<bgsound loop='infinite' src='https://soundcloud.com/sergio-balacco/misty'></bgsound>

pagine

2014/03/21

L'Italia, l’Europa e l’Euro (cronache di fallimenti)


Entrare nell’Euro per l’Italia è stato complessivamente positivo perché ha stabilizzato le finanze, ci ha imposto delle regole, ha sottolineato i nostri limiti e ci ha obbligati a passare da una economia dell’inflazione a quella della stabilità.

Il problema è che parte dell’Europa (non solo l’Italia!) era molto squilibrata rispetto alla “media” centro-continentale ovvero Germania, Francia e Benelux ed allargandosi man mano ha sì portato avanti un positivo discorso europeista, ma non riesce ad affrontare la crisi tanto che lo stesso concetto di “Europa” sta crollando a livello di opinione pubblica, con punte del 68% di cittadini europei insoddisfatti della UE.

Un Euro che ha funzionato come unificante, ma non regge in periodo di crisi anche perché aggrava e non risolve gli squilibri.

Perdono le economie deboli che sono obbligate però a mantenere il regime dei prezzi, dei costi e delle norme comuni, ma non possono agire sulla leva finanziaria per rilanciarsi in tempi di crisi.

Oggi che – diversamente dal 2002 - la crisi “morde” dal punto di vista dell’occupazione, degli investimenti, della concorrenza internazionale i paesi che non possono ricorrere al credito (o lo usano male, a volte per coprire “buchi” di bilancio dello Stato o delle proprie banche, ma che però sono comunque obbligati a farlo per rigide norme comunitarie) non possono più competere. Così chi è ricco lo è sempre di più (Germania) e impone le regole, chi è povero va in rovina. Vale per l’Italia ma anche per Grecia, Spagna Portogallo, Irlanda, Cipro, con le nuove nazioni dell’Est che sono sulla nostra stessa strada:

La domanda è se un Euro concepito così ci serva ancora, se dobbiamo passivamente subirlo a queste condizioni oppure se non dobbiamo invece cominciare a chiedere di cambiarne almeno alcuni parametri.

Ricordate quando c’era la lira, tanti anni fa, ed i prezzi di Palermo e del Sud erano sensibilmente inferiori a quelli di Milano? Con l’Euro c’è stato un riallineamento al rialzo incredibile: in Italia, Grecia, Portogallo TUTTI i prezzi si sono riallineati alla media europea, il pane oggi costa a Lisbona come a Berlino, ma un pensionato italiano prende un terzo degli euro tedeschi, così come un insegnante o un dipendente mentre il pensionato portoghese ne prende un quinto.

L’imprenditore sta anche peggio perché la sua azienda non può più essere competitiva in quanto i costi di acquisto, del lavoro, del denaro ecc. sono addirittura più alti della concorrenza europea e quindi va fuori mercato. La conferma è nei dati: la disoccupazione tedesca è minima, la nostra paurosa. D'altronde una impresa tedesca può ammodernarsi e investire, riducendo ulteriormente i costi e la nostra no… per regole fissate in Germania!

La politica europea è uscita dalla logica: via i dazi extra UE si importa il riso asiatico e si chiudono le risaie a Vercelli, come le nostre imprese di trasformazione sono distrutte da nazioni dove il costo del lavoro è 10 euro al giorno e l’esempio vale per tutti i settori.

Questi effetti sono dovuti proprio anche all’Euro e a una politica monetaria assurda, non possiamo più nascondercelo.

Il New Deal americano, dopo la grande depressione del ’29, puntò alle infrastrutture e agli investimenti per dare lavoro e far ripartire l’economia. La stessa politica monetaria USA di oggi (dollaro bassissimo contro l’euro) uccide le nostre esportazioni e ha moltiplicato il deficit federale americano, ma l’economia USA “tira”, noi siamo al blocco del 3% dai vincoli di bilancio!

Non mi piace la demagogia, ma la concretezza: il governo italiano deve assolutamente chiedere delle rinegoziazioni serie dei trattati, altrimenti è interesse nazionale minacciare l’uscita da un sistema monetario impossibile e che non ci permette più di essere competitivi.

Attenzione: anche uscendo dall’Euro ci sarebbero problemi, ci saranno indubbiamente moltissimi vantaggi nel breve e medio termine, qualche rischio se non si opera una stretta vigilanza per non ricadere nei problemi che abbiamo avuto quando siamo passati dalla lira all'euro ma non c’è dubbio che stando così le cose facciamo la fine dei polli di Renzo (non di Matteo, quelli dei Promessi Sposi!)… e ci tirano il collo.

Quello che spaventa è che di queste cose non si parla mai a fondo, si urla anzichè ragionare, non si ascoltano i dubbi che cominciano a circolare anche a livello monetario internazionale e ci sono “tabù” che sembrano intoccabili. Uscire o rinegoziare l’Euro non significa uscire dall’Europa: Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, Danimarca ecc. sono nazioni europee ma non usano l’Euro e se la cavano molto meglio di noi.

Noi italiani tra l’altro abbiamo un grande vantaggio da far pesare sulle trattative: siamo comunque un mercato di 60 milioni di persone che se ricominciassero a comprare italiano, mangiare italiano, fare vacanze in Italia e così via (magari anche tornando a pagare in valuta italiana…) avrebbero tutto da guadagnare e rilancerebbero l’economia e l’occupazione interna. 

Vogliamo ripartire con questo discorso? Credo proprio che sia necessario.

2014/03/20

Fuga da New York

La grande fuga da New York 
Un vero newyorkese pensa che New York sia l’unica città al mondo dove si può vivere sosteneva in un’intervista al “Village Voice” Milton Glaser, lo storico graphic designer che ha contribuito a costruire l’immagine della città, fondando il New York Magazine nel 1968 e inventandosi nove anni più tardi il logo “INY”. Eppure, nonostante quella promessa di amore eterno, l’elevato costo della vita sta mettendo a dura prova l’attaccamento dei newyorkesi alla loro città, provocando la fuga della classe media e di artisti, musicisti e creativi che per decenni hanno rappresentato l’essenza della metropoli. New York non era solo una città. Era un’idea infinitamente romantica, il misterioso legame che teneva insieme tutto: amore, denaro e potere, il sogno stesso luminoso e deperibile, scriveva Joan Didion in un meraviglioso saggio intitolato “Addio città incantata” (il titolo originale è “Goodbye to all that”), pubblicato sul Saturday Evening Post. Era il 1967 e la scrittrice californiana provava a spiegare perché aveva deciso di lasciare New York, a 29 anni. Parte di ciò che voglio raccontarvi riguarda cosa significa essere giovani a New York, come sei mesi possano trasformarsi in otto anni con l’ingannevole facilità di una dissolvenza in un film, spiegava, le fontane del Seagram Building che sfumano in fiocchi di neve, io che entro da una porta girevole a vent’anni e ne esco parecchio più vecchia, e su una strada diversa. Ma soprattutto voglio spiegare sia a voi che a me stessa, forse, strada facendo, perché non vivo più a New York.

