<bgsound loop='infinite' src='https://soundcloud.com/sergio-balacco/misty'></bgsound>

pagine

2014/03/09

Vajont, una tragedia programmata?

"I dirigenti parlarono di un piano per far crollare una parte del monte Toc, ma sbagliarono nel calcolare la portata dell'onda"

8 ottobre 1963, studio del notaio Isidoro Chiarelli di Longarone, Belluno. Due clienti discutono i dettagli della cessione di alcuni terreni alle pendici di un piccolo monte delle Prealpi, chiamato Toc per la consistenza della sua roccia, franosa, poco compatta. Gli anziani dicono che il nome derivi da “patoc”, che nella parlata locale significa marcio. All’acquirente, l’ingegnere della società idroelettrica Sade, Mario Cavinato, questo dettaglio non importa perché quei terreni sono destinati ad essere allagati esattamente 24 ore dopo. Stando alle ultime rivelazioni, in seguito a un’azione programmata.

A cinquant’anni dalla tragedia del Vajont, la figlia del notaio riapre uno dei capitoli più contrastati della vicenda, il ruolo della società che ha progettato la diga, ovvero la Sade. Come racconta a Il Gazzettino, in quell’ufficio suo padre avrebbe assistito a una conversazione tra due dirigenti dell'azienda, in cui rivelavano un piano per far crollare in modo controllato una frana che minacciava di staccarsi da un fianco del monte: “Facciamolo verso le 9-10 di sera, saranno tutti davanti alla tv, non se ne accorgeranno nemmeno. Avvisare la popolazione? Per carità, non creiamo allarmismi. Abbiamo fatto una simulazione, le onde saranno alte al massimo 30 metri”.

Secondo Francesca Chiarelli, furono queste le parole ascoltate dal padre, cui venne poi imposto di rispettare il segreto professionale se non voleva incorrere in pesanti ripercussioni. Ma lui non tacque. “Per quasi due anni non lavorò più, lo evitavano, ma non smise mai di farsi testimone di quel dialogo. Per questo ebbe molti problemi, pressioni, minacce. Soffriva perché nessuno gli aveva creduto”.

Eppure nel 1968 fu partecipe della fondazione del Sindacato U.S.A.R.C.I. di Belluno fondato e costituito con rogito notarile del 21 settembre 1968 proprio del Notaio Isidoro Chiarelli.... (vedere il sito dell'USARCI per la citazione). Non solo, fin dal 1966 riprese nella sua attivita' di Notaio, infatti fu chiamato alla costituzione della prima associazione delle vittime del Vajont, a Longarone, testimone e notaio dell'atto costitutivo. LINK

Se davvero soffriva per un eccidio che non era stato capace di evitare, parlandone prima, denunciando chi riteneva colpevole, a costo della propria carriera, della vita, per quale motivo poi nel 1966 lo vediamo tornare alla professione proprio a Longarone? 
Dubbi, dubbi, per quale motivo i figli si son decisi a rivelare la storia solo dopo cinquant'anni. 
Stando alla ricostruzione del notaio, scomparso nel 2004, la Sade voleva affrettare i tempi per consegnare alla neonata Enel un’opera senza alcuna ombra che potesse sminuirne il valore. Solo che le onde scatenate dalla frana raggiunsero un'altezza dieci volte superiore alle previsioni, spazzando via un’intera vallata e le sue duemila vite. 

“La sera del disastro programmato - prosegue - mio padre ci fece vestire di tutto punto, pronti a scappare”. Nel clamore dell’anniversario, Francesca ha scelto di farsi carico di questa eredità, “per rendere onore al suo coraggio. E per chiarire che non fu una disgrazia: nostro padre lo chiamava eccidio”.

Facile parlarne quando chi potrebbe accusare non c'e' piu'!

