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2015/06/13

Migranti


Chi ha attraversato nei giorni scorsi i piazzali davanti alla stazione Centrale di Milano e di Roma Termini ha trovato lunghe file di persone incolonnate o distese per terra, sporcizia, tensione. Vedo, anche se da molto lontano, le immagini quotidiane in TV degli sbarchi e – sulla carta geografica – i punti sempre più vicini alla costa libica dove le navi europee intercettano i naviganti per fare poi la spola verso le nostre coste.

Prendo atto che purtroppo la questione dei profughi salvati in mare è finita nel tritacarne della politica: è ovvio, ma è un male perché so che queste tematiche sono importanti dal punto di vista elettorale, ma qui si parla soprattutto della vita di migliaia di persone.

Uomini, donne, bambini: se sono un cristiano minimamente coerente devo pensare prima di tutto alla dignità dei miei simili, all’aiuto disinteressato, alla solidarietà.

Questo aspetto per me è fondamentale e non negoziabile ma – partecipando a un consorzio civile – ho anche l’obbligo come persona responsabile di sottolineare il metodo assurdo di come si stia affrontando questa emergenza e i guai sempre più grandi che ne nascono per i preconcetti di molti ma anche per insipienza, demagogia, incapacità dimostrata da chi sarebbe tenuto a affrontarla. 

Perché il problema non sono tanto o solo quei 500, 1.000, 3.000 profughi che stanno sbarcando oggi (siamo arrivati a circa 10.000 la settimana) ma i 10.000 della settimana prossima e così via in una progressiva escalation. 

L’Italia intanto si sta facendo prendere in giro in Europa, è irrisa da tutti, non conta assolutamente nulla. Renzi e la Mogherini dimostrano tutta la loro pochezza internazionale senza dimostrare il coraggio di prendere decisioni strategiche (compresa la denuncia dei trattati UE, magari creando un asse con la Grecia, pure invasa dai profughi) sperando che passi in qualche modo un fenomeno che non passerà, ma anzi peggiorerà perché si autoalimenta proprio per nostra irresponsabilità.

Da mesi si dice che 1,000,000 di potenziali migranti stanno arrivando e non si è fatto NULLA, anzi, si è irriso chi denunciava questo stato di cose! 

Da mesi si sottolinea il mostruoso business dei mercanti di carne umana ma non si è fatto NULLA, come non si riesce a capire che un conto è l’emergenza umanitaria di intervento e un altro la programmazione e la strategia su cosa fare (e “far fare”) poi a queste persone. 

Chi è sbarcato un anno fa è ancora lì, a vivere (male) di sussidi e non ha avuto uno sbocco di vita, uno straccio di opportunità per essere messo alla prova.

Mischiati onesti e delinquenti decine di migliaia di uomini e donne restano inutili con le mani in mano, è facile poi cadere nel peggio. Forse che si sono sveltite le pratiche per utilizzi specifici di manodopera, per inserimenti? Provate a verificare le difficoltà che incontra un privato o una amministrazione pubblica che solo volesse utilizzare queste persone per qualche lavoretto (che peraltro poi mancherà a qualcun altro).

Diciamocelo chiaro: il governo sperava – come in passato - di rifilare il problema a altri e infatti fino a qualche tempo fa il fenomeno in parte si svuotava da sé perché migliaia di migranti sparivano come un fiume carsico oltre frontiera, ma da quando la Francia, la Svizzera, l’Austria di fatto respingono quasi tutti il tubo collettore italiano (e quello greco) si è intasato e la gran parte dei migranti non sparisce più, quindi ce li troviamo e ce li troveremo tutti in casa con problemi progressivi e catastrofici.

Da una parte non bisogna umanamente negare l’aiuto, ma è evidente che oltre un certo limite le strutture di accoglienza non possono più bastare, a parte gli sciacallaggi, la malavita e tutto quel mondo che vive sopra queste emergenze strafottendosene del valore delle persone. Su questo fronte, per esempio, servirebbero decisioni drastiche di condanna e di pene immediate: le avete viste?

Ha senso così continuare a non intervenire in Libia bloccando le partenze per ripescare la gente poco più al largo con gioiosa soddisfazione delle organizzazioni scafiste che hanno rapporti e basi anche in Italia? Ha senso non distruggere (vuoti) i natanti sulle coste libiche pur sapendo che verranno presto utilizzati? 

