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2014/01/30

La porcata della Banca d'Italia

Mercoledì 29 gennaio 2014 è stato approvato dalla Camera un provvedimento che comporta la rivalutazione del valore patrimoniale delle azioni Banca d’Italia. Il provvedimento, dal contenuto un po’ tecnico, non è però troppo difficile da comprendere nella sostanza. Lo diciamo subito con lo stile diretto che ci ha sempre caratterizzato e attirato tanti amici e tanti “amici”: il provvedimento  fatto approvare con urgenza alla Camera è una porcata. Fondamentalmente esso contiene una (legale) truffa contabile a favore dei bilanci di alcune banche del paese e dell'erario, oltre che un sostanziale trasferimento di risorse dai contribuenti alle banche.

Andiamo per ordine. Per ragioni storiche gli azionisti della Banca d'Italia sono alcuni istituti bancari italiani (più, per il 5,66%, INPS e INAIL). Banche centrali fondate da istituti bancari (pubblici come in Italia o privati come ad esempio negli Stati Uniti) sono storia comune a molti paesi sviluppati. Le quote oggi possedute da Intesa, Unicredit, eccetera sono eredità delle quote originarie delle banche fondatrici di Banca d’Italia.

Tuttavia, in Italia come altrove, le banche centrali  si sono nel corso della storia  emancipate, legalmente e funzionalmente, dagli istituti fondatori. La Banca d'Italia in particolare è un ente di diritto pubblico dal 1936, e tale è rimasta anche dopo la (cosiddetta) privatizzazione delle banche dei primi anni '90. In praticamente tutti i paesi le banche centrali hanno il monopolio della creazione della moneta, il che fornisce loro risorse reali denominate per motivi storici con il termine pittoresco "signoraggio". Francesco Lippi ha spiegato qui, poco tempo fa, come funzioni, quindi non ci dilunghiamo.

Fino ad oggi, il valore nominale delle quote societarie della Banca d’Italia è rimasto arbitrario, non essendo tali quote commerciabili. Per far sì che la maggior parte degli introiti da signoraggio restasse al Tesoro (com'è doveroso, dato che le banche centrali hanno il monopolio della produzione di moneta solo esse producono signoraggio) questo valore nominale è stato mantenuto a soli 156.000 euro e è stato posto un limite ai dividendi pagabili ai "soci" fondatori (non più di 4% delle riserve).  La politica di distribuzione dei dividendi è sempre stata, giustamente, molto prudenziale; e quindi alle banche, come dividendi, andavano pochi spiccioli. La lista degli azionisti e l'ammontare esatto delle quote si trova qui. Anche il controllo della governance della Banca d’Italia è di fatto e sostanzialmente lasciato a Tesoro e Parlamento: i “soci”, anche se partecipano formalmente a definire i soggetti che controllano e vigilano sulla gestione amministrativa della banca, non hanno voce in capitolo nella definizione delle funzioni istituzionali della Banca. 

Insomma, i “soci” fondatori di Banca d’Italia a oggi non sono che un residuo storico: non hanno controllo della banca, non possono commerciare le proprie quote e da esse ricevono dividendi minimi ed indipendenti dagli introiti da signoraggio, che vanno invece (giustamente) al Tesoro. I soci hanno invece il privilegio di nominare qualche amico a sedere in qualche poltrona (il consiglio superiore, il collegio dei sindaci) per svolgere compiti di consulenza e controllo certamente importanti oltre che remunerative. Lo fanno, facciamolo notare visto che ci siamo, con procedure poco trasparenti e completamente estranee al processo democratico che dovrebbe invece caratterizzare una funzione pubblica di tale importanza. Se di riforma si voleva parlare, forse si poteva cominciare da lì. 

E invece, a seguito del provvedimento approvato ieri alla Camera, altre cose cambieranno. E cambieranno in peggio.  

1. Innanzitutto il valore delle quote azionarie passa a 7,5 miliardi di euro. Questa ricapitalizzazione avviene a fronte delle riserve statutarie della Banca che sono abbondanti. Al 31/12/2012 il patrimonio netto (capitale+riserve) della Banca d'Italia ammontava a circa 23 miliardi di euro. Da un punto di vista sostanziale questo patrimonio è pubblico e appartiene al Tesoro, perché è stato accumulato grazie al potere di monopolio fornito dalla legge all'emissore di moneta, non attraverso l'attività  e gli investimenti dei soci, come avverrebbe per una qualsiasi azienda privata. Il valore delle quote è arbitrario, come dicevamo, e quindi la ricapitalizzazione è nella sostanza un trasferimento dal Tesoro alle banche che detengono le quote. Questo trasferimento non ha alcuna contropartita diretta per il Tesoro ma è per le banche puramente contabile, cioé può essere contabilizzato a bilancio ma non comporta in sé trasferimento di attività né di liquidi.