Il libro di Sari Botton è uscito lo scorso ottobre.
Già allora Joan Didion riteneva che New York fosse una città "adatta solo ai molto ricchi e ai molto poveri", ma soprattutto una città per giovanissimi. Ispirata dal saggio della grande giornalista e saggista americana, la scrittrice Sari Botton ha raccontato la sua storia di newyorkese in fuga degli anni Duemila in “Goodbye to all that. Writers on loving and leaving New York”: dopo aver vissuto per anni in città, nel 2005 Botton è stata costretta a trasferirsi a Hudson, paesino a nord di New York, lungo il corso dell’omonimo fiume. L’affitto del suo loft su Avenue B, ad Alphabet City, era triplicato improvvisamente arrivando a 6.600 dollari al mese, divenendo preda di un famoso attore. Non c’è solo l’esperienza di Botton nel libro: la scrittrice ha chiesto a ventotto colleghe americane di raccontare le ragioni del loro addio a una città segnata da una profonda crisi economica e sociale, dove il reddito medio familiare si attesta intorno ai 50.000 dollari.
Molte persone non possono più permettersi di vivere a New York, e io sono una di loro, ha spiegato Sari Botton al Corriere della Sera dopo la presentazione del suo libro da Strand, storica libreria di Union Square. Certo, non tutti se ne stanno andando, questa resta la città più popolosa d’America – ha continuato – ma i creativi, ormai, non possono più permettersi di vivere in una metropoli dove gli affitti si impennano mentre case editrici e librerie chiudono.

Perché andarsene da New York?

E’ arrivato il momento di andarsene, ha confermato Christine Sun Kim, sound artist californiana di origine coreana, residente a New York da undici anni. Di fatto vivo qui, ma posso dire di essere andata via lo scorso giugno, quando ho lasciato il lavoro per concentrarmi sull’arte. Christine, che ha esposto le sue installazioni al MoMa e al Whitney Museum, si divide fra Berlino e l’appartamento di un’amica a Bushwick, uno dei quartieri periferici di Brooklyn.
Bank Street, illustrazione di James Gulliver Hancock, “All the buildings in New York”
Quando la mia professione sarà rispettata come quelle di Wall Street, allora gli affitti non saranno più un problema, ha sottolineato. Il tema è stato affrontato anche da David Byrne, leader dei Talking Heads, leggendario gruppo new wave formatosi a metà degli anni Settanta nei bar dell’East Village, citato come fonte d’ispirazione da Paolo Sorrentino durante la notte degli Oscar. Byrne, che rientra nell’1% di popolazione più ricca di New York, ha denunciato sul “Creative Time Reports” la diseguaglianza dilagante che starebbe spingendo verso mete più ospitali ed economiche la linfa vitale rappresentata dagli artisti. Anche negli anni Settanta sapevamo che  non sarebbe stato facile, ha ricordato il musicista scozzese residente a New York da quarant’anni, ma allora c’erano affitti economici, sebbene in loft senza acqua calda e riscaldamento. L’eccitazione di essere a New York faceva dimenticare le difficoltà.

Quanto costa la vita a New York?

La città descritta da Byrne assomiglia a quella teorizzata dal neosindaco di NYC Bill de Blasio, il quale –  durante la campagna elettorale – ha preso in prestito da Charles Dickens il concetto di “A tale of two cities”: una città dei ricchi e una dei poveri. A New York abitano circa 400.000 milionari, mentre quasi metà dei nostri vicini vive attorno o al di sotto della soglia di povertà, scriveva sul suo sito la scorsa primavera. La nostra classe media non si sta solamente riducendo – avvertiva – ma sta rischiando di scomparire del tutto. Così, soprattutto grazie allo spauracchio di una crescente diseguaglianza, lo scorso 5 novembre, il partito democratico ha riconquistato New York dopo vent’anni di amministrazione di Rudolph Giuliani e Michael Bloomberg, il repubblicano divenuto indipendente rimasto a City Hall per tre mandati, che è stato accusato di aver lavorato solo per i ricchi di Wall Street. 

Oggi a New York il divario fra ricchi e poveri è il maggiore di tutti gli Stati Uniti: l’1 per cento più facoltoso guadagna il 45 per cento del reddito totale della città. Nel 2011, i contribuenti newyorkesi che incassavano oltre 10 milioni di dollari erano 1.041, mentre in 120 superavano i 50 milioni. Il 18 per cento delle tasse erano pagate da un piccolo gruppo di 1.200 contribuenti, ha specificato Ronnie Lowenstein, direttore dell’Independent Budget Office cittadino. Per risolvere la crisi delle abitazioni (il 30 per cento dei cittadini spende più di metà del proprio reddito per l’affitto), de Blasio ha intenzione di costruire nuovi edifici alla portata di tutti e di proteggere i diritti degli affittuari. Il suo piano, inoltre, prevede la creazione di circa 50.000 nuove unità abitative a basso costo nei prossimi dieci anni, arrivando a 200.000 su 3,3 milioni di unità abitative totali, gran parte delle quali molto più costose degli standard nazionali.

Quanto costa l’affitto a New York?

Secondo lo “State of New York City’s Housing and Neighborhoods”, il rapporto pubblicato nel 2012 dal Furman Center della New York University, fra il 2007 e il 2011 gli affitti sono aumentati nonostante i prezzi delle case siano calati, con la grande maggioranza della città che si dichiara moderatamente o duramente gravata. Il coefficiente Gini – che deve il nome a uno statistico italiano della prima metà del Novecento, Corrado Gini, ed è uno strumento universalmente riconosciuto per misurare la diseguaglianza – si conferma il peggiore fra tutte le grandi città degli Stati Uniti. Quello che sta succedendo a New York è il risultato di principi economici di base, ha spiegato al Corriere della Sera Ingrid Gould Ellen, codirettrice del Furman Center della New York University, dipartimento che studia il settore immobiliare e le politiche urbane. La grande domanda per vivere in città, unita a una limitata disponibilità di terra su cui costruire, ha fatto aumentare i prezzi degli affitti. Considerando che due terzi dei newyorkesi vivono in affitto, è preoccupante vedere che i prezzi sono aumentati molto in tutta la città e non sono più abbordabili per gli inquilini. La crisi economico-finanziaria del 2007 ha fatto il resto: mentre i prezzi di vendita delle case calavano infatti del 20 per cento, gli affitti sono aumentati dell’8,6 per cento e i costi mediani mensili per un appartamento sono passati da 1.096 dollari a 1.191 dollari. Nello stesso periodo, il reddito familiare mediano in città calava del 6,8 per cento, passando da 54.127 a 50.433 dollari all’anno. Il continuo aumento dei prezzi e l’impatto degli affitti potrebbe non solo far fuggire la classe media, puntualizza Gould Ellen, ma scoraggiarla dal venire a New York in primo luogo.

