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2017/07/21

Le mozzarelle...



I fatti li conoscono tutti, più o meno, una storia di ordinaria corruzione italica. Niente di cui parlarne in realtà visto che questi episodi sono all'ordine del giorno nel bel paese, senonché in quel periodo io lavoravo per il gruppo Salini-Impregilo e Piersandro Tagliabue era il mio "capo" funzionale.

Ricordo che quando venni assunto a Parigi, fui istruito da Pier Sandro con particolare attenzione al rispetto, alla correttezza nei confronti di tutte le parti, in definitiva non dovevano esistere inciuci. Con i fatti di poi posso solo pensare amaramente da che pulpito veniva la predica.

Io li ho conosciuti quasi tutti, il mio trascursus in Salini Impregilo è disegnato in venticinque anni di frequentazione non continuativa. Entrai in Salini la prima volta nel 1992, poi nel 2009, nel 2014 e infine nel 2016 alla cui fine sono definitivamente uscito. Un ciclo si era concluso. 

Non ho mai lavorato al COCIV, meno male, e quindi sono uno spettatore esterno. Quando scoppiò il caso inviai, senza saperlo, una email al mio capo non ricevendo alcuna risposta. All'oscuro di tutto, mi dissero che aveva dei problemi personali, pensai a una malattia, un incidente. Mai e poi mai avrei immaginato la verità: Corruzione, arrestato (Piersandro) nell'ambito dell'inchiesta COCIV e la corruzione da essa derivata.

Ora che non lavoro più per l'azienda e i tempi sono maturi, ora che non devo più aver paura di farmi tagliare virtualmente le gambe dagli amici degli amici che si preoccuperebbero per non farmi più assumere da nessuno, ora pubblico l'articolo, già pubblicato su Dagospia al quale allego l'ordinanza della procura sperando che il tutto possa servire a capire.

In Italia non cambierà mai nulla, godiamoci il momento e restiamo pronti per il prossimo scandalo. Niente di nuovo sotto al sole Signora Longari, direbbe un attempato Mike Bongiorno, buona lettura.

SE NON BASTAVANO I SOLDI SI PASSAVA AI RICATTI

Il sistema era, a suo modo, semplice e funzionava così. Sempre. Quale che fosse la grande opera da portare a termine (si fa per dire). E non era un Sistema nuovo, come le inchieste della Procura di Firenze nel 2010 avevano già documentato. Sfruttava l’inganno, il “baco” della Legge Obiettivo sulle Grandi Opere del 2001.

Quello per il quale il controllore (il direttore dei lavori) veniva scelto dal controllato (le aziende costruttrici). Giampiero de Michelis, ingegnere e direttore tecnico, ha potuto giocare così su due tavoli: su quello dei committenti dell’opera. Entrambi i tavoli, naturalmenete, erano truccati. De Michelis, il “mostro”, aveva anche un socio occulto, Domenico Gallo. Gallo guadagnava. De Michelis guadagnava.

I CERTIFICATI TAROCCATI

Il “mostro” era anche lo strumento con cui i mega consorzi di imprese truffavano lo Stato fingendo di non essere in ritardo. I due amministratori di Salini-Impregilo, Ettore Pagani e Michele Longo, ad esempio, promettono a De Michelis un pezzetto del business da 750 milioni dello stadio del Qatar a patto che lui sostituisca il Sal (stato di avanzamento lavori) di aprile 2015 con uno a loro più favorevole.

De Michelis obbedisce, i finanziamenti per 607 milioni di euro vengono sbloccati, tra l’altro riuscendo a far lievitare le spese del Sal di aprile da 18 a 61 milioni di euro stracciando documenti e fabbricandone di falsi. Stessa cosa per Pisa Movers, il general contractor cui fa parte anche Condotte: De Michelis tarocca i Sal inserendo opere che non erano nemmeno state ultimate.

GLI EREDI ILLUSTRI

Le regole truccate erano note a tutti e di noto c’era anche qualche cognome illustre. Quello di Giuseppe Lunardi, ad esempio. Figlio di Pietro, il potentissimo ex ministro delle Infrastrutture del governo Berlusconi. Con la sua Rocksoil Lunardi junior, indagato per corruzione, si era messo in linea con le aspettative del “mostro”, cui aveva promesso qualcosa della gara da 15 milioni bandita dalla Regione Friuli.