Il tam-tam che gira in tutta l’Africa dice che chi arriva in Italia è a posto, quindi è durissima riuscire a partire ma può essere la fortuna della vita…avanti quindi e il fiume si ingrossa.

Ci rendiamo conto poi che, per bene che vada, l’Europa assorbirà solo migranti “politicamente corretti” ovvero gente che scappa per motivi politici, ma che sul totale sono una piccola minoranza? E gli altri cosa fanno e dove andranno una volta sbarcati? 

Eppure il fenomeno è stato per mesi minimizzato e irriso e si parla ancora di demagogia antiaccoglienza accusando Zaia o Maroni quando si rischia invece soprattutto la demagogia contraria (ma a parole, poi pochi di chi discetta di aiuti apre davvero la porta di casa sua) che scarica sugli altri i problemi di una nazione dove l’opinione pubblica è sempre più esasperata.

La settimana scorsa in Lussemburgo (commentato da nessuno) si è tenuto un referendum su cosa fare su questa materia e l’80% dei cittadini ha risposto “no” a qualsivoglia nuova accoglienza. Da noi ci sarebbe un risultato molto diverso? Non credo, e certo i contrari non sarebbero tutti leghisti.

E’ deludente e insensata la politica di un governo che salva tutti e poi tutti abbandona, che non ha il coraggio di bloccare le partenze e non sa imporre all’Europa senso di responsabilità. 

Il metro con cui si tratta il problema sottolinea tutte le contraddizioni, i limiti, la superficialità della politica italiana ma soprattutto – obiettivamente – di questo governo.

Io, cittadino che voglio accogliere, devo aiutare, devo comprendere, ho anche il diritto di pretendere che queste cose vengano gestite meglio e non solo con le circolari prefettizie, anche perché il reato di immigrazione clandestina c’era ma è stato tolto scrivendo le premesse di quanto sta accadendo. 

Non solo: i numeri qualche anno fa erano molto inferiori eppure non si è lavorato per ridurre gli afflussi e oggi si usano gli stessi metri di valutazione e tempi ancora più lunghi per i riconoscimenti degli asili “veri” davanti a situazioni ben più diverse e caotiche. 

E quello che fa più ribrezzo è vedere poi il ghigno di chi specula sul fenomeno, chi si fa pagare per i trasporti, gli scafisti che restano impuniti, chi lucra e ruba sul business sul profugo.

Il fenomeno va quindi gestito meglio, non è possibile continuare così e chi è incapace di prendere decisioni deve essere inchiodato alle proprie responsabilità dall’opinione pubblica: è il primo passo per prendere atto della realtà.

2015/04/25

Disperati


Mi sento in profonda difficoltà a parlare delle ennesime catastrofi umanitarie nel Mediterraneo perché mi sembra di vivere una grande contraddizione. 

Tutti ci indigniamo ma poi non facciamo niente, spesso neppure neanche una piccola offerta per un aiuto, tutti straparliamo di morti in fondo al mare mentre si beve l’aperitivo al bar o al ristorante si cazzeggia davanti a una buona specialità gastronomica. 

Siamo un mondo alienato, assurdo, senza memoria. 

Una mia amica mi faceva notare di aver visto in una vetrina una borsa a 3,500 euro con due palline di pelo di coniglio sintetico (speriamo!) legate alla borsetta, in vendita (le sole palline!) a 345 euro, pur con un loro valore intrinseco massimo di una ventina di centesimi. 

Quei 350 euro sono ben di più del reddito di una famiglia del Burundi per un intero anno di lavoro: può funzionare un mondo così?

Poi non mi va la polemica politica su queste cose, ma era forse cambiato qualcosa dopo i 386 morti annegati dell’ottobre 2013 a Lampedusa? Nulla. E’ cambiato qualcosa dopo che si è scoperto delle preoccupanti infiltrazioni mafiose al centro accoglienza di Mileto, il più grande d’Europa? No. Qualcuno si preoccupa se da questo centro come da tutti gli altri scappano a migliaia? No, anzi, in più spariscono e meglio è.

Si può sostenere che tra i migranti non ci siano terroristi mischiati insieme all’ondata di disperati? No, visto che su 170.000 persone arrivate in Sicilia l’anno scorso larga parte non sono state neppure identificate. Ma di cosa si parla se non con superficiale demagogia, in cui rischio di cadere anch’io?

