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2015/06/21

Uscita dall'euro senza caduta libera


Naturalmente tutti si chiedono cosa accadrebbe qualora fra la Grecia e la zona euro non si riuscisse a trovare un accordo per l’ennesimo salvataggio.

Chiarisco subito che l’ennesimo salvataggio non potrebbe essere che temporaneo, poiché, ammesso e non concesso che i greci accettino di prendere qualche misura di carattere economico (aumento Iva? ritocco pensioni?) in cambio dell’erogazione di un nuovo prestito, finché saranno costretti a utilizzare la moneta unica, non avrebbero comunque nessuna possibilità di veder risollevarsi la propria economia, quindi, esauriti quei fondi, saremmo ancora punto e a capo.
Ritengo che, a questo punto, tutti abbiano capito che è il concetto di moneta unica che non può funzionare, in quanto produce danni in funzione a quanto sono impari le economie dei Paesi che lo utilizzano.

Il famoso “effetto domino” si verificherebbe NON perché esiste la speculazione finanziaria, ma perché verrebbe sancito, senza possibilità di appello, ciò che vado dicendo da tempo, ossia: “uno Stato, una moneta”.
La cosiddetta “speculazione”, infatti, non è un’arma attraverso la quale si cerca di distruggere un sistema che funziona, ma la conseguenza più evidente del fatto che quel sistema NON funziona.

Il problema rimane però gigantesco perché abbiamo costruito una cosa talmente titanica che ora abbiamo persino paura a demolirla, alcuni, anche fra coloro che hanno posizioni molto critiche nei confronti dell’euro si chiedono se debba essere usata “la dinamite” oppure il sistema dell’euro debba essere smontato “pezzo per pezzo”.
In altre parole si ha il timore che ritornare di colpo alle monete nazionali possa comportare uno shock talmente forte all’economia europea da farla sprofondare in una crisi senza precedenti.

Non sono di questa opinione!

Naturalmente la demolizione dell’euro dovrà avvenire in maniera “controllata”, ma ciò non comporterebbe alcun trauma per l’economia del Vecchio Continente, sarebbe solo necessario stabilire delle norme comuni da rispettare e, così come siamo entrati nell’euro … ne usciamo.
Perché, cari lettori, ricordiamo tutti cosa ci hanno ripetuto i media in maniera ossessiva nel momento in cui è entrato l’euro nelle nostre tasche, ci dicevano in continuazione, come un mantra, che “non sarebbe cambiato nulla”. Sarebbe stato tutto estremamente semplice, ciò che prima era espresso in lire sarebbe solo stato ridenominato in euro attraverso un cambio fisso un po’ strano per la verità, 1 euro = 1936,27 lire.

E in effetti è stato tutto molto semplice, e anche le persone anziane non hanno avuto bisogno dei “convertitori” (qualcuno di voi ne ha ancora in casa?), è stato tutto molto facile.
Ebbene la fine dell’euro e il ritorno alle monete nazionali sarebbe ancora molto, ma molto più semplice, perché ogni Stato riconvertirebbe la propria moneta con un cambio alla pari!

E’ semplicissimo!
Un cambio alla pari!
Cioè la nuova lira italiana? Pari a un euro
Il nuovo marco tedesco? Pari a un euro
Il nuovo franco francese? Pari a un euro
La nuova dracma? Pari a un euro

Cosicché se una persona oggi ha uno stipendio di 1.200 euro in Italia diventerebbero 1.200 nuove lire, in Germania 1.200 nuovi marchi, in Grecia 1.200 nuove dracme e così via!!!

Semplice? Semplicissimo!!!

E al momento della riapertura dei mercati valutari “il mercato” unico arbitro imparziale e inappellabile determinerà i cambi fra le nuove valute europee.
Ci vorrà 1,30 nuova lira per avere 1 nuovo marco? Bene!
Basteranno 0,70 nuove lire per avere 1 nuova dracma? Bene!
Ma quello che deve essere chiaro è che questo meccanismo non ci renderà più ricchi o più poveri rispetto alla situazione attuale!

