Onore e gloria ai vincitori, rispetto per i vinti. Se la Juventus e metà dell'Italia calcistica oggi festeggia la vittoria del settimo scudetto consecutivo, bisogna anche dare atto ai concorrenti che hanno provato sempre e comunque a togliere lo scettro alla regina e, se non sono stati capaci di scalfire il primato della Juventus, non è solo colpa di giocatori non all'altezza della concorrente, e nemmeno di allenatori e strutture. Spesso è stato quel servilismo tutto italiano che ci accompagna dalla fine della guerra e che si chiama Fiat. Oggi ha vinto la Juventus, vincerà anche il prossimo anno e molti anni ancora se non si trova una strada per uscire da questo dominio. Questo è evidente in Europa dove la Juventus non batte chiodo da anni. Una dominazione assoluta in Italia e quasi il nulla in Europa la dicono lunga su come viene considerata la squadra torinese. Se qualcuno non si decide a cambiare le carte in tavola temo che questa storia continuerà a lungo. Trovate una soluzione, trovatela voi, ho tante idee in mente, temo di non avere abbastanza frecce nel mio arco.
Uno 0-0 molto scontato ha consegnato lo scudetto alla Juventus. Non è servita nemmeno la vittoria del Napoli a Genova contro la Sampdoria. Roma-Juventus è stata una festa per due, per i bianconeri che hanno festeggiato sul campo di una rivale storica e per la Roma che pur passando dal secondo posto dello scorso anno a un probabile terzo trova comunque la qualificazione in Champions League. Se per la Juve le vittorie sono scontate e quasi dovute, per le altre certi traguardi non sono poi mai così sicuri.
La Juventus festeggia il suo settimo scudetto consecutivo all’Olimpico a Roma. L’Italia che non tifa Juventus - diciamo almeno una metà abbondante - sperava stavolta in un finale diverso, ma alla fine ha dovuto accettare un verdetto scontatissimo, atteso. Il solito.
E’ stato l’anno forse in cui la Juventus ha rischiato di più, perché il Napoli sembrava davvero poterle tenere testa: ha avuto gioco, grandi giocatori, fiducia, un pubblico che l’ha spinto e sostenuto fino all’ultimo, un grande allenatore - Maurizio Sarri - talmente stremato dal confronto con la Juve da rischiare forse di non rimanere e di non potere (e volere) ripetere un’esperienza del genere. Ma è andata come tutti sappiamo, la Juventus ha vinto perché il suo diretto avversario ha perso la pedalata, è crollato in volata. E alla fine di quella grande sfida restano sostanzialmente i veleni a fare notizia. Non è facile accettare un dominio del genere, se ne cerca un’ingiustizia di fondo anche perché questo rende di per sè più accettabile la sconfitta.
La Juventus ha dovuto sudarselo questo scudetto. Le si rinfaccia continuamente il “non gioco” senza pensare che la Juve è una squadra in evoluzione continua e che storicamente - dall’epoca di Trapattoni a quella di Allegri - rappresenta il massimo dell’italianità nel calcio. Per cui lo spettacolo non ce l’ha nel dna, anche se poi può assortire i migliori attaccanti e i migliori talenti in circolazione: Higuain, Dybala, Douglas Costa, Mandzukic, Cuadrado, Bernardeschi. Ne ha talmente tanti la Juve da non poterli far giocare tutti insieme. E’ chiaro che il suo vantaggio sul resto del calcio italiano è soprattutto questo, aver saputo accumulare negli anni tanta ricchezza tecnica. Da far poi pesare al momento di fare i conti.
E’ soprattutto lo scudetto dell’ultima stagione (forse…) di Gigi Buffon. A 40 anni e 17 stagioni in bianconero Gigi è stato ancora il migliore. Ma un calciatore - ammesso che un portiere sia “solo” un calciatore e non qualcosa di più -, soprattutto un grande campione, deve sapersi porre un limite, non trascinarsi oltre, lasciare magnanimamente il posto che del resto lui prese ad altri portieri: Bucci, Nista, Van der Sar, per trovare i predecessori di Buffon bisogna scavare nell’album Panini. E’ arrivato il suo turno, meglio farlo col sorriso e senza drammi.
Massimiliano Allegri ha curiosamente accumulato vittorie e critiche, pur essendo ancora giovane soffre l’evolversi di un calcio teorico e a volte irrealistico. Fare meglio e di più di Antonio Conte non era facile, quasi impossibile se si pensa che fu contestato pesantemente non appena mise piede nel 2014 a Vinovo. In questi anni ha più volte rinnovato la Juve o meglio si è trovato spesso a dover inserire giocatori nuovi che la politica aziendale gli ha messo a disposizione, anche se quasi sempre campioni di grande qualità e alto costo. Ha avuto delle crisi e delle incertezze, certo, ma non sono mai durate più dello spazio di qualche giornata di campionato, così da non compromettere il risultato finale. Non capisco cosa gli si possa chiedere di più e perché il tiro ad Allegri sia diventato un perfido e irriconoscente sport nazionale.
Nel complesso bisogna riconoscere che Agnelli e Marotta hanno saputo dare stabilità a un club che si è rinnovato continuamente proprio per evitarne l’involuzione. Guardate la prima Juve di Antonio Conte e guardate quella del settimo scudetto consecutivo, sono squadre che a parte un certo zoccolo duro ormai ridottissimo e via via sempre meno utilizzato (da ultimo Marchisio) sono completamente trasformate. E’ stato questo il segreto della continuità, non rimanere mai gli stessi, cercare sempre stimoli nuovi.
Lo dirò abbastanza chiaramente ma senza alcun veleno. Non tutto il merito dei sette scudetti della Juventus sono merito intero della Juventus. Sono merito anche di avversari che non hanno avuto la sua stessa capacità imprenditoriale e soprattutto tecnica. La scomparsa di Milano a questi livelli alla fine ha spianato la strada al club più forte. O queste squadre si attrezzano su tutti i fronti per ridurre il gap o di scudetti consecutivi la Juve arriverà a vincerne dieci.