C’è un mercato del tutto nuovo per il terreno urbano, sottolinea la sociologa Saskia Sassen, che ha appena pubblicato un libro sull’argomento, “Expulsions”. Si compra sotto forma di edifici ed è divenuto un ottimo investimento. A New York gli spazi sono acquistati da ricchi forestieri che raramente ci vivono. Lo stesso accade a Londra, a Hong Kong e in un’altra ventina di città, specifica Sassen, docente della Columbia University. I dati sembrano darle ragione. Nel 2001 i newyorkesi che guadagnavano oltre un milione di dollari erano 11.700, dieci anno dopo erano 20.412. Nell’arco dello stesso decennio sono aumentati anche i poveri, passati da 1,6 milioni nel 2000 a 1,7 milioni nel 2012: il 21,2 per cento dei cittadini vive oggi al di sotto della soglia di povertà. Secondo un rapporto della National Low Income Housing Coalition, un impiegato a salario minimo – che guadagna quindi 7,25 dollari all’ora – dovrebbe lavorare 139 ore a settimana, invece delle quaranta previste dalla legge, per potersi permettere l’affitto di un bilocale in città.

Non sono i poveri ad andarsene, hanno troppi benefit nel restare a New York e difficilmente si muovono, ha raccontato Joel Kotkin, professore di sviluppo urbano alla Chapman University, in California, newyorkese di nascita. La vera migrazione è quella della classe media, in particolare delle famiglie. Per Kotkin, a far aumentare i prezzi sono stati due fattori: le politiche della Federal Reserve, la banca centrale americana, volte ad aiutare i ricchi (per lo più concentrati nella capitale finanziaria) e l’arrivo degli investitori internazionali. Bloomberg non era solamente il sindaco dei ricchi, ma ne incarnava le visioni e i valori, ha affermato. Per quanto riguarda de Blasio, invece, la sua descrizione della città è corretta, ma non la prescrizione. Per limitare la diseguaglianza bisognerebbe creare e mantenere lavori per la middle class in città.
Se Manhattan fosse una nazione, scrive il New Yorker, il gap fra il 20 per cento più ricco e il 20 per cento più povero sarebbe in linea con quello di Paesi come Sierra Leone, Namibia o Lesotho. Eppure, nonostante tutto, New York resta un’attrazione per molti. Fra il 2010 e il 2012 la popolazione della città è aumentata del 2 per cento (161.500 unità), grazie soprattutto alla migrazione internazionale. Oggi gli abitanti di New York sono 8,3 milioni, e una ragione ci deve pur essere.

Ditemi una ragione per restare a New York!



2014/03/16

Il tempo delle Truffe (3)





Ve lo ricordate quel vecchio film interpretato dal grande Antonio de Curtis in arte Totò nel quale, fra le varie scene dove vengono rappresentate le "truffe" organizzate dai due soci, viene venduta la Fontana di Trevi a un credulone turista italo-americano che viene poi preso per folle e condotto al manicomio? 
Ecco, allora come oggi e in tempi di crisi le truffe ai soliti ingenui si moltiplicano.

Sembra che, per i truffatori, quando si attraversa un periodo di crisi finanziaria diventa quasi un invito arrecare danni a chi si trova in difficoltà oppure agli sprovveduti che si affacciano al mercato mondiale dell'investimento. Spesso in un vago e confuso tentativo di uscire dalla miseria, dalla crisi, dalle tasse che strozzano, da quelli che si ritengono strozzini e primi fra tutti i banchieri, ecco che gli italiani pensano che andarsene fuori dai confini natii possa essere la soluzione per risolvere d'un botto i loro problemi monetari, finanziari. Spesso qualcuno sprofonda ancora di più nei problemi, ne viene fagocitato, assorbito, ingoiato e pure digerito senza quasi che se ne accorga. 

Quando succede che ci si rende conto della grossa fregatura subita, della truffa, è decisamente troppo tardi. Le persone che attraversano un periodo di crisi finanziaria spesso fanno anche fatica a accettare aiuto. Chi si trova in una tale situazione, troppo spesso ha anche poca autostima e ritiene di avere fallito nella nostra società. E quindi ecco che è gradita ogni offerta di aiuto proveniente dall’esterno, che non richiede di attivarsi personalmente. I truffatori lo sanno e sfruttano spudoratamente la situazione offrendo aiuto in modo apparentemente disinteressato e gratuito.

Supponiamo che abbiate un terribile mal di denti. Una piccola carie a un molare che si è espansa a tal punto da andare a toccare il nervo. Il dolore diviene lancinante, vi toglie il sonno. Qualcuno si offre per assistervi e sistemare il dente malato direttamente a casa vostra, utilizzando utensili di fortuna, magari le pinze nella cassetta degli attrezzi o il coltello da macellaio che avete in cucina, vi blandisce assicurandovi che non sentirete alcun dolore e vi tranquillizza prospettandovi un perfetto servizio senza che dobbiate sostenere dei costi. 

Gli credete e accettate la proposta? Oppure andate a cercarvi un dentista e vi fate curare il dente malato da uno specialista? Se finanziariamente entrate in una fase di acuta sofferenza, andate a cercarvi personalmente un finanziatore o acetate l’aiuto dal primo che capita? Non sempre è il rimedio la cura desiderata, spesso rivolgersi al consulente diventa la scocciatura aggiuntiva, perché servono quattrini e voi che fuggite dal contesto italiano perennemente in crisi, di quattrini ne volete spendere il meno possibile. Perché spesso voi non siete malati, i vostri conti sono ancora buoni, ma soffrite troppo la crisi, le tasse, le imposte, i balzelli, la benzina che aumenta, tutto che prende una china decisamente irta e in salita; vi immaginate dove sarete dopo sei mesi, dove vi avrà trascinato la crisi dopo un anno e vedete la vostra situazione finanziaria peggiorare terribilmente, come quel dente che all'inizio era solo un fastidio, poi diventato un dolorino, infine un dolore impossibile da gestire. 

Ecco che voi guardate avanti e cosa vedete? Solo sacrifici e sofferenza, la perdita di privilegi piccoli e grandi, vi vedete in crisi non solo finanziaria ma anche familiare, perché vostra moglie vi considererà un potenziale fallito, immaginate terrorizzati i figli che vi scaricheranno perché non potranno più frequentare l'ambiente sociale nel quale sono vissuti fino a quel momento e allora cercate subito la soluzione che possa sembrare di minore impatto possibile. 

Trasferirsi! Andare via, cambiare aria, cercare un’alternativa valida che vi permetta di mantenere il Vostro status sociale a prezzi decisamente inferiori.