In altre parole: non è che poiché ci vorranno 1,30 nuove lire per avere 1 nuovo marco tedesco allora noi siamo diventati più poveri e i tedeschi più ricchi, perché è già così adesso!!!

Se il mercato determinerà un cambio nuova lira/nuovo marco pari a 1,30 significa che OGGI ritiene che la Germania sia mediamente più ricca dell’Italia del 30%.
Il sistema dei cambi, se naturalmente lasciato funzionare, E’ UN SISTEMA REGOLATORE!!!
E questo è un concetto da comprendere! Assolutamente!
Il fatto che l’Italia avrà una moneta che varrà il 30% in meno di quella tedesca NON CI RENDE PIU’ POVERI!!! Anzi, ci dà un vantaggio! Perché le merci che produciamo saranno più competitive rispetto a quelle prodotte in Germania, e, di conseguenza, questo aiuterà la nostra economia!

Migliorerà la nostra economia e peggiorerà quella tedesca? Se accadrà, anche questo lo vedremo dal mercato valutario perché il cambio nuova lira nuovo marco varierà, magari diventando 1,25 oppure 1,20.
I cambi fra le nuove monete europee varieranno di secondo in secondo come oggi accade fra euro e dollaro o qualsiasi altra moneta, basterà lasciar fare al mercato e tutto sarà regolato in maniera naturale.

Semplice?
Semplicissimo!!!




Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro

2015/06/20

Russia nemica?


Per Obama il leader russo Putin è il nemico numero 1 e in Europa sta crescendo la tensione a livello militare tra NATO e Russia. Certo Putin non è un santo, ci mancherebbe altro, ma siamo così sicuri che la posizione USA sia corretta? 

Dopo l’11 settembre mi sembra che gli americani in politica estera le abbiano sbagliate quasi tutte: abbattendo Saddam hanno destabilizzato tutta la regione, volendo distruggere Assad in Siria hanno rinforzato l’ISIS, scegliendo una linea pro-Iran rischiano di creare altri guai, tolto di mezzo Gheddafi (con l’aiuto francese) si sono creati i presupposti degli sbarchi attuali di centinaia di migliaia di disperati mentre in Afghanistan, Iraq, Medio Oriente, Africa centrale la situazione è tragica. La mania americana di mostrare i muscoli porta regolarmente a situazioni senza uscita.

In compenso gli USA coccolano nazioni – come l’Arabia Saudita – assolutiste e cieche che, magari temendoli, di fatto aiutano e finanziano i fondamentalisti islamici in un generale tripudio del commercio delle armi.
L’Europa balbetta, incapace di avere una propria gestione delle crisi e un esempio lo è ora la questione dell’Ucraina dove Putin qualche ragione ce l’ha visto che in fondo l’est ucraino è russo per lingua, tradizioni, storia, religione. 
Non capisco perché l’Italia non debba fare anche i propri conti proprio nei rapporti con la Russia e sarei più cauto a sposare le tesi americane in politica estera (il rispetto dei diritti umani violati da Putin è un’altra cosa) perché alla fine da una crisi sarà proprio l’Europa a rimetterci, non gli USA, e tutti abbiamo da perderci se all’est scoppiasse l’ennesimo conflitto europeo...

Se poi a tutto questo aggiungiamo il discorso della NATO ecco che tutto prende un colore diverso, allora possiamo anche valutare positivamente lo staccarci dall'Europa economica (l'UE) e unirci ai BRICS e vivere decisamente meglio.