Da quanti mesi i lettori di questo blog leggono il mio appello di bloccare il traffico di carne umana eliminando con i droni i barconi vuoti ormeggiati in Libia? Mesi fa era “demagogia”, ora questa necessità l’ha scoperta pure Renzi, ma sta facendo qualcosa? In concreto nulla, con l’ Europa di fatto assente e lontana – al di là delle chiacchiere - che al massimo passa una elemosina.

Si è fatto qualcosa quando il ministro Gentiloni 3 mesi fa (e non solo lui) ha annunciato la presenza di un milione di persone in attesa di transito? Nulla.

Ma ci si può fidare di organizzazioni umanitarie che spendono il 79% (settantanove per cento) dei fondi introitati in spese generali? Leggete i loro bilanci, ma di queste cose non si parla mai !!!!

Per tutti questi motivi mi sento impotente, inascoltato, non accetto la demagogia di fatto becera e razzista, le “chiusure” e l’arroganza, ma neppure quella di chi sta al governo e dice “L’Italia sta facendo” quando sostanzialmente non è vero, salvo il lavoro di tanti volontari, ma anche con un gigantesco scaricabarile e chiudendo gli occhi, come quando a Caserta nascondevano i rifiuti sottoterra, salvo poi ritrovarsi tutto inquinato. 

Nel 1978 andai la prima volta in Africa a lavorare in un cantiere del nord della Nigeria che si chiama Bakolori. Tornando scrissi “Arriveranno a milioni” Sbagliavo, sono arrivati in decine di milioni e dieci volte di più arriveranno. 

Bisognava e bisogna aiutarli nel loro paese, ma poi concretamente non lo fa nessuno. Così, tutti, “tiriamo a campare”, anche sulla pelle di chi finisce in fondo al mare.

2014/11/02

Tributo a Stefano Cucchi

La sentenza dell'altro ieri per il caso di Stefano Cucchi dove in appello sono stati assolti forze dell’ordine, polizia penitenziaria e medici - tutti in qualche modo legati alla sua morte - mi ha lasciato sconcertato.

Non mi interessa se per qualcuno Cucchi fosse un “balordo” o peggio, era comunque un cittadino che era stato arrestato (e quindi affidato allo Stato!) e che in pochi giorni è morto di botte, non curato, dimenticato in modo vergognoso da chi aveva il dovere comunque di assisterlo. Mi pare un caso di sconcertante omertà, una pagina nera non tanto della giustizia (che non può condannare in campo penale nessuno senza prove personali certe) quanto dell’intero “sistema” che ha vergognosamente coperto e nascosto i fatti.

Una bruttissima vicenda che getta un’ombra grave sul nostro sistema inquirente, penitenziario e sanitario visto che non si è voluto fare chiarezza, anzi, si sono volutamente confusi i fatti. In una società che si dice civile tutti devono avere i propri diritti e doveri perché prima di tutto siamo delle persone e dei cittadini ed il “sistema” non deve mai coprire chi ha sbagliato e soprattutto nascondere la verità, per imbarazzante che possa essere. Questa brutta storia di Stefano Cucchi è e resterà davvero una vergogna italiana.


2013/05/06

Ruzzle Mania

Impossibile non averlo notato. È il rompicapo del momento e milioni di appassionati in 50 Paesi hanno già sviluppato una dipendenza da App. Sto parlando di Ruzzle, il gioco ideato da alcuni genialacci ragazzotti svedesi della Mag Interactive che ha fatto il vuoto fra le apps degli smartphones che sta avviandosi a diventare la mania, anzi il gioco mania del 2013. 

Ma cosa è in effetti il ruzzle?


Sembrerebbe più facile dire cosa non è, per esempio non è una disciplina sportiva, intesa come un'attività che esercita i muscoli, fa bruciare le calorie e rafforza lo spirito di squadra. E non è nemmeno una materia da studiare sui banchi di scuola ne tantomeno una disciplina professionale anche se chi l'ha inventata ha sicuramente saputo capitalizzare il frutto della propria conoscenza. 