Non importa dove, cioè importa, ma questa scelta voi l'avete già fatta, nel tempo, da tempo, avete rimandato sempre perché tutto sommato a casa vostra stavate da dio, tutto era perfetto, le piccole abitudini, la mamma, la famiglia, la scuola dei figli a due passi da casa, il droghiere e il panettiere che vi facevano credito, il supermercato preferito a due passi, il cinema la domenica e la partita della vostra squadra  e la vostra azienda, piccola o grande che sia che funziona, che produce. Quando l'azienda, ma potrebbe anche essere il vostro posto di lavoro da dipendente o quadro ma anche dirigente, incomincia a mostrare il fianco ai problemi, ecco che vi sovviene quella cittadina su quell'isoletta incantevole dove avete trascorso vacanze di sogno. 

Poco male se non si tratta di un'isoletta, potrebbe anche essere una penisola, una città esotica lontana, un luogo di una incantevole bellezza oppure no, che a voi sembra il paradiso se confrontato con la vostra attualità. Ecco che a quel punto il sogno di una vita può diventare realtà, e qui, solo qui perché voi, per risparmiare, vi affidate al “fai-da-te” nascono i problemi, qui cadiamo nelle truffe.  

L'italiano e' un evasore nato, gli italiani posseggono nel loro DNA un enzina che si chiama "evadere è bello". Ecco che il concetto dell'evasione viene applicato nel momento stesso che l'italiano decida di espatriare, di cambiare aria, di costruirsi un'esistenza migliore in un altro, più o meno incantevole luogo dove, egli crede e si illude, potrà continuare a godere di quei piccoli piaceri che la vita ha saputo offrirgli fino a quel momento. Badate che non parlo solo di gente benestante, parlo di tutti, ognuno sta bene con quello che ha, piccolo o grande capitale, piccole o grandi soddisfazioni, una vita di risparmi o sacrifici, una vita di privazioni o grandi disponibilità, una eredità imprevista e aggiungiamoci una vincita al superenalotto o lotteria che possa catapultare il fortunato verso altri lidi, meno ingordi ma goduriosi. Del resto si vive una sola volta, perché mai viverla male, meglio assicurarci il posto migliore e in prima fila, alla faccia del signor Visco o Saccomanni.

Tutto ha un inizio, tutto ha una fine diceva un tale. La fine riguarda quella dei sogni, sempre la fine potrebbe essere una bella vita, ancora uno status tale per cui si vive sopra alle righe pur possedeno meno di niente. L'inizio si pone sempre dopo la fine di cui sopra, mentre dovrebbe essere il contrario ma, si sa, l'italiano tende a controvertire i fatti e le regole per cui per poter avere inizio un'avventura deve concludersene un'altra, poco importa se la seconda è un buio a poker, l'importante che la prima non sia stata un vero successo.

L'inizio della fine, o meglio, la promessa di un luminoso inizio l'abbiamo quando si comincia a desiderare d'andar via. Quando ci si rende conto che i panni dimessi dell'italiano in gramaglie nel proprio paese non vi si addicono, quando i sacrifici superano una soglia immaginaria di sofferenza che voi avete tracciato quasi che fosse una linea gialla da non superare. Ecco che quando la superate allora vi accingete a fuggire e, purtroppo e spesso, lo fate buttandovi nelle braccia, aperte a 180 gradi, del truffatore.

Solo che voi non indovinate che lo sia, pensate al buon samaritano, all'italiano che si è fatto da solo in un esotica meta, e si offre di condividere con voi le proprie esperienze di successo, in pratica diventa come quell'individuo che si offre di ripararvi il dente malato usando attrezzi da meccanico. Solo che voi in quel preciso momento avete perso ogni cognizione, non dubitate nemmeno per un momento in quali braccia vi state gettando anima e corpo e portafoglio, non immaginate in quale inferno siete capitati. A voi sembra tutto bello, onesto, accettabile interessante e perfino a buon mercato. A voi sembra di aver trovato l'America dei film di cassetta, dei cartelloni pubblicitari invece, se guardate dietro quei cartelloni potreste scoprire di essere capitati in un set di film sul sogno americano, cinese, thailandese, spagnolo o portoghese, insomma in un set di un film organizzato solo per voi che presto, molto presto si approprierà di tutti i vostri averi lasciandovi in mutande e peggio di prima.

In genere il primo approccio dell'aspirante emigrante è su internet. Si inizia cercando informazioni che riguardano quella particolare meta turistica visitata magari anni prima che vi aveva incantato. Sul web è pieno, complice la crisi, di siti che promettono di aiutarvi a trovare le informazioni di cui avete necessità. Partendo dai forum dove esperti decantano le virtù di questo o quel paese o la convenienza a rivolgervi a questa o quella agenzia. Ignoti benefattori che potreste ringraziare, dimenticando che alcuni sono realmente tali e altri sono solo i truffatori che vestono gli abiti dei miracolati e vi decantano le virtù di questo o quel sito, di un Angelo buono o di un Roberto dal cuore d'oro, di un Michele altruista o di un Giovanni pezzo di pane e voi che fate?

Avete presente la mela di Darwin?

Pensate di esser dei predestinati, invece le sorprese si nascondono spesso dietro apparenti ingenuità. Le truffe sono sempre accompagnate dalla vergogna. Così come un alcolista ammettendo la propria dipendenza dall’alcol contribuisce alla propria guarigione, una persona che ha attraversato un'esperienza truffaldina dovrebbe essere sempre in grado di ammettere come si è trovata in quella situazione. Di essersi esposta a una truffa, convinta dalla necessità, ma io la chiamerei consapevolezza, del voler intenzionalmente gabbare il fisco, per sentirsi migliori di altri, per vincere dove altri perdono. E invece va sempre a finire che si perdono quattrini e credibilità. 

Ho parlato e pontificato, adesso mettiamo nero su bianco, chi, come, dove, quando e perché si e' reso responsabile di truffe piu' meno gravi?

Le mete preferite degli italiani sono sempre le stesse, da decenni ormai, tralasciamo quelle classiche, intendo dire dove si va per cercare un lavoro, per rifarsi una vita insieme alla famiglia, quelle dove non occorre o non occorreva avere da parte il gruzzoletto ma una sana voglia di darsi da fare. tralasciamo quindi l'Europa (escluso le piccolo isole) e gli Stati Uniti a cui aggiungiamo il Canada e l'Australia, in questa analisi mi sentirei di tralasciare le grandi destinazioni del passato quali Argentina e Venezuela ma anche Uruguay dove si contano più italiani che indigeni, potrei aggiungere anche il Brasile che in un lontano passato ha richiamato moltissimi italiani e che, dopo un periodo di tranquillità, ha ripreso a ammaliare i nostri concittadini, anche merito del clamoroso sviluppo del paese in mano a sapienti amministratori.

