Sono convinto che avanti alla morte ci debba essere innanzitutto rispetto e che solo il tempo confermi o meno il valore di una persona. Placate le polemiche di parte, solo allora la Storia emetterà un giudizio sereno su Silvio Berlusconi, perché – piaccia o meno – il Cavaliere è stato comunque un cardine della storia politica e sociale italiana, ma anche di profonde trasformazioni di costume della nostra società.
Ricordiamolo come imprenditore prima che politico, un personaggio che con la sua ascesa rampante riuscì a rompere il monopolio RAI facendo progredire l’Italia in molti campi, oltre che aver offerto un lavoro a decine di migliaia di persone. “Pagando tangenti” dirà qualcuno e può darsi, ma avrebbe potuto emergere senza farlo? Lo si è dipinto come “mafioso” e mi sembra francamente esagerato, anche se probabilmente deve essere venuto a patti con poteri forti, o non avrebbe potuto realizzare le sue attività, così come fanno (quasi) tutti. .
C’è poi stato il Berlusconi politico, un uomo capace di capire prima di altri le novità elettorali, il crollo della prima repubblica, la volontà profonda della maggioranza degli italiani di non essere governati dalla sinistra che trent’anni fa era molto diversa da quella di oggi.
E’ seguito il Berlusconi premier che ha varato riforme importanti nonostante una opposizione preconcetta, viscerale, rallentante, a volte ottusa sia da parte del Quirinale (ricordiamoci di Scalfaro), che della Magistratura oltre che – ovviamente - dell’opposizione. Tutto ciò fa sempre parte del gioco, ma con lui la Legge non è stata “uguale per tutti” perché sicuramente nel suo caso tutto è stato anche strumentalizzato, forzato, esagerato tanto che ha passato la vita a difendersi con mille cavilli, rinvii, tentativi di progetti di legge “ad personam” contro chi lo voleva politicamente morto, spendendo un patrimonio di spese legali. Un personaggio egocentrico, a volte molto, imbarazzante ma Berlusconi era anche un uomo coraggioso, diretto, trascinante, generoso tanto che infinite persone ne hanno approfittato in ogni campo e in tante situazioni.
Certamente c’è stato anche il Berlusconi donnaiolo, libertino, eccessivo, ma a ben guardare tutta la sua vita è stata “eccessiva”, perché questa era la caratteristica del personaggio, a volte insopportabile, a volte entusiasmante.
Non esprimo quindi un giudizio, ma certamente se nel 1994 avesse fatto altre scelte non avremmo l’Italia di oggi nella politica, nell’economia e nei costumi.
C’è stato poi un Berlusconi “internazionale”, in Italia sottovalutato e volutamente letto troppe volte in chiave negativa e invece molte volte le sue amicizie personali gli hanno permesso contatti virtualmente impossibili. Spesso Berlusconi non è stato “politicamente corretto”, ma è così che ha costruito (o cercato di costruire) una serie ifinita di rapporti nel mondo. Ha iniziato partite storiche per una diversa integrazione della Russia nella UE nel momento in cui i rapporti con gli USA grazie a lui erano eccellenti ma – un po' come con Enrico Mattei tanti anni fa - se la piccola Italia diventa protagonista allora dà fastidio e chi cerca di farla crescere va emarginato, magari dando grande spazio ad aspetti piccanti ma marginali, ridicoli o negativi connotandoli come fossero la sostanza. Non era così, ma così doveva apparire.
Questi aspetti di Silvio Berlusconi, spesso dimenticati, hanno fatto di lui un personaggio unico, da valutare non oggi, ma nel tempo.
Qui di seguito un ricordo del Berlusconi politico e, nello specifico, per i suoi rapporti con la Destra di allora:
BERLUSCONI E LA DESTRA DI FINI
Cominciò tutto a Casalecchio di Reno, vicino a Bologna, nella tarda mattinata del 23 Novembre 1993. Silvio Berlusconi aveva appena inaugurato un suo nuovo supermercato (che allora si chiamava Euromercato, ora è un Carrefour) e una giornalista della sede ANSA di Bologna, Marisa Ostonali, gli chiese: “Cavaliere, se lei votasse a Roma chi sceglierebbe tra Rutelli e Fini?" Berlusconi rispose “Io credo che la risposta lei la conosca già. Certamente per Gianfranco Fini”.
Una deflagrazione, una bomba. Due giorni prima Fini - complice una DC romana spappolata e dissanguata tra scandali e liti interne – praticamente da solo aveva preso al primo turno delle elezioni comunali 617.000 voti contro i 687.000 del candidato della sinistra, Francesco Rutelli, andando al ballottaggio. Erano le prime elezioni che prevedevano l’elezione diretta del sindaco e con quella risposta Silvio Berlusconi scelse chiaramente una delle due sponde, ma quella che fino a un minuto prima era considerata “la parte sbagliata”.