La Nato è tenuta in vita dagli Usa e dal Regno Unito che ci fanno litigare con la Russia per impedirci di stabilire con essa una profonda integrazione economica, e invece spingerci ad acquistare petrolio e gas dai Paesi del Golfo controllati da loro. Tutti i Paesi europei sono danneggiati da questa politica e la Russia viene spinta a integrarsi con la Cina.
È venuto il momento di domandarci perché dobbiamo continuare a fare parte di una organizzazione che ci reca solo danno. La Russia per noi non è un nemico, ma un amico, appartiene alla cultura europea, è un partner economico ideale, combatte l'integralismo islamico che invece gli americani hanno favorito con la loro politica in Afghanistan, in Irak e in Siria. È stata la Nato ad abbattere Gheddafi dando la Libia in mano agli islamisti e inondando l'Italia di immigrati. E non dimentichiamo che il presidente Obama voleva bombardare l'esercito di Assad aiutando le forze che hanno poi creato il califfato.
Oggi la Nato dovrebbe essere riorganizzata con nuovi scopi e con nuovi membri. E per prima cosa dovrebbe farne parte la Russia, per costituire un fronte comune contro l'integralismo islamico e la immensa potenza militare che fra poco sprigionerà la Cina. Oggi la Nato, che guarda a nemici del passato, dovrebbe pensare al futuro. Magari facendo anche qualcosa per il presente: per esempio mettere fine alle emigrazioni nel Mediterraneo da essa stessa provocate.

Pensierino della sera....

Ecco un discorso che Solzenicyn – il dissidente sovietico a lungo incarcerato sotto il regime comunista - tenne come prolusione ad incontro accademico tanti anni fa: credo sia utile una sua lettura per qualche riflessione: 

....Il declino del coraggio é la caratteristica più sorprendente che un osservatore può oggi riscontrare in Occidente. Il mondo occidentale ha perso il suo coraggio civile, sia nel suo insieme che separatamente, in ogni paese, in ogni governo, in ogni partito politico e, naturalmente, nell'ambito delle Nazioni Unite. Il declino del coraggio é particolarmente evidente tra le élites intellettuali, generando l’impressione di una perdita di coraggio dell'intera società. Vi sono ancora molte persone coraggiose, ma non hanno alcuna determinante influenza sulla vita pubblica. 

Funzionari politici e classi intellettuali presentano questa caratteristica, che si concretizza in passività e dubbi nelle loro azioni e nelle loro dichiarazioni, e ancor di più nel loro egoistico considerare razionalmente come realistico, ragionevole, intellettualmente e persino moralmente giustificato il poter basare le politiche dello Stato sulla debolezza e sulla vigliaccheria. E questo declino del coraggio, a volte raggiunge quella che potrebbe essere definita come una mancanza di carattere, sottolineata quasi con ironia da occasionali scoppi di audacia e di rigidità da parte degli stessi funzionari politici quando trattano con governi deboli, con paesi privi di sostegno o con correnti perdenti che chiaramente non saranno in grado di offrire alcuna resistenza. 

Si hanno invece silenzio e paralisi quando si tratta di affrontare governi potenti e forze minacciose, con aggressori e terroristi internazionali. E’ necessario sottolineare che fin dai tempi antichi il declino del coraggio è stato considerato il primo sintomo della fine..."

2015/06/18

L'Italia deve morire

L’Italia era una grande potenza scomoda per gli altri stati del nord, dovevamo morire e così è stato. Ecco chi sono i ”sabotatori”che ci hanno portato a questo, la VERA storia d’Italia che tutti nascondono passando per i nostri capi di stato, Cia, Bilderberg, BR, Britannia ecc.
Questo il video dell'intervista di Byoblu a Nino Galloni. Guardatelo e scaricatelo sul vostro computer, prima o poi qualcuno lo farà sparire.



Il primo colpo storico contro l’Italia lo mette a segno Carlo Azeglio Ciampi, futuro presidente della Repubblica, incalzato dall’allora ministro Beniamino Andreatta, maestro di Enrico Letta e “nonno” della Grande Privatizzazione che ha smantellato l’industria statale italiana, temutissima da Germania e Francia. E’ il 1981: Andreatta propone di sganciare la Banca d’Italia dal Tesoro, e Ciampi esegue. Obiettivo: impedire alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato, come fanno le altre banche centrali sovrane del mondo, a cominciare da quella inglese. Il secondo colpo, quello del ko, arriva otto anno dopo, quando crolla il Muro di Berlino. La Germania si gioca la riunificazione, a spese della sopravvivenza dell’Italia come potenza industriale: ricattati dai francesi, per riconquistare l’Est i tedeschi accettano di rinunciare al marco e aderire all’euro, a patto che il nuovo assetto europeo elimini dalla scena il loro concorrente più pericoloso: noi. A Roma non mancano complici: pur di togliere il potere sovrano dalle mani della “casta” corrotta della Prima Repubblica, c’è chi è pronto a sacrificare l’Italia all’Europa “tedesca”, naturalmente all’insaputa degli italiani.