I due si vedono, almeno in un’occasione. «Lunardi mi è sembrato interessato, dobbiamo cominciare a fare cose insieme», dirà poi De Michelis. E chi era il capo di De Michelis, l’amministratore della Sintel da cui il “mostro” proveniva? Giandomenico Monorchio, il figlio dell’ex ragioniere generale dello Stato Andrea Monorchio. Monorchio jr è stato arrestato per alcuni contratti (uno da 288.000 euro, altri due da 40.000 e 20.000) che ha fatto assegnare alla Crono, società a lui riferibile.

Naturalmente anche De Michelis tiene famiglia: sua figlia Jennifer vuole lavorare nel mondo di papà. Le trovano un posticino nell’azienda Oikomodos per il quale si chiede un’ingegnere. «Non voglio fare incazzare nessuno — si lamenta un’imprenditore, tale Marchetti, con Enrico Pagani — ma lei non ha i requisiti che voi richiedete, c’è scritto che deve essere laureata... non è manco geometra». La ragazza rimane al suo posto. Perché l’imprenditore «vuole finire i suoi 54 milioni di lavori e portare a casa la pagnotta».

L’ORTICELLO DELL’AZIENDA

Il lessico familiare della corruzione, naturalmente, si arricchisce di nuove metafore. «Hai portato la mozzarella? », dicono tra loro. Il 16 dicembre 2014 l’imprenditore Antonio Giugliano incontra l’allora presidente del Cociv Pier Paolo Marcheselli. Prende una busta dalla tasca. «Ingegnè.... grazie mille... la paghetta....». Secondo i finanzieri di Genova, era una mazzetta. Poco prima, lo stesso Giugliano aveva consegnato un’altra busta a Maurizio Dionisi, responsabile appalti Cociv.

Era questa la flora e la fauna dell’”orticello” coltivato dalla combriccola. «Le aziende hanno un’orticello loro, però in joint venture con l’ingegnere (De Michelis, ndr)... se l’ingegnere fa alla lettera il suo lavoro, è meglio che rinunciano, che si buttano a mare», ricorda a tutti Domenico Gallo. L’”amalgama” funzionava così, è teoria criminale applicata agli appalti pubblici. Primo comandamento: non fare guerre. Gli amici devono essere tutti contenti. «Perché se ognuno tira e l’altro storce, non si va mai avanti».

L’AUTOSTRADA NON COLLAUDABILE

C’è un momento in cui De Michelis, però, storce. «Sembra un Marlin che sbatte la coda», dicono. Monorchio jr lo vuole tagliare fuori. «Sappi che da domani sei deposto da tutti quanti i ruoli che hai». È il 17 dicembre scorso. Lui ne parla con la moglie Perla, la quale conviene che è venuto il momento di battere il pugno sul tavolo. Ma non per fare giustizia. Per farla fare sotto ai compari della combriccola. Ha un dossier sull’Anas che riguarda i cantieri dell’A3 affidati alla Impregilo di Ettore Pagani.

Minaccia di farlo vedere al “maresciallo” della Finanza che indaga sui grandi appalti a Firenze nell’inchiesta “Sistema”. «Io le so tutte, e tenete conto di un’altra cosa allora che qua caschiamo, e tutta la Salerno-Reggio Calabria, dell’opera non collaudabile, dell’arbitrato... Ho le relazioni, di quando dovevate chiudere a 40 milioni. Ora qua o fate le persone per bene, completiamo il ciclo e poi mi mandate a fare in culo... perché così vi siete messi tutti d’accordo per mettermi in mezzo a una strada? Io mi difendo». E infatti, è rimasto al suo posto fino al giorno dell’arresto.

IL MOZZARELLARO

Il “mozzarellaro” arrivava da Afragola e negli uffici del Cociv di via Renata Bianchi, a Genova, ma non portava soltanto mozzarelle di bufala. Antonio Giugliano consegnava buste bianche, gonfie come mozzarelle, ma piene di banconote. E muto come un pesce per non farsi captare dalle intercettazioni ambientali, con le dita delle mani aperte indicava “dieci”. Diecimila euro.

Una tranche che secondo le indagini del Nucleo di Polizia Tributaria avrebbe tappato le bocche di Pietro Paolo Marcheselli e Maurizio Dionisi, dirigenti di Cociv. Il consorzio, general contractor del Terzo Valico per conto di Rfi, in cambio affidava appalti a Giugliano, titolare della “Giugliano Costruzione Metalliche”.

