Ieri sera ho aperto la app che uso da molti anni per cucinare. Una app di ricette.
Volevo un consiglio su come usare i ceci in modo nuovo. Prima della risposta mi ha chiesto il permesso di poter seguire i miei spostamenti. Si chiama geo-tracking ed è l’attività che alcuni pezzetti di software svolgono: ci seguono in tempo reale.
Ufficialmente per darci informazioni georeferenziate: le notizie della città dove ti trovi, le previsioni del tempo che davvero ti interessano. Ma anche offerte commerciali: guarda che in quel negozio c’è una cosa che fa per te. Si chiama marketing di prossimità.
Ok, ma le ricette di prossimità che roba sono? Perché una app di cucina ha bisogno di sapere dove mi trovo per darmi dei consigli? Pasta e ceci si fa sempre nello stesso modo, a meno che uno non voglia adattare la ricetta agli ingredienti locali. In altri tempi avrei cliccato ok, dando il permesso.
Ma qualche giorno fa ho letto una poderosa inchiesta del New York Times su questo tema: dice che quei dati consentono di fatto di identificare e spiare chiunque. Possono documentare tradimenti coniugali, inclinazioni politiche, trattative commerciali o anche malattie.
Volendo, si sa tutto. Tu dai il consenso per una app che ti dice che tempo fa, per esempio, e quei dati vengono rivenduti a società che costruiscono profili sempre più dettagliati. Al punto di poterci identificare uno per uno. Sono tornato così a vedere i termini della privacy della mia app di cucina preferita.
Dice che i miei dati vanno ad un grande editore italiano, ok; ma anche a tre multinazionali di cui non avevo mai sentito parlare, che di mestiere raccolgono dati che a loro volta hanno dei partner, non menzionati, con cui potranno condividere i miei dati. La mia posizione mentre faccio pasta e ceci, ma anche tutto il resto. Mi sembra troppo.
Ci vorrebbe un garante della privacy, ma da sei mesi i partiti non riescono a trovarne uno e si sono appena presi altri tre mesi di tempo. Nel frattempo userò un libro di ricette.