E’ la drammatica ricostruzione che Nino Galloni, già docente universitario, manager pubblico e alto dirigente di Stato, fornisce a Claudio Messora per il blog “Byoblu”. All’epoca, nel fatidico 1989, Galloni era consulente del governo su invito dell’eterno Giulio Andreotti, il primo statista europeo che ebbe la prontezza di affermare di temere la riunificazione tedesca. Non era “provincialismo storico”: Andreotti era al corrente del piano contro l’Italia e tentò di opporvisi, fin che potè. Poi a Roma arrivò una telefonata del cancelliere Helmut Kohl, che si lamentò col ministro Guido Carli: qualcuno “remava contro” il piano franco-tedesco. Galloni si era appena scontrato con Mario Monti alla Bocconi e il suo gruppo aveva ricevuto pressioni da Bankitalia, dalla Fondazione Agnelli e da Confindustria. La telefonata di Kohl fu decisiva per indurre il governo a metterlo fuori gioco. «Ottenni dal ministro la verità», racconta l’ex super-consulente, ridottosi a comunicare con l’aiuto di pezzi di carta perché il ministro «temeva ci fossero dei microfoni». Sul “pizzino”, scrisse la domanda decisiva: “Ci sono state pressioni anche dalla Germania sul ministro Carli perché io smetta di fare quello che stiamo facendo?”. Eccome: «Lui mi fece di sì con la testa». Questa, riassume Galloni, è l’origine della “inspiegabile” tragedia nazionale nella quale stiamo sprofondando. I super-poteri egemonici, prima atlantici e poi europei, hanno sempre temuto l’Italia. Lo dimostrano due episodi chiave. 

Il primo è l’omicidio di Enrico Mattei, stratega del boom industriale italiano grazie alla leva energetica propiziata dalla sua politica filo-araba, in competizione con le “Sette Sorelle”. E il secondo è l’eliminazione di Aldo Moro, l’uomo del compromesso storico col Pci di Berlinguer assassinato dalle “seconde Br”: non più l’organizzazione eversiva fondata da Renato Curcio ma le Br di Mario Moretti, «fortemente collegate con i servizi, con deviazioni dei servizi, con i servizi americani e israeliani». Il leader della Dc era nel mirino di killer molto più potenti dei neo-brigatisti: «Kissinger gliel’aveva giurata, aveva minacciato Moro di morte poco tempo prima». Tragico preambolo, la strana uccisione di Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo “Petrolio” aveva denunciato i mandanti dell’omicidio Mattei, a lungo presentato come incidente aereo. Recenti inchieste collegano alla morte del fondatore dell’Eni quella del giornalista siciliano Mauro De Mauro. Probabilmente, De Mauro aveva scoperto una pista “francese”: agenti dell’ex Oas inquadrati dalla Cia nell’organizzazione terroristica “Stay Behind” (in Italia, “Gladio”) avrebbero sabotato l’aereo di Mattei con l’aiuto di manovalanza mafiosa. Poi, su tutto, a congelare la democrazia italiana avrebbe provveduto la strategia della tensione, quella delle stragi nelle piazze.

