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2017/12/09

Trump il rosso


Continuano a dipingere Donald Trump come una macchietta, esaltandone le gaffe, i capelli arancioni, i modi bizzarri e originali… non hanno digerito la bruciante e pesante sconfitta e questo li perderà. I mass media internazionali e i politically correct insistono nel dileggiare e irridere Trump perché non sono riusciti a sconfiggerlo e cercano in questo modo infantile di esorcizzarlo. Ma Trump sta dimostrando in questi mesi che ha una strategia precisa e la sta mettendo in pratica per tenere fede alle promesse elettorali al popolo americano. 

Non cerca la popolarità, anzi, non cerca il consenso mediatico, e coraggioso e si arrabbia – legittimamente – quando i giornali dem gli schizzano il fango addosso. A lui interessa solo fare l’interesse del suo popolo, il popolo americano. È riuscito, tra innumerevoli difficoltà a varare il travel ban, ha attuato una riforma fiscale che metterà in crisi l’Unione europea, così come la scelta di riconoscere Gerusalemme capitale dello Stato ebraico segue una precisa logica che Trump e il suo staff perseguono dal primo giorno di insediamento alla Casa Bianca. 

Il fatto, per esempio, di aver introdotto un’aliquota più bassa per le imprese e un sistema burocratico molto più semplice, pone gli States molti in vantaggio rispetto all’Europa, anche perché il singolo cittadino non è vessato fiscalmente come in Europa. Non solo: con questa riforma Trump incentiva gli americani a comprare americano, prevedendo una tassa del 20 per cento su quello che acquistano all’estero. Non occorre essere economista per capire che questa onda lunga si abbatterà anche sull’Europa e sulla sua eocnomia. E i giornali che lo prendono in giro per le sue eccentricità, meglio farebbero a approfondire le strategie della Casa Bianca. Così come la questione di Gerusalemme: 

Trump e Israele sapevano benissimo che sarebbe scoppiata un’altra, ennesima, Intifada. Ma anziché cercare il dialogo con Israele e gli Usa, tutti i Paesi arabi e – ahimè – anche i Paesi della Ue, sono partiti lancia in resta contro Trump e Israele soffiando – loro sì – sul fuoco dell’odio razzista e religioso. Se Israele ha acconsentito a questa mossa pericolosa, evidentemente è in grado di fare fropnte a quello che succederà, anzi, forse se lo augura. Trump deve aver riflettuto sul fatto che il crescente sanguinario terrorismo islamico in tutto il mondo, America compresa, mette a rischio la sopravvivenza della civiltà occidentale. 

Con la sconfitta dell’Isis da parte della Siria e della Russia in Medio Oriente, ci saranno decine di migliaia di foreighn fighters che torneranno nelle loro nazioni di adozione e continueranno a insanguinare soprattutto l’Europa. Allora è meglio chiudere i conti definitivamente: questo deva aver pensato e valutato Trump, e le castagne dal fuoco è meglio che le togla Israele. Continuate pure a considerarlo un matto…

di ANTONIO PANNULLO SECOLO XXIII

2017/11/20

Norimberga




Con la lettura dell’atto d’accusa, si apre il 20 novembre 1945 a Norimberga il processo contro i crimini del nazismo che si concluderà con 12 condanne a morte, 7 a pene detentive e 3 assoluzioni. Il principale imputato, Hermann Goering sfugge al capestro, suicidandosi con una fiala di cianuro alla vigilia dell’esecuzione

“Tutti noi sappiamo che in realtà quel tribunale è stato organizzato dai vincitori per giudicare e condannare i vinti. C’è chi, al proposito, ha osservato che la vittoria più completa non consiste nel distruggere fisicamente il nemico in guerra ma nel processarlo e condannarlo ad ostilità sul terreno concluse, perché ciò significa che la sua sconfitta è irreparabile, estendendosi dal piano militare a quello etico e simbolico”. Chi esprime questo severo giudizio non è un neonazista e neanche un pensatore conservatore o di destra: è anzi uno dei filosofi che hanno fissato i princìpi dell’odierno cosmopolitismo giuridico, quello, per intenderci, che ha portato al Tribunale penale internazionale con sede all’Aja. Parliamo di Hans Kelsen, uno dei grandi giuristi del Novecento, fautore del primato della giustizia sulla politica. Era stato lui stesso, mentre la guerra era ancora in corso, a teorizzare la nascita di un Tribunale internazionale come centro-motore di un nuovo ordine mondiale orientato al mantenimento della pace e alla tutela dei diritti dell’uomo.