È uno dei giochi più popolari del momento. Per giocare a Ruzzle non servono campi da prenotare o amici con cui fissare la partita. Bastano uno smartphone con connessione a internet e un avversario che può trovarsi pure dall’altra parte del mondo, che sarà indicato casualmente dal sistema informatico oppure da scegliere tra gli amici di Facebook. 

In principio era Il paroliere, poi diventato Scarabeo traducendo nella lingua di Dante lo Scrabble anglosassone. Questi erano due giochi da tavola, al tempo lo smartphone non si sapeva nemmeno cosa fosse, che tramite lettere casuali, richiedevano di comporre parole di senso compiuto il più lunghe possibile. Lo stesso principio si applica al Ruzzle, tutto è tuttavia trasferito sullo smartphone, rigorosamente touch meglio se retina display per aumentare la sensibilità del movimento, occorre trascinare il dito sul touch screen per due minuti e tre manche e totalizzare il punteggio più alto. 

Semplice? Nemmeno tanto. 

Intanto riuscire a vincere non è affatto facile, come in tutte le nuove attività che siano giochi che lavoro, serve la pratica. Il giochino per fortuna ha una opzione pratica che ci permette di giocare contro noi stessi senza mettere a rischio il punteggio e memorizzare le parole che maggiormente producono punti. Ora non vorrei dilungarmi sul come e perché si accumulano punti, per quello ci sono decine di siti internet che spiegano per filo e per segno ogni dettaglio del gioco fino a farci scoprire ogni e più recondito sistema legale per far punti. No, io vorrei parlare del giochino in se stesso inteso come strumento per distrarre la mente dai mille pensieri quotidiani che ci attanagliano primo fra tutti quello di come fare per arrivare alla fine del mese col misero stipendio al netto delle tasse che riusciamo a guadagnare. 

Un dato su tutti. Le combinazioni possibili, considerando che le lettere dell’alfabeto sono 26 e quelle a disposizione sono 16 sono tante, ben 5,311,735 ma non spaventatevi. Non è che in ognuna delle schermate vi ritroviate a dover indovinare oltre 5 milioni di combinazioni. No, per fortuna no. Il numero delle combinazioni possibili viene indicato dal giochino a fine partita e, di solito, non supera le 500 combinazioni per schermata. 

Ogni minuto libero diventa buono per cucire insieme lettere in versione “touch”. Addirittura, a dispetto del fair play, qualcuno ha già iniziato a barare: ultimamente spopolano le Apps create per risolvere in modo automatico qualsiasi schema proposto dal gioco. La vittoria è assicurata, ma che divertimento c’è? 

Qui entro in gioco io, non nel gioco in se stesso ma in una ponderata analisi della situazione. La dipendenza da gioco, in questo caso la Ruzzlemania potrebbe, se non abbiamo abbastanza carattere per non rimanere invischiati nel meccanismo perverso, portare gli individui che lo praticano di continuo verso una pericolosa dipendenza ne più ne meno come quella da gioco d’azzardo e scommesse per non parlare di droghe varie e il discorso sarebbe lungo, sfiorando la dipendenza dall’alcool, dalle droghe leggere e pesanti e via via attraverso una perversa spirale che porta gli individui che ne sono affatti verso una rapida e dolorosa fine. 

La Ruzzle Mania, se configurata dall’individuo che ne è schiavo, potrebbe diventare patologica e viene considerata come una vera e propria forma di “dipendenza senza droga”. Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali propone diversi criteri diagnostici per il "comportamento maladattivo legato al gioco d'azzardo" considerando che se sono presenti almeno 4 dei sintomi la dipendenza è conclamata e conviene rivolgersi a uno specialista prima che sia troppo tardi. In genere se vi sentite coinvolti in modo sempre crescente nel gioco, per esempio, se vi trovate continuamente a rivivere le esperienze trascorse di gioco, a valutare o pianificare la prossima impresa di gioco, a escogitare sistemi leciti o illeciti per vincere, se cercate di raggiungere un esagerato stato di eccitazione durante il gioco, se l’irrequietezza e l’irritabilità quando tentate di smettere diventano preda di voi stessi, se ricorrete al gioco come una fuga dai problemi o come conforto al senso di disperazione, di colpa, ansia, depressione; se mentite con gli amici della vostra situzione di dipendenza se infine compite azioni illegali per vincere sempre, se mettete a rischio o addirittura perdete una relazione importante, un lavoro, un'opportunità di formazione o di carriera a causa del gioco e se infine reiterati e inutili sforzi di tenere sotto controllo l'attività di gioco, di ridurla o di smettere di giocare non hanno ottenuto successo allora vuol dire che siete diventati schiavi del gioco in se stesso, siete in dipendenza e uscirne non potrebbe essere affatto facile. 