Che con ribasso di 35 euro rispetto al concorrente, si aggiudicava l’appalto di 2 milioni e 500mila euro per la fornitura relativa alle gallerie di Cravasco e l’innesto del Polcevera. «Missione compiuta... secondo le indicazioni ricevute!», esclamava Piersandro Tagliabue, membro del comitato tecnico del consorzio.

VIAGRA

Gli appalti finivano agli “amici”. Non solo distribuendo mozzarelle e mazzette. Anche offrendo escort brasiliane, notti sfrenate in un albergo del capoluogo ligure. Gallerie e pasticche di Viagra, regali e gare truccate. Le intercettazioni dell’inchiesta dei pm Francesco Cardona Albini e Paola Calleri (coordinata dall’aggiunto Vincenzo Calia) regalano passaggi a luci rosse. Come quando l’imprenditore di “Europea 92”, Marciano Ricci, per cercare di assicurarsi l’appalto per la galleria Vecchie Fornaci (affidamento che poi non si materializza), paga a Giulio Frulloni, coordinatore costruzioni del Cociv, una prostituta.

Organizza dopocena hot, e per cercare di convincerlo, gli dice che non sarà solo, che è stato invitato anche Ettore Pagani, il vice presidente del consorzio. È tutto pronto, Denise e Morena sono già state contattate e disponibili a farsi trovare all’interno della suite. Lui deve solo aprire la porta. «Senti, ho due amiche brasiliane nere. Ti piacciono nere?». Frulloni ride, risponde con titubanza: «No... mi fanno schifo... ». Anche se Ricci ha subito una soluzione di riserva. «...O bianche, bianche!».

Notti euforiche. Frulloni parla con un altro imprenditore, genovese, che è nel giro delle grandi opere. «Pronto dove sei? Io sono con Ricci: andiamo a figa!». «Beati voi, c’è qualcosa per me?». E Ricci: «I soldi ce li spendiamo in mignotte». E l’altro: «Le pasticche ce l’hai?».

Ordinanza applicativa di misure cautelari

2017/07/18

Ginnastica della memoria



Non ricordare il numero di Pin del bancomat, oppure dove abbiamo appoggiato le chiavi di casa o a che ora dobbiamo recarci dal dentista. Sono tutte esperienze comuni, specie in questa fase dell’anno quando siamo stanchi dopo i lunghi mesi di lavoro. In qualche caso si tratta di semplici distrazioni, dovute alla fatica o allo stress, ma si tratta anche di segnali che ci indicano la necessità di “sgranchire le gambe” al nostro cervello. Per mantenere in forma la nostra memoria occorre infatti un po’ di ginnastica, proprio come nel caso del corpo.

ANTI-AGE PER LA MENTE – Fino a qualche anno fa, gli studiosi ritenevano che lo sviluppo del cervello si completasse nell’infanzia e che da quel momento non venissero più prodotte nuove cellule. In realtà, la scienza ha dimostrato che lo sviluppo del cervello continua fino almeno ai 20 anni, ma che è sempre possibile la creazione di nuove connessioni. L’importante è mantenere attiva la mente, perché proprio il fatto di tenerla in allenamento è il più efficace aiuto per combatterne l’invecchiamento e la degenerazione.

VITA SANA – Per avere un cervello vispo e scattante occorre innanzi tutto condurre una vita il più possibile sana, curando l’alimentazione, facendo un po’ di moto tutti i giorni, possibilmente all’aria aperta, combattendo lo stress.

CURIOSITA’ – E’ uno dei grandi motori della mente umana, quello che spinge i bambini a crescere e l’uomo adulto a cercare sempre nuovi orizzonti. E’ importante quindi mantenere uno sguardo aperto sulla realtà, per coglierne tutti gli stimoli e sperimentare sempre nuove strade.

TI VA DI GIOCARE? – Il gioco è una dimensione che non bisogna mai perdere. La capacità di divertirsi, di osservare la realtà con sguardo positivo, di abbandonarsi alla risata sono tutti efficaci antidoti contro lo stress, la noia e l’apatia. Questi stati d’animo negativi sono invece responsabili di una specie di anestesia mnemonica.

ALLENA I TUOI RICORDI – La mente non è un cassetto in cui accumulare alla rinfusa ricordi e conoscenze, senza mai riprenderli in mano. Al contrario: quando abbiamo fatto un’esperienza, meglio se piacevole, torniamo a ricordarla di quando in quando, raccontandola a noi stessi e cercando di fissare quanti più particolari riusciamo a ricordare. Oltre a riviere il buon umore di un fatto che ci ha reso felici, alleneremo senza accorgercene la nostra capacità di ricordare.