Se persino Kelsen aveva da ridire, significa proprio che il Tribunale di Norimberga nacque con qualcosa di sbagliato alla base, con una confusione tra princìpi giuridici e interessi politici che ne minava la solidità teorica e il funzionamento pratico. Innanzi tutto il grande giurista criticò il fatto che la Corte era composta solo da rappresentanti dei Paesi vincitori, laddove sarebbero dovuti essere presenti anche giudici provenienti da quelli neutrali. In secondo luogo, a parere di Kelsen, non si dovevano giudicare soltanto i crimini commessi dai nazisti ma anche le violazioni ai princìpi di umanità commesse dalle altre potenze belligeranti e quindi le atrocità compiute da americani, inglesi e sovietici. Solo in questo caso il processo di Norimberga avrebbe costituito un vero precedente per la costruzione di un sistema mondiale realmente orientato verso la pace e la tutela dei diritti dell’uomo. Ma tutto ciò non era evidentemente negli obiettivi degli Alleati e di Mosca.

“Se i princìpi applicati nel giudizio di Norimberga -così concluse Kelsen- dovessero diventare un precedente, allora al termine della prossima guerra i governi degli Stati vittoriosi giudicherebbero i membri degli Stati sconfitti per aver commesso crimini definiti tali unilateralmente e con forza retroattiva dai vincitori. C’è dunque da sperare che questo non avvenga”.

Ci sarà pure un motivo se, a 72 anni da Norimberga, della presenza del Tribunale internazionale penale permanente dell’Aja non si accorge nessuno. Gli Stati Uniti, principale potenza militare mondiale, si sono rifiutati di ratificarne la nascita.

2017/11/10

Le incredibili avventure di Mr P alle prese con internet



Paolo P. è un collega, ex collega di quando lavoravo in Salini. Vive e lavora a Parigi ma, da buon italiano è portato a confrontare spesso le due realtà francese e italiana e a commentarle. Questa volta si è trovato faccia a faccia con quella francese, il risultato non è dei più confortanti, giudicate voi.

Buona lettura

Dunque ho affittato un bilocale uso ufficio non lontano da casa, e visto che per le scale c'era un cartellino che comunicava ai condomini l'arrivo della fibra con Bouygues, beh, cosa aspetto ? Ho subito sottoscritto un abbonamento con Bouygues senza neanche guardare quanto costa.

"Bien bien nous allons installer la fibre en maximum 1 semaine Monsieur P".
Riempio un modulo firmo un contratto do un documento e do il mio IBAN. Bella la Francia dove gli IBAN si chiamano RIB e tutto è piu facile.

E mi mandano a casa il Bbox, il Modem e tutta una serie di cavi e cavetti per installare il prodigio della tecnologia. Cioè non a casa, all'ufficio Postale, dove sono andato a ritirarlo un bel mattino di giugno. Quello stesso mattino l'ho portato nell'ufficio (ancora vuoto) e ho atteso fiducioso la chiamata di Bouygues.

Dopo 2 settimane mi arriva un messaggio che dice che il mio appuntamento è spostato di una settimana. Poco male non ho ancora una attività fervente nel mio ufficio.

All'appuntamento arriva un omino con la tuta che dice subito di essere un subappaltatore di Bouygues quindi non potrà rispondere alle mie domande sulla data di attivazione. Poi va per le scale esamina il cavidotto fa una smorfia e dice che non c'è posto per un cavo supplementare bisognerà sentire il condominio. E che non puo assolutamente dirmi nulla di piu non sa quando ne chi lo farà, non è nelle sue responsabilità, e fugge per le scale.

