Scrivo
per compensare quello che la vita non mi ha dato, di quello che mi ha dato ma
ho perso, forse per creare un ideale prolungamento ed illudermi di essere
immortale, per creare una ipotetica e alquanto insicura magica protesi di me
stesso che mi proietti in una quarta dimensione al di là dello spazio e del
tempo. Se percorro il cammino tracciato dalle idee che improntano le opere dei
maggiori autori del Novecento trovo prevalentemente, anche se esclusivamente a
livello teorico, un'idea riduttiva e negativa della scrittura.
Chi scrive non
sa vivere o forse conosce il segreto della vita e non ha il coraggio di
appropriarsene, di farlo suo e sfruttarlo per vivere meglio, le nostre paure
allora si fondono in un desiderio di esternare le ansie in questa forma
metafisica che è il bisogno di scrivere perché non si sa vivere.
La scrittura
sembrerebbe una specie di surrogato della vita. Una brutta copia senza sapore,
scolorita della realtà, da cui, altri, gli altri, pescano a grandi mani quanto
resta del mio sapere.