2014/03/05

2013

La notte di Capodanno per tradizione si butta il "vecchio" e si apre al "nuovo".
E nei primi giorni del nuovo anno siamo tutti pronti a lanciarci in nuovi obiettivi, sfide, propositi e piccoli e grandi desideri. Un nuovo anno, lo sappiamo, porta nuovi inizi, e uno stato che ci spinge a voler spezzare le cattive abitudini e diventare la persona che si vuole essere o almeno proviamo a incamminarci in quella direzione. Mantenere la rotta nel voler diventare una persona migliore durante tutto l'anno potrebbe non essere difficile se vi è un cambio di prospettiva, di motivazioni. Partire da noi stessi tuttavia non basta, bisogna guardare alle occasioni che la vita ci offre. Dobbiamo ricordarci però che un nuovo anno è solo una data sul calendario, nessun nuovo evento astronomico nè planetario. L'uomo ha identificato il trascorrere del tempo attraverso un mero calcolo matematico, naturalmente considerando la rotazione del pianeta nel nostro sistema solare giusto per avere un riferimento sicuro. Ma è proprio questa sicurezza, questo ripetersi all'infinito, anno dopo anno, o meglio questo continuo moto di rivoluzione attorno al sole, stella eterna, per quanto ci riguarda, fonte di vita e speranza, che deve far riflettere. Esso non ha mai fine, non ha tempo, non ha una meta ne un punto di inizio. Se, per assurdo, tutti gli abitanti della terra ordinassero alla terra, nello stesso momento, di cambiare rotta, resterebbero delusi, perché essa continuerebbe a seguire regole che nessuno ha scritto e ordinato. 


Fermatevi e riflettete.


Spesso si ha la tendenza a santificare automaticamente chi muore, dimenticando come per magia tutte le sfaccettature della loro personalità e dei loro trascorsi personali e pubblici. La verità è che non tutti i morti sono santi, anche se sono famosi: di certo hanno scritto la storia, spesso nel bene e qualche volta anche nel male. Senza voler sembrare troppo cinico, non posso non citare il detto "ogni giorno c’è qualcuno che trapassa", perché in questo 2013 la lista delle defezioni eccellenti sembra volersi allungare ogni giorno di più. 

Risulta dunque lungo e triste l’elenco dei morti famosi dell'anno appena passato. Si è aperto con la morte di Mariangela Melato a gennaio, a cui sono susseguiti una serie di altri celebri decessi, più o meno inaspettati. Alcuni sono deceduti a causa dell’età avanzata, come Giulio Andreotti, altri, invece, si sono spenti dopo una lunga malattia, come il presidente sudafricano Nelson Mandela. Quale che sia la causa, è certo che il mondo dello spettacolo, della musica, della religione, della cultura, della moda, della scienza, della politica e dello sport ha perso alcuni dei suoi migliori rappresentanti, tra cui l’amatissimo Don Gallo e la bravissima Mariangela Melato. 

Ricordiamoli così, in questa breve carrellata a cui seguiranno, per chi se lo merita, gli ultimi applausi alla memoria:


Nelson «Madiba» Mandela 
Politico, icona, Prenio Nobel per la Pace
(Mvezo, 18 luglio 1918 – Johannesburg, 5 dicembre 2013)


Uomo politico sudafricano e leader dell'African National Congress, è stato presidente della Repubblica Sudafricana, il primo eletto dopo la fine dell'apartheid, il regime di segregazione della popolazione di colore e contro il quale lo stesso Mandela ha combattuto per tutta la vita rivendicando parità di diritti per i neri. Incarcerato per oltre 25 anni, nel 1993 è stato insignito del premio Nobel per la pace.



Giulio Andreotti 
Politico
(Roma, 14 gennaio 1919 – Roma, 6 maggio 2013) 


È stato probabilmente il più noto - e controverso - tra i politici italiani della cosiddetta Prima Repubblica. Esponente di spicco della Democrazia Cristiana, è entrato in Parlamento a 26 anni e vi è poi rimasto fino alla fine dei suoi giorni (era senatore a vita). Più volte ministro, è stato otto volte presidente del Consiglio. Non è mai riuscito ad ottenere i consensi sufficienti per diventare presidente della Repubblica, nonostante sia stato più volte considerato un «papabile» per il Colle.



Margareth Thatcher 
Politico
(Grantham, 13 ottobre 1925 – Londra, 8 aprile 2013)


Chi non se la ricorda? È stata forse la donna più potente sel suo tempo. Britannica, membro di punta del partito conservatore, è stata premier fra il 1979 e il 1990, unica donna ad avere mai ricoperto quel ruolo. Soprannominata «lady di ferro» per la sua forte determinazione e intransigenza, ha affrontato tra le altre anche la crisi delle Falkland-Malvinas e della guerra lampo che ne è scaturita contro l’Argentina, da cui il Regno Unito uscì vittorioso.



