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2013/12/25

COLPO DI STATO


"C'era una volta un re viveva in una reggia che superava per sfarzo i palazzi dei reali d'Europa. Come un regnante nominava i suoi primi ministri, sempre però con il massimo rispetto delle istituzioni repubblicane, da lui perfettamente incarnate. La vita del presidente si era svolta da sempre nei palazzi del regno... oops della seconda Repubblica, sin dalla giovinezza. La sua presenza in quei luoghi datava ad anni lontani quando la maggior parte dei sudditi, pardon cittadini, non erano ancora nati e regnava su tutte le Russie un tiranno di nome Stalin che, per alcuni, era un sincero democratico".

Tutto ebbe inizio con i gruppi dei cosiddetti “Forconi” che organizzarono una serie di occupazioni e presidi in tutta Italia.
La protesta avvampò all’improvviso, anche se le avvisaglie di quello che stava per succedere erano state rese note da tempo dai media alternativi e da facebook stante l’imbarazzante silenzio dei media ufficiali primo fra tutti il gruppo Espressoooo seguito a ruota dal Corriere di una Sera di prima estate e poi da quelli del gruppo Media Seta, partendo da focolai sparsi lungo lo stivale, il 9 Dicembre del 2013. Cominciò dai piccoli centri industriali nel triangolo d’oro Afragola, Avellino, Napoli dove la fame, i fuochi velenosi e le cattive condizioni economiche durante la crisi economica del quinquennio 2008-2013 si erano fatte sentire maggiormente. Proseguì nelle fabbriche che chiudevano lasciando in mezzo alla strada gli operai. Infine divenne un incendio con un fronte che andava da Torino a Palermo passando per gli Appennini e la riviera Tirrenica, soffermandosi spesso e volentieri, direi indugiando e calcando la mano, a Roma, sede di tutti i vizi e obiettivo principale della rivolta mascherata da protesta civile. Nelle città in tumulto, agitatori professionisti e bombaroli provenienti dal nord e sud Italia si erano infiltrati nelle manifestazioni di piazza, aizzando i disoccupati e quei pochi lavoratori che ancora potevano contare su uno stipendio, misero, ma pur sempre uno stipendio, contro la casta dei politici ingordi e arraffoni. E le autorità? La Polizia ricevette l’ordine di sedare le proteste nelle città principali, nei centri d’importanza fondamentale per la protesta dei “Forconi” che rischiava di dilagare e sfociare in una sommossa popolare. Ma fu tutto inutile.
Infine i Forconi accerchiarono Roma e i palazzi del potere, Montecitorio, Palazzo Chigi e Palazzo Madama, e fu subito chiaro il disegno di chi aveva organizzato le proteste. Volevano riconquistare l'Italia e consegnarla agli italiani, cacciare i politici usurpatori, votati dagli italiani, gabbati da una legge elettorale porcella senza alcuna possibilità di scegliere i propri rappresentanti, che ormai di politico avevano forse solo il nome e nemmeno quello, sempre più in mano alle lobbies, veri centri del potere, che governavano quei partiti di sinistra come di destra o di centro ormai succubi della finanza e delle banche.
Tutti meno uno ma il popolo sapeva e poteva distinguere, non sarebbe stato un cieco massacro ma una intellegente pulizia operata con il bisturi virtuale contro i cialtroni e imbroglioni, corrotti e venduti. Per quel motivo c’era già chi scappava via, per non restare invischiato nella pulizia e prendersi la mannaia fra capo e collo. "Solo un lancinante dolore signori e poi il nulla".
E si profilò all'orizzonte il colpo di Stato, una presa di potere anomala, non già delle forze istituzionali anche se deviate, ma del popolo. Erano dunque i movimenti organizzati su facebook e internet che erano riusciti là dove gli italiani e le correnti di pensiero avevano fallito. Il parlamento sarebbe stato spazzato via, novella Bastiglia, dagli italiani delusi dai nuovi dominatori democraticamente eletti purtroppo. Il disegno fu chiaro quando si vollero evidenziare le tensioni vissute durante la la crisi economica dettata dalle dure leggi della Comunità Europea e dalla Germania, un attentato contro la democrazia messa in pericolo da chi non aveva a cuore le sorti di un popolo ma solo quelle delle banche.
Ormai anche l'esercito aveva dato segni inquietanti di malessere, tutto era iniziato durante una manifestazione nel corso della quale gli agenti antisommossa sodalizzarono con i cittadini, che protestavano contro le ingerenze europee e il danno della perdita della sovranita' nazionale e si tolsero il casco di protezione, segno che ormai anche loro erano per la liberta' del cittadino e non intendevano piu' sottostare alle pressioni del potere costituito in cambio di niente. Proseguirono con maggiore virulenza fino al gennaio del 2014 quando, a causa della legge di stabilita' votata sulla fiducia dal parlamento insolitamente gremito di deputati e senatori con il solo gruppo formato dagli eletti del Movimento 5 Stelle a fare battaglia e ostruzionismo per cessare quello scempio degi valori italiani, si dimise il Comandante dell'esercito prossimo alla pensione, Generale Aldo Vieri Pintaluga. Il Consiglio superiore dell'esercito dichiarò che prendeva atto delle dimissioni senza però condividerle. Nel febbraio del 2014 venne poi sgominata l'Operazione Malerba, un piano golpista organizzato proprio da Aldo Vieri, che per quello fu condannato a sette mesi di prigione.