La settimana dopo, è passato un mese dalla mia prima domanda e quindi riporto il materiale a Bouygues dicendogli che annullo l'ordine.
"C'est votre droit" mi risponde ligio il commesso che si chiama Ahmed.
Quindi passo alla casella successiva del mio cammino di croce-gioco dell'oca. Orange. Con Orange ho già il contratto del cellulare perche sono andato da Bouygues ? Basterà estendere il contratto di cellulare all'internet dello studio e il gioco è fatto, mi dico.
Il negozio di Orange effettivamente è molto tipo Apple, con tutti commessi bellini e vestiti di arancione, uno che gira frenetico con un Ipad che organizza l'attesa dei Clienti, con mega schermi che ti ricordano che hai fatto bene a rivolgerti a loro, famiglie sorridenti che fanno colazione su un prato che inneggia al futuro. In basso allo schermo scorrono i numeri del turno. Tocca a me, "M. P Orange Pro". Wow.

Il commesso si chiama Benoît, ha un sorriso da star mi fa accomodare su un trespolo, mi spiega che ho fatto bene ad andare da loro che sono i piu veloci in tutta la Francia, oscillando ritmicamente il capo davanti allo schermo, poi vedo che lei ha già un contratto Business insomma perche non ci ha pensato prima le mettiamo la fibra in massimo una settimana. Siamo il 12 luglio.

Mi propone un contratto flexi Europe che posso telefonare in tutta Europa con una leggera modifica del contratto Orange che avevo prima. Ma si perché risparmiare.
Non mi manderanno niente a casa porta tutto il tecnico. Mica sono degli straccioni come Bouygues.

Riempio un modulo firmo un contratto do un documento e do il mio RIB.
Inizia l'estate, la gente si rilassa "Monsieur P le technicien va pas venir tout de suite voyons voir ce que j'ai comme date dispo, on va dire le 12 Aout ?"
Ma si tanto che problema c'è sono nelle mani di Orange. Rien ne presse comme disait l'orange.

Il 12 Agosto arriva un omino che dice di essere un sous-traitant di Orange che quindi non puo dirmi proprio nulla sulle date di attivazione del mio contratto ma tranquillo Orange sono gente seria.

E va sul pianerottolo, apre il condotto con le fibre, le esamina e fa una smorfia. Il palazzo è stato cablato da Free, sono dei pescecani non ci daranno mai le fibre io intanto faccio la domanda ma non le garantisco nulla Monsieur P.
E se ne va lasciando nel mio stomaco una nascente angoscia.
Passa l'estate. E mi arriva una bolletta del cellulare. In piu del consumo telefonico ci sono 370 Euro per recesso anticipato del contratto. Panico, chiamo Orange, prego premere asterisco selezionare un'opzione 1 per il telefono 2 per la Box 3 per ... scelgo 1, prego selezionare 1 per un ordine in corso 2 per un nuovo ordine 3 per … scelgo 1, selezionare 1 per un problema tecnico 2 per un problema amministrativo … oddio ma il mio è un problema tecnico o amministrativo aiutoooo scelgo 1 "le temps d'attente est estimé a plus de 10 minutes je vous rappelle que le site internet www.orange.fr saura répondre a toutes vos questions mais si vous voulez attendre faites merci de rester en ligne". 

E partono 38 minuti di una musichetta cantata da uno con la voce suadente che vuole metterti sicurezza ma dopo 1 minuto mi viene già il latte alle ginocchia. Dopo 38 minuti cade la linea.

Il giorno dopo rifaccio la trafila uguale a se stessa salvo che i minuti sono 47 e arriva finalmente una voce che dice che il call center si trova in Francia e la telefonata potrebbe essere registrata. Chiudo a chiave la porta dell'ufficio, spengo la luce per aumentare la concentrazione, e mi siedo con calma.

La commessa che si sforza di fare una voce sexy mi dice che i 370 sono perché ho cambiato operatore prima della scadenza del contratto.
"Mais je n'ai rien changé du tout puisque je suis resté chez Orange !!!"
"Ah non Monsieur Patrizi je vois que vous êtes passé de Orange Business à Orange Pro".
Che dio li fulmini, riattacco e i 47 minuti di attesa si dissolvono come una aspirina effervescente.

