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2013/07/14

Morire di Euro





Era meglio morire da piccoli che mangiare la pasta coi broccoli... ve la ricordate la filastrocca? Se la ricorderanno quelli più vecchi fra voi, quelli che erano bambini quando lo ero io.

Detto fra noi i broccoli sono fantastici, piacciono a tutti, era una questione di rime e in quel caso funzionava bene. Non funziona invece la pasta europea con l'euro.

Oggi di euro si muore. Questa filastrocca bisognerebbe musicarla, canticchiarla sul tram o in autobus, agli angoli delle strade, in ufficio o a casa, portarla nelle discoteche.

Stiamo morendo e il nostro veleno è l'euro. Non pensiate che stia esagerando, non esagero, nemmeno tanto, so quello che scrivo perché cari i miei lettori io ho la fortuna di guardare il mio Paese andare in malora standone fuori.

Che vedo? Vedo un'Italia sempre più malandata, messa male, pronta a fallire.

Oggi l'Italia si trova a un bivio: pagare il conto salato per una scelta azzardata o continuare una “non vita da zombie” nel segno di un'austerity senza fine. Non è una profezia. Non è neppure un'opinione. È questione di logica, di numeri ed è ciò che pretende l'Europa. Non credo nelle illusioni. Non ho mai pensato che l’Italia potesse farcela, potesse riguadagnare il terreno perduto in oltre dieci anni di permanenza nell’euro. Dal 2001 a oggi la nostra economia è andata sempre peggiorando, non siamo mai riusciti a riguadagnare terreno.

Del resto la storia italica dice che tutti i governi hanno sempre approfittato a man bassa delle risorse della nazione a scapito dei cittadini. Ha origini lontane questo comportamento, nasce tutto, o meglio si perfeziona e assurge all’onore delle cronache fin dal tempo dei romani. Poi si affina con il brigantaggio, esso, sin dalla sua genesi, aveva come causa di fondo la miseria. Oltre ad una mera forma di banditismo (soprattutto nel Medioevo), il fenomeno ha spesso assunto i connotati di una vera e propria rivolta popolare. Come può convivere il brigantaggio con l’altrettanto brigantaggio politico dei giorni nostri?

Le ragioni si identificano in tempi moderni, relativamente moderni. Inizia prima dell’unificazione italica. Il brigantaggio assunse già al tempo della dominazione spagnola e in seguito asburgica e francese, dimensioni significative, furono coinvolti vari strati sociali, anche con connessioni e complicità tra signori e briganti, sia in zone urbane che rurali. Il brigantaggio rappresentò col tempo una forza tale da vincere quella dello stesso Stato, incapace ancora di mediare tra i diversi ceti. Nonostante qualcuno scrisse che il brigantaggio non era che miseria, estrema e disperata augurandosi potesse terminare presto, non si accorse che invece quella forma di ladrocinio istituito, affermato, in qualche modo apprezzato dal popolo che vedeva nei briganti, gentiluomini, dei novelli Robin Hood pronti a rubare ai ricchi per donare ai poveri cresceva, si autoriproduceva, come una pianta virale inseriva i propri gangli ovunque, per il potere e non solo la sopravvivenza. Col tempo si iniziò a considerare il brigantaggio come il prodotto di un complesso sistema di vita, anche il politico soggiogato dal dominatore, rubava al dominatore per contrastare la fame, inizialmente quella vera, in seguito per accumulare ricchezze negate dal dominatore. Col tempo dalle ingiustizie si è passati alle rivolte di natura politica.

Ecco dunque che i moderni briganti sono i politici, arraffoni, che prendono quanto possono, come un cane che mangia non appena se ne presenta l’occasione, mangia fino a scoppiare perché oggi c’è e domani chissà. Così Il debito pubblico ha continuato a salire, aumentando il divario di sviluppo (sarebbe da dire involuzione, non ci siamo sviluppati, potremmo affermare che l’Italia ha perso terreno, credibilità, potere nel mondo. Vedasi il caso dei Marò in contrasto con l’India, un ex paese in via di sviluppo che è arrivato a dettar legge contro di noi, anche se tutte le evidenze sono contro di loro.