IL FITNESS PER IL CEVELLO

- Usa i sensi – I profumi sono uno strumento potente per rievocare fatti e situazioni, soprattutto quelli legati a situazioni del passato lontano. Prendiamoci cura dei profumi della casa, della cucina, del giardino: questo ci aiuterà a ricordare fatti e situazioni del passato che credevamo dimenticati. Prendiamo l’abitudine di pensare per immagini, perché questo aiuta a sviluppare intuizioni e aiuta a trovare soluzioni nuove.

- Giochi enigmistici – La loro utilità è nota nel mantenere attive le facoltà cerebrali e la memoria è nota da tempo. Possiamo sfruttare i pomeriggi di ozio estivo per dedicare un po’ di tempo ai cruciverba, alle sciarade, ai giochi di logica: impareremo cose nuove e faremo fare ginnastica alla nostra memoria.

- Agende e numeri di telefono – Prendiamolo come un gioco: anche se abbiamo memorizzato nella rubrica del cellulare i numeri di amici e parenti, cerchiamo di imparare a memoria e digitare dalla tastiera quelli che chiamiamo più spesso. Dopo un po’ di tempo scopriremo di avere meno difficoltà anche a ricordare gli altri. Facciamo lo sforzo di richiamare alla mente l’orario di un appuntamento, senza demandare il ricordo all’agenda. Torniamo a fare le somme e qualche facile calcolo matematico a mente, senza carta e matita (o peggio ancora la calcolatrice).

- Impariamo a concentrarci – Facciamo le cose una per volta, focalizzando la nostra attenzione sul gesto che stiamo compiendo: ad esempio, osserviamo noi stessi mentre riponiamo le chiavi di casa, oppure mentre appoggiamo il cellulare su un mobile: non avremo nessun problema a ritrovarlo, senza perdere tempo.

- Non smettiamo mai di imparare – Basta un quarto d’ora al giorno per una buona lettura, oppure seguire parte di un film in lingua originale. Impariamo a memoria ogni giorno qualche nuovo vocabolo di una lingua straniera che conosciamo e che ci piace.

- Impariamo qualche esercizio di mnemotecnica: possono essere davvero utili e in molti casi sono anche giochi logici abbastanza divertenti.

2017/07/10

Summit delle vanità



Passerelle, chiacchiere e tanta vanità: anche il G20 di Amburgo s’è concluso con un nulla di fatto. 

Gli Usa hanno confermato il loro no agli accordi di Parigi sul clima, anche se nel comunicato finale si parla di “irreversibilità” della lotta al riscaldamento globale. Niente accordo neanche per quello che riguarda le sanzioni contro i trafficanti di esseri umani. 

Compromesso minimo solo sul tema del commercio internazionale. Il premier italiano Gentiloni ha commentato affermando che dal «G20 di Amburgo era difficile aspettarsi rusltati scoppiettanti». Bene, allora perché c’è andato? Perché non ha inviato al suo posto la Boschi, che se non altro avrebbe attirato più fotografi sul rappresentante dell’Italia? 

In compenso (si fa per dire) il G20 di Amburgo è servito ai soliti spostati a volto coperto per creare due giorni di sconquasso nella città tedesca: 200 poliziotti feriti negli scontri di questi giorni sono un sacrificio decisamente troppo alto alla vanità dei potenti. 

A questo punto, sorge spontanea una domanda: perché non aboliscono il G20, il G7 e tutti gli inutili, costosissimi summit internazionali che servono solo a dirottare, per un paio di giorni, l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale su eventi più mondani che politici? 

Sembrerebbe una domanda qualunquistica, ma non lo è: il fallimento del G20 e di altre occasioni simili non segna altro che l’insuccesso di una formula, quella della “governance” mondiale, con cui le élites culturali e politiche si trastullano da ormai 25 anni: dopo la fine della guerra fredda, il mondo avrebbe dovuto essere guidato dalla comunità cosmopolitica dei governi della Terra. 

Ma la realtà vera si è rivelata assai diversa: a governare la Terra non sono altro che gli accordi bilaterali tra gli Stati più forti e influenti. Tant’è che il “vero” G20 non è stato altro che quello, riservato, dei tête-à-tête dei maggiori protagonisti mondiali: quello fra Trump e Putin, Trump ed Erdogan e così via. 

Se è così, tanto vale abolire questo inutile baraccone periodico che serve solo a Paesi in declino come l‘Italia ad illudersi di fare parte ancora del club dei “grandi” della Terra. I G7 al tempo della guerra fredda erano ben altra cosa…

2017/07/02

Che fine ha fatto Amelia Earhart?