E cerco su internet una associazione di difesa del consumatore.
Passa l'estate e Orange si ripresenta in settembre con un nuovo subappaltatore che dice che c'è un problema con il condominio e che non sa dirmi nulla di più.

Poi mi arriva un messaggio che dice che faranno il possibile ma che non possono garantire che la data del 13 Novembre sarà effettivamente la data ai sensi della clausola ecc ecc…
Annullo Orange e passo con Free, hanno cablato il palazzo sapranno fare le cose piu in fretta.
Riempio un modulo firmo un contratto do un documento e do il mio RIB.
"C'est bien que vous soyez venu chez nous M. P nous allons vite vous donner la fibre".
Stavolta è tutto virtuale al telefono non sono neanche sicuro che fosse in Francia.

Dopo una settimana arriva un omino che dice di essere un subappaltatore di Free che guarda lo scatolare con le fibre sul pianerottolo e dice con una smorfia "queste sono di Orange…". 
Come di Orange, mormoro con la voce tremante ma mi hanno detto che il palazzo lo avete cablato voi.
"Oui Monsieur P mais il nous arrive de donner des fibres aux autres qui les demandent on n'est pas propriétaires … vous énervez pas Monsieur P".
E se ne va dicendo che non puo dirmi nulla sulle date tutto è nelle mani di Free, ricevero una mail di conferma.

Dopo una settimana mi arriva un messaggio da Kelly, agente Free che dice che sarà da me il 7 Novembre tra le 13 e le 15. Il 7 Novembre ho una mega riunione ma non importa userò la pausa pranzo per farmi mettere la fibra. E un mio diritto.

Il 7 Novembre comincia a fare freddo a Parigi e non avendo il citofono, passo 2 ore dalle 13 alle 15 davanti al portone.
Alle 1415 ancora non si vede nessuno e telefono a Free.

"Bonjour et bienvenue chez Free. Pour une question technique faites le 1…faccio 1 perche non voglio perdere tempo e mi chiedono il mio codice utente. Non ho il codice utente, anche se una vocina in sottofondo di musica dice che mi deve essere stato mandato per mail insieme alla password insomma riesco a recuperare il codice utente mi chiedono la password prima la sbaglio (l'avevo imparata a memoria in questo racconto che sta sempre piu somigliando alla piccola fiammiferaia), si alla fine mi dicono che la chiamata potrebbe essere registrata quindi si, sto per parlare con un essere umano.

"Magalie à votre écoute que puis-je faire pour vous Monsieur P?"
"J'avais rendez-vous entre 13 et 15 h mais personne n'est venu"
"Ah non Monsieur dans votre dossier je ne vois pas de rendez-vous de prévu"
"Mais si c'est Kelly qui m'a dit que j'ai rendez-vous !!!"
"Monsieur P vous avez l'air de confondre Free et ses sous-traitants, Free ne vous a rien dit et les sous-traitants ne sont pas autorisés à prendre des engagements au nom de Free"

Free vi ringrazia per la vostra scelta e per la telefonata. Seguirà un breve questionario in cui potrete esprimere un giudizio sulla conversazione con i nostri operatori.

2017/10/21

Ha già vinto lui!



Detta in parole povere e comprensibili, la deterrenza è quella cosa in base alla quale una nazione scoraggia un suo nemico dall’aggredirla minacciando di infliggere allo stesso danni e distruzioni assolutamente insopportabili e tali da rendere l’aggressione o la guerra non convenienti e non paganti. In questo contesto possiamo dire che la Corea del Nord, dotandosi di un discreto arsenale nucleare, sta perseguendo con notevole successo proprio la strada della deterrenza. Infatti, se noi guardiamo alla storia degli ultimi decenni, vedremo che gli Stati Unitihanno perseguito, con costanza e coerenza, una politica di eliminazione fisica di tutti i regimi che erano contrari ai propri interessi geostrategici. 

Nel 1961 gli Stati Uniti organizzano, con il beneplacito del presidente John F. Kennedy, la cosiddetta operazione della Baia dei Porci. Millecinquecento esuli cubani addestrati dalla Cia sbarcano a Cuba con lo scopo di rovesciare il governo rivoluzionario di Fidel Castro. L’operazione, male organizzata e ancor peggio diretta, abortisce ma il tentativo di rovesciamento resta e sarà seguito da innumerevole tentativi di uccidere Castro. Nel 1983, nell’isola caraibica di Grenada, un regime filo sovietico guidato da Bernard Coard, leader del Military Revolutionary Council, prende il potere. 

