Questa è la storia esemplare di un imprenditore italiano
che per due settimane ha cercato di fornire allo Stato uno stock di 50 milioni
di mascherine professionali (FFP2, FFP3 e Chirurgiche) e che alla fine,
respinto dalla burocrazia, sfinito dai centralini telefonici, disorientato da
funzionari incompetenti e impiegati pigri, alla fine, si è arreso. Lasciando in
Cina un tesoro di 50 milioni di mascherine, abbandonato agli appetiti e alla
rapacità del miglior offerente.
Questa storia comincia nella notte tra venerdì 13 marzo e
sabato 14. Il nostro imprenditore si chiama Filippo Moroni, come dice lui parla
un "indecente cinese" e da quattro anni fa la spola tra Shanghai e
Shenzhen dove ha un'impresa locale che opera nell'elettronico e nel ramo delle
apparecchiature dentali.
Quel giorno, l'Italia è già precipitata nel panico. Il
Paese è chiuso per decreto da 48 ore, la gente è agli arresti domiciliari in
casa, e per uscire sono raccomandati guanti di plastica e mascherine, i famosi
Dpi (Dispositivi di protezione individuale) che però già non si trovano più da
nessuna parte. Non nelle farmacie né tanto meno negli ospedali, dove gli
operatori protestano a gran voce (e s'infettano, e si contaminano, e muoiono).
Dall'esperienza maturata vivendo in Cina, Moroni sa che
un'"abbondanza controllata" di Dpi sarà l'elemento chiave dell'intera
strategia di prevenzione. E soprattutto sa che, se non ci muove con assoluta
tempestività, presto sarà impossibile trovarne sul mercato. In quel preciso,
irripetibile, momento, invece, lo scenario internazionale è paradossalmente
favorevole all'Italia e al soddisfacimento del suo bisogno primario:
l'Occidente ancora non ha capito quanto grave sia la minaccia che pende sulla
sua testa, Boris Johnson straparla di immunità di gregge, Trump la considera
un'influenza stagionale e gli altri paesi pensano che la cosa riguardi solo
Roma. Che dunque, mentre da un lato è isolata politicamente, quello stesso
isolamento la pone nelle condizioni di essere l'unica a poter giustificare
internamente ogni tipo di misura per accaparrarsi mascherine. Roma dunque si
trova quindi sul mercato con una misura di vantaggio di due settimane sugli
altri stati.
"La
richiamiamo noi"
Così Moroni si muove: contatta i suoi referenti a
Shenzhen e Hong Kong e comincia a cercare quanti più stock possibile. Nel giro
di 48 ore trova il modo di consorziare 21 aziende locali in una rete capace di
produrre a regime fino 2 milioni di mascherine al giorno e dopo una call di un
paio d'ore raggiunge un accordo di massima per la fornitura di 50 milioni di
pezzi certificati CE ad un costo che si rivelerà poi meno della metà della base
d'asta indetta da Consip.
Il primo stock da due milioni è già disponibile
nell'hangar vicino all'aeroporto, bisogna solamente mandare un aereo a prenderle.
Tanto per dare un'idea delle proporzioni dell'operazione, il fabbisogno
nazionale mensile di mascherine, in questa crisi, è stato stimato intorno ai 90
milioni.
L'imprenditore contatta dunque il suo naturale referente:
la Protezione Civile. Lo fa via mail. E' sabato notte.
La missiva viene mandata
ad Angelo Borrelli e al suo staff. Ma nessuno risponde. Domenica 15 marzo, la
mail viene inoltrata di nuovo, con i prezzi aggiornati: il mercato
internazionale è di solito più sensibile ai segnali inviati dal mondo reale
rispetto alla politica, e comincia a svegliarsi. Sale la domanda, salgono i
prezzi.