Ma secondo la BCE, "in conseguenza all’operazione di ricapitalizzazione autorizzata dal decreto legge, le quote devono essere registrate nei conti patrimoniali degli azionisti nel comparto delle attività finanziarie detenute per la negoziazione al valore precedente l’operazione". Le plusvalenze sulle quote andranno quindi a concorrere pienamente al common equity tier 1, indicatore utilizzato ai fini del calcolo degli indici di patrimonializzazione secondo la normativa di vigilanza bancaria. Il trasferimento quindi, anche se solo contabile, ha il vantaggio di far apparire le banche maggiormente capitalizzate ai fini degli stress test previsti in occasione dell’Unione Bancaria in sede BCE.

2. Le quote sono rese trasferibili, si dice, al fine di permettere ai soci di rispettare un limite massimo del 3% per la quota di partecipazione. Essendo trasferibili il loro valore non è più arbitrario ma determinato dal mercato. Semplificando, il valore delle quote di Banca d'Italia sarebbe il valore scontato dei dividendi previsti futuri (è una approssimazione, ma serve per fornire almeno un'ordine di grandezza per valutare quanto valga il trasferimento). Se la Banca d'Italia non pagasse dividendi il valore di mercato delle quote sarebbe nullo e l'operazione sarebbe unicamente contabile come si diceva sopra; un'operazione comunque molto conveniente per le banche interessate. Se invece la Banca d'Italia iniziasse a pagare dividendi tutti gli anni sul nuovo capitale, il tasso a cui scontare tali dividendi dovrebbe essere un tasso privo della componente di rischio, perché è ragionevole che tale sia un investimento nell'istituto di emissione, diciamo 1-2%. Quindi se la Banca pagasse l'1-2% in dividendi il suo valore di mercato sarebbe approssimativamente quello determinato arbitrariamente dal legislatore, 7,5 miliardi. In questo caso l'operazione comporterebbe un trasferimento sostanziale, non solo contabile, di 7,5 miliardi alle banche, tramite una serie di dividendi futuri che non sono, in alcun senso, dovuti. Anzi, son regalati perché vengono dal signoraggio e Intesa o Unicredit con il signoraggio non c'entrano proprio! Se i dividendi fosseri maggiori, in aspettativa le quote della banca potrebbero avere sul mercato un valore addirittura maggiore. 

Per agevolare tale processo di ricomposizione dell'azionariato, la Banca d'Italia ha facoltà di riacquistare temporaneamente le quote. In questo caso la Banca d’Italia (il Tesoro in ultima istanza) trasferirebbe sostanzialmente, non solo contabilmente, liquidità alle banche oggi proprietarie in cambio di quote azionarie. In altre parole, il Governo/Tesoro prima rivaluta contabilmente le quote delle banche in Banca d'italia e poi se le ricompra al nuovo elevatissimo prezzo perché altrimenti la Banca d'Italia perderebbe indipendenza (che non è vero perché i soci contano poco o nulla, come abbiamo visto). Chiaro? Limpido, Recoaro! Si noti che il trasferimento sostanziale dal Governo/Tesoro non necessita dell'atto di ricomprare le quote, che potrebbe avvenire come no, ma sta invece nei dividendi che la banca pagherà in futuro, da cui il valore delle quote in effetti dipende. La trasferibilità delle quote rende il il trasferimento liquido per le banche, che possono vendere le quote invece che aspettare il flusso annuale di dividendi, ma l'ammontare del trasferimento dipende dai dividendi. Come dicevamo, con dividendi dell'1-2%, il trasferimento sarebbe di 7,5 miliardi. Più alti i dividendi, più alto il trasferimento. 