L’Italia non conta più nulla, ci confrontiamo con le realtà degli altri paesi europei, Germania e paesi Scandinavi in prima fila e in parte la Francia e ne usciamo perdenti, superati solo in questa caduta da Spagna e Grecia, Irlanda e Portogallo. Non ho mai creduto a chi scriveva che l'euro fosse una giusta mossa per l'Italia. La nostra è stata mancanza di lungimiranza, abbiamo guardato appena al di là del nostro naso, abbiamo scelto la casella sbagliata. 

Faremo la stessa fine di chi ha tentato in passato di partecipare a una moneta unica senza che ci fossero le condizioni politiche per essere un unico Paese. Bisognerebbe leggere la storia. Nel 1943 abbiamo perso una guerra, trattato con i vincitori, umiliati davanti a loro. La clausole di tale disfatta le stiamo onorando ancora adesso. Siamo cresciuti, il boom degli anni 60 è stato un miracolo che - Paganini non ripete - come il grande maestro non siamo stati capaci di replicare. Ogni occasione era buona per svalutare la Lira. Io ricordo il dollaro USA a 600 lire, un’enormità, incredibile. 

Da allora, dagli anni 60 il cambio Lira/US$ è continuamente aumentato a causa delle svalutazioni per favorire la nostra industria, leggi Fiat, ma tutti se ne sono avvantaggiati. Tutti gli industriali, i politici, i grandi investitori, i proprietari terrieri, gli imprenditori. Tutti con esclusione dei cittadini che hanno solo perso. Siamo in guerra ora, mi si dirà che una moneta non serve per dichiarare guerra. Forse si, tuttavia siamo in guerra e non ce ne siamo accorti. Siamo in guerra e le conseguenze economiche sono le stesse di una guerra cruenta.

Si potrebbe pensare di essere in un vicolo cieco, che ormai le opportunità sono terminate, che non ci sia più nulla da fare. Non è vero neppure questo, possiamo scegliere. Possiamo scegliere, come nazione, di uscire dall'euro. Possiamo scegliere un'altra moneta, magari tornando alla lira, oppure una moneta circolante, una di quelle con tassi di cambio a quattro zeri. Servirà affinchè le aziende italiane tornino a esportare, le nostre grandi industrie dovranno incrementare i turni lavoro, la produzione crescerà facendo precipitare la disoccupazione portando, finalmente, l'economia italiana in vita, resuscitarla, ossigenarla dallo stato comatoso in cui si trova.

Ora è praticamente morta. Non pensiate possa essere facile, ogni grande cambiamento nella storia di una nazione comporta dei sacrifici anche importanti. Non sarà facile per nulla. Perché c'è un prezzo da pagare. Farà male in particolare alle banche, che falliranno come imprese, senza che I correntisti possano rischiare di perdere i sudati risparmi. Non ci sono alternative, restare nell'euro, con un'economia da morti viventi non ci porterà mai fuori dalla crisi. Immaginiamoci questo scenario per i prossimi cinquanta, cento anni o per sempre. Uno scenario apocalittico, con una classe politica incapace di vedere oltre il proprio naso, incapace di cogliere le grandi difficoltà in cui si trovano i propri cittadini, incapaci di cogliere il momento giusto per riciclarsi, il tempo delle ruberie ormai si è esaurito, adesso il cittadino se ne rende conto, non è più disposto a perdonare, lo si capisce dai risultati delle ultime elezioni dove un partito nuovo, che non era nemmeno un partito è stato capace di guadagnare il quindici per cento dei voti, da zero a quindici è un successo, anche se non è sufficiente per governare. Significa che alla prossima tornata diventerà il trenta, forse il cinquanta per cento. Apocalittico forse, totalmente coerente con la situazione in cui versa il popolo italico, alla fame seppure attaccato con le unhie e con i denti ai privilegi di cui ha goduto fino a pochi mesi orsono, un ricordo del passato ormai.