Ma anche la seconda mail cade nel vuoto. Moroni si dà da
fare, chiama direttamente la Protezione Civile. Dopo parecchi minuti di
musichetta d'attesa, risponde un impiegato. Ho 50 milioni di mascherine al
prezzo di costo, dice subito l'imprenditore. "Ah si, la richiamiamo
noi".
Non richiama nessuno. In serata, telefona di nuovo. Ancora niente.
Lunedì mattina di buon'ora dalla Cina contattano di nuovo
l'imprenditore. Il mercato si sta agitando, i prezzi lievitano. Moroni legge i
giornali con il solito drammatico bollettino, quello che abbiamo imparato a
conoscere, con gli appelli sempre più disperati dei medici in corsia, "ci
mandano alla guerra a mani nude, abbiamo bisogno di Dpi". Si innervosisce,
manda la settima mail a otto destinatari diversi con la sua proposta, perché i
prezzi ormai vengono aggiornati almeno due volte al giorno. Ma niente, un sasso
in un pozzo.
"Con
le mascherine stiamo a posto"
Il giorno dopo chiama ancora. Stavolta risponde Mario
Ferrazzano, ufficio acquisti della Protezione Civile: "Ci scusi - dice -
riceviamo miliardi di mail, mi faccia un sunto delle sue". Moroni spiega
di nuovo di avere a disposizione 50 milioni di mascherine. Ferrazzano dice che
però ci sono problemi per il pagamento, perché lo Stato non può pagare
anticipatamente dall'Italia - come vorrebbero i cinesi - né può mandare
qualcuno lì a pagare contestualmente, e quindi se Moroni vuole aiutare deve
anticipare circa 25 milioni di dollari di tasca sua. E comunque, dice
Ferrazzano, "con le mascherine stiamo abbastanza apposto, ne abbiamo
trovate una trentina di milioni, un terzo FFP3, due terzi FFP2". L'Italia
sguazzerebbe in un mare di mascherine, a sentire Ferrazzano. Per non parlare
delle chirurgiche: "Quelle ormai le prendiamo solo in seconda battuta
perché stiamo già a posto".
In realtà non è vero niente: come noto, ancora oggi,
quasi quindici giorni dopo quella telefonata, la Protezione Civile brancola nel
buio più totale, dipende dalle caritatevoli donazioni del ministero cinese e le
uniche mascherine che girano sono le famigerate Montrasio, quelle fatte con il
tessuto antipolvere per pulire i mobili che Fontana ha definito carta igienica
e De Luca "le mascherine del coniglietto Bunny". Per una chirurgica
marchiata CE, gli operatori sanitari di molte regioni pagherebbero oro.
E'
tutto fermo per Invitalia
Moroni non si dà per vinto. Non è soddisfatto delle
risposte di Ferrazzano, e non riuscendo a parlare con Borrelli, prova a
contattare direttamente il neo commissario Domenico Arcuri, il quale però dice
di non volersi assumere il rischio di procedere all'acquisto senza il consenso
del Istituto Superiore di Sanità. "Le mascherine sono CE non c'è bisogno
di nessun ok, solo del suo", insiste Moroni.
Ma Arcuri ha deciso che la
strada è la gara Consip e non si assume la responsabilità di procedere:
"Non voglio andare in galera". La telefonata è drammatica: Moroni fa
notare al commissario che i suoi poteri sono Straordinari proprio perché siamo
in emergenza e ha il pieno potere di fare cose straordinarie, saltare la
burocrazia e fare un bonifico per comprare le mascherine. Ma non c'è verso.
Viene rimandato allo staff che poi passa "il problema" all'ufficio
acquisti della Protezione Civile che cade dalle nuvole. E si ricomincia da
capo.