3. Le quote riceveranno una remunerazione massima pari al 6% del loro (nuovo) valore nominale, portando il valore dei dividendi distribuiti ad un massimo di 450 milioni di euro (contro i 70 milioni di utile attribuiti nel 2012). Il 6% è un dividendo folle, per un investimento senza rischio. 70 milioni sarebbero circa l'1%, molto più appropriato. Si noti però che se 70 milioni l'anno di dividendi sono un "regalo" alle banche (che hanno investito un capitale minimo un secolo e passa fa e che, soprattutto, non contribuiscono affatto a generare i rendimenti che vengono dal signoraggio), questo provvedimento comporta un regalo aggiuntivo, a parte la questione della liquidità, solo nella misura in cui i dividendi effettivi aumentino in futuro rispetto a quelli che erano previsti prima che fosse approvato il provvedimento. È difficile dirsi se questo sia il caso, visto che sia precedentemente che ora la legge fissa solo un tetto massimo ai rendimenti. In altre parole: i dividendi futuri saranno lasciati alla discrezione del governatore e del direttorio, ossia sarà una decisione politica da prendere ogni anno. Sussidiamo banche private con i proventi del signoraggio o no? Non sappiamo chi si sia inventato questa cosa ma ci chiediamo se davvero Ignazio Visco possa condividere un'idea del genere. Come è possibile accettare che un governatore debba essere posto, dalla legge, nella situazione di chiedersi, ogni anno, se deve o meno sussidiare banche private usando i proventi del signoraggio? Una porcata del genere farebbe bestemmiare qualsiasi economista degno di tale titolo. Perché Visco non dice nulla?

 4. La ricapitalizzazione sarà tassata come plusvalenza e genererà quindi introiti fiscali per il governo. In questo modo l’operazione si configura come una trasferimento contabile indiretto dalla Banca d’Italia al Tesoro - in altre parole, una parte del patrimonio della Banca, che appartiene al Tesoro ma è fuori bilancio, verrà contabilizzato tra le entrate fiscali. Si parla di 1-1,5 miliardi di euro. Lo stesso per la tassazione sugli aumentati dividendi che le banche socie percepiranno a seguito della ricapitalizzazione delle quote. Un'operazione certamente dal sapore piuttosto sgradevole: un paese che mette le mani nel patrimonio della banca centrale per risolvere problemi fiscali è un paese arrivato a raschiare il fondo del barile. 

Come abbiamo detto la ricapitalizzazione è arbitraria. Ma vale la pena notare quanto grande sia. Per dare un'idea, se un capitale iniziale di 156mila euro del 1936 avesse avuto un rendimento del 6% per 78 anni, e se non fossero stati distribuiti dividendi (che invece son stati distribuiti), oggi varrebbe 14,7 milioni, cioé circa un cinquecentesimo della valutazione imposta dalla riforma. Quindi, o la rivalutazione è eccessiva, o la banca ha avuto un rendimento molto più alto. Vale la seconda: il rendimento è certamente molto più alto; non per l'acume strategico dei soci, ma perché la banca svolge un ruolo pubblico insostituibile ed in regime di monopolio concesso dallo stato, ed è dunque giusto che i rendimenti da essa conseguiti rimangano alla collettività come è stato per quasi 80 anni. Qui invece si prevede di distribuire ai soci attuali e futuri l'1% (se si rimane alle cifre attuali), o addirittura fino al 6% calcolati su un capitale enormemente più alto rispetto a quello effettivamente investito.  

Da un altro punto di vista, un'azienda che distribuisce 70 milioni l'anno (o più) di utili senza rischio per l'investitore corrispondono certo ad un capitale di circa 7,5 miliardi. Ma perché si dovrebbe continuare a distribuire 70 milioni l'anno a chi non ha mai investito nell'azienda, salvo qualche bruscolino 80 anni fa?

Il provvedimento prende almeno tre piccioni con una fava: le banche si ricapitalizzano semplicemente con un tratto di penna; riceveranno trasferimenti monetari, almeno potenzialmente, tramite maggiori dividendi oltretutto immediatamente liquidabili; per un anno il governo riceve in cambio un introito tramite la tassazione delle plusvalenze. Il relatore per la maggioranza, on Marco Causi (PD) non prova nessuna vergogna a ammettere che l'operazione serve a coprire i mancati introiti dell'abolizione dell'IMU. 