Alla fine degli anni ‘80, la vera partita dietro le quinte è la liquidazione definitiva dell’Italia come competitor strategico: Ciampi, Andreatta e De Mita, secondo Galloni, lavorano per cedere la sovranità nazionale pur di sottrarre potere alla classe politica più corrotta d’Europa. Col divorzio tra Bankitalia e Tesoro, per la prima volta il paese è in crisi finanziaria: prima, infatti, era la Banca d’Italia a fare da “prestatrice di ultima istanza” comprando titoli di Stato e, di fatto, emettendo moneta destinata all’investimento pubblico. Chiuso il rubinetto della lira, la situazione precipita: con l’impennarsi degli interessi (da pagare a quel punto ai nuovi “investitori” privati) il debito pubblico esploderà fino a superare il Pil. Non è un “problema”, ma esattamente l’obiettivo voluto: mettere in crisi lo Stato, disabilitando la sua funzione strategica di spesa pubblica a costo zero per i cittadini, a favore dell’industria e dell’occupazione. Degli investimenti pubblici da colpire, «la componente più importante era sicuramente quella riguardante le partecipazioni statali, l’energia e i trasporti, dove l’Italia stava primeggiando a livello mondiale».

Al piano anti-italiano partecipa anche la grande industria privata, a partire dalla Fiat, che di colpo smette di investire nella produzione e preferisce comprare titoli di Stato: da quando la Banca d’Italia non li acquista più, i tassi sono saliti e la finanza pubblica si trasforma in un ghiottissimo business privato. L’industria passa in secondo piano e – da lì in poi – dovrà costare il meno possibile. «In quegli anni la Confindustria era solo presa dall’idea di introdurre forme di flessibilizzazione sempre più forti, che poi avrebbero prodotto la precarizzazione». Aumentare i profitti: «Una visione poco profonda di quello che è lo sviluppo industriale». Risultato: «Perdita di valore delle imprese, perché le imprese acquistano valore se hanno prospettive di profitto». Dati che parlano da soli. E spiegano tutto: «Negli anni ’80 – racconta Galloni – feci una ricerca che dimostrava che i 50 gruppi più importanti pubblici e i 50 gruppi più importanti privati facevano la stessa politica, cioè investivano la metà dei loro profitti non in attività produttive ma nell’acquisto di titoli di Stato, per la semplice ragione che i titoli di Stato italiani rendevano tantissimo e quindi si guadagnava di più facendo investimenti finanziari invece che facendo investimenti produttivi. Questo è stato l’inizio della nostra deindustrializzazione».

Alla caduta del Muro, il potenziale italiano è già duramente compromesso dal sabotaggio della finanza pubblica, ma non tutto è perduto: il nostro paese – “promosso” nel club del G7 – era ancora in una posizione di dominio nel panorama manifatturiero internazionale. Eravamo ancora «qualcosa di grosso dal punto di vista industriale e manifatturiero», ricorda Galloni: «Bastavano alcuni interventi, bisognava riprendere degli investimenti pubblici». E invece, si corre nella direzione opposta: con le grandi privatizzazioni strategiche, negli anni ’90 «quasi scompare la nostra industria a partecipazione statale», il “motore” di sviluppo tanto temuto da tedeschi e francesi. Deindustrializzazione: «Significa che non si fanno più politiche industriali». Galloni cita Pierluigi Bersani: quando era ministro dell’industria «teorizzò che le strategie industriali non servivano». Si avvicinava la fine dell’Iri, gestita da Prodi in collaborazione col solito Andreatta e Giuliano Amato. Lo smembramento di un colosso mondiale: Finsider-Ilva, Finmeccanica, Fincantieri, Italstat, Stet e Telecom, Alfa Romeo, Alitalia, Sme (alimentare), nonché la BancaCommerciale Italiana, il Banco di Roma, il Credito Italiano.

Le banche, altro passaggio decisivo: con la fine del “Glass-Steagall Act” nasce la “banca universale”, cioè si consente alle banche di occuparsi di meno del credito all’economia reale, e le si autorizza a concentrarsi sulle attività finanziarie peculative. Denaro ricavato da denaro, con scommesse a rischio sulla perdita. E’ il preludio al disastro planetario di oggi. In confronto, dice Galloni, i debiti pubblici sono bruscolini: nel caso delle perdite delle banche stiamo parlando di tre-quattromila trilioni. Un trilione sono mille miliardi: «Grandezze stratosferiche», pari a 6 volte il Pil mondiale. «Sono cose spaventose». La frana è cominciata nel 2001, con il crollo della new-economy digitale e la fuga della finanza che l’aveva sostenuta, puntando sul boom dell’e-commerce. Per sostenere gli investitori, le banche allora si tuffano nel mercato-truffa dei derivati: raccolgono denaro per garantire i rendimenti, ma senza copertura per gli ultimi sottoscrittori della “catena di Sant’Antonio”, tenuti buoni con la storiella della “fiducia” nell’imminente “ripresa”, sempre data per certa, ogni tre mesi, da «centri studi, economisti, osservatori, studiosi e ricercatori, tutti sui loro libri paga».