L’allarme sociale sulle problematiche legate al gioco riflette la diffusa percezione della crescente gravità del problema. Qual è la relazione tra gioco ed azzardo? Siamo sicuri che l’essere dipendenti di un gioco forse anche innocente come il Ruzzle non sia l’anticamera per diventare schiavi di ben altri giochi, che illudono di vincere, che facciano pendere la bilancia virtuale di riferimento più evidente (anche se non esclusiva) verso i giochi nei quali la componente casuale è preponderante? L’aleatorietà, cioè l’incertezza sull’esito, permette la scommessa, la scommessa determina la vincita o la perdita, vincite e perdite possono rinforzare o indebolire il desiderio di scommettere nuovamente. 

Il giocatore diviene preda di un sintomo compulsivo, egli evidenzia una progressiva perdita della capacità di porre dei limiti al coinvolgimento nel gioco, potrebbe anche subire perdite economiche frequenti e sempre più vistose, assorbimento sempre più esclusivo nell’attività di gioco. La dipendenza da Ruzzle è solo il primo passo, esattamente come succede per le droghe leggere, quando si comincia a consumarle il passo successivo sono quelle pesanti e sempre più avanti alla ricerca di una soddisfazione interiore anche ludica che porterà coloro che diventano dipendenti cronici a situazioni psicotiche  con la perdita dell’esame di realtà fra i primi rischievidenti come giocare sempre e comunque anche in casi estremi quando il gioco stesso diventa dannoso nell’immediato, per esempio giocare mentre si guida un’auto. 

Diventare schiavi del gioco in tutte le sue forme, dal più innocente apparentemente come il Ruzzle fino ai giochi onerosi come le scommesse varie porta i soggetti a non considerare deleteri fenomeni quali la richiesta continua di prestiti, la scarsa attenzione o il disinteresse per le attività lavorative, di studio, professionali, sportive. 

È realmente questo che volevate quando avete iniziato a giocare a Ruzzle? Siete consapevoli dei rischi che state correndo? 

PS. Io gioco a Ruzzle mediamente una o due volte al giorno, adesso che lavoro all'estero, lontano da casa, quando rientro in albergo per distrarmi, nei weekend per la stessa ragione. Potrei essere a rischio? Potrei ma non è il mio caso, sono già arrivato a quella fase, abbastanza comune per quello che mi riguarda, di rigetto del gioco stesso. Una forma idiosincrasica di noia da gioco, che si manifesta dopo un certo periodo. Se prima giocavo dieci partite al giorno oggi ne gioco due, arriverò a giocarne una sola e probabilmente la voglia e l'interesse se ne andranno a cercare altri giochi maggiormente stimolanti o riempitivi di quel tempo libero che ho in relativa abbondanza quando il mio lavoro, come adesso, si svolge lontano dalla famiglia. 
Non ponete il gioco avanti a tutto, ricordatevi che prima esiste la famiglia, il lavoro, gli affetti, i divertimenti all'aria aperta, lo sport e molto altro ancora. Non dimenticatevelo.

2013/03/09

Servizio Assistenza Online

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2013/03/08

8 Marzo

Mie colendissime lettrici e non di meno eccellentissimi lettori, consentitemi di esprimere un parere, un dolente parere, a proposito della Giornata della Donna.  Mi direte che sono fuori tempo, che la Festa anzi la Giornata Internazionale della Donna era ieri e che mi sono dimenticato di parlarne il giorno prima. Ebbene avete ragione anche se io intendevo, non già festeggiare la donna in quanto tale, ma ricordare all'uomo, casomai se ne fosse dimenticato, che l'altra metà del cielo non è sua ma della donna. E comunque non era dimenticanza, ma decisione e intenzione, e aggiungiamoci caparbietà che spesso mi distingue, di pubblicare il giorno dopo un articolo scritto il giorno prima,  sapete perchè?