Gli Stati Uniti, con il pretesto di salvare la vita di seicento studenti americani presenti sull’isola, organizzano l’operazione Urgent Fury e, senza nessuna copertura giuridica da parte delle Nazioni Unite, invadono l’isola e ne rovesciano il governo installandone uno nuovo filo americano. Il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite condanna l’intervento con il solo voto contrario degli Usa. Nel 1999 gli Stati Uniti e la Nato intervengono in Kosovo bombardando pesantemente la Serbiacostrigendo la stessa ad evacuare il territorio kosovaro e aprendo la strada, in tal modo, alla indipendenza del Paese e alla caduta di Milosevic, leader della Serbia. 

Nel 2003, facendo seguito agli attacchi dell’undici settembre e con il pretesto di eliminare inesistenti armi di distruzione di massa, gli Stati Uniti invadono l’Iraq rovesciando il regime di Saddam Hussein il quale, dopo la cattura, viene impiccato nel 2006. Nel 2011 gli Usa partecipano alla campagna contro la Libia e contribuiscono al rovesciamento di Gheddafi il quale viene ucciso il 20 ottobre 2011. E infine laSiria. Gli Stati Uniti cercano in ogni modo di rovesciare il leader siriano Bashar al Assad e non ci riescono solo grazie all’intervento sul campo della Russia che garantisce la sopravvivenza del regime.

Evidentemente la dirigenza della Nord Corea ha imparato la lezione della storia e ha capito che nessuna forza armata convenzionale, per quanto forte e addestrata, può resistere a una campagna militare condotta dagli Stati Uniti d’America e, pertanto, ha deciso di dotarsi dell’unica arma, quella nucleare, dotata di un potere deterrente tale da rendere difficile, se non impossibile, una invasione del suo territorio. E in questo la Corea del Nord è molto aiutata dalla sua posizione geografica. Infatti, Seoul la capitale della Corea del Sud, è a poche decine di chilometri trentottesimo parallelo e per colpirla non sarebbe nemmeno necessario utilizzare missile balistici ma sarebbero sufficienti dei missili da crociera, molto più semplici ed economici. 

Il Giappone poi, storico e odiato nemico della Corea, è abbastanza vicino da essere colpito con missile balistici a corta/media gittata. In caso di attacco, quindi, la Corea del Nord potrebbe mettere in atto una “retaliation” in grado di causare, in pochi minuti, milioni di morti, tenuto conto che le città colpite sono molto popolose. In queste condizioni la deterrenza è assicurata perché è assai dubbio che il Giappone e la Corea del Sud diano un loro avallo a un attacco Usa contro la Corea del Nord visto che sarebbero loro e non gli Stati Uniti a pagare un terribile tributo di sangue e devastazione. 

E infine alcune considerazione finali. Ove mai il regime della Corea del Nord cadesse repentinamente, milioni di Nordcoreani affamati si riverserebbero come un fiume umano nella Corea del Sud per godere del suo tenore di vita e delle sue libertà. Un poco quello che successe con l’unificazione tedesca ma in chiave molto ma molto più grande. Un simile evento metterebbe a rischio il benessere, l’economia, l’ordine pubblico e la coesione sociale della Corea del Sud. Inoltre, e qui concludo, la riunificazione della Corea porterebbe sullo Yalu il confine della nuova Corea unificata e, dato che il Paese è alleato degli Stati Uniti e che sul suo territorio vi sono ingentissime forze militari americane, ciò vuol dire che la Cina si ritroverebbe gli Stati Uniti al suo confine meridionale. 

Siamo sicuri che la Cina sia disposta di accettare un simile evento?

2017/10/19

Ma sì, che ci restiamo a fare in Italia?