Adesso vorrei parlarvi di mete a portata di mano di molti, anche di chi ha poco da investire, molto da godere e un bagaglio infinito di sogni, e i sogni, si sa, si avverano spesso per chi ha piccole pretese, un posticino al sole, piccolo e sereno per arrivare con dignità alla fine della vita senza doversi pentire di essere nati, quasi che fosse una colpa. Parliamo di quei paradisi perduti (ma nemmeno tanto) in alcune isole caraibiche, delle Baleari, delle Canarie a cui aggiungerei la Seychelles, la Thailandia, la Malaysia e Sri Lanka, il Madagascar e Mozambico, il Kenya e la Tanzania e in ultima analisi anche qualcuno di quegli staterelli centro americani il cui sistema impositivo è decisamente blando, inestistente.

Cominciamo con le due mete più gettonate :

Le Canarie

Moltissimi sono gli italiani che si sono trasferiti negli anni anche recenti nelle Isole Canarie. Molti i vantaggi, un clima favoloso, una eterna primavera. Cielo sempre terso e luminoso. I vantaggi superano di gran lunga gli svantaggi. Gli italiani che si sono stabiliti nell'arcipelago spagnolo antecrisi hanno saputo organizzarsi con spirito imprenditoriale. Molti di loro sono rimasti a riprova che i nostri concittadini hanno ben sviluppato il senso degli affari e, come tanti Marco Polo, hanno intrapreso lucrose attività anche attraverso scambi con l'Italia. Del resto le Isole Canarie sono meta turistica molto gettonata anche in Italia, logico quindi far trovare al turista gli alimenti preferiti a cui, pare, l'italico abitante non sa rinunciare.
E i furbi? Ecco, i furbi esistono anche alle Canarie, certo la maggioranza lavora onestamente, tuttavia c'è sempre qualcuno che ne approfitta e le dita di una mano non bastano per contarli.

Lo scorso anno vi ho raccontato la storia di un famoso, ormai ne hanno parlato anche alla TV, sito che vendeva prevalentemente "pacchi" agli ignari Robinson Crusoe dello stivale. Eh si, perché i "pacchi" lui li vendeva (e li vende ancora nonstante la pubblicità derivatagli da un servizio su Rete4, solo ai concittadini. Innanzitutto il nome. Si presenta come PA ma noi sappiamo non sia il vero nome, pubblica le foto di una famiglia felice sul suo sito ma, ahimé, nemmeno quella è reale, si auto pubblicizza sul web assumendo di volta in volta nomi e sembianze differenti ma lo stile è sempre lo stesso, lo riconoscereste anche al buio.

Recentemente, mi dicono, annusando aria grama ha trovato un collaboratore totalmente all'oscuro dei suoi raggiri e traffici, capirete che un ex-giocatore professionista di poker, di trucchi ne deve conoscere molti. Così, zitto zitto, ha scaricato sul ragazzo le responsabilità e forse le colpe di una gestione non proprio cristallina, insomma ha passato il cerino nelle mani di un "anodo sacrificale" di modo da tirarsi fuori dalla mischia e affibbiare le colpe all’ignaro socio. 

Ma i nodi arrivano al pettine, e così dopo altri clienti raggirati e decine di denunce alle autorità ecco che il nostro PA preferisce cambiare aria, per sbarcare in altra localita' e altra isola delle fide Canarie e vivere di rendita, alla grande. Chissà da chi sta fuggendo verrebbe da chiedersi... forse Equitalia? Oppure anche lui da una truffa finite male? Oppure i creditori di un passato non troppo lontano lo cercano per fargli pagare il conto? Che ci sia di mezzo una seduta dal barbiere come abbiamo visto e stravisto al cinema, sempre al cinema, dove nei film di mafia morivano i boss mentre si facevano rasare? sul suo sito egli si presenta con il seguente messaggio, come non sospettare? Solo gli ingenui possono abboccare:


Sono un architetto (NdR: Non e' un architetto, alla redazione risulta non abbia titoli) che, per il bene della propria famiglia, ha deciso di chiudere la propria societa’ ITALIANA prima che lo stato (NdR: Lo Stato o la "Famigghia"???) consumasse definitivamente anche gli ultimi risparmi di una vita di lavoro e sacrivici. (NdR: la societa' italiana era una sala giochi)
Onestamente pero’ il TRASFERIMENTO IN CANARIA non mi e’ stato facilissimo; Nel tentativo invano di trovare supporto ed aiuto da parte di coloro che gia’ risiedevano in CANARIA mi sono invece ritrovato in balia di “ SQUALI ” e personaggi senza NESSUN RISPETTO PER LA FAMIGLIA che in cambio di denaro approfittando delle debolezze delle famiglie come la mia, pronta a scappare pur di salvare la propria realta’ e la propria economia, si ritrovavano a credere nella serieta’ di queste persone, cosi’ oltre che costarmi piu’ di 1000 euro il ” supporto in loco “, mi sono ritrovato in una realta’ che mi accorgevo di non conoscere, differente da tutto cio’ che veniva spiegato e raccontato nei BLOG, senza amici e senza contatti. Proprio per questo metto a disposizione la mia esperienza, i miei contatti .. le mie certezze; cercando di offrirvi piu’ possibili soluzioni. Non esitate a contattarmi per qualsiasi domanda e spero anche il mio blog vi metta in contatto tra di voi , magari offrendovi l’ un l’ altro una mano ( cosa che alla mia famiglia non è successa ).
Per essere chiaro , onesto e “NON SQUALO ” voglio precisare una cosa:
tutte le informazioni che vi offro sono totalmente gratis.

Le consuetudini commerciali dicono che più si tenti di allontanare i sospetti con messaggi che accusano la concorrenza e più l'imbroglio è possibile. Il nostro caro angelo vuole allontanare da se i sospetti elencando le colpe degli altri, dimenticando forse, che in tale modo attirerà solo gli ingenui, chi ha sale in zucca si terrà ben distante da certe promesse da coccodrillo, del resto i politici italiani non fanno altro e sappiamo come sempre va a finire!

Per corroborare quanto asserito riporto quello che leggevo su un sito italiano di una coppia, trasferita alle Canarie per fuggire alla crisi e ritrovatasi in mezzo a una marea di connazionali quasi da sembrar di essere a Rimini invece che a Fuerteventura. Leggiamo insieme le frasi salienti di questa intervista e, fra le righe cercate di comprendere quello che viene detto:


“Prima di venir a vivere qui avevo letto blog di italiani espatriati anni prima e tra stupore e compiacimento, leggevo di famiglie finalmente felici, scappate dalla madre patria che ormai non offriva più niente se non un governo corrotto e troppe tasse. Poi una volta venuta qui ed ho vissuto l’isola mi sono resa conto sulla mia pelle che non è tutto oro quello che luccica! .... Io sinceramente credo di essere ancora in Italia e di aver cambiato solamente regione, una splendida regione non c’è dubbio! Il brutto purtroppo è che una buona percentuale degli italiani che vivono qui, non l’hanno fatto per scelta ma sono stati spinti da debiti, Equitalia alle calcagne o sono semplicemente fuggiti dopo l’ennesima truffa ai danni di qualcuno. La cosa peggiore è che non vengono per ricominciare una nuova vita e ripartire onestamente, ma continuano a fare truffe anche qui, spesso e volentieri a spese di altri italiani ignari o novelli.
Gli italiani a Fuerteventura sono quelli che ti affittano case e locali non loro, che aprono un’attività e dopo 5 giorni la mettono in vendita a 50mila euro di gestione. Sono quelli che prima di andarsene dalla casa dove erano in affitto, oltre a non aver pagato le ultime mensilità, si vendono i mobili non loro! Questa purtroppo è la dura realtà. In mezzo a questi c’è gente onesta, venuta qui con la migliore delle intenzioni, per fare un’esperienza nuova, per cambiare e non solo per non farsi spulciare dalle tasse..... Poi dopo alcuni mesi finalmente abbiamo incontrato la persona giusta e si era pronti a partire! Aspettavamo da tempo quel famoso venerdì e una volta entrati dal primo cliente, dopo avergli spiegato il nostro progetto ci siamo sentiti dire: "Bellissima idea, mi piace proprio, è un’innovazione qui ma, mi dispiace io con gli Italiani non voglio più niente a che fare, mi hanno già fregato diverse volte e ho chiuso". Poi il secondo cliente idem e il terzo, e il quarto. È stata una delusione pazzesca, una coltellata in pieno petto!.... Questa è  la nostra storia, la verità nuda e cruda. Le persone che vivono qui e non vogliono far credere al ‘Paradiso’ converranno con me. Prima di partire mi ero iscritta a molti gruppi facebook e mi trovavo spesso a litigare con gente che alle domande degli speranzosi che volevano venire a provare come si vivesse alle Canarie, rispondevano: "Non venite, è uno schifo, il lavoro non c’è e la disoccupazione è alle stelle". Non voglio rubare i sogni a qualcun altro ma quello che dico sempre io è: i problemi ci sono anche qua, il primo tra tutti, manca la serietà delle persone, la professionalità e la voglia di lavorare. Però se hai qualche soldo da parte da investire, non sulla prima cosa che ti presentano, vieni e prova sulla tua pelle. Studia bene le persone di cui ti circondi perchè una percentuale molto alta è pronta a fregarti. Vieni, prova il tuo sogno, almeno potrai sempre dire di averci provato!"











Occhio alla truffa!

Le Baleari

L'altra metà del cielo che aveva deciso di rimanere in Europa, decide probabilmente per le Baleari. Chi non conosce Ibiza, l'isola bianca con Formentera meta preferita dal jet set, vale  dire chi poi conta veramente al mondo, calciatori e starlette in primo piano? E che dire di Maiorca, opulenza ricchezza per attempati turisti armati di portafogli a fisarmonica con scorta armata al seguito e un codazzo di servitù? Rimane Minorca, la meno conosciuta dell'arcipelago, la più spontanea, quella dove gli italiani che vogliono lavorare seriamente preferiscono risiedere.

Tutto bene dunque? 

Nemmeno un po'. Nelle Baleari si replica, con minore impatto, le stesse situazioni già osservate nelle Canarie. Minore perché in definitiva chi le abita tutto l'anno non sono solo gli italiani, oltre agli spagnoli beninteso, ma anche i tedeschi, in prevalenza, anche loro fuggiti da tasse esose, quelle che frau Merkel vorrebbe appioppare a noi italici, ma anche da cavillosi sistemi finanziari o dagli stipendi che scendono vertiginosamente invece di salire. Gli italiani onesti sono presenti, alcuni hanno creato un piccolo impero basato sul lavoro duro, sacrifici e nel tempo sono riusciti dove altri hanno fallito. Anche loro sono costretti a combattere contro i fantasmi dei furbi italiani, quelli che hanno fregato praticamente tutti, quelli che venderebbero anche la madre al maggior offerente.

Nelle Baleari va di moda la vendita degli immobili, meglio se in multiproprietà, meglio se in residence famosi. I furbi, i truffatori hanno l'apparenza di uomini d'affari, sono sagaci, voraci, preparati. Riescono a produrre un'infinità di documentazione che fregherebbe anche il più arguto degli acquirenti. Inutile dire che quando il colpo va in scena, loro sono già spariti col malloppo un attimo prima che il truffato si accorge di esser stato truffato.












Occhio alla truffa!
  
(continua...)


2014/03/15

MH370, il volo dei misteri

Percorro almeno quarantamila miglia ogni anno volando. Nonostante questo non mi reputo un viaggiatore abituale, l'esigenza di trasferirmi per lavoro in paesi lontani mi costringe a volare per molte miglia. Capita così che con settemila miglia percorse almeno 6 volte all'anno, di fatto tre andate e tre ritorni da una località lontana, in un altro continente e senza contare i voli locali, ecco che percorro quelle quarantamila miglia di cui sopra.

Sono a rischio? Non più di altri. Ogni giorno volano oltre centomila aerei commerciali, dai più piccoli Cessna ai giganti del cielo Boeing 747, 777 e Airbus A340/380. Ogni giorno finisce senza incidenti di rilievo, un volo su un milione sparisce dai radar e precipita. Il mio amico Franco Battaglia direbbe che la casistica pone il mio rischio a un fattore 10^6. Sempre le statistiche dicono che avrei molte più probabilità di rompermi l'osso del collo cadendo dalle scale, o essere investito da un'auto, cadere in un tombino dimenticato aperto dal solito sprovveduto e buontempone o essere sbranato da un cane inferocito. Le casistiche dicono anche che il 40% degli incidenti fatali avvengono fra le mura domestiche, che si muore più d'infarto che di cancro, che l'alcol uccide più del fumo, la polmonite più dell'AIDS. 

Oggi volare è sicuro. Eppure tutte le volte che un aereo cade ecco che la nostra recondita paura di volare ha il sopravvento e la maggior parte di noi cerca di astenersi dal prendere un aereo quel poco tempo sufficiente affinché ci si dimentichi l'incidente, fino al prossimo. Ma allora volare non è affatto sicuro? Assolutamente si, è sicuro, molto di più di mille altre situazioni a rischio di cui la nostra vita quotidiana è piena.

Questo devono aver pensato prima di imbarcarsi i passeggeri del volo MH370 della Malaysia Airlines i quali si sono trovati, loro malgrado, coinvolti nel più incredibile e probabilmente disastroso (e non è ancora detto) evento dell'aviazione commerciale degli ultimi dieci anni.