Mentre cresceva la volontà golpista in alcuni settori dell'Esercito e dell'estrema destra, il governo avanzava verso una profonda crisi, che nei primi mesi del 2014 si rivelò sempre meno sostenibile. Tra i principali eventi di quell'inizio anno, ci furono le dimissioni di Angeletto Al Capone detto Fano dalla carica di ministro dell'Interno (15 gennaio), a cui fece seguito un mini rimpasto di governo, non voluto da nessuno, ma necessario, il 16 febbraio, la mozione di censura presentata contro il capo del governo dal M5S mentre già tutto precipitava, diede un'ulteriore scossa al sistema che nonostante tutto non si decideva a scollare il deretano dalle poltrone occupate indebitamente. I primi segnali di questa grande inquietudine si ebbero e furono evidenti, quando i ministri in carica nel governo inviarono le loro famiglie in paesi compiacenti utilizzando il Falcon 50 della presidenza del consiglio in un ultimo anelito di sfruttamento del popolo inde e fesso, piu' fesso che inde fino a quel momento, come amava dire il grande Toto'. Anche il presidente della Repubblica re Giorgio trasferi la moglie e il cane Popò alle Maldive dove poteva almeno godere di un clima caldo adatto agli acciacchi dell'età decidendo di restarsene poi in compagnia della consorte in attesa degli eventi.
Ma le dimissioni da vicepresidente del governo Angeletto Al Capone detto Fano (22 gennaio) furono quelle che produssero un nuovo rimpasto. Rimpasto inutile visto che l'elezione nello stesso mese di Michelino Alfa Romeo, candidato alternativo a quello proposto ufficialmente dal gruppo parlamentare del M5S, non piacque a nessuno tanto da provocare le ire dei deputati pentastellati che non capivano i motivi per cui nonostante la nave Italia stava affondando miseramente, i politici della ormai trapassata seconda repubblica (o forse terza? ho perso il conto) continuavano a suonare l'orchestrina dello sfruttamento e dei clientelismi, a bordo. Capirono quindi tutti fosse necessaria un'ulteriore scossa per far finalmente crollare il palazzo.
Le tensioni raggiunsero il culmine quando il 28 gennaio si diede notizia della morte a Milano di Alberico Fico della Morra, vittima delle torture inflitte dai servizi segreti deviati che erano stati rideviati dal governo per cercare di ribaltare la situazione ormai esplosiva. Quel giorno si arrivò a una sommossa generale in Lombardia e a un aspro dibattito tra i gruppi parlamentari a Montecitorio. Il governo come ultima chance destituì vari dirigenti di polizia, carabinieri, guardia di finanza, guardie carcerarie, guardie forestali, capitaneria di porto e vigili urbani nel tentativo di riportare la serenità al popolo sempre più oppresso da uno Stato di Polizia, mentre nel ministero dell'Interno ormai vacante stante le dimissioni del ministro e dei suoi undici viceministri e i venticinque sottosegretari che ben si guardavano da ricoprire quello scranno esposto alla collera del popolo ormai quasi, molto vicino a ridiventare, sovrano. Il risultato fu che si produssero dimissioni a catena in solidarietà al popolo e il Presidente di un Consiglio ormai ridotto a uno sparuto gruppo di ministri con ben altre esigenze che tutelare la nazione, presentava l'azione del governo come una gestione debole cui era necessario dare un taglio. E infatti un taglio ci fu.
In tale clima infuocato, il 2 febbraio il senatore Prodo detto Mortadella, resuscitato da chissà quale ospizio, presentò il suo governo. Il 4 non ottenne la fiducia del Parlamento. Fu fissata per il 5 una nuova votazione. Proprio quel giorno fu scelto dai golpisti per il loro tentativo, nel quale sarebbero confluite le diverse volontà di un golpe duro promosso dai Forconi e dal capitano generale autoeletto Antonio Milano da Recanati. Il tentativo del 5 febbraio 2014 raggruppò e coordinò tutte le diverse trame golpiste che covavano sin dall'inizio della molto poco democratica seconda repubblica.
Alle diciotto in punto cominciò la votazione nominale per l'investitura del nuovo capo del governo autoeletto ma il popolo aveva oramai deciso diversamente. Mentre cercavano una serie di compromessi, fuori l’urlo della folla agghiacciava i volti dei poco onorevoli deputati che guardavano con troppa frequenza al tetto nella speranza che un elicotero o una astronave aliena avesse potuto risucchiarli e trasportarli in luogo sicuro. Poco dopo le sei e mezza, quando stava per esprimere il proprio voto il deputato pentastellato Alessandro Trappista, fece irruzione nell'emiciclo della Camera dei deputati un gruppo di decine di militari della polizia di frontiera, mitra alla mano, comandato dal tenente colonnello Antonio Bettoia, che dalla tribuna ordinò che tutti stessero calmi e aspettassero l'arrivo dell'autorità competente, lasciando intendere che si trattasse di un militare, che però non giunse mai.