L'Italia ha firmato un patto con l'Europa e l’Europa non ha apprezzato lo sforzo. Il primo dovere era portare il deficit annuale a zero. Una missione impossibile. Sono stati capaci solo di produrre tasse e tagli insopportabili. Anche se ogni italiano possa accettare di diventare sempre più povero e senza futuro non basterà. Per rientrare nel Club Europa l'Italia dovrà ridurre il debito pubblico di 50 miliardi l’equivalente di dieci IMU. Non ci riprenderemo più. E questo anche se i patti sono passibili di revisioni, di rilettura, di cambiamenti, ai tedeschi non converrà. Cambiare anche un solo parametro quivale a perdere di vista gli obiettivi che si sono posti. Piuttosto escono loro dall'euro e sappiamo benissimo che senza la Germania l’euro non è più l'euro, perderebbe tutto l’appeal, quel poco rimasto, degli investitori internazionali, arrivando a scomparire.

O noi o loro? Ogni nazione deve scegliere razionalmente la propria valuta. I politici hanno caricato di un enorme valore simbolico il fatto di essere membri di un circolo monetario. Ma la zona euro è costruita, su misura per i paesi del Nord Europa. Siamo come chi vive in Africa e vuole frequentare un club di Berlino. Il solo andare e venire ci manda in rovina.

All'Italia dunque conviene l'euro? Sono certo che non conviene, lo vediamo tutti i giorni, ce ne accorgiamo quando andiamo a fare la spesa, il pieno all’auto, il biglietto aereo. Siamo parte di un club dove i vantaggi sono pochi e il prezzo non solo è alto, ma rischia di cancellare il nostro futuro. Un individuo che pur di stare in un circolo esclusivo si rovina è un idiota. Stranamente questa regola sembra non valere per gli Stati, ma il concetto è lo stesso. L'economia italiana è così importante che sta creando guai in tutto il mondo. L'Europa e l'Italia in ginocchio per la crisi sono un problema per il Brasile, per la Cina, per gli Stati Uniti.

Non conviene a nessuno. Sta saltando un equilibrio. L'Italia morente è un problema geopolitico grave. Da quando l'Italia è in Eurolandia non cresce. È un fatto: scarso lavoro, zero aumento del reddito. Certo, gli italiani possono dire di essere parte dell'euro, ma non esportiamo più. Se i nostri politici aprissero gli occhi e si guardassero in giro potrebbero razionalmente scegliere, sono sicuro che cambierebbero subito valuta.

Purtoppo in questo non siamo soli, la Grecia e la Spagna prima di noi hanno avuto lo stesso malefico pensiero, adesso vediamo dove sono loro, falliti. Anche l’Italia si avvia al fallimento totale, S&P ha ridotto il Rating da BBB+ a BBB, un’inezia forse, ma significativa, segno che non è affatto vero che i nostri conti stanno migliorando, è vero il contrario e il baratro inizia a mostrare tutti i suoi angoscianti contorni.

Chi poteva è già fuggito, chi resta affonderà miseramente con buona pace di tutti.
Il governo non vede la situazione in cui siamo, si baloccano con sogni e ruberie, macchine dorate di un establishment morto e sepolto, come quell’orchestrina che suonava sul ponte del Titanic mentre la grande nave affondava.

Suonano anche loro, e ballano alla faccia dei poveri onesti cittadini. Quando non ci sarà più la nave Italia, assorbita dai nostri debiti allora rideremo, per ora possiamo solo piangere.

In tutto questo discorso ripenso a una notte di luglio 1992, quando con un decreto legge veniva deliberato il prelievo forzoso del 6‰ dai conti correnti bancari per un interesse di straordinario rilievo, in relazione a una situazione di drammatica emergenza della finanza pubblica. Un sistema oligarchico che non è stato capace di trovare soluzioni alternative, che trova normale prendere i soldi dai conti correnti degli italiani di notte, come fanno i ladri.

Era meglio morire da piccoli che morire di euro da grandi!

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