Quanto spaventa il mercato globale il Dragone Cinese? |
Negli ultimi quindici anni la penetrazione
della Cina nel continente ha in effetti assunto dimensioni stupefacenti.
L’Africa, che oggi più che mai rappresenta uno scenario sensibile nel gioco di
ridefinizione delle simmetrie globali di potere, ha assistito all’affermazione
della solida posizione della Cina nel campo commerciale e degli investimenti.
Tanto da diventare un attore in grado di controbilanciare gli interessi
geostrategici ed economici dei tradizionali partner occidentali sul
continente.
Tra gli elementi che influenzano la politica
africana cinese, ve ne sono alcuni di ordine strategico ed economico ed altri
di ordine politico e diplomatico. La strategia che ha guidato l’avvicinamento
cinese al continente africano combina oggi elementi di un nostalgico idealismo
con stralci di pragmatismo, nel tentativo di bilanciare i crescenti interessi
di Pechino con la più tradizionale politica di valorizzazione del legame
storico-politico tra le due parti.
Dopo il fallimento del Washington consesus,
la gran parte delle economie africane ha guardato alla Cina. Tanto che oggi si
parla piuttosto di Pechino consensus, con riferimento all’atteggiamento
promosso dalla Cina di valorizzazione del multilateralismo, del consenso e
della coesistenza pacifica.
Oggi la Cina è la seconda fonte più
significativa di importazioni per l’Africa (dopo l’Europa), e il suo terzo
mercato per le esportazioni (di seguito, ancora ad Europa e Stati Uniti). Anche
se nel corso del 2011 il volume degli scambi con l’Impero di Mezzo ha risentito
della crisi finanziaria internazionale, è dal 2009 che la Cina è divenuta per
la prima volta il partner commerciale di punta dell’Africa, riuscendo a
scalzare gli Stati Uniti. Con la graduale ripresa di respiro dell’economia
globale, poi, anche il commercio internazionale tra Cina ed Africa riacquisira
un ritmo sostenuto. Nel 2010 gli scambi hanno raggiunto quota 115 miliardi di
dollari e nel 2011, pur scontando la crisi hanno superato 162 miliardi di
dollari. Un trend destinato a non arrestarsi, visto che Pechino ha favorito la
conclusione di accordi di libero scambio con 45 Paesi africani.
Nel complesso, nel corso degli ultimi dieci
anni le esportazioni africane verso la Cina – in larga parte petrolio e materie
minerarie – sono aumentate di tre volte, raggiungendo i 430 miliardi di dollari
alla fine del 2011. In modo particolare, le esportazioni angolane verso
l’Impero di Mezzo hanno rappresentato il 31,3% della quota di PIL di Luanda.
Al momento la bilancia commerciale pende a
favore dei Paesi africani, anche se esistono significative eccezioni. Su tutte
la Nigeria, il Kenya e il Cameroun. Un dato che riconferma il peso della Cina
come gigante del settore manifatturiero. Nel corso del 2011, il 60% dei
prodotti tessili importati sul continente è giunto proprio dal colosso
asiatico.
Oltre il dato commerciale, è la crescente
penetrazione finanziaria della Cina in Africa a suscitare interesse. Gli
investimenti cinesi all’estero hanno assunto nel loro complesso dimensioni
significative (circa 7 miliardi di dollari nel 2005), come risultato del lancio
della strategia di “going out” presentata dall’establishment cinese nel 2001.
Le quote più significative si dirigono ancora verso Hong Kong, Stati Uniti ed
Europa. Ma di recente gli investimenti cinesi hanno guardato anche all’America
Latina e all’Africa. Un riorientamento che dice molto delle necessità
strategiche di Pechino: approvvigionamento energetico e individuazione di nuovi
sbocchi commerciali.
Tuttavia gli investimenti diretti esteri della
Cina in Africa rappresentano ancora una quota molto bassa – solo il 3% del
totale – spalmata su pochi Paesi: Sudafrica, Angola, Nigeria e Repubblica
Democratica del Congo. Il dato significativo è in effetti rappresentato dal
crescente peso delle grandi banche cinesi. I numeri parlano di quote di
prestito di gran lunga superiori ai livelli di investimento diretto.
