Ho avuto modo di leggere
sul Wall Street Journal del 15 gennaio scorso un pezzo a proposito della
decisione di Lance Armstrong di confessare le proprie colpe riguardanti il
doping assunto in oltre un decennio di carriera ciclistica a livello agonistico. Questo pezzo era denominato "Dietro
la decisione di Lance Armstrong di rivelare i retroscena", che attribuisce
una citazione dell'atleta, e una risposta da un burocrate, che è decisamente interessante.
In un incontro con Travis Tygart, il capo dell’Agenzia Anti-Doping
degli Stati Uniti (Usada), Armstrong ha indicato se stesso dicendogli: "Tu
non detieni le chiavi della mia redenzione. C'è una sola persona che detiene le
chiavi della mia redenzione, e quello sono io.” La cosa più affascinante di
questa citazione non è la sfacciataggine, no, bensì la natura, comune con altri atleti nelle stesse condizioni di Armstrong, del
ritornello.
Tutti pensano che la loro redenzione,
il proprio dichiararsi alla società e ottenere da questa il perdono, la
classica pietra sopra ai vecchi peccati e da adesso in poi "vogliamoci bene", spetti
unicamente a loro. O forse a altri tranne, forse, che a questo funzionario
dell’anti-doping statunitense, tale Travis Tygart.
Dopo aver ascoltato in tv l’affermazione
di Lance Armstrong, Tygart avrebbe risposto: "Queste sono tutte balle!"
È evidente che non si risolvono così anni di presa in giro, di successi
arrivati in seguito alla mistificazione, all’imbroglio, al doping, che ha
sicuramente minato nel profondo la salute dell’atleta - e a ben guardare chissenefrega, l’ha voluto lui – bisogna aggiungere anche l’umiliazione per i
rappresentanti delle istituzioni di controllo per non aver mai capito quello
che si nascondeva sotto le mirabolanti prestazioni di un mingherlino, nemmeno
troppo muscoloso, nemmeno tanto conosciuto, salito agli onori della cronaca per
aver sbaragliato tutti sulle creste del Tour de France.
Tygart ha semplicemente chiamato
balle, con evidente allusione a qualcosa d’altro ben più puzzolente, la
dichiarazione di Armstrong che reclama la propria redenzione come frutto della
propria volontà e forse anche frutto di un mero calcolo per continuare a guadagnare
quattrini dai vecchi fans dimostrando loro un sincero pentimento, magari
attraverso il desiderio di del ciclista di poter tornare a correre. Nessun riferimento ai fans, no di certo, nessun riferimento al perdono vero o presunto, sincero o falso che potrebbe anche non essere automaticamente espresso da quei tifosi che si sono sentiti presi in giro. Una
reazione accurata, quella di Tygart, come accurata è stata quella dei milioni
di telespettatori che hanno seguito l’outing di Armstrong ospite di Oprah. Evidente
che il disegno è l’ottenimento del perdono, essere padroni del proprio destino
assumerebbe quindi la convinzione di possedere le chiavi, di detenere le chiavi
per la propria redenzione. Questa idea è totalmente sbagliata, balle, balle e
solo balle.
Mi viene da pensare che
Armstrong abbia creduto fino in fondo alla possibilità che, mettendo a nudo la
sua anima (o, almeno, il contenuto del suo armadietto dei medicinali) a Oprah
avrebbe portato alla propria redenzione. Questa idea è, nella peggiore delle
ipotesi, decisamente cinica, una estremizzazione dell’evidenza del peccato tesa
a sviluppare sentimenti di perdono, comprensione per il desiderio, umano, di
primeggiare a ogni costo e, quindi, perdonabile in quanto l’uomo, la carne è
debole, si può quindi ammettere la colpa per ottenere la redenzione di tutti i
peccati, il doping è un peccato ma verso se stessi, il risultato del doping
invece è un reato dimostrabile verso gli altri competitori e il pubblico. Quello
stesso pubblico che a lui ha creduto come un uomo invincibile e provato dalla
competizione.
Nella migliore delle
ipotesi, Armstrong ha voluto farci credere che dichiararsi per quelle droghe che
ha assunto in quindici anni di carriera ciclistica per essere sempre ai massimi
livelli fosse non già frutto di una propria volontà ma il frutto di un sistema
corrotto che spinge gli atleti a doparsi per avere i migliori risultati e primeggiare,
altrimenti si resta indietro. E con questo ha voluto dimostrare, procurare la
prova regina per la piena e totale redenzione?
Aha aha, rido di gusto,
solo pensare che potesse essere creduto dai propri fans, delusi, affranti rende
un’immagine di un piccolo uomo, freddo e calcolatore, attento solo al ritorno
in termini economici che quell’outing potesse rappresentare. Così fan tutti?
Probabile, ma gli altri non hanno vinto per sette volte quasi consecutive il
Tour de France e quindi diventa evidente anche a un cieco che lui sapeva
benissimo quello che faceva, e il bieco calcolo della supposta redenzione altro
non è che un ulteriore sistema per pompare altri quattrini di chi lo
compatisce, gli perdona gli errori e lo aiuta a redimersi totalmente. Un buffone,
questo è realmente Lance Armstrong, un pagliaccio di corte che considera tutti
al proprio servizio, buoni solo per foraggiare la propria infinita fame di potere
e di quattrini.
Quando un cristiano parla
di redenzione non si riferisce a un ritorno, a uno stato precedente allo stesso
livello. Alcuni lo fanno, in realtà, ma questo modo di pensare, come sottolineato
da alcuni famosi teologi della fede, non si identifica totalmente nella redenzione.
Perchè la redenzione è una caduta, si cade e ci si rialza esattamente nel punto
in cui si cade. Non si ritorna quello che eravamo prima ma siamo costretti a ricominciare
tutto il cammino per arrivare in cima, alla redenzione totale. Questo è il
dono, non si può avere noi stessi le chiavi. E meno male, anche perché quando
un altro le tiene, il nostro dono è incommensurabilmente più prezioso.
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