Margherita Hack 
Scienziata
(Firenze, 12 giugno 1922 – Trieste, 29 giugno 2013) 


Astrofisica, docente all'università di Trieste, vegetariana, amante degli animali, attivista politica per i diritti delle donne, simpatizzante della sinistra. E' stata autrice di diversi libri e negli ultimi anni ha condotto un programma di divulgazione scientifica per ragazzi sul canale satellitare DeaKids. E' uscito postumo il suo ultimo libro "Italia sì, Italia no".



Peter O'Toole
Attore
(Connemara, 2 agosto 1932 – Londra, 14 dicembre 2013)


Leggere il suo nome forse vi dirà poco, ma il suo nome è legato per l’eternità al personaggio di Thomas Edward Lawrence, reso immortale nel film Lawrence d’Arabia di David Lean nel 1962. Grazie a quel film, Peter O’Toole diventa un sex symbolo assoluto a soli due anni dal suo esordio al cinema: da lì in poi è stato un crescendo in una carriera segnata dal record di otto nomination all’Oscar come migliore attore protagonista (mai vinto, purtroppo). Per rimediare, l’Academy nel 2003 gli ha conferito la statuetta alla carriera.



Stefano Borgonovo 
Calciatore
(Giussano, 17 marzo 1964 – Giussano, 27 giugno 2013)


Ex calciatore di Serie A nel Milan e nella Fiorentina, colpito da Sla, è stato uno dei testimonial delle battaglie contro questa malattia grazie alla fondazione creata nel 2008 che porta il suo nome. Dopo esser stato colpito dalla malattia Borgonovo è stato insignito di importanti riconoscimenti (Ambrogino d’Oro a Milano nel 2008, Abbondino d’oro a Como nel 2009 e Fiorino d’oro a Firenze nel 2010, benemerenza civica e massima onorificenza per un cittadino non fiorentino. Nel 2008 aveva dato vita alla Fondazione Stefano Borgonovo Onlus, che sostiene la ricerca per vincere la SLA, di cui egli stesso era affetto. Sempre nel 2008, Borgonovo aveva iniziato una collaborazione con il quotidiano sportivo La Gazzetta dello Sport.




Doriano Romboni 

Motociclista
(Lerici, 8 dicembre 1968 – Latina, 30 novembre 2013)


Ex motociclista professionista. una delle tre «frecce tricolori» degli anni Novanta assieme a Max Biaggi e Loris Capirossi. E' morto a seguito di un incidente a Latina durante le prove del «Sic Supermoto Day», meeting motociclistico organizzato in memoria di Marco Simoncelli.



Enzo Jannacci 

Cantautore
(Milano, 3 giugno 1935 – Milano, 29 marzo 2013)


Enzo Jannacci cabarettista e attore italiano, è stato uno degli interpreti della milanesità in chiave musicale, il suo successo è stato sempre di rilievo nazionale anche grazie alle numerosi partecipazioni a programmi televisivi. Tra i maggiori protagonisti della scena musicale italiana del dopoguerra. Caposcuola del cabaret italiano, nel corso della sua cinquantennale carriera ha collaborato con svariate personalità della musica, dello spettacolo, del giornalismo, della televisione e della comicità italiana, divenendo artista poliedrico e modello per le successive generazioni di comici e di cantautori.

Autore di quasi trenta album, alcuni dei quali rappresentano importanti capitoli della discografia italiana, e di varie colonne sonore, Enzo Jannacci, dopo un periodo di ombra nella seconda metà degli anni novanta, è tornato a far parlare di sé ottenendo vari premi alla carriera e riconoscimenti per i suoi ultimi lavori discografici. È ricordato come uno dei pionieri del rock and roll italiano, insieme ad Adriano Celentano, Luigi Tenco, Little Tony e Giorgio Gaber.


Don Andrea Gallo 

Religioso
(Genova, 18 luglio 1928 – Genova, 22 maggio 2013)


Sacerdote, già partigiano, è stato fondatore della comunità di di San Benedetto al Porto di Genova, fortemente impegnata in campo sociale, in particolare nel recupero degli emarginati e delle prostitute. Di simpatie comuniste, è sempre stato considerato un prete anomalo e controcorrente. E' stato in prima fila al G8 di Genova del 2001al fianco di Dario Fo e Franca Rame. Ha scritto, come autore o con altri, anche una ventina di libri, tra cui l'autobiografia «Angelicamente anarchico».