Quindi, aggiunge Galloni, siamo andati avanti per anni con queste operazioni di derivazione e con l’emissione di altri titoli tossici. Finché nel 2007 si è scoperto che il sistema bancario era saltato: nessuna banca prestava liquidità all’altra, sapendo che l’altra faceva le stesse cose, cioè speculazioni in perdita. Per la prima volta, spiega Galloni, la massa dei valori persi dalle banche sui mercati finanziari superava la somma che l’economia reale – famiglie e imprese, più la stessa mafia – riusciva ad immettere nel sistema bancario. «Di qui la crisi di liquidità, che deriva da questo: le perdite superavano i depositi e i conti correnti». Come sappiamo, la falla è stata provvisoriamente tamponata dalla Fed, che dal 2008 al 2011 ha trasferito nelle banche – americane ed europee – qualcosa come 17.000 miliardi di dollari, cioè «più del Pil americano e più di tutto il debito pubblico americano».

Va nella stessa direzione – liquidità per le sole banche, non per gli Stati – il “quantitative easing” della Bce di Draghi, che ovviamente non risolve la crisi economica perché «chi è ai vertici delle banche, e lo abbiamo visto anche al Monte dei Paschi, guadagna sulle perdite». Il profitto non deriva dalle performance economiche, come sarebbe logico, ma dal numero delle operazioni finanziarie speculative: «Questa gente si porta a casa i 50, i 60 milioni di dollari e di euro, scompare nei paradisi fiscali e poi le banche possono andare a ramengo». Non falliscono solo perché poi le banche centrali, controllate dalle stesse banche-canaglia, le riforniscono di nuova liquidità. A monte: a soffrire è l’intero sistema-Italia, da quando – nel lontano 1981 – la finanzia pubblica è stata “disabilitata” col divorzio tra Tesoro e Bankitalia. Un percorso suicida, completato in modo disastroso dalla tragedia finale dell’ingresso nell’Eurozona, che toglie allo Stato la moneta ma anche il potere sovrano della spesa pubblica, attraverso dispositivi come il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio.

Per l’Europa “lacrime e sangue”, il risanamento dei conti pubblici viene prima dello sviluppo. «Questa strada si sa che è impossibile, perché tu non puoi fare il pareggio di bilancio o perseguire obiettivi ancora più ambiziosi se non c’è la ripresa». E in piena recessione, ridurre la spesa pubblica significa solo arrivare alla depressione irreversibile. Vie d’uscita? Archiviare subito gli specialisti del disastro – da Angela Merkel a Mario Monti – ribaltando la politica europea: bisogna tornare alla sovranità monetaria, dice Galloni, e cancellare il debito pubblico come problema. Basta puntare sulla ricchezza nazionale, che vale 10 volte il Pil. Non è vero che non riusciremmo a ripagarlo, il debito. Il problema è che il debito, semplicemente, non va ripagato: «L’importante è ridurre i tassi di interesse», che devono essere «più bassi dei tassi di crescita». A quel punto, il debito non è più un problema: «Questo è il modo sano di affrontare il tema del debito pubblico». A meno che, ovviamente, non si proceda come in Grecia, dove «per 300 miseri miliardi di euro» se ne sono persi 3.000 nelle Borse europee, gettando sul lastrico il popolo greco.

