Parafrasando una nota pubblicità verrebbe da dire “Toglietemi tutto ma non (toglietemi) la mia Pasqua.”
Ci hanno tolto la serenita', i risparmi, il futuro, la speranza.
La Pasqua no, quella e' tutta nostra.
È crisi, crisi feroce, da far paura. I dati delle ultime ore confermano quello che ormai tutti sapevano: gli italiani che andranno via per le feste pasquali saranno il 14.1% in meno dello scorso anno. Una flessione ampia, direi quasi enorme, inaspettata nelle dimensioni. Secondo gli addetti al settore alberghiero i dati previsionali di questa Pasqua sono l’ennesima conferma di come l’Italia stia purtroppo vivendo una crisi epocale, che rischia di far tornare l’economia turistica ai livelli post Seconda Guerra Mondiale. Siamo messi proprio male, malissimo.
Ringraziamo tutti sia Monti che la Merkel, curiosamente il cognome inizia con la emme, la stessa di m***a, ma si tratta giusto di una curiosità.
Per dilettarvi un po’, ecco le origini della Pasqua nella cultura nostra, caattolica, e in quella delle religioni a noi vicine. Forse non lo sapete ma anche quella araba, l’Eid Mubarak, ha origini che si perdono nella notte dei tempi che fanno risalire l’evento primoridale come condiviso da entrambe le religioni. Curioso vero?
Una volta la Pasqua era detta anche Pasqua dell’Uovo, poiché era tradizione festeggiare l’evento con uova sode colorate e benedette in chiesa. Altre uova realizzate in materiali diversi: smalto, ceramica, lapislazzuli, vetro o addirittura materiali preziosi, venivano regalate. L’usanza sopravvive anche oggi, sotto forma di torte farcite con uova sode e le uova di cioccolata.
La simbologia dell’uovo è semplice: in tutte le religioni ed in ogni tempo è sempre stato il simbolo della fecondità, della rinascita e della resurrezione.
Per un mito indiano, Colui che sussiste volle creare il cosmo dalla propria sostanza: fece prima le acque in cui depose un uovo splendente. Nell’uovo si formò Brahma che vi rimase per un anno. Poi il dio divise l’uovo in due parti creando il cielo e la terra, con nel mezzo le acque.
Anche gli ebrei avevano una festa che veniva celebrata all’inizio della primavera, secondo un calendario che era basato sulle fasi della luna. Era la festa di Pesah, al plenilunio del primo mese lunare dopo l’equinozio di primavera. Una festa che viene celebrata ancora oggi e che ricorda l’intervento di Dio liberatore nel passato e pone le basi per la salvezza futura.
La parola Pesah significa «saltare oltre», a memoria perenne della piaga per la quale l’Angelo del Signore uccise tutti i primi nati delle famiglie egiziane, dopo di che il faraone concesse agli Ebrei di lasciare per sempre l’Egitto.
Inizialmente questa ricorrenza era legata ai pastori che festeggiavano l’inizio della bella stagione la notte di plenilunio precedente la partenza verso i pascoli estivi, immolando i piccoli del gregge e spargendone il sangue su capanne, familiari ed animali per proteggerli dalle disgrazie e renderli fecondi. Poi si mangiava la carne e si eseguiva una danza rituale che comprendeva anche tutta una serie di salti, una sorta di «saltar oltre».
Allorché ci fu la strage dei primogeniti egiziani, si seguirono gli stessi dettami della festa, cospargendo gli stipiti delle case degli Ebrei con il sangue di agnelli o capretti appena nati, mangiando le loro carni abbigliati in maniera rituale e bruciando i resti all’indomani mattina. Era la partenza per la nuova Terra.
Collegata alla Pesah, era la settimana delle Mazzoth, o degli azzimi. Derivava da una festa in ricordo dell’arrivo degli Ebrei nella terra di Canaan, dopo la fuga dall’Egitto. Era l’inizio della mietitura con l’offerta del primo covone e la regola di cibarsi di pane non lievitato (quindi azzimo), a perenne ricordo della veloce partenza dall’Egitto e del viaggio, durante il quale non era stato possibile far lievitare il pane. Il tutto accompagnato da erbe amare per ricordare l’amarezza della schiavitù in Egitto.
Quella ebraica è la Pasqua della memoria, del ricordo infinito della bontà di Dio nel liberare dal terrore e dalla fame il popolo d’Israele: è il compendio e la ricapitolazione di tutta la storia della salvezza, degli interventi di Dio in favore del suo popolo, in un percorso che è una sorta di rinascita degli Ebrei.