Spiace che il Movimento 5 Stelle abbia avuto il monopolio o quasi dell'ostruzionismo parlamentare. Purtroppo chi spesso straparla tende a non essere preso sul serio; e chi protesta su tutto ogni tanto ne azzecca una, e questa è una di quelle volte. I "compagni" del PD che difendono a spada tratta il provvedimento sui social networks farebbero meglio a riflettere prima di parlare. O forse no, forse hanno riflettuto e si son detti: anche la "nostra" banca ci guadagna ed a Siena saranno contenti. Vero, Matteo Renzi?

Lasciamo ai lettori un giudizio sulla note rilasciata ieri  dal Tesoro:

Nessun regalo alle banche. Nel corso del dibattito parlamentare svoltosi negli ultimi giorni alla Camera dei Deputati per la conversione in legge del decreto Imu-Bankitalia la polemica politica ha spesso preso il sopravvento sulla realtà dei fatti così che alcuni interventi hanno prospettato effetti del provvedimento del tutto fantasiosi e infondati.

Questa dichiarazione è eccessivamente protezionistica, protegge l'operato del Parlamento a scapito dei diritti degli italiani ma, principalmente, è essenziale per riconoscere i segni e dettami di una dittatura, in corso, senza colpo di Stato cruento.
Siamo nelle mani di una casta di criminali che stanno svendendo l'Italia al peggiore offerente e noi nemmeno proviamo a ribellarci.

E quando le rivedremo le stelle?

fonte

2014/01/28

Italiani dimenticati


Italiani, popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori. È la parte rimasta più famosa di un discorso che Benito Mussolini pronunciò il 2 ottobre 1935 contro la condanna all’Italia, da parte delle Nazioni Unite, per l’aggressione all’Abissinia. Questa stessa citazione campeggia sulle quattro facciate del Palazzo della Civiltà Italiana, o della Civiltà del Lavoro, uno splendido edificio che si trova a Roma nel quartiere dell’EUR.

Ormai quasi tutto è andato perduto. Siamo ancora artisti, navigatori e in parte colonizzatori moderni che portano conoscenza e tecnologia, cultura e sapere non portano via nulla alle popolazioni che visitiamo. Siamo ancora trasmigatori, e navigatori e una versione moderna possiamo identificarla nel nostro mitico Soldini, velista di fama e valore oltre che di coraggio. I nostri poeti muoiono uno a uno e non si vede quel ricambio generazionale che pure accompagna le altre arti. 

Santi lo siamo ancora, e aggiungo eroi per forza, solo in questo modo si spiega la stoica resistenza del popolo italico ai sopprusi della casta politica, che pure egli stesso ha eletto. Siamo un popolo di italiani colonizzatori e dimenticati. Già da anni i politici nostrani hanno dimostrato di voler e poter poco nei confronti degli italiani che vivono per scelta o necessità all'estero.

Eppure se ne dovrebbero preoccupare, perché gli aventi diritto, al voto naturalmente, sono almeno 3 milioni a cui si vanno o andrebbero aggiunti tutti quei figli di emigranti nati all'estero ma con passaporto italiano. In questo caso il numero tenderebbe a salire sfiorando i sei milioni, se poi vogliamo andare più a fondo il numero potrebbe ancora lievitare. E' perfino evidente che noi non siamo piu' un popolo di eroi, di santi, di poeti, di artisti, di navigatori, di colonizzatori, di trasmigratori.

Mi domando quindi per quale ragione i politici nostrani mostrano di voler costantemente dimenticare gli italiani che vivono lontani dall'italica penisola. La riforma elettorale di Renzi e Berlusconi non si pone nemmeno più il problema dell’elezione di deputati all’estero (semplicemente ignorati) il che – fino a prova contraria – sarebbe ancora oggi un dettato costituzionale. L’omissione-gaffe è la prova di quanto poco i politici italiani considerano il mondo dei milioni di italiani all’estero e ovviamente non considerino minimamente l’importanza potenziale della loro esistenza.

D'altronde una legge finanziaria che taglia ancora una volta i fondi a un  Ministero degli Esteri che percentualmente ha già il più basso indice di spesa dell’Unione Europea lo conferma. Spendiamo meno in percentuale e somma assoluta della Gran Bretagna, della Germania, della Francia, della Spagna, i Comites non vengono più rinnovati da anni… Non si investe all’estero perché non ci si crede, non si sa, non ci si pensa. Eppure quei milioni di italiani rappresentano una Nazione non solo per nuovi o antichi legami con la propria terra ma per la cultura, la lingua, l’economia: una grande risorsa umana 
disprezzata e dimenticata. 