Ormai quasi nessuno la ricorda più, ma la storia dell’aviatrice americana Amelia Earhart tenne le prime pagine dei giornali per mesi, se non per anni. E ciclicamente la storia della sua misteriosa scomparsa torna alla ribalta, con nuovi ritrovamenti o ipotesi. La giovane aviatrice solitaria ha colpito profondamente l’immaginario collettivo mondiale: sia per il periodo, si usciva dalla Grande Depressione e lei dava una speranza anche alle donne, abbattendo le barriere di genere, sia per il suo aspetto: bella di una bellezza nordica, alta, flessuosa, sensuale come solo certe donne mascoline sanno essere, con quell’aria di americana di campagna (era del Kansas), fintamente spettinata, con gli occhi azzurri anglo-sassoni. 

Le foto che ci rimangono la ritraggono quasi sempre in tuta da volo: in piedi, nella carlinga di un aereo, col giubbotto di pelle degli aviatori americani che avremmo imparato a conoscere durante la guerra mondiale, gli occhialoni; altre ce la mostrano mentre indossa una tuta da palombaro per le sue escursioni in mare, molte con i fiori al ritorno da qualcuna delle sue imprese, e un paio con Italo Balbo, trasvolatore italiano che la ricevette insieme con Benito Mussolini a Roma. Amelia Earhart si consegnò all’immortalità sparendo letteralmente il 2 luglio 1937 insieme con suo aereo e col suo navigatore Fred Noonan, anch’egli scomparso, in un’area remota del Pacifico, vicino a un’isola dove sarebbe dovuta atterrare ma dove non arrivò mai, l’isola Howland. 

Cosa sia successo non lo sapremo mai, fatto sta che l’intrepida aviatrice partì da Lae, in Nuova Guinea, nel tentativo di circumnavigare il globo sulla linea dell’Equatore col suo Lokheed L-10 Electra, diretta appunto a Howland, una striscia di terra lunga due chilometri e larga 500 metri. Nei pressi c’era la Itasca, una nave della Guardia costiera americana che le avrebbe dovuto indicare la rotta e assisterla. Alle 7.42 di quel giorno di 80 anni fa, la Earhart trasmise alla nave questo messaggio: “Dovremmo essere sopra di voi, ma non riusciamo a vedervi ma il carburante si sta esaurendo. Non siamo riusciti a raggiungervi via radio. Stiamo volando a 1.000 piedi”. Si capì che c’erano difficoltà di comunicazione: la nave trasmise segnali Morse, fece fumo con le caldaie per farsi vedere, ma a quanto pare l’aereo non riusciva a trovare l’isola che, essendo piatta, non si distingueva dall’oceano. 

L’ultima comunicazione conosciuta di Amelia fu delle 8.43 di quella mattina: “Siamo sulla linea 157 337. Ripeteremo questo messaggio. Ripeteremo questo messaggio a 6210 kHz. Attendete”.

Amelia Earhart fu cercata inutilmente per decenni, ma nessuno la rivide mai più, né lei né Noonan. I segnali radio, già deboli e disturbati, sembra si protassero per qualche giorno, segno secondo alcuni che l’aereo era atterrato da qualche parte, altrimenti la radio avrebbe smesso di funzionare se si fosse inabissato. In seguito si disse che c’erano stati segnali, comunicazioni, ma non lo si poté mai appurare con certezza. 

Pare che l’Electra sia atterrato su un’isola deserta, l’isola di Gardner, secondo la migliore tradizione dell’avvenuta hollywoodiana, e che Noonan rimase gravemente ferito mentre Amelia sarebbe sopravvissuta per qualche tempo morendo poi di stenti, ma nessuno ritrovò mai né lei né l’aereo, anche se di tanto in tanto “prove” saltano fuori. L’ultima appena un anno fa, con il ritrovamento di un co0smetico usato dall’aviatrice e di pezzi di un velivolo, ma chissà. 

Fatto sta che la Earhart in quel momento era famosissima, e che il presidente Roosevelt, appresa la vicenda, autorizzò ricerche dispendiosissime, con l’impiego di 9 navi e 66 aerei, che però giunsero sul luogo indicato solo dopo cinque giorni, non trovando assolutamente nulla e nessuno. In quel periodo poi gli Stati Uniti dovevano dimostrare la loro efficienza e potenza, soprattutto sul Pacifico, che era conteso loro dall’impero giapponese, cone risulterà chiaro pochi anni dopo. 