L’analogia è evidente nella lettura dei Vangeli, ove Gesù viene detto Agnello di Dio. Quando Dio ordinò a Mosè di far cospargere le case degli Ebrei con il sangue di agnelli, precisò che le ossa degli agnelli non venissero rotte, ma fossero lasciate intatte. Allo stesso modo, quando Gesù venne crocefisso era venerdì e al sabato non si poteva far rimanere in croce i condannati: infatti, Gesù fu l’unico crocefisso, gli altri due erano solo legati. I giudei chiesero quindi a Pilato di poter spezzare le gambe dei crocefissi, cosicché potessero essere portati via. Pilato acconsentì e vennero spezzate le gambe dei due ladroni: ma quando venne la volta di Gesù, questi era già morto, e venne solo ferito nel costato. Come per gli agnelli degli Ebrei, anche all’Agnello di Dio non venne spezzato alcun osso.
Secondo la tradizione, fu durante la celebrazione della Pasqua che Gesù Cristo istituì il sacramento dell’Eucarestia: dal pane e dal vino il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Dio. Ma la differenza sostanziale fra la Pasqua ebraica e quella cristiana sta nel fatto che l’Agnello cristiano è risorto e di questo viene dato annuncio subito. E la Resurrezione di Cristo (che vuol dire l’Unto) è per i Cristiani l’evento nuovo e divino che offre agi uomini il dono della nuova Vita, veicolata dal battesimo. Infatti, in origine si battezzava una sola volta l’anno, nella notte di Pasqua, perché momento di morte e nascita a nuova vita in Cristo e con Cristo.
Inizialmente la Pasqua cristiana era celebrata ogni domenica, poi, in età apostolica, si giunse alla celebrazione annuale, ma vi fu disaccordo sulla data. Una corrente orientale celebrava la Pasqua secondo il calendario ebraico al 14 di Nisan o alla domenica successiva, mentre quella occidentale nella domenica successiva al primo plenilunio di primavera.
La questione fu a lungo dibattuta e si cercò per diversi anni di risolverla, ma fu solo con il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., che si stabilì di festeggiare la Pasqua nello stesso giorno per tutta la cristianità. Di stabilire di volta in volta la data fu incaricata la chiesa di Alessandria. Dal 525, per il computo di Dionigi il Piccolo, la Pasqua venne fissata fra il 22 marzo e il 25 aprile.
La Pasqua ortodossa non coincide con quella cattolica poiché la chiesa ortodossa non ha ancora accettato la riforma gregoriana del calendario, quindi, il più delle volte, cade successivamente.
Per un mito greco, la Notte, con le sembianze di un uccello, venne fecondata dal Vento. Depose un uovo d’argento, dal quale nacque Eros dalle ali d’oro, che portò con sé quel che vi era nascosto: il cosmo intero con le sue creature.
L’uovo è come un sepolcro da cui risorge la vita, è il Cristo stesso: una volta era usanza, il giovedì santo, deporre nelle cattedrali uova di struzzo, per toglierle poi il giorno di Pasqua, allorché la Vita era rinata. Ancora nel medioevo, i reliquiari contenevano uova.
Per secoli si sono benedette le uova il sabato di Pasqua e ancora i parroci benedicevano le uova quando benedicevano le case dei fedeli. Molto antica è anche la tradizione di regalare uova di materiali più o meno preziosi a seconda dell’estrazione del donatore (uova vere, d’oro o d’argento). Di poco successiva l’usanza di inserirvi una sorpresa all’interno.
In occidente l’usanza è andata scemando, al contrario dell’oriente dove, invece, viene associato alla scrittura: l’assimilazione si deve al fatto che la sera prima sul guscio vengono tracciati dei simboli, in un ambiente pervaso da canti e preghiere. Forse l’origine può essere collegata al risveglio della primavera e ad una successiva cristianizzazione del rito.
Un altro simbolo pasquale è la colomba, che può simboleggiare sia il Cristo sia lo Spirito Santo. Per alcuni è il Cristo che porta la pace agli uomini di buona volontà, per altri è lo Spirito Santo che scende sui fedeli grazie al sacrificio del Redentore. A complicare l’identificazione sono il brindellone e la colombina fiorentini: infatti, la colombina viene lanciata a far scoppiare i fuochi d’artificio posti sul brindellone e se i fuochi si accendono allora ci sarà un buon raccolto. La colomba è lo Spirito Santo che accende il fuoco divino suo fedeli? Oppure, è il Cristo che, risorto, porta fuoco e luce ai fedeli?
In linea generale, il suo carattere pacifico ne ha fatto l’espressione della mitezza e dell’amore: per la medicina antica, le colombe non avevano bile e la loro carne aveva un particolare effetto terapeutico, poiché si cibavano di piante medicinali quali il vilucchio e la verbena.