Prima io volevo leggermi tutte le promesse, le speranze, i proclami, le proteste, le conferenze, le manifestazioni, gli scioperi, i cortei, i programmi alla tivù e finanche alla radio e tutti i numeri che i media, le istituzioni, la polizia, le associazioni di categoria, le ong, i centri antiviolenza e finanche la Chiesa, rendono pubblici ogni anno lo stesso giorno, per raccontarci la Giornata Internazionale della Donna. Sempre le stesse frasi, sempre le stesse promesse, anche se alla fine, i numeri, quelli cambiano ma sono terribili, aumentano sempre e non diminuiscono mai. 

Un po' di storia

Il Woman’s Day nasce degli Stati Uniti a febbraio del 1909, le premesse non sono quelle di oggi, erano altre, piccole forme, se vogliamo, di violenza nei confronti delle donne.
Al tempo la donna rivendicava le fosse riconosciuto un posto nella società e quindi il diritto al voto. Come sappiamo non tutte le nazioni aderirono alle varie proposte, ancora oggi la donna non ha diritto di voto in alcune nazioni islamiche, non ha diritto di parola, non hanno alcun diritto salvo quello di mettere al mondo la prole che poi diventa un dovere e accudirla. Quasi quanto le bestie con la sola differenza che quelle alla fine si macellano per farne cibo e la donna resta schiava per tutta la vita fino allo sfinimento totale.

Torniamo dunque al Woman’s Day americano. Al tempo del Settimo Congresso dell’Internazionale socialista, tenutosi a Stoccarda nel mese di agosto del 1907 vennero discusse varie tesi fra le altre anche sulla questione femminile e sulla rivendicazione del voto alle donne. Proprio su quell’argomento il Congresso votò una risoluzione nella quale i partiti socialisti si impegnavano a lottare per l’introduzione del suffragio universale delle donne, ma esclusero a priori qualsiasi alleanza con le femministe borghesi che anche esse reclamano il diritto di suffragio. Come potete vedere già da allora i distinguo politici più che umani, scavavano un profondo solco fra le classi sociali non afferrando per intero il concetto, cioè la donna doveva ottenre il suffragio, in quanto tale e non perchè socialista o povera oppure operaia escludendo altre categorie.  

Mi sembra chiaro che non tutti condivisero la decisione di escludere ogni alleanza con le femministe borghesi. Negli Stati Uniti, nel 1908, si scrisse che il Congresso Socialista non aveva alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione. Corinne Brown fu chiamata a presiedere, il 3 maggio 1908 la conferenza tenuta dal Partito socialista di Chicago, a cui tutte le donne erano invitate. Tale conferenza fu chiamata “Woman’s Day”, il giorno della donna. Nel corso di quella conferenza si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto. In seguito il Partito Socialista americano raccomandò a tutte le sezioni locali di riservare l'ultima domenica di febbraio a partire dal 1909 per l'organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile.

Tralasciamo il resto della storia e, con un bel salto degno di qualche campione olimpionico di salto in lungo, molto lungo, attraversiamo l’oceano e atterriamo in Europa, per la precisione nella Russia zarista ma ancora per poco. A San Pietroburgo, l'8 marzo 1917 le donne guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra. Per questo motivo, e anche a seguito della caduta dello zarismo e con l’intento di fissare un giorno comune a tutti i Paesi, nel 1921 la seconda conferenza internazionale delle donne comuniste fissò all'8 marzo la “Giornata Internazionale dell'Operaia” divenuta in seguito la festa della donna, pardon, la “Giornata Internazionale della Donna”.

Come nasce il giorno della donna in Italia? Innanzitutto va detto che da noi si ebbero le prime manifestazioni solo nel 1922 e come negli altri Paesi su iniziativa del partito comunista. In seguito, ma non vorrei continuare su questo binario, assunse quella connotazione a tutti nota. Non voglio continuare perchè ritengo che raccontare una volta di più come sia nata questa ricorrenza non indora la pillola. La donna, regina del nostro focolare, non ha raggiunto quella posizione a cui anelava. 

Oggi


Mi si dirà che, almeno nel mondo cosiddetto civile, almeno occidentale, la donna ha raggiunto i propri obbiettivi. 
Vorreste dire che adesso la donna vota? Una volta forse, parliamo di un secolo indietro, la donna anelava al diritto di voto per esprimere il proprio punto di vista e vedersi riconosciuti