Domanda: «Questa gente si rende conto che agisce non solo contro la Grecia ma anche contro gli altri popoli e paesi europei? Chi comanda effettivamente in questaEuropa se ne rende conto?». Oppure, conclude Galloni, vogliono davvero «raggiungere una sorta di asservimento dei popoli, di perdita ulteriore di sovranità degli Stati» per obiettivi inconfessabili, come avvenuto in Italia: privatizzazioni a prezzi stracciati, depredazione del patrimonio nazionale, conquista di guadagni senza lavoro. Un piano criminale: il grande complotto dell’élite mondiale. «Bilderberg, Britannia, il Gruppo dei 30, dei 10, gli “Illuminati di Baviera”: sono tutte cose vere», ammette l’ex consulente di Andreotti. «Gente che si riunisce, come certi club massonici, e decide delle cose». Ma il problema vero è che «non trovano resistenza da parte degli Stati». L’obiettivo è sempre lo stesso: «Togliere di mezzo gli Stati nazionali allo scopo di poter aumentare il potere di tutto ciò che è sovranazionale, multinazionale e internazionale». Gli Stati sono stati indeboliti e poi addirittura infiltrati, con la penetrazione nei governi da parte dei super-lobbysti, dal Bilderberg agli “Illuminati”. «Negli Usa c’era la “Confraternita dei Teschi”, di cui facevano parte i Bush, padre e figlio, che sono diventati presidenti degli Stati Uniti: è chiaro che, dopo, questa gente risponde a questi gruppi che li hanno agevolati nella loro ascesa».

Non abbiamo amici. L’America avrebbe inutilmente cercato nell’Italia una sponda forte dopo la caduta del Muro, prima di dare via libera (con Clinton) allo strapotere di Wall Street. Dall’omicidio di Kennedy, secondo Galloni, gliUsa «sono sempre più risultati preda dei britannici», che hanno interesse «ad aumentare i conflitti, il disordine», mentre la componente “ambientalista”, più vicina alla Corona, punta «a una riduzione drastica della popolazione del pianeta» e quindi ostacola lo sviluppo, di cui l’Italia è stata una straordinaria protagonista. L’odiata Germania? Non diventerà mai leader, aggiunge Galloni, se non accetterà di importare più di quanto esporta. Unico futuro possibile: la Cina, ora che Pechino ha ribaltato il suo orizzonte, preferendo il mercato interno a quello dell’export. L’Italia potrebbe cedere ai cinesi interi settori della propria manifattura, puntando ad affermare il made in Italy d’eccellenza in quel mercato, 60 volte più grande. Armi strategiche potenziali: il settore della green economy e quello della trasformazione dei rifiuti, grazie a brevetti di peso mondiale come quelli detenuti da Ansaldo e Italgas.

Prima, però, bisogna mandare casa i sicari dell’Italia – da Monti alla Merkel – e rivoluzionare l’Europa, tornando alla necessaria sovranità monetaria. Senza dimenticare che le controriforme suicide di stampo neoliberista che hanno azzoppato il paese sono state subite in silenzio anche dalle organizzazioni sindacali. Meno moneta circolante e salari più bassi per contenere l’inflazione? Falso: gli Usa hanno appena creato trilioni di dollari dal nulla, senza generare spinte inflattive. Eppure, anche i sindacati sono stati attratti «in un’area di consenso per quelle riforme sbagliate che si sono fatte a partire dal 1981». Passo fondamentale, da attuare subito: una riforma della finanza, pubblica e privata, che torni a sostenere l’economia. Stop al dominio antidemocratico di Bruxelles, funzionale solo alle multinazionali globalizzate. Attenzione: la scelta della Cina di puntare sul mercato interno può essere l’inizio della fine della globalizzazione, che è «il sistema che premia il produttore peggiore, quello che paga di meno il lavoro, quello che fa lavorare i bambini, quello che non rispetta l’ambiente né la salute». E naturalmente, prima di tutto serve il ritorno in campo, immediato, della vittima numero uno: lo Stato democratico sovrano. Imperativo categorico: sovranità finanziaria per sostenere la spesa pubblica, senza la quale il paese muore. «A me interessa che ci siano spese in disavanzo – insiste Galloni – perché se c’è crisi, se c’è disoccupazione, puntare al pareggio di bilancio è un crimine».