Il Presidente del Consiglio vistosi circondato decise quindi di denunciare pubblicamente il colpo di stato facendosi riprendere dalle telecamere della RAI per lanciare un drammatico messaggio televisivo alla nazione (e magari anche un grido di aiuto a chi poteva ascoltarlo), subito dopo la quale gli eventi che avevano già preso un curva pericolosa, sfondarono il guard rail e precipitarono rovinosamente al suolo. Il giorno dopo il Collettivo "Mandiamoli fuori dai Coglioni" organizzò una manifestazione a Roma che si tenne davanti a Palazzo Madama con le forze di Polizia rimaste fedeli alla casta a contendere la scena ai dimostranti.
Troppa gente ormai confluva sulla piazza, tutti furono concordi che sarebbe stato meglio trasferirsi in Piazza Venezia dove dal famoso balcone avrebbero potuto arringare la folla e sperare di vincere come un illustre predecessore. Inoltre arguirono i soliti malpensanti, piazza Venezia avrebbe contenuto molta più folla di quanta ne potesse contenere la piazza antistante il Parlamento. Invece i tempi non erano favorevoli, la massa umana premeva all’ingresso, spingeva, schiacciava fino a quando le porte del potere crollarono fragorosamente e con esse anche la garritta delle guardie, quella del portinaio e della sua concubina, insomma un disastro mai visto a memoria d’uomo. Dal proprio rifugio alle Maldive re Giorgio proclamatosi autonomamente re per scampare a una triste fine, redarguì telefonicamente le masse, mentre in sottofondo si sentivano le note de "il mareeee è la voce del mio cuoreeee..." di Nilla Pizzi, implorando il popolo di tornare nei ranghi, il vaffanculo che sorse spontaneo fu così potente che probabilmente l'eco arrivò alle orecchie del re fantoccio Giorgio primo e ultimo, anzi secondo per via della rielezione ma sempre ultimo nel cuore della gente. Il popolo che rimpiangeva quando credeva i stare peggio, a sorpresa anche il nano di Arcore e addirittura Benito Mussoletto.
Intanto la fiumana di gente ruppe gli argini, e non solo quelli, fluendo nella camera assiepata di deputati pidioti senza elle e pidioti con la elle. Tremanti brandivano sedie, quelle lasciate vuote da chi ha trovato l’ultimo barlume di coraggio e i microfoni divelti dagli scranni come di spade per difendersi. I deputati accolsero i golpisti tra fischi e urla, pianti e disperazione, suppliche ma tutto fu vano. Li appesero a testa in su, per i piedi, anche per le zinne e per le palle alle balaustre della galleria, tutti i trecentottantasette che furono trovati finirono appesi, compresa la presidente essa o fessa della camera, il sottosegretario agli interni, quello degli esterni, e la moltitudine di portaborse e leccaculo rimasti con la speranza di trovare un posto aereo verso la salvezza. Li passarono tutti per le armi, appesi per le palle alle balaustre mentre quelli che non erano deputati ma servivano a caro prezzo la politica deviata furono barbaramente evirati e inchiodati agli scranni. E la stessa scena fu ripetuta negli altri palazzi del potere a Roma come a Milano, a Verona e Vicenza e Bari e Napoli e ovunque ci fossero politici corrotti da rimuovere per sanare lo Stato ormai alla deriva.
Ci fu persino un pazzo che risiedeva in Belgio che sparò a bruciapelo al Franceschinitti ivi riparato che passava per caso da un ministero, e un altro a Francoforte che trapassò con una freccia di balestra il Marietto Dragoni per vilipendio alla costituzione e costituzione di lesa maestà del paese Italia ormai in mano al popolo sovrano, finalmente sovrano. Mentre un gruppuscolo di assatanati rincorreva per le strade di Berlino la culona Marketten per farla passare per le armi, sfoderate a tempo debito e pronte a penetrare la carne molle.
In quel clima di terrore si deve pensare che anche il Papa si schierò dalla parte dei lealisti abbracciando uno a uno tutti i leader pentastellati, per quel successo insperato voluto dal popolo. Ma per le strade ancora si moriva. Camminando per le vie del centro a Milano, come a Roma o Venezia si assisteva a impiccagioni con processo fittizio, inesistente e farlocco ma con condanne esemplari e immediate anche quando il politico implorava d’avere moglie, suoceri, zii, nipoti, cognati e cognate, cugini e cugine e amanti a carico e sessantadue figli da sfamare.
La folla sottomessa da troppo tempo non ebbe pietà finché sul campo rimasero solo le vittime di quella ferocia popolare e l’impresa delle pulizie coadiuvata dagli operatori ecologici ancora a stipendio che ripulirono i resti sanguinolenti, i portafogli e anche le borse.
Il primo Aprile l’Italia era finalmente libera e poteva rinascere come un fiore primaverile dalle proprie ceneri.
Il popolo era ritornato sovrano e finalmente tornare a vivere tutti felici e contenti.