E' ormai martedì, i prezzi continuano a salire. Usa e
Brasile hanno mandato buyer in Cina con valigie piene di contanti per comprare
cash mascherine, guanti, ventilatori per affrontare la pandemia che, ormai è
chiaro, presto arriverà anche da loro. Moroni non se ne fa una ragione, tiene
fermo lo stock a Shenzhen e insiste con la Protezione Civile. Risponde di nuovo
Ferrazzano: "E' tutto fermo - dice infastidito - alla luce del decreto
legge stanno definendo le nuove procedure con Invitalia... quindi niente... Se
vuole mandi di nuovo la sua proposta, ma per adesso è tutto fermo. E' entrata
Invitalia, stiamo attendendo istruzioni su come ci si muoverà. Aspettiamo un
po'. C'è il commissario straordinario... I poteri adesso li ha lui. La
questione è salita di livello".
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Ma l'imprenditore sa che non si può più aspettare. Mentre
in Italia i medici muoiono in corsia, mentre la gente, pure vivendo ai
domiciliari si infetta nei supermercati perché da settimane non si trova nulla
per proteggersi o è costretta a riutilizzare la stessa mascherina, sul mercato
i prezzi si impennano e in mancanza assoluta di offerte, gli speculatori
invadono la scena. Se la strada della Protezione Civile è bloccata dal
conflitto burocratico tra Borrelli e Arcuri, Moroni si rivolge altrove.
Le
prova tutte, scrive a Confindustria, alle Regioni Puglia, Lazio, Lombardia,
alle Asl ma il nodo burocratico è talmente stretto che nessuno riesce a
scioglierlo. Specifica in ogni sua email che opera "pro bono", senza
alcuna commissione, e che il suo ruolo sarà solo quello di mediatore tra la
Protezione Civile (che non può acquistare direttamente) e i cinesi, mettendo
anche a disposizione la sua licenza export medicale indispensabile per
sdoganare quei 7 Boeing interi di materiale.
Alla fine, potrà contare qualcosa
come 120 mail inviate. Tutte cadute nel vuoto. Le
uniche risposte sono solo
telefoniche: "Attendiamo direttive", "Ormai le abbiamo
comprate",
"Abbiamo aggiudicato la gara Consip", "Le stiamo
spedendo", "Stanno arrivando".
Il giorno della resa definitiva è giovedì. Alla fine di
una estenuante telefonata con una funzionaria della Regione Lazio, che prende
tempo perché deve dirimere il problema dell'IVA sulle mascherine, Moroni chiede
conferma sulla certificazione richiesta dagli uomini di Zingaretti: "che
classe di protezione vi serve?" La risposta è spiazzante: "Guardi non
lo so... ma mi faccia controllare se ho altre offerte. Ah, si, ecco... le
classi di protezione sono tre: M, L, XL". Confondendo evidentemente il
dato con la taglia.
"Qualcosa
è andato storto"
Riagganciato il telefono, Moroni decide di arrendersi non
prima però di aver raccontato alla stampa la sua vicenda. Repubblica ha potuto
così consultare tutte le mail inviate nel corso dell'intera settimana, osservare
i video della produzione cinese e dello stock in attesa a Shenzhen (che nel
frattempo è stato comprato dal Brasile) e appuntare i resoconti delle molte
telefonate intercorse.
Poi ha contattato lo staff del commissario Arcuri per
capire che cosa possa davvero essere accaduto e come mai la proposta
dell'imprenditore non sia mai stata nemmeno presa seriamente in considerazione
a fronte di una situazione disastrosa, con il bilancio dei medici morti in
corsia in continuo aggiornamento.
In un primo momento la risposta è stata vaga:
"Abbiamo passato le proposte all'ufficio contratti che ha valutato di non
procedere". Di fronte alla richiesta di ulteriori chiarimenti è infine
arrivata un'ammissione piuttosto grave: "Non abbiamo capito come sia
potuto succedere, di solito queste cose passano attraverso le valutazioni di
una commissione tecnica che deve valutare la proposta, ma non abbiamo trovato i
verbali che riguardano questo caso.
Qualcosa
deve essere andato storto.
Mi
vergogno di questa Italia!