E’ l’uccello dell’anima del giusto, della sublimazione degli istinti e del predominio dello spirito, ed è anche il simbolo della virtù della moderazione, della semplicità: le ali rappresentano il distacco da ciò che è terreno, in rapporto con la Grazia dello Spirito Santo, indicando la partecipazione alla Natura Divina. In Asia occidentale la figura della colomba è legata alla dea della fertilità, Ishtar, passata ai greci e ai romani come Afrodite-Venere a cui era sacra la colomba, mentre nel mondo musulmano era sacra perché secondo la tradizione aveva protetto Maometto durante la fuga.
Simbolo della Pasqua è anche la campana. Il nome le deriva dal tardo latino campana (vasa), vaso di bronzo prodotto in Campania poiché, secondo la tradizione, il loro uso religioso si fa risalire a San Paolino vescovo di Nola all’inizio del quarto secolo d.C., e in Campania furono fuse le prime. Le prime campane di cui si ha traccia scritta si trovano nella Bibbia: Aronne, fratello di Mosè, sommo sacerdote, durante i riti indossava un mantello ornato di campanelle, più verosimilmente sonagli, d’oro il cui suono gli permetteva di entrare nel Santo dei Santi alla presenza del Signore e uscirne vivo. In Cina le campane erano presenti fin dal 1500 a.C., anche se diverse dalle nostre, non nella forma, ma per la mancanza del batacchio. Infatti, il suono era prodotto percuotendole con mazzuoli di legno.
La campana è identificata con il riflesso della vibrazione primordiale, simbolo dell’unione fra cielo e terra, le è riconosciuto il potere di purificare e di esorcizzare, può entrare in relazione con il mondo dei morti, chiama i fedeli alla preghiera e ricorda l’ubbidienza alle leggi divine più o meno con le stesse valenze in molte religioni. In alcune, come la cristiana e l’indiana, la campana simboleggia la “voce di Dio”, udendo la quale l’anima va al di là delle limitazioni della vita terrena. Come tale, la campana ha anche la facoltà di allontanare gli esseri soprannaturali maligni: sant’Antonio aveva una campana attaccata al bastone per scacciare i diavoli tentatori del deserto, san Patrizio ne portava sempre una con sé mentre evangelizzava l’Irlanda. Si racconta che fu sepolto con la sua campana e che questa, trecento anni dopo, suonando salvò il paese presso cui era la tomba, che stava per essere devastato da un furioso incendio.
Molte sono le credenze legate alle campane, nel Medioevo si pensava che avessero un’anima e che agissero autonomamente per annunciare qualcosa di gioioso o una disgrazia. Prima di collocarle erano benedette con una sorta di battesimo, avevano un padrino e una madrina ed erano dedicate a un santo. Tracce delle antiche credenze sono arrivate ai nostri giorni grazie alle iscrizioni sulle più antiche: “Fulgura frango, dissipo vento”, ricorda che al suono delle campane era attribuito il potere di prevedere i disastri e scongiurarli, oppure di propiziare il favore divino salvando il raccolto dalla siccità. Nel Meridione si credeva che la campana avrebbe avuto un suono più argentino con l’aggiunta del sangue di una vergine al metallo della fusione. Un detto popolare racconta che durante la Settimana Santa le campane non suonano perché “si recano in pellegrinaggio a Roma”.
La campana è considerata simbolo delle virtù femminili, la sua forma la ricollega alla volta del cielo e il batacchio rappresenta ciò che è sospeso tra cielo e terra. Insieme simboleggiano gli organi riproduttivi. Perciò anche le campane sono un simbolo di fertilità che ben si addice alla primavera.
Come colorare le uova per Pasqua (il contenuto, non il guscio, per quello vale ancora il vecchio metodo).
È un modo facile per avere uova colorate senza imbrattare di colore mani e tovaglie.
Le uova debbono essere a temperatura ambiente, foratele delicatamente su una delle due punte con uno spillo, per evitare che in cottura fuoriesca l’albume. Mettetele in una casseruola, copritele d’acqua fredda e portatele lentamente ad ebollizione. Cuocetele per 5 minuti, scolatele e con delicatezza incrinatene i gusci picchiettandole su di un piano. I gusci debbono essere rotti, ma non staccarsi.
Per colorarle:
bollite dell’acqua con un cucchiaio di te nero e un cucchiaio di salsa di soia, immergetevi le uova, che debbono esserne coperte, cuocetele per altri 3 minuti, spegnete, lasciatele raffreddare nel liquido, scolatele e sbucciatele poco prima di servire: avrete uova colorate in modo variegato, dall’aspetto di porcellana.
Potete usare acqua nella quale avete lessato qualche foglia di bieta per avere uova verdi.
Potete usare acqua nella quale avete bollito una barbabietola rossa per avere uova rosse.
Potete usare acqua nella quale avete sciolto dello zafferano per averle gialle.