Attraverso la diversificazione degli
strumenti e delle fonti, la finanza cinese sta impostando il ritmo del
coinvolgimento della Cina nel continente. Al tradizionale meccanismo “oil for
infrastructure” negoziato “in segreto” tra Pechino ed il governo destinatario
dei fondi, si sono aggiunte nuove forme di intervento e nuovi attori. Un
processo che si sta sviluppando di pari passo con l’evoluzione istituzionale
del settore finanziario cinese.
Con la riforma del sistema finanziario cinese
a partire dalla metà degli anni ’90, si è provveduto alla separazione della
gestione della politica monetaria da quella del credito. La principale innovazione
ha visto la distinzione tra banche commerciali e banche di interesse nazionale
(policy banks) e il progressivo aumento delle possibilità di coinvolgimento
all’estero.
Oggi lo spettro delle istituzioni finanziarie
cinesi che operano in Africa comprende istituzioni legate direttamente alle
direzioni governative e una crescente presenza di banche private. Gli istituti
che presentano i legami più stretti con Pechino, come la China Development Bank
e la Export-Import Bank of China (Chexim), sono coinvolti in progetti
convenzionali di finanziamento e operano secondo i parametri governativi. Si
pensi al China Africa Development Fund. Le banche commerciali e altri istituti
finanziari privati, invece, operano sotto licenze statali, ma non rispondono
formalmente alle direttive di Pechino.
La China Exim Bank, tradizionalmente la banca
più coinvolta in Africa, è una delle tre banche di interesse nazionale
istituite nel 1995, responsabile della promozione delle politiche industriali
di Stato (in particolare progetti infrastrutturali), del commercio
internazionale e della diplomazia economica. Si consideri che Fitch ha stimato
che tra il 2001 ed il 2011 i prestiti della Exim Bank in Africa hanno raggiunto
i 98,2 miliardi di dollari, superando le cifre stanziate dalla Banca Mondiale
nell’arco dello stesso periodo di tempo.
Ma è dall’ottobre del 2007, quando il mondo
degli investimenti ha visto l’acquisizione di una quota del 20% della South
Africàs Standard Bank da parte della Industrial and Commercial Bank of China
(ICBC) – istituto statale di credito commerciale – che si sono poste le basi
per una nuova fase di coinvolgimento della Cina.
Una scelta indubbiamente strategica quella
del colosso cinese. La Standard Bank è un partner attraente per la ICBC, perchè
opera in 18 Paesi africani. Del resto, anche per la Standard Bank, la ICBC
rappresenta un ancoraggio interessante.
L’alleanza con la ICBC, la principale state
owned enterprise cinese, consentirà alla banca sudafricana di accrescere la
propria posizione sul territorio africano e di acquisire una fetta di business
significativa. Sul fronte bancario cinese, si può dire di aver assistito ai
primi approcci verso una strategia in fase di consolidamento per i mercati
emergenti: quella dell’individuazione e del collegamento alla banca più grande
e sofisticata con ramificazioni oltre confine. L’ancoraggio a mercati poco
affidabili e conosciuti è assicurato.
Un’altra importante evoluzione è arrivata dal
forum sulla cooperazione afro-cinese tenutosi in Egitto nel 2009. La Cina ha
annunciato di voler offrire sostegno alle istituzioni finanziarie cinesi
attraverso l’erogazione di un prestito speciale di 1 miliardo di dollari
destinato al finanziamento del business africano di piccola e media dimensione.
Un momento significativo nella politica di Pechino, che adesso incoraggia il
passaggio dall’interlocutore Stato al sostegno diretto alla piccola e media
impresa radicata sul territorio. Le implicazioni dell’esperienza del Paese
asiatico nel settore finanziario africano sono numerose. L’ingresso della
finanza cinese sull’onda della crisi finanziaria globale può essere pensato nel
contesto di una più spiccata accelerata verso l’internazionalizzazione del
settore bancario cinese.
La Cina ha dimostrato di voler giocare un
ruolo decisivo nella finanza internazionale, proponendo alternative al dollaro
nelle transazioni internazionali. In Africa, dove si inizia a guardare ad est,
ma dove il commercio è ancora dominato dal dollaro US (ad eccezione dell’Africa
francofona), il possibile passaggio allo yuan potrebbe affermarsi come
evoluzione naturale se i trend negli scambi rimangono attestati su questi
livelli.
Forse la Cina conta sui nuovi mercati
emergenti per cambiare le regole del gioco della finanza globale?
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