E a questo attrito è legata anche una delle più affascinanti ipotesi sulla sorte di Amelia e del suo navigatore; si disse e scrisse che era stata presa prigioniera dai giapponesi che pensavano fossero spie, e che fossero stati tenuti prigionieri sull’isola di Guam; addirittura c’è chi giura di aver visto Amelia e di averle parlato in qualche campo di prigionia. E una donna, trenta anni dopo, disse persino di aver assistito alla fucilazione della Earhart. Ipotesi infondata, perché, se fosse stato vero, nel 1945 gli americani lo avrebbero saputo e diffuso. 

E anche perché all’epoca alle ricerche, che proseguirono poi ufficiosamente per anni – e ancora proseguono – parteciparono anche due navi giapponesi. Qualcuno azzardò anche che si trattava di una montatura pubblicitaria e che lei fosse tornata negli Usa sotto falso nome. Amelia Earhart stava per compiere quarant’anni, li avrebbe compiuti pochi giorni dopo la sua sparizione. Ci fu addirittura chi, trent’anni dopo, ripercorse fedelmente il volo della Earhart, ma il mistero non si è mai chiarito. 

Si disse che l’aereo a Lae non era stato rifornito del tutto, che Amelia e Noonan avessero sbagliato a calcolare la rotta, e le conclusioni più recenti affermano che probabilmente l’Electra finì semplicemente il carburante sull’oceano. Nel 1940 un inglese, un pilota, disse di aver trovato uno scheletro sull’isola di Nikumaroro, che poi inviò alle isole Figi, dove poi però andò smarrito. Si fece in tempo però a stabilire che poteva appartenere a una donna. Nel 2007 sull’isola furono trovati manufatti di origine incerta, un osso di un dito, e altri reperti, ma nulla che fornisse una prova chiara e definitiva. 

Così il mistero rimane. 

Su Amelia Earhart sono stati scritti libri, effettuate inchieste e documentari, realizzati film, e in tutta l’America esistono statue a lei dedicate e busti e oggetti vari; c’è persino una medaglia dedicatale dallo Smitsonian Institute. Ma il suo rimarrà uno dei grandi misteri insoluti della storia; ci piace rivederla su un’isola deserta, su una spiaggia e con la tuta di volo, che scruta l’oceano e aspetta.

La fine di tutti i dittatori: il prossimo è Maduro!



Non si capisce perché del dramma venezuelano la stampa occidentale non parla, preferendo concentrarsi sulle gaffe di Trump o sulla Crimea o sull’Ucraina. Il Venezuela è un Paese ricchissimo ridotto alla fame da un dittatore sanguinario come Nicolas Maduro, degno erede di Hugo Chavez, che per primo pose le basi per la rovina del Paese latino-americano. 

Almeno altri quattro oppositori sono stati uccisi nelle ultime ore in Venezuela nel corso di manifestazioni di protesta contro il presidente Maduro, ha confermato la procuratrice generale Luisa Ortega Diaz. 

Negli incidenti scoppiati in occasione di un corteo a Barquisimeto nel centro del Paese, sono rimaste ferite anche altre otto persone. Il sindaco della città ha accusato le milizie armate che sostengono Maduro delle responsabilità per le nuove vittime. Sono almeno 100 le persone morte in incidenti come questo dall’inizio delle proteste tre mesi fa. Nuove manifestazioni, in sostegno di Diaz che il governo vuole allontanare dall’incarico, si sono svolte ieri a Caracas. 

Pochi giorni fa Maduro ha denunciato, in un discorso alla nazione trasmesso in televisione, quello che ha definito “un attacco terrorista e golpista” contro l’edificio della Corte Suprema che è stato colpito da granate e raffiche di mitra da un elicottero. Il presidente venezuelano ha specificato che nessuno è stato ferito nell’attacco e che si sta dando la caccia ai responsabili dell’attacco.

Immediatamente dopo l’attacco era stato postato online un video in cui un uomo che si è identificato come Oscar Perez, pilota degli elicotteri dell’unità speciale della polizia venezuelana, ha accusato il “governo criminale” di Maduro ed ha chiesto al presidente di dimettersi. Perez, che nel video appare nella sua uniforme militare da pilota, ha affermato di parlare a nome di una coalizione di ufficiali militari, di polizia e funzionari pubblici ed ha esortato i venezuelani a continuare a combattere per proteggere la costituzione. 

Maduro sembra avere le ore contate.