy Jordan ingaggia lui. Per un gran premio solo. Ma l'allora team manager Benetton, Flavio Briatore, vede subito in quel ragazzo il cavallo di razza e dal GP successivo lo prende in scuderia al posto del brasiliano Moreno. In sole 4 gare Schumi riuscirà a andare a punti 3 volte, arrivando quinto a Monza, e sesto all'Estoril e a Melbourne. L'anno dopo, nel '92, vincerà il suo primo GP (sempre a Spa) e nel 1994 raccoglierà l'eredità di Senna vincendo il titolo. Per due stagioni consecutive.

«Non è un uomo - diranno i critici - è un computer. Freddo, in pista e fuori. Un martello». È stato per questo che la Ferrari lo ha voluto (e pagato, dai 40 mld annui di allora fino ai 100 di fine carriera, 50 milioni di euro). Per vincere su una rossa. Ci ha messo 5 anni, alternando prestazioni da manuale a errori clamorosi. Ma i titoli sono arrivati, «Indubbiamente è un ragazzo dal carattere un pò esuberante» ebbe modo di commentare Gianni Agnelli dopo che a Spa nel '98 Schumi andò a tamponare Coulthard nel tentativo di doppiarlo. «Però - aggiunse l'Avvocato - è il più bravo».

È proprio questa immagine di pilota freddo, così manager di se stesso (con suo fratello è arrivato addirittura ad aprirsi a Kerpen una mostra permanente dedicata agli Schumacher) che lo ha costretto dentro alla maschera dell'Antipatico. In realtà - dicono gli amici che frequentano la sua casa di Nyon (Ginevra) - di Schumi ce ne sono due: uno è quello che entusiasma e divide i tifosi di mezzo mondo; l'altro è quello privato, che nel '95 ha sposato l'ex girlfriend di Frentzen, Corinna Betsch, coetanea. Hanno avuto due figli: la prima è Gina Maria, ormai diciottenne, stravede per suo padre e spesso gli prestava la sua spazzolina rosa perchè gli portasse fortuna; l'altro è Mick, 15 anni. Dicono sia suo padre sputato. Sarà per loro che il sette volte campione del mondo ha smesso di correre in pista?


Migliaia i messaggi di solidarieta' durante i primi giorni della degenza all'Ospedale di Grenoble, Francia, ricordiamolo cosi' nei pensieri di chi gli vuole ancora bene, torna Michael, fallo per noi, per la tua famiglia, per vivere la tua leggenda, fa che non abbia mai termine:



BILL CLINTON (politico): " "Penso oggi a Michael Schumacher e sono grato per tutto ciò che egli ha fatto per la Clinton Foundation e altro. Prego per lui e la sua famiglia".
LAUDA (ex pilota e manager): "Prego Dio che finisca tutto bene ma purtroppo al momento non sembra così"
BRIATORE (ex manager di F1): "Sono scioccato per quello che è successo a Schumi. Dobbiamo solo pregare... e basta commenti idioti..."
MONTOYA (pilota): "Spero che Michael Schumacher migliori presto. Il suo è un incidente assurdo che auguro non capiti mai a nessuno. Stiamo tutti pensando a lui". 
GROSJEAN (pilota): "Il mio pensiero va a Schumi e alla sua famiglia. Spero ti riprenderai presto #Schumi #leggenda"
SUTIL (pilota): "Spero che Michael Schumacher si riprenda presto. I miei migliori auguri a lui e famiglia"
PIQUET JR (pilota): "#forzaschumi"
ALONSO (pilota): "Riprenditi presto Schumi! Spero arrivino buone notizie al più presto"
HAMILTON (pilota): "I pensieri e le preghiere mie e della mia famiglia sono con Michael e la sua famiglia. Gli auguro una pronta guarigione. Dio lo benedica"
VALENTINO ROSSI (pilota): "Forza Schumi non mollare. Siamo tutti con te" 
FISICHELLA (ex pilota): "Michael, sei il migliore. Questa è la gara più difficile ma sono certo che ce la farai"
BARRICHELLO (pilota): "Ricordo tutti i bei momenti e le risate insieme. Preghiamo per te"
BIAGGI (ex pilota): "Forza Michael! Siamo tutti con te dai!! Ti vogliamo bene! Non fare scherzi"
DEL PIERO (calciatore): "Un pensiero per Michael Schumacher: forza Campione!"
NOWITZKI (giocatore di basket): "I miei pensieri sono per Schumi"
BECKER (ex tennista): "Preghiamo per un pronto recupero di Michael Schumacher"
MARCHISIO (calciatore): "Non mollare Schumi!! #campione #F1 #ferrari #campione del mondo"
MILITO (calciatore): "Forza Michael Schumacher. Siamo tutti con te"
MARADONA (ex calciatore): ''Forza Michael campione di velocità ma soprattutto di umanità, sei un ragazzo pieno di vita che è stato esempio in gare di Formula 1, ma ancor di più come uomo. Forza Amico mio, che ce la puoi fare ancora una volta''
WEBER (ex manager di Schumacher): "Sono profondamente scosso e totalmente depresso ma una cosa mi tiene un po' su: so che è un combattente e finora ce l'ha sempre fatta e ha superato sempre tutto, di questo sono certo"
HAUG (ex responsabile motori Mercedes): "Prego per Michael e la sua famiglia"
LAPO ELKANN (imprenditore): "Con il mio cuore, pensieri e preghiere... sono lì con te grande Schumi #Schumacher #campione"
FERRARI: "Tutta la Ferrari vicina a Michael". La scuderia di Maranello - si legge in una nota sul sito Internet della casa del Cavallino Rampante - si stringe attorno al pilota tedesco, pluricampione del mondo con le monoposto di Maranello. "Sono ore di apprensione per tutti alla Ferrari da quando si è saputo dell'incidente a Michael Schumacher"
FERRARI CLUB ITALIA: "Siamo vicini a Schumi, genio della Formula 1, che ha saputo conquistare, nei lunghi anni trascorsi in Ferrari, il cuore di tutti noi grazie al suoi trionfi e alle sue prodezze". Così, in una nota, il presidente del Ferrari Club Italia, Vincenzo Gibiino, esprime vicinanza al campione tedesco e alla "sua famiglia". "Il Ferrari Club Italia e i suoi piloti - prosegue la nota- seguono con viva preoccupazione l'evolversi della situazione clinica. A Michael il nostro più sentito augurio di superare al meglio questo difficile momento".
MERKEL (cancelliera tedesca): "La cancelliera Angela Merkel si è detta "sgomenta" alla notizia del grave incidente sugli sci in cui è rimasto coinvolto Michael Schumacher. "Come milioni di tedeschi, anche la cancelliera e i membri del governo federale sono rimasti eccezionalmente turbati nell'apprendere del grave incidente sciistico di Michael Schumacher", ha dichiarato oggi il portavoce governativo, Steffen Seibert. Parlando all'ultima conferenza stampa dell'anno, il portavoce della Merkel ha fatto gli auguri di pronta guarigione a Schumacher e di incoraggiamento ai suoi familiari. "Speriamo con Michael Schumacher e la sua famiglia che egli possa superare le sue ferite e guarire".
MALAGO' (presidente del Coni): "Tutto il mondo dello sport aspetta buone notizie. Siamo tutti col fiato sospeso, è una notizia che ci lascia attoniti. Sembrava che all'inizio non ci fosse pericolo, che non fosse così grave, Sta combattendo la partita più importante della sua vita, ma sappiamo che è un combattente"