Sappiamo tutti, spero, che va benissimo curare i sintomi di una malattia. Ma non bisogna assolutamente perdere di vista la causa della stessa. Assistiamo giornalmente al putiferio che si scatena intorno a qualunque commento e relativa critica all’operato e alle dichiarazioni di un componente del direttivo di un movimento e ai suoi richiami al rispetto dei princìpi. Le critiche e relative polemiche, non hanno una base logica.
Dove sta l’equivoco? Nel non aver messo in chiaro la causa, cioè la differenza tra movimento e partito. Il partito si colloca sul terreno della politica, cioè del potere, i movimenti invece su quello del raggiungimento di obiettivi parziali. I movimenti perseguono obiettivi parziali, per questo le persone che vi aderiscono sono più numerose di quelle che militano nei partiti. Un lavoratore può essere assolutamente favorevole a difendere il proprio salario con lo sciopero ma, per quanto contraddittorio ciò possa sembrare, può allo stesso tempo votare a destra. Vi sono molte persone che solidarizzano sinceramente con le popolazioni del Terzo Mondo e dunque si spendono a favore del consumo critico e contro il Fmi, ma, all’ora del voto, scelgono partiti moderati.
Ciò costituisce una contraddizione solo se si adotta il punto di vista del piano politico, cioè un punto di vista complessivo, che dà una spiegazione, non necessariamente corretta, di tutte le parzialità riconducendole ad una sola logica. Ma non è così dal punto di vista del movimento, che ha una visione parziale. Il movimento cioè risponde ad un bisogno di massima unità per il raggiungimento di un obiettivo specifico. Porre problemi di prospettiva politica viene percepito dalla massa degli attivisti di movimento come un attentato a questo sforzo, come un tentativo di divisione, e per questo è solitamente respinto come “strumentalizzazione”.
Aderire a un movimento, accettandone le impostazioni in quanto tale, risulta tanto riprovevole se il fondatore o chiunque al posto suo, richiami ai princìpi fondanti frenando deviazioni?
La conquista di un posto accanto ai detentori del potere politico, non può far deviare un movimento dalle sue originali impostazioni. Pertanto, reclamare interventi che assecondino accordi ai fini del conseguimento di potere, significa voler trasformare un movimento in partito, o quantomeno in fronte popolare.
Altra definizione che si pone tra le due configurazioni di movimento e partito e presuppone l’accordo tra partiti al fine di instaurare un governo ben preciso, in contrapposizione ad altri, esattamente come successo, con alterne fortune, in Europa, alla fine della seconda guerra mondiale. Gridare, quindi, alla mancanza di scelte precise su temi di politica e economia nazionale e internazionale, non ha alcun senso finché permane la scelta di definirsi movimento. Semmai, il dibattito interno a un movimento, dovrebbe essere incentrato, dopo un innegabile successo elettorale, sulla possibilità e fattibilità di un cambio di obiettivi e organizzazione.
Il tutto senza strombazzamenti e accuse di centrismo o totalitarismo verso uno o l’altro difensore del principio movimentista. Cosa che farebbe presupporre il non recepimento e la non comprensione degli obiettivi accettati al momento dell’adesione al movimento stesso, oltre alla non conoscenza della differenza tra partito e movimento.
Nello scenario italiano, il successo elettorale e la possibilità di un incremento della rappresentanza del Movimento “grillino” in Parlamento, quasi impone un cambiamento di rotta e di obiettivi. Ma trasformare un movimento in partito, presuppone una organizzazione e un cambiamento tale che, se da un lato potrebbe portare alla conquista di un potere politico determinante per le scelte di sviluppo dell’intera nazione, dall’altro certamente farebbe scemare il consenso da parte dei sostenitori che non si inquadrano in una ideologia ben precisa, ma hanno deciso di dare l’appoggio a chi si proponeva il raggiungimento di obiettivi parziali e ben definiti, più vicini al sentire comune. Tra l’altro vorrebbe anche dire uniformarsi a un modo di concepire la politica e la democrazia, secondo schemi e canoni che hanno dimostrato le incongruenze della democrazia di partito.
La “democrazia dal basso”, propagandata dai capi del movimento grillino, ha delle basi che presuppongono una presa di coscienza che rasenta, stante l’attuale realtà sociale italiana, l’utopia. Intanto sembra attecchito il seme dell’informazione. Adesso deve crescere diventando conoscenza e maturare diventando presa di coscienza. Tempi lunghi dunque. Inutile schieramenti pro o contro accordi o altro. Le scelte si fanno prima. Consapevolmente. Come le scelte durante.
fonte: il fatto quotidiano