Jack the Ripper



Erano le 3.45 del mattino del 31 agosto 1888, una donna è riversa a terra in un vicolo di Whitechapel, quartiere malfamato nel nord est londinese. La gola tagliata, profonde ferite all'addome e agli organi genitali. È l'inizio di una scia di sangue lasciata dietro di se da Jack the Ripper, ovvero «Giacomino lo Squartatore», che colpì almeno altre quattro volte prima di scomparire improvvisamente, come era apparso.
Senza mai venire identificato. Sospetti tanti, qualcuno arrivò anche a lambire la famiglia reale inglese, Oscar Wilde e Lewis Carrol, ma certezze nessuna. Si ipotizzò persino potesse essere Mary Pearcey che ammazzò e tagliò la testa alla moglie dell'amante e alla loro figlia. Dubbi per altro alimentati nel 2006 quando, secondo un team di esperti, le tracce di Dna lasciate sulle lettere spedite dal vero Jack the Ripper sarebbero appartenute appunto a una donna.

Era dunque una notte di fine estate quando il «più famoso» serial killer della storia prese a colpire le sue vittime, tutte prostitute, uccise in maniera raccapricciante. La prima dunque fu Mary Ann Nichols, 43 anni, trovata poco prima della 4 di notte in Buck's Row, di fronte ad uno dei tanti mattatoi di Whitechapel. Appena una settimana dopo, l'8 settembre, Ripper aggredì poco distante Annie Chapman, 46 anni, sempre colpita alla gola. Ma questa volta l'assassino aveva inferto con particolare ferocia, i tagli e le mutilazioni erano più profondi rispetto al primo delitto. Spuntò un testimone che aveva sentito gridare una donna e una bambina che indicò una striscia di sangue, probabilmente lasciata dai macabri trofei che Jack aveva portato con se. La polizia cominciò a pensare di avere a che fare con un maniaco e credette di individuarlo in John Pizer, un ebreo proprietario di una bottega per la lavorazione del cuoio. Le accuse caddero ben presto, ma l'uomo fu trattenuto in carcere per timore la folla potesse linciarlo.

Poi, nel rapido volgere di qualche settimana, altre tre donne furono trovate uccise: Elizabeth Stride, Catherine Eddowes, il 30 settembre, e Mary Jane Kelly, ultima vittima certa del «mostro», l'8 novembre. Altre sei uccisioni infatti vennero poi attribuite al serial killer, ma con ogni probabilità furono solo suggestioni, perché le vittime erano state effettivamente uccise a coltellate, ma mancavano il taglio alla gola, l'accanimento e le mutilazioni.
In quei mesi giunsero a polizia e giornali oltre 600 lettere: qualcuno si autoaccusava dei delitti, altri indicavano amici e conoscenti, altri ancora formulavano ipotesi e prospettavano scenari. Tre però sembravano scritte da qualcuno ben informato. In particolare una cartolina arrivata il 1° ottobre annunciò un doppio delitto, appunto quello Elizabeth Stride, Catherine Eddowes ammazzate la sera prima. Ed erano tutte firmate da Jack the Ripper, nome con cui poi passò alla storia.

La polizia brancolava nel buio, l'opinione pubblica era inferocita, la stampa si sbizzarriva sulle motivazioni e l'identità dell'assassino. Jack colpiva solo prostitute, pertanto le indagini si orientarono verso persone che in qualche modo potessero aver subito qualche torto o qualche danno da una di loro. Come Jacob Levy, macellaio ebreo, dunque abile con il coltello, che aveva contratto la sifilide da una di loro. Si credette di averlo individuato anche in George Chapman, condannato e impiccato per avere ucciso le sue tre mogli. Ma con il veleno e senza mai infierire sui corpi. Poi fu la volta di William Bury che il 4 febbraio 1889 strangolò e fece a pezzi la moglie la moglie Ellen Elliott, ex prostituta. Il 10 febbraio andò alla polizia e disse che la moglie si era suicidata ma fu subito smascherato, arrestato. Durante il processo risultò avesse aggredito altre prostitute. Prima di salire sul patibolo, Bury ammise il suo delitto ma respinse con decisione di essere lui the Ripper.