2013/12/23

AUGURI


Auguri a tutti Voi, lettori, che mi avete seguito in questi lunghi anni per me molto tormentati e che tante volte mi avete lodato o criticato ma avete sempre espresso il vostro pensiero spero in modo genuino, schietto, senza fronzoli. Mi auguro  davvero che sia sempre stato così perché con quei vostri commenti mi avete trasmesso esperienze e pareri sempre importanti.

Auguri al Mondo che quest’anno ha trovato in Papa Francesco una voce nuova, gioiosa e fresca, ma che continua a distruggersi senza criterio e senza giustizia, troppe volte vittima di incongruenze inaudite e violenze inaccettabili.

Auguri all’Europa che annaspa vittima di contraddizioni e che rischia di implodere perché ha perso per strada i propri valori, l'anelito di vita che ha portato alla creazione, diventando più un club di banchieri che una comunità di cittadini perdendo così la capacità di “esportare” nel mondo non tanto  prodotti ma soprattutto idee e cultura.

Auguri all’Italia che è pesantemente in crisi, spaccata e delusa, senza riferimenti e con poche speranze. Deve e dobbiamo trovare il coraggio di non arrenderci, ma anche capacità di riscoprire tra noi maggiore solidarietà o nella solitudine del “ciascuno per sé” rischiamo di dimenticare quanto valga lo spirito di una Nazione che pur nei secoli ha attraversato momenti molto più duri.

Auguri ai giovani e agli anziani e soprattutto a quelli che faticosamente cercano di crescere, non cercano scorciatoie, vogliono che le utopie e le speranze non siano spente prima ancora di nascere. Soprattutto ai giovani stiamo lasciando un mondo sempre più arido – in tutti i sensi – dove il valore delle cose rischia di nascondere quello dello spirito, dell’impegno solidale e anche gratuito. Cerchiamo di aiutarli perché trovino la loro strada e non si lascino vincere dalla rassegnazione o peggio dall’odio.

Auguri ai nostri due Marò bloccati a Nuova Delhi ormai da due anni, dopo che due governi imbelli si sono fatti e si stanno facendo prendere in giro, non siamo in grado di pretendere giustizia e quando – un anno fa! – i nostri due militari vennero in Italia li restituimmo all’India per “mantenere la parola data”.
Devono averci preso per cretini visto che dopo un anno ancora non è stato fatto loro neppure un processo (in questo anche l'India sembra essere molto simile all'Italia). Figure di merda che fanno dell’Italia un pupazzo  a livello mondiale.

Auguri al M5S e a Alessandro Di Battista per la battaglia che sta portando avanti in seno al Parlamento per liberarci da quella casta di politici corrotti e ormai senza controllo. A riveder le stelle anche se sarà dura, anche se non si arrenderanno presto, si attaccheranno con le unghie e con i denti, useranno i colpi bassi, la polizia, l'esercito e pure i servizi segreti, nasconderanno il baule dell'oro e argento all'estero, stanarli diventerà una caccia all'ultimo uomo e servirà tempo, tanto tempo. Ma non appena il palazzo scricchiolerà vedrete i topi fuggire come quando la nave affonda. Solo che in quel momento affonderà una nave di carta e di giochi politici mentre dalle ceneri sorgerà la vera Italia. Sogno quel momento, io ci sarò!

E gli auguri e un “grazie” vanno infine alle tante persone per bene che ho incontrato e mi scrivono tutti i giorni. Italiani come tanti che stringono i denti, non si arrendono, comunque non accettano di fare i furbi comportandosi bene. Meritano rispetto e affetto perché è grazie a loro e ai loro sacrifici se la macchina-Italia, pur in difficoltà, non è ancora del tutto deragliata.



Buon Natale, ci sentiremo presto, il prossimo anno.

2013/12/22

La storia di Natale....

Tutte le storie che si rispettano iniziano con “C’era una volta…”
Non deludo i lettori affezionatissimi pronti a seguirmi in questo viaggio di speranza e inizio questa storia di Natale con un bel “C’era una volta”. Che poi non c’era, cioè, potremmo dire che c’è ancora, esiste, è vivo e quindi è ancora vivo nella nostra mente, il nostro quotidiano anche se, forse, la sensazione che esista si perde nel tempo.