Dalle trasmissioni RAI per l’estero che sono troppo spesso un’accozzaglia di stupidate (oltre ai TG debitamente centrati su Rai 3 e su trasmissioni di chiara parte politica, presentatori e presentatrici di sinistra comprese…) ai tagli per gli Istituti di cultura, le ambasciate, i consolati, i patronati, le scuole, la Dante Alighieri… Certo che qualche spreco ci poteva anche essere, ma da anni ormai si taglia e non si investe più nulla con il risultato di aver creato il deserto. 


2014/01/18

ITALIA verso il default, a spingerci Francia e Germania

In 24 ore due pesi massimi dell'economia sono andati all'attacco delle banche tedesche che sarebbero agevolate dalle nuove riforme in sede europea (Unione bancaria, Basilea III) . Ieri Marco Onado ha detto a Radio24: «Più passa il tempo e più il potere di lobbying delle banche va consolidandosi» con un riferimento più che implicito anche al limite del 3% sul capitale ipotizzato dalle bozze in discussione sulle normative sui vincoli di bilancio, che potenzia la leva finanziaria e difatto favorisce in particolare le banche tedesche che, tra quelle europee, sono le più esposte alla leva finanziaria. Non a caso, negli ultimi giorni sono state proprio le banche tedesche a correre di più in Borsa.

Gli ha fatto eco oggi l'economista Luigi Zingales, in un'audizione alla Commissione Finanze del Senato sul dl Imu-Bankitalia: «Le banche tedesche hanno oggi maggior solvibilità delle italiane perché lo Stato ha trasferito loro un grosso ammontare di risorse specialmente alle Landensbank piene di titoli tossici statunitensi all'indomani della crisi, con un meccanismo che la Germania ha invece contrastato negli altri paesi Ue».

La prima cosa da è combattere, secondo Zingales è questa situazione «di due pesi e due misure» con un'Unione bancaria che sia «uguale per tutti».

«La legge "no bailout" dei tedeschi, di fronte alle difficoltà proprie cambia - sottolinea il professore della Chicago Booth School of Business - in un mondo in cui le banche hanno implicitamente un supporto pubblico e gli Stati ricchi hanno banche solide e quelli poveri non se lo possono permettere». Questo atteggiamento, per l'economista «dà un vantaggio competitivo alle loro banche che poi si trasmette in un vantaggio competitivo a livello europeo, con conseguenze estremamente negative sulla nostra crescita economica».

«Oggi l'Unione europea è principalmente franco-tedesca e impone le sue regole al resto del continente con conseguenze devastanti, dal mio punto di vista, nel sud Europa. Il rischio di non cambiare queste regole è quello di avere una meridionalizzazione e desertificazione dell'intera Italia» .

In Grecia emigrano anche medici e ingegneri 

Intanto il quadro sociale e reale in Grecia continua a peggiorare. Il Paese è da 10 mesi consecutivi in deflazione che, unita a un tasso di disoccupazione medio vicino al 30% (oltre 50% quello giovanile) sta spingendo molti lavoratori, tra cui medici e ingegneri, a emigrare soprattutto verso Paesi europei o negli Usa, alla ricerca di maggiori opportunità di lavoro. Come riferisce il quotidiano ateniese To Vima, hanno abbandonato il Paese già decine di migliaia di medici e ingegneri che si sono diretti per lo più negli Stati Uniti, in Germania e in Gran Bretagna. Ma anche diversi Paesi del Medio Oriente hanno registrato un aumento di immigrati dalla Grecia. Il fenomeno della migrazione dai Paesi dell'Europa meridionale è aumentato notevolmente negli ultimi anni con un incremento di provenienze dalla Grecia del 49% novembre 2012 e lo stesso mese del 2013.

In particolare la Gran Bretagna ha registrato un aumento del 16% degli immigrati da altri Stati membri dell'Ue pari a circa 25,000 persone. Il Dipartimento britannico del Lavoro e della Previdenza sociale ha indicato che gli immigrati dalla Grecia sono aumentati del 31% tra il settembre 2012 e lo stesso mese del 2013. Da parte sua, l'istituto di statistica tedesco Destatis ha osservato un aumento del 5,1% negli immigrati mentre la Federazione delle comunità greche del Belgio ha riferito che gli immigrati greci cercano lavoro soprattutto nel settore bancario e della ricerca, ma vi sono anche molti operai.

fonte sole24ore