Sappiamo che un aereo, e le dimensioni non contano, può "sparire" dagli schermi radar e dagli altri sistemi di rilevamento di posizione, rotta e velocità. In volo, tutte le informazioni vengono registrate dai sistemi di bordo, tra i quali la "scatola nera", ma per accedervi in caso di necessità - avarie, incidenti, dirottamenti, controlli - occorre che tali sistemi siano materialmente disponibili. E non solo. Tutte le compagnie aeree hanno predisposto dei sistemi di monitoraggio degli aereomobili in modo da venir constantemente informate delle condizioni di volo dal punto di vista ambientale e dei motori jet. Come nel caso della Rolls Royce produttrice, per esempio, dei due motori RR Trent che equipaggiavano l'aereo del volo MH370. Anche la scatola nera, che poi sono due dispositivi con funzioni differenti - nera poi è un modo di dire visto che l'involucro di ognuna è di colore arancione per poterle identificare meglio in caso di caduta nelle profondità marine - e nel caso di un incidente, forniscono tutti i dati di navigazione una e tutto ciò che viene detto nella cabina di pilotaggio, inclusi i dati dei computer e sottosistemi di bordo, l'altra. 

Forniscono a chi? 

In genere, e durante la navigazione, alla compagnia aerea a cui appartengono, per analizzare i dati di volo, per essere all'erta in caso di necessità. Il Volo Air France 447 caduto nell'Oceano Atlantico nel 2009, trasmise una serie di segnali di pericolo imminente alla compagnia, detti segnali ACARS acronimo che significa “Aircraft Communications Addressing and Reporting System” dicevano che era in corso uno stallo, forse i piloti non furono in grado di correggere la rotta per evitare la situazione di pericolo; il Flight Recorder (quella che noi chiamiamo scatola nera) in seguito dimostrò che i piloti cercarono di cabrare invece di picchiare, aumentando, in quella situazione l'ingovernabilità dell'aeromobile fino a quando fu impossibile riprenderne il controllo.

Del Boeing 777-200ER della Malaysia Airlines in volo da Kuala Lumpur a Beijing (volo MH370), scomparso dagli schermi radar l'8 marzo scorso da qualche parte in un quadrilatero I cui vertici (fino a questo momento) potrebbe essere molto lontani fra loro, si parla dell’India, Kazakhstan, Thailand e la stessa Malaysia, a tutt'oggi non è stata trovata traccia. Nemmeno quella scia di carburante sull'acqua che sembrava provenire dall'aereo caduto, si è poi scoperto fosse lubrificante per navi, e il frammento identificato da un satellite cinese ma non recuperato che poteva sembrare uno dei portelloni dell'aereo si è rivelato tutt'altro a una analisi piu attenta.

Fino alla scomparsa del segnale, i sistemi di monitoraggio (radar civili e militari) stavano tracciando correttamente l'aereo, che seguiva una rotta di routine, come si può facilmente verificare dal sito FlightRadar24 (da cui si può monitorare la maggior parte dei voli commerciali in tutto il mondo). Poi l'aereo, per qualche ragione al momento sconosciuta, scomparve dai radar civili, il transponder disconnesso, di fatto l'aereo viaggiava senza che alcuno potesse identificarlo. Ma non tutto era perduto.
Il "ping" dei motori RR Trent continuava a essere lanciato, si tratta di un segnale automatico, difficilmente manovrabile dai piloti, infatti per diverse ore, dicono almeno 7, la RR ha continuato a riceverlo. Ma il ping non diceva dove fosse l'aereo. Diceva solo che era ancora in aria. Anche i radar militari hanno continuato a seguirlo. Anche in quel caso non era chiaro a quale aereo appartenesse la traccia, sicuramente ai comandi c'era un pilota esperto, capace di raggiugere facilmente i 45 mila piedi di altezza (15000 metri) e ridiscendere altrettanto velocemente fino a 23000, circa seimila metri.

Dove si trova ora il volo MH370? Lontano dalla sua rotta, lontano dai radar civili. Dove sia ora, non si sa. Certamente va cercato in luoghi diversi da quelli perlustrati fino a questo momento. Un ventaglio di possibilità che, stando ai conteggi che tengono in considerazione carburante e condizioni meteo, quota e velocità, comprende almeno 634 piste. Prende sempre più corpo l’ipotesi che l’aereo scomparso una settimana fa nella tratta Kuala Lumpur-Pechino non sia deflagrato in mare per colpa di un incidente, di un guasto tecnico o dell’esplosione di un ordigno, bensì sia stato vittima di un professionista della pirateria dei cieli. Il governo malese conferma infatti, in una conferenza stampa convocata sabato dal premier Najib Razak, che il volo è stato intenzionalmente deviato dalla sua rotta e le comunicazioni con le torri di controllo interrotte. Non solo: il dirottatore deve essere stato una persona molto esperta di queste operazioni per essere riuscito a portare fuori dai radar civili il Boeing della Malaysian Airlines.

Come seguire la rotta del volo MH370



Un servizio di monitoraggio ufficiale e disponibile a tutti, via Internet, è FlightRadar24, esiste anche una versione scaricabile sull’iPad. È una mappa che mostra, istante per istante, la posizione e lo stato di quasi ogni aereo commerciale in volo (rotta, velocità, previsioni meteo, altitudine), con l'esclusione dei modelli più vecchi, privi delle adeguate tecnologie di localizzazione. Le tracce sulla mappa sono calcolate dai dati di volo rilevati da radar, transponder e ADS-B.

Per quanto riguarda il volo in questione della Malaysia Airlines, l'indirizzo della pagina che punta direttamente sull'aeroporto di Kuala Lumpur (Malesia) è questo. Da questa pagina, impostando la funzione playback (in alto nella barra a sinistra) all'8 marzo e alle 00:30, si può seguire la registrazione del tracciato del volo 370 dalla partenza all'improvvisa scomparsa.

Radar e transponder (transmitter responder) permettono di monitorare il volo all'interno di una fascia di altitudine che varia in funzione della tipologia del sistema, mentre al di fuori di questa fascia sono inefficaci. Sono poco efficaci anche quando il velivolo si trova a più di 300 chilometri di distanza dalla più vicina antenna, come accade per esempio in volo sull'oceano.

ADS-B (automatic dependent surveillance-broadcast) è un altro sistema di tracciamento, che funziona in parallelo a radar e transponder. FlightRadar24 perde però il segnale ADS-B dei velivoli al di sotto dei 9.000 metri.

Telefonini e smartphone: quando non aiutano

La rete cellulare che fa da tramite per localizzare via GPS, con ottima approssimazione, la posizione di un telefono in tasca, non fornisce informazioni sul volo in questione. In parte per il divieto d'uso di apparecchi telefonici in volo, ma soprattutto perché in mare aperto è difficile che ci sia copertura di rete. E l'improvvisa interruzione delle comunicazioni radio potrebbe far pensare, ma sappiamo che probabilmente siamo in errore, a un evento catastrofico e improvviso, ossia a uno scenario nel quale tutti gli apparati elettronici sono in acqua o distrutti.

In queste condizioni le ricerche seguono uno schema semplice e obbligato: si divide un'area in piccoli settori e si distribuiscono i mezzi di ricerca (navi e aerei) settore per settore, allargando via via la zona di ricerca, che in prima battuta è condotta "a vista". Per capire quanto sia difficile l'operazione bisogna fare riferimento a un precedente, un volo di Air France scomparso in volo sull'Atlantico nel 2009: passarono cinque giorni prima che fosse avvistato il primo frammento d'aereo in acqua e ben due anni prima di localizzare il flight recorder.