Da qualche mese si vociferava di una sua possibile “discesa in campo”, ma nessuno aveva ancora capito “il se e il come”, visto che Berlusconi sembrava strettamente ancorato a quel centro-sinistra rappresentato dal PSI di Bettino Craxi, un partito socialista sommerso dai marosi della tempesta di “Mani Pulite”.
Certo pochi avrebbero scommesso su un Berlusconi a fianco di una destra non ancora sdoganata e che allora era rappresentata soltanto dal reietto Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale, roba da 5% o poco meno. Un partito emarginato e ripreso in mano da Fini solo pochi mesi prima dopo la parentesi di Pino Rauti e quasi per scherzo si era candidato a Roma in una “missione impossibile”.
Ma c’era in aria una grande novità che Silvio Berlusconi aveva colto prima degli altri: con la nuova legge elettorale maggioritaria tutti i voti sarebbero stati utili e buona parte del centro ex DC non avrebbe votato per gli ex comunisti.
La “bomba” fu potente: in un secondo Berlusconi rovesciava gli schemi, legittimava un personaggio in crescita (l’allora giovane Fini piaceva come volto nuovo, con picchi di audience in TV) ma facendo crollare quell’ “Arco costituzionale” che aveva emarginato per cinquant’anni la Destra dalla politica italiana.
Alla fine a Roma vinse Rutelli, ma il delfino di Giorgio Almirante conquistò il 47% dei voti.
Partì l’avventura: in poche settimane Silvio Berlusconi fondò Forza Italia con tutte le caratteristiche di un “partito-azienda” e dove i primi quadri furono i suoi manager di Publitalia. Slogan, musichette, inni, minigonne e gadget all’americana: una rivoluzione comunicativa, mentre nel frattempo Fini trasformava il MSI in Alleanza Nazionale e in poche settimane, complice il finissimo mediatore di Fini Pinuccio Tatarella, l’alleanza Fini-Berlusconi si concretizzò.
Il 27 e 28 marzo ‘94 la “gioiosa macchina da guerra” dell’allora leader del PDS Achille Occhetto (data per sicura vincente) finì fuori strada, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro sfiorò l’infarto mentre Berlusconi vinceva alla grande conquistando Palazzo Chigi: era cominciata la “Seconda Repubblica”.
Fini piazzò quattro ministri, ma di fatto iniziò un duello con momenti di autentica condivisione alternati a finti sorrisi e coltellate sottobanco.
“Non dura” si diceva dalle parti di AN pensando al Cavaliere e invece non solo Berlusconi durò, ma - quando Bossi piantò in asso la maggioranza - alle elezioni del 1996 Forza Italia surclassò nuovamente Alleanza Nazionale che, più strutturata, pensava che il partito di plastica del Cavaliere si frantumasse.
Il partito-azienda invece si consolidò e tra alti e bassi continuò una lunga sopportazione reciproca dove il Cavaliere con i suoi colpi di scena squinternava regolarmente gli accordi e gli scenari concordati, con un Fini furioso sempre costretto alla perenne rincorsa.
Un esempio clamoroso fu più di dieci anni dopo, quando – da una portiera semiaperta di un’auto in pieno centro a Milano – una sera (con l’improvvisato “discorso del predellino”) Berlusconi annunciò di fatto la “fusione” di FI con AN nel “Popolo della Libertà”.
Non era vero (quasi) niente, ma a quel punto non si poteva fare altro che confermarlo e fu l’inizio tribolato di un partito mai nato, tra aperti dissidi ai vertici come alla base. Una tensione che divenne pubblica il 22 aprile 2010 quando Fini (allora presidente della Camera) interruppe il Cavaliere che si stava scagliando troppo veemente contro le “toghe rosse” difendendo i magistrati.
Girarono parole grosse davanti alle telecamere, fino al famoso “Che fai, mi cacci?» di Fini che poi se ne andò davvero dal PDL con un gruppo di 33 deputati e 10 senatori fondando “Futuro e Libertà”, partito che guardava al centro ma ebbe una vita meno che effimera.
Una incompatibilità personale tra Silvio e Gianfranco che pesò più del dato politico: Fini non accettava i modi sbrigativi da padrone di casa tipici di Berlusconi e quest’ultimo mal sopportava il ruolo da protagonista di Fini, spesso coccolato dai media in chiave antiberlusconiana.
Le vicende personali si legarono poi a quelle politiche con Berlusconi che considerava quello di Fini un tradimento da figliuol prodigo e Fini che accusava il Cavaliere per le campagne scandalistiche dei media berlusconiani, soprattutto sulla vendita di una casa a Montecarlo a favore del fratello della sua compagna, Elisabetta Tulliani.
Gianfranco Fini - per vent’anni delfino designato alla fine rimasto senza trono - uscì definitivamente di scena con la sconfitta elettorale del 2013, mentre Berlusconi tenne duro nonostante la “legge Severino”, gli alti e bassi di Forza Italia, le indagini delle procure, gli scandali e il correre degli anni. Ritornato al Senato l’anno scorso fino all’ultimo ha voluto essere lui il protagonista, probabilmente soffrendo del crescente seguito goduto da Giorgia Meloni.