L'incapacità della polizia di venire a capo dei delitti convinse una parte dell'opinione pubblica che l'assassino fosse in qualche modo protetto. L'ombra del sospetto cadde sull'eccentrico Oscar Wilde e poi sul malinconico Lewis Carroll, pseudonimo di Charles Dodgson, autore di «Alice nel paese delle meraviglie». Qualcuno puntò ancora in più alto indicando addirittura Alberto Vittorio di Sassonia-Coburgo-Gotha, duca di Clarence, nipote della regina Vittoria, figlio del futuro Edoardo VII, in quel momento secondo in linea di successione al trono. Anche lui avrebbe contratto la sifilide da una prostituta. Un sospetto che ferì profondamente la famiglia reale che ancora negli anni Sessanta ribadì come fosse fuori Londra durante quelle tragiche settimane.

Infine, ultima sospettata Mary Pearcey che il 14 ottobre 1990 aveva ucciso Phoebe Styles e la piccola Phoebe Hogg, moglie e figlia di Frank Hogg, di cui l'assassina era innamorata. Mary infierì su si loro con inaudita ferocia, usando un attizzatoio per tramortirle e un coltello per farle a pezzi. La polizia sospettò subito di lei e andò a perquisire la sua abitazione. Non fu necessario, le pareti erano piene di sangue come le armi usate per il duplice delitto. Nonostante si sia sempre proclamata innocente, il 23 dicembre 1890 salì sul patibolo, come del resto aveva fatto vent'anni prima suo padre, anche lui condannato per omicidio. Per la ferocia dimostrata entrò «di diritto» nel novero dei possibili Jack the Ripper. Una teoria che ha ripreso quota nel 2006 quando gli esperti dell'università australiana di Brisbane hanno potuto esaminare il Dna ricavato dalla saliva sotto i francobolli delle lettere spedite dallo Squartatore. Ebbene il loro responso è stato netto: la sequenza appartiene a una donna. Così, dopo oltre un secolo di dubbi, sospetti e supposizioni, invece che di «Giacomino lo Squartatore» ora dovremmo parlare di «Giacomina la Squartatrice».



Il capostipite dei serial-killer, il famigerato assassino di prostitute londinesi che divenne e restò famoso nel 1888, riuscendo a mantenere nascosta la sua identità nonostante la massiccia mobilitazione di Scotland Yard, e di tutti cronisti della capitale britannica, l’uomo passato alla storia del crimine con il soprannome di Jack the Ripper, Jack lo Squartatore, era dunque una donna? 


A dire il vero la scoperta conferma un’ipotesi già avanzata all’epoca dei delitti, ma come sono arrivati i ricercatori dell’istituto di medicina legale dell’Università di Brisbane, in Australia, a questo risultato?
Pare che sia stato possibile utilizzando un un nuovo metodo di analisi del DNA da loro messo a punto, chiamato Cell-Track ID: esso permette di amplificare centinaia di volte e individuare le tracce del codice genetico su documenti vecchi oltre un secolo. I ricercatori dell’università australiana hanno esaminato così una cellula della saliva usata per incollare il francobollo sulla lettera che il misterioso assassino aveva inviato alla polizia, firmando appunto Jack the Ripper.


“La prova assoluta dell’identità di Jack lo Squartatore ancora manca, perché anche se è possibile risalire al sesso dell’individuo, non possiamo trovare un nome certo”, ha detto, in un’intervista al quotidiano britannico The Independent, Jan Findlay, capo dell’equipe che ha eseguito l’indagine. Però, appurato che il misterioso Jack era in realtà una donna, sono stati riesaminati alcuni elementi dell’inchiesta di 118 anni or sono, fra i quali l’ipotesi espressa da Frederick Abberline, l’ispettore incaricato di coordinare le indagini, che l’assassino fosse un’assassina. Questo perché vari testimoni, circa un’ora dopo l’uccisione di Mary Kelly, la quinta e ultima vittima, assicuravano di averla vista camminare nelle strade dell’East End, la zona di Londra teatro dei delitti. Secondo l’ispettore Abberline l’equivoco si spiegava con il fatto che l’omicida era una donna che aveva indossato il mantello e il cappello della Kelly per lasciare indisturbata quella zona.
Mary Pearcey


Resta il mistero sull’identità dell’assassina, potrebbe trattarsi di Mary Pearcey come accennato sopra? Potrebbe ma, a questo punto la pistola fumante non esiste, restiamo nelle supposizioni e riscriviamo la leggenda, magari a Hollywood stanno già pensando a una nuova serie di film!