C’era una volta da qualche parte in cielo, lontano lontano nel tempo, un gran trambusto. Due angeli stavano chiacchierando e uno diceva all’altro: “Sai già che cosa ha in mente il Re? Ci vuole lasciare.“
“Cosa? Ci vuole lasciare?“ chiese l’altro sorpreso. “Sì“, gli rispose il primo angelo, non ricordo il suo nome, potremmo anche chiamarlo Cherubino. “Ci vuole lasciare per andare dagli uomini, sulla terra, e per giunta da solo!”
“Che ci va a fare laggiù? Guarda che cosa succede sulla terra: gli uomini si fanno solo del male, tutto il giorno“, osservò il secondo angelo. “Proprio per questo motivo ci vuole andare” replicò Cherubino. “Non vedi quanta sofferenza e quanti litigi ci sono sulla terra? Gli uomini hanno fame d’amore! Il Re non vuole più starsene a guardare, ha deciso di intervenire.”
“Hai ragione, Cherubino. È giunto il momento che il nostro Signore faccia finalmente piazza pulita laggiù! Il Re è stato fin troppo tempo a guardare!” Cherubino lo corresse con cautela: “No. Il piano del Padre è un altro. Vuole che Suo Figlio prenda spoglie umane, vada nel mondo proprio come un nuovo nato la giovane luce per cambiare il mondo, il nuovo che avanza, per essere in tutto uguale agli uomini.”
“Ma che storie vai raccontando? Quando mai il Padre manda sulla terra un bambino? Non ci credo! Un piano del genere metterebbe a repentaglio la vita del figlio! Lo sai come sono gli uomini, farebbero senz’altro del male al Re, lo respingerebbero e forse arriverebbero persino a ucciderlo.”

“Tu sai che il nostro Signore ama gli uomini e li ha creati a propria immagine e somiglianza”, obiettò Cherubino e aggiunse: “Possono decidere liberamente se accettare o rifiutare il suo amore. Perciò manda il figlio prediletto, per aiutarli ad accettare Dio; egli desidera manifestare loro il carattere e l’amore di suo padre, è disposto a rischiare persino la morte.”

“Ma che senso ha?“, domandò allora il secondo angelo anche un po’ deluso. “A loro non importa nulla né di lui né del padre. Non interessa affatto. Sono troppo impegnati a fare la guerra fra di loro, a uccidere, essere uccisi, violentare le donne e seviziare i bambini, come puoi pensare che possa interessare a quei barbari la venuta del nostro Re sotto le spoglie di un bambino, come potranno pensare che lui li salverà? Vieni, ti faccio vedere una cosa. Guarda che cosa faranno un giorno: istituiranno una festa, che chiameranno Natale. In realtà si tratta solo di soldi e di regali e i commercianti l’hanno capito. Guarda, sperano di guadagnare tre miliardi di euro entro la viglia di Natale, ma rifiutano completamente sia il Re che la Sua Parola!“

All’improvviso il Figlio di Dio in persona prese la parola e disse: “Voglio far loro il regalo più prezioso di tutti. Voglio ridar loro ciò che hanno perso a causa dei loro peccati. Voglio donare la possibilità di recuperare il rapporto con mio Padre che hanno perso.” Allora il secondo angelo, disperato, esclamò: “Ma perché? Non hai un’altra  alternativa? Tu sei l’Onnipotente!” 
“Non esiste un’altra alternativa. Questa è l’unica possibilità” spiegò il Re pazientemente. “Comunque non preoccuparti. Dopo tre giorni risusciterò e poi tornerò dal Padre. In questo modo chiunque crederà in Me potrà venire al Padre.”
“Allora ti uccideranno!” E, detto questo, l’angelo si mise a piangere. In cielo si era fatto un gran silenzio. L’angelo prese di nuovo la parola: “E se non credono in Te e rifiutano di seguirti, che ne sarà di loro? Allora sarà stato tutto inutile.”
Piano, con la voce piena di tristezza, il Re rispose: “Se si lasciano sfuggire questa opportunità e preferiscono fare ciò che vogliono, continuando a peccare, allora neppure io posso aiutarli e dovranno restare per tutta l’eternità senza Dio. Ma io salverò coloro che confideranno in Me e decideranno deliberatamente di vivere con Me. Venite, andiamo, è già tardi e mi devo preparare ad affrontare questo viaggio.”

Come andò a finire ogni cristiano lo sa, e forse confida nella fede per affrontare questo Natale.
Leggo la delusione nei vostri occhi, non credete sia questa la storia che volevo raccontarvi? 
Forse avete ragione ma….