Centoventimila italiani emigrati solo nel 2016, +16% le iscrizioni di minorenni agli elenchi dei residenti all’estero. Giovani, vecchi, famiglie. Anche Asia Argento. Tutti abbandonano l’Italia. Una volta si partiva per desiderio d’avventura, ora lo si fa per cercare tranquillità, regole, disciplina

Ma sì, che ci restiamo a fare in Italia? A quanto pare se ne vogliono andare tutti. La Lombardia e il Veneto, ma anche l'Emilia le Marche e “tutte le altre Regioni” dove FI promette referendum per l'autonomia. Se ne vanno i giovani nella misura di cinquantamila l'anno, se ne vanno i cinquantenni, se ne vanno le famiglie con bambini piccoli: Migrantes ci avvisa che le iscrizioni di minorenni agli elenchi dei residenti all'estero sono cresciute del 16 per cento. Se ne va Asia Argento - «Tornerò quando le cose miglioreranno» – inorridita dagli attacchi sessisti che ha ricevuto, ma pure uno come Fabrizio Del Noce guarda Domenica In dal Portogallo, dove – ci informa – si è trasferito a fare il pensionato, salvo farsi venire gli attacchi di bile per l'esordio delle sorelle Parodi sulla sua vecchia Rete.

L'Italia è il Paese che amavamo, ma non lo amiamo più. E se una volta si partiva mercenari per desiderio d'avventura, ora lo si fa per l'esatto contrario: voglia di tranquillità, regole, disciplina. In testa all'elenco delle destinazioni c'è il Regno Unito di Sua Maestà e al secondo posto l'ordinata e noiosissima Germania. I Paesi dove chi sgarra è perduto hanno sostituito nell'immaginario collettivo le anarchiche e suggestive mete dell'immigrazione anni '50: il Sudamerica, l'Africa, la sconosciuta Australia. Non partiamo più per cambiare vita ma per tenerci quella che abbiamo col minor numero di scocciature possibili. Studiare in posti dove le sessioni non saltano ogni due per tre. Vivere in case che non costino il doppio del salario. Lavorare con paghe certe, tasse certe, orari certi, e persino con contratti nero su bianco (all'estero li fanno).


Sembra che restare sia il destino degli sfigati, dei rassegnati, degli scemi. 


Lo scrittore Alessandro D'Avenia dice che è colpa della “narrazione del Paese”, che non genera cose capaci di «nutrire i sogni». Fa l'esempio di un bambino nella sua stanza al buio, il quale «teme che sotto il letto ci siano le sue peggiori paure» e per questo chiama i genitori. «Il più delle volte basta accendere una lampadina», dice. Ma qui, con la lampadina accesa, spesso lo spettacolo peggiora. Sembra che restare sia il destino degli sfigati, dei rassegnati, degli scemi. Su Fb è un groviglio di madri che annunciano trasferimenti e si informano sulla vita a Londra, Francoforte, Madrid, Dublino, oltreché nei più svariati Stati americani. Un po' piangono, un po' sono orgogliose: «Ma sì, che si restava a fare?».

L'Ocse, che è un'organizzazione molto pratica, mette davanti a tutto il problema soldi: in Italia ce ne sono solo per i vecchi. Il Papa ci ammonisce sulle diseguaglianze. I sociologi più a là page rovesciano la cosa, dicono che è normale effetto della globalizzazione. Sarà. A noi sembra che la fuga dal Paese abbia caratteristiche al tempo stesso più profonde e più superficiali. Ci si è stufati. Si è espresso questo sentimento in ogni modo, per vent'anni, protestando in ogni maniera consentita, votando ogni faccia che promettesse cambiamento, resistendo, arrangiandosi, cercando scorciatoie, e adesso non si vuole restare nel mazzo di quelli che continuano ad aspettare un impossibile Sol dell'Avvenire.

Centoventimila italiani scappati solo nel 2016 sono Latina che si cancella, Monza che sparisce, Siracusa o Trento che all'improviso si svuotano. Esci di casa e non c'è più nessuno. Quelli famosi, come Asia e Fabrizio, con le loro ragioni da prima pagina, ma pure tutti gli altri, con i loro motivi misteriosi, i nuovi migranti della Settima od Ottava Economia del Mondo che all'improvviso si sono detti: ma sì, che ci restiamo a fare?