Dove potrebbe trovarsi adesso il volo MH370?

Difficile da dire, possiamo immaginare, il velivolo aveva carburante per 7 ore di volo. Un'ora di volo fino al momento di spegnere il transponder, un'altra quando è ritornato sui propri passi, sappiamo che poi è salito fino 45000 piedi, significa grande consumo di carburante, non è chiaro quanto sia rimasto a quella quota, forse abbastanza per risparmiare carburante, in seguito ha cambiato quota, discendendo repentinamente fino a 23000 piedi, a quella quota tuttavia il consumo aumenta. Se avesse continuato a salire e scendere cambiando spesso rotta, sistema in uso ai piloti militari per non essere intercettati dai radar, c'è da credere che il volo sia durato meno di quelle 7 ore. Volando alla velocità di crociera il 777 percorre di media 750 km in 1 ora, tenendo conto anche del tempo per quadagnare la quota massima e per atterrare, non per nulla ho parlato di media. 7 ore per 750 km significa circa 5200 km, quindi 3230 miglia (fino a Beijing sono 2880 miglia, 4600km). Cosa si trova a 3000 miglia? Che aereoporto? In quale città conduce?

Il Boeing 777 è il più grande bireattore commerciale al mondo. A seconda dell'allestimento può trasportare da 301 a 440 persone: misura 63,7 metri in lunghezza e l'apertura alare è di 60,9 metri. La velocità di crociera è di 0,84 mach (900-1.000 km/h) a 10.700 metri. Risulta difficile da nascondere come se fosse un Cessna.

Butto un sasso, poi qualcuno lo raccoglierà. Se non è caduto nell'Oceano Indiano, l'aereo potrebbe essere atterrato su una pista improvvisata, anche un'autostrada, o una strada abbastanza larga da alloggiare senza patemi i carrelli, anche non asfaltata ma sufficientemente liscia e dura, non fanghiglia, abbastanza libera lateralmente da alberi e arbusti e permettere il transito di un aereo con oltre 60 metri di apertura alare. 
Dove si potrebbe trovare una strada cosi'?

Io dico Sri Lanka o in alternativa il Bangladesh ma non escluderei il Myanmar, del resto il pirati del Golfo del Bengala erano di Burma, l'attuale Myanmar.

LA PIOGGIA NEL PINETO

LA PIOGGIA NEL PINETO

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.

Odi? La pioggia cade
su la solitaria
verdura
con un crepitío che dura
e varia nell’aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde
al pianto il canto
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
nè il ciel cinerino.
E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi
sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d’arborea vita viventi;
e il tuo volto ebro
è molle di pioggia
come una foglia,
e le tue chiome
auliscono come
le chiare ginestre,
o creatura terrestre
che hai nome
Ermione.

Ascolta, ascolta. L’accordo
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo
si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce
più roco
che di laggiù sale,
dall’umida ombra remota.
Più sordo e più fioco
s’allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne,
risorge, trema, si spegne.
Non s’ode voce del mare.
Or s’ode su tutta la fronda
crosciare
l’argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia
secondo la fronda
più folta, men folta.
Ascolta.
La figlia dell’aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell’ombra più fonda,
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia,
Ermione.

Piove su le tue ciglia nere
sìche par tu pianga
ma di piacere; non bianca
ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca
aulente,
il cuor nel petto è come pesca
intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l’erbe,
i denti negli alvèoli
con come mandorle acerbe.
E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove!
E piove su i nostri vólti
silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri
m’illuse, che oggi t’illude,
o Ermione.

La pioggia nel pineto è una lirica composta fra luglio e agosto 1902 dal poeta Gabriele D’Annunzio (vedasi le prime rime manoscritte nell'immagine a sinistra). Quest’opera appartiene all’Alcyone, una raccolta di poesie del D’Annunzio scritte tra il 1902 e il 1912.

Il tema dominante della poesia è la ricerca della bellezza e la possibilità di esprimere e far parlare il mondo delle sensazioni, delle emozioni e dei sentimenti, il rifiuto della razionalità, l’abbandono all’istinto e all’esperienza, attraverso una completa identificazione con la natura che diventa amica, conforto, gioia e ci permette di godere delle sensazioni provate.

Il poeta dà un’immagine raffinatissima e suggestiva di un’atmosfera naturale espressa con una struttura frammentaria dei versi e con la ripetizione di parole e di frasi e dal susseguirsi di sensazioni uditive, visive, olfattive, tattili, ritmate dal ripetersi di due verbi chiave, “piove” e “ascolta”, in cui però le sensazioni uditive prevalgono sulle altre. La poesia, infatti, è una sinfonia musicale perché il poeta sceglie le parole non tanto per il loro significato quanto per il loro suono (caratteristica tipica del decadentismo e di D’Annunzio in particolare), per creare la suggestione di una musica.

Il poeta si trova a Marina di Pisa con Ermione, la sua donna amata e, mentre passeggiano in una deserta pineta vicino al mare, li sorprende un fresco temporale estivo. Le gocce, cadendo leggere sui rami e sulle foglie, creano una musica magica e orchestrale, destando odori e vita segreta nel bosco. I due amanti si inoltrano sempre più nel fitto della vegetazione e, così circondati, coinvolti e immersi da una sinfonia di suoni, profumi e sensazioni sprigionati dalla pioggia, si sentono parte viva della natura che li circonda, fino ad immedesimarsi con essa stessa e a trasformarsi in creature vegetali. Questa trasformazione inizia nella seconda strofa, dove il poeta paragona il volto di Ermione a una foglia e i suoi capelli a una ginestra e si compie nell’ultima strofa,  dove D’Annunzio definisce Ermione non bianca ma quasi fatta virente, cioè verde, come una pianta, e ne paragona i vari elementi del corpo ad altrettanti elementi naturali: il cuore alla pesca, gli occhi alle polle (pozzanghere) d’acqua, i denti alle mandorle.

In questa immersione totale del poeta e di Ermione nel paesaggio naturale che li circonda entrambi ritrovano “La favola bella che illude”, cioè la vita con i suoi sogni d’amore e le sue speranze.

Ogni strofa termina con il nome della donna, Ermione, riferimento classico come quasi per rendere immortale la sua donna. Ermione (che nella realtà era l’attrice Eleonora Duse) è un nome tratto dalla mitologia greca e corrisponde alla figlia di Elena, moglie di Menelao e causa della guerra di Troia.

Questa poesia è bellissima perchè fonde il sentimento con l’amore per la natura. E per D’Annunzio è la natura del pineto a risvegliare i sentimenti d’amore e le passioni, con la sua bellezza, i suoni e  la pace che ispira.