A Natale una storia vale l’altra, potrei raccontarvi di quella volta che nella calma ovattata della foresta la neve scendeva copiosa e rendeva ancora più silenzioso il silenzio. Nella baita, la calda luce del camino, disegnava sul muro strane forme e nel lettino, sotto una calda coperta, un bimbo ascoltava la favola di Natale che il nonno gli stava raccontando:
“Vedi, devi sapere che le stelle non sono nate senza un motivo. Tantissimi anni fa, in una notte come questa, un bambino più o meno della tua età, guardava fuori dalla finestra. Era una notte buia e silenziosa e il cielo era nero e scuro, non c’era neanche la luna, perché non esisteva. Quel bambino si sentiva solo, ma tanto solo, così solo che espresse un desiderio con una tale forza che si alzò un forte vento e tantissimi dei fiocchi di neve che scendevano, come in questo momento, volarono nel cielo, riempendolo di puntini bianchi e la luna comparve per la prima volta nella sua storia per proteggerli. Da quel momento tutti gli uomini guardarono le stelle quando volevano esprimere un desiderio. Tornando a quel bambino, pochi minuti dopo la comparsa delle stelle, sentì grattare alla sua porta, la aprì e vide davanti all’uscio una cesta e nella cesta, un cagnolino infreddolito che lo fissava con i suoi occhioni. Da quel momento quel bambino non si sentì mai più solo, neanche per un istante”.
Il nonno fissò il nipote per vedere se si era addormentato, il bambino invece era attento e lo fissava a sua volta. Distolse lo sguardo e lo rivolse alla finestra. La neve scendeva sempre più fitta. 
“Anch’io nonno ho il mio desiderio. Vorrei che ogni anno della mia vita, in questa notte, tu mi racconti una fiaba!”. Il nonno sorrise intenerito e una lacrima spuntò nei suoi occhi.
E gli anni passarono veloci, come i fiocchi di neve quando lasciano il cielo e cadono a terra, quel bimbo era oramai un adulto, in piedi davanti alla finestra del suo appartamento guardava la neve cadere al suolo dolcemente, come una carezza. Era la notte di Natale.
I figli alle sue spalle, stavano aprendo i pacchi con una gran foga. Lui fissava tra i fiocchi di neve e il suo pensiero vagava nella folla dei ricordi, quando lo sguardo cadde sulla strada, dove alla luce bianca di un lampione un vecchio mendicante stava controllando nella spazzatura: forse sarebbe riuscito a trovare la sua cena?! Come se sentisse lo sguardo dell’uomo addosso, si voltò verso di lui e sorrise, lui ricambiò il sorriso, senza rendersi conto del perché. In quell’istante si sentì tirare la stoffa dei pantaloni:
“Papà, papà guarda che bello il mio garage nuovo!”.
Accarezzò la testa del figlio e ritornò con lo sguardo alla strada ma anche se erano passati solo pochi secondi, il mendicante era scomparso…. fu in quell’istante che la favola più bella che aveva mai sentito comparve nella sua mente. 


Quest’anno assieme ai miei auguri di Natale, aggiungo un mio augurio personale per chiunque passi da questo mio blog: donate due euro, a voi non costa nulla, per noi significa vivere e se poi volete regalate alle nuove generazioni cibo per la mente e per il cuore, che incoraggi, coltivi, sviluppi sentimenti ed empatia verso gli altri, che siano uomini o animali, che dia valore al ciclo della vita in tutte le sue forme, che restituisca il giusto fascino alla natura da cui tutti proveniamo, ma dalla quale ci stiamo drasticamente allontanando… regalate alle nuove generazioni una stella, che possa illuminare una strada per l’umanità nel rispetto del pianeta e di tutte le creature che la abitano.

Buon Natale, Buon Natale a tutti quanti.

2013/12/15

L'Italia si salva solo se lascia l'Euro


Li ha riuniti nella tana del lupo, il megacomplesso dell’Europarlamento a Bruxelles, l’eurodeputato Magdi Cristiano Allam, leader del movimento "Io amo l’Italia". Due insegnano all’università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara: Alberto Bagnai politica economica e Antonio Maria Rinaldi finanza aziendale. Il terzo, Claudio Borghi, è docente di mercati finanziari alla Cattolica di Milano. Ecco una sintesi di quanto hanno detto.

LA BUFALA DELL’INFLAZIONE

«Non è affatto vero che se l’Italia uscisse dall’euro e svalutasse del 20-30% ci sarebbe un’inflazione dello stesso livello», sostiene Bagnai. «Recentemente la Polonia ha svalutato lo zloty più del 20% e l’inflazione si è ridotta. E anche nel 1992, quando lo ha fatto l’Italia, l’inflazione è diminuita. Oltretutto all’epoca l’inflazione globale viaggiava al 4-5%, mentre oggi ci troviamo in uno scenario di deflazione e quindi l’impatto sarebbe ancora minore». «L’inflazione viene dipinta come il male assoluto», osserva Borghi, «ma non è affatto così. Negli anni 80 in Italia l’inflazione viaggiava a due cifre, ma il clima economico era nettamente migliore. Oggi invece abbiamo il deflazionato disoccupato».

NESSUNA DIFFERENZA PER I RISPARMIATORI

Ma i piccoli risparmiatori che hanno investito in Bot e altri titoli di Stato italiani non rischierebbero di trovarsi con un pugno di mosche? «Nessun problema, il debito pubblico verrebbe convertito nella nuova moneta. La stessa che utilizzerebbero i risparmiatori per la fare la spesa. Quindi per loro non cambierebbe niente», rispondono all’unisono Borghi e Bagnai.

IL PROBLEMA DELLA CRESCITA

Però l’Italia è un Paese di vecchi e i pensionati hanno paura del salto nel buio. «Adesso vengono anche loro torchiati dal fisco per poter rispettare i diktat europei», osserva Borghi, «e devono capire che le loro pensioni vengono pagate da chi lavora. Se tutti sono disoccupati chi le pagherà? Anche a loro conviene preoccuparsi soprattutto di ripristinare le condizioni per la crescita». Crescita economica che finché si resta nell’euro è una chimera. «Impossibile raggiungerla dovendo rispettare il Fiscal Compact», spiega Rinaldi, «che dal 1° gennaio 2015 obbligherà tutti i 25 Paesi firmatari e ratificatori del Trattato al pareggio di bilancio e alla riduzione sistematica del 5% annuo dell’eccedenza del 60% del rapporto debito pubblico/pil. Per l’Italia questo significherebbe trovare ogni anno risorse aggiuntive per 98 miliardi di euro. Una somma pari a più di quattro volte il gettito Imu complessivo».

LA GABBIA EUROPEA

Rinaldi tiene poi a sottolineare l’assurdità dell’attuale costruzione europea: «Il Trattato di Maastricht è stato firmato il 7 febbraio 1992 e da allora non hanno ancora uniformato le aliquote Iva. Ma che mercato comune è?». Che fare, allora? «Bisogna chiedere subito la moratoria del Fiscal Compact, altrimenti è la fine. Siamo ingabbiati in un meccanismo in cui è l’economia reale a doversi adeguare all’euro e non viceversa». L’alternativa è l’uscita dall’euro, che dovrebbe essere concordata per attutire al massimo gli impatti negativi. Ma è possibile? «Credo che sarà la Germania la prima a uscire», sostiene Borghi. «Ormai ha raccolto tutto quello che poteva da questo stato di cose. E quando si tratterà di dover dare nuovi finanziamenti alla Grecia o a qualche altro Stato, a Berlino decideranno di mettere la parola fine».

Articolo di Marcello Bussi uscito sull’ultimo numero del settimanale Milano Finanza

Siamo alla frutta?



Siamo alla frutta? 

Dovrei dire: il finanziamento pubblico dei partiti questo sconosciuto e invece dico che, anche in questo caso, la soluzione proposta non risolve il problema perché se non cambiano le condizioni i partiti avranno sempre la necessità di essere finanziati per sopravvivere.
Andiamo con ordine partendo dalla fine di questa storia infame.
Il finanziamento pubblico può essere annullato completamente, si deve, è possibile anche perché gli eletti percepiscono uno stipendio anche abbondante che permette loro di vivere più che dignitosamente e anche li ci sarebbe molto da dire ma ne parleremo in seguito.  Torniamo al finanziamento pubblico dei partiti.

Perché finanziamento?

Innanzitutto ci sono le spese dei partiti, pantagrueliche macchine politiche che ingurgitano quattrini non sempre utili alla politica, no, non sto pensando ai vari individui che nel corso degli anni recenti sono stati sorpresi con le mani in pasta, pasta d'oro naturalmente, no, parlo di segretarie, fattorini, impiegati, usceri, autisti, contabili, amministratori, managers dediti alla politica solo di facciata, di fatto dipendenti di quei partiti dove lavorano come molti altri italiani (quasi tutti) e non dedicano nemmeno un minuto alla politica se non per proprio tornaconto inteso come stipendio alla fine del mese. Questa pletora di individui costano ai partiti diversi milioni ogni anno. Solo il PD dispone (mi dicono) di 212 dipendenti nella sede romana di via delle Fratte. Pochi? Troppi!

Il M5S dispone di zero dipendenti e zero impiegati e mi sembra anche zero autisti al proprio servizio diretto, avvalendosi per tutte le necessità di partito dei propri eletti o fiancheggiatori anche se non eletti. 

Tutto questo ha un costo, anche notevole. Il vecchio PDL (di Forza Italia non ho i numeri) contava oltre 400 dipendenti in diverse sedi distaccate compresa quella di via dell'Umiltà (un centinaio), sedi, non fan club ecc. Tutta questa gente andava pagata, alla fine del mese era lo Stato che finanziava attraverso il finanziamento pubblico i partiti che spendevano anche troppo. Mi si dirà che le elezioni hanno un costo, che le campagne elettorali vanno organizzate con grandi mezzi e i fornitori pagati...

Grandi bugie (volevo scrivere balle ma non mi è sembrato pertinente). Ognuno si autofinanzia le campagne elettorali come può, non per questo lo Stato, e lo Stato siamo noi e non loro, deve essere costretto a pagare chi le fa.

Si immagini lo Stato Italiano come un'azienda, una qualsiasi, per comodità colloquiale paragoniamolo all'ENI e poi vi spiego il perché della scelta. L'ENI è un grande ente ormai privatizzato anche se non al 100%, che indice delle gare per realizzare dei progetti ovunque se ne presenti l'occasione. 

Se, poniamo, il Qatar decide di realizzare una raffineria ecco che l'ENI, attraverso una delle aziende che fanno parte della scuderia, richiede di partecipare alla sua costruzione. Facciamola breve altrimenti solo per spiegare come funziona devo scrivere un'enciclopedia. L'ENI quindi identifica i vari lavori da realizzare e propone un prezzo al cliente. Il cliente dello Stato Italiano siamo noi. Ma chi realizza i lavori? Non certo l'ENI, o meglio l'azienda facente parte dell'ENI. Per l’ENI saranno I vari fornitori e subappaltatori. Nel nostro caso sono i partiti. Il lavoro da realizzare solo le elezioni. Lo Stato indice una gara - le elezioni - le aziende partecipano ognuno pagando le proprie spese organizzative. 

Chi vince la commessa, governa e incassa i finanziamenti, chi non vince lecca le proprie ferite e va all'opposizione. Come poter quindi sopravvivere? Attraverso le donazioni che tuttavia in tempi di vacche magre diventano rare come i diamanti blu, l'unica via percorribile allora diventa alleggerire la struttura, autotassare i contendenti, gli eletti e anche chi eletto non è, ma partecipa al grande gioco della politica. Poi saranno loro stessi, gli eletti, che provvederanno al mantenimento volontario dell'organizzazione virtuale di cui fanno parte. Tutto il resto è solo spreco.

Lo spreco in Italia è sempre andato di moda, basterebbe soffermarsi alle migliaia di auto blu a disposizione di quattro, dicasi, quattro pirla che non sanno difendersi nemmeno da una mosca. Chi vorrebbe per esempio ammazzare la Finocchiaro? Eppure gira con scorta, John Lennon non aveva la scorta e l'hanno fatto fuori,  qualcuno potrebbe obiettare, certo, ha ragione. 

Mio cugino che contabilizza i guadagni di un grande imprenditore in odore di mafia potrebbe essere minacciato se ne contabilizza troppi? Si deve dotare di auto blindata e scorta armata? Ma per favore... David Cameron, primo ministro inglese, è facile incontrarlo nella subway (metropolitana) mentre si reca in Parlamento, a volte in piedi se non ci sono posti a sedere, e nessuno si scomoda dal cedergli il posto solo perché è primo ministro.

Se vogliamo veramente un cambiamento la soluzione è cambiare il sistema dei partiti. Il M5S ha tracciato la strada, abbiamo visto che è possibile, che strutture partitiche anche complesse possano vivere riducendo al minimo i costi, rinunciando a sedi faraoniche e uffici con lustrini e cristalli. Gli eletti sono tutti professionisti della politica e ben remunerati e in grado di permettersi l'eventuale portaborse o contabile per la dichiarazione dei redditi, tutto il resto è superfluo. 

La situazione attuale italiana.

Grazie al governo Monti, è stata approvata la legge 96/2012, con la quale si è deciso di ridurre i contributi pubblici a 91 milioni di euro per l’anno 2013. Una cifra, tutto sommato, accettabile. La vera questione, il succo di tutto il discorso, è la differenza di controllo sull’uso dei fondi elargiti. I vari scandali degli ultimi anni dimostrano quanto non esistano meccanismi di garanzia efficaci per vigilare sull’effettivo uso dei fondi, nonostante questo occorre dire come sia stato previsto, secondo la legge emanata dal governo tecnico, un controllo sul bilancio (Consob) e una relazione successiva ad un’apposita Commissione per la Trasparenza incaricata di vigilare sui conti dei Partiti. 

Basterà a cambiare la situazione?

Prima parlare di abolizione dei finanziamenti pubblici, occorrerebbe concentrarsi sulla regolazione delle garanzie che i partiti devono rispettare per poter usufruire degli stessi. L'inganno altrimenti colpirebbe duramente. Trasparenza del bilancio, un controllo assiduo degli enti di vigilanza, modifica di alcune pratiche non proprio consone. Due esempi eloquenti? I partiti aventi diritto ai fondi visti i risultati conseguiti nelle elezioni del 2006 andarono avanti a goderne sino al 2011, anche se la legislazione terminò nel 2008. Nelle elezioni successive alla caduta del governo Prodi, poi, dei 475 milioni ricevuti complessivamente, ne sono stati spesi solo 1/5. Singolare, visto che si sarebbe dovuto trattare di rimborsi elettorali.

Un’abolizione totale, allora, non è così consona come sembra. Innanzi ad un controllo rigido e a delle regole ben precise l’Europa – con l'eccezione del Regno Unito – ci dimosta quanto tale strumento sia fondamentale per le democrazie moderne. L’unico modo per percorrere la strada sostenuta da Grillo sarebbe emulare la legislazione statunitense e, in parte quella tedesca, nella quale ogni donazione privata viene resa pubblica per legge. In questo modo, i cittadini, potrebbero capire quali gruppi di interesse sostengano i partiti. Insomma, una garanzia minima per evitare che la politica divenga un gioco manovrato occultamente ed interamente dai grandi interessi. Tale trasparenza sarebbe comunque necessaria anche oggi. Ingenuo, infatti, chi pensa il finanziamento pubblico abbia impedito ai Partiti di ricevere donazioni, all’insaputa degli elettori, dai grandi poteri economici. Ancora più ingenuo chi crede, in un Paese in cui la parola lobby è ancora considerata sinonimo del demonio, i cittadini possano accettare in silenzio un sistema partitico sostenuto pubblicamente dai grandi gruppi di interesse.
Se non si attua questo cambiamento, signori miei, non cambierà nulla e per vincere ci resterà solamente la ghigliottina.

In alto i cuori, possiamo farcela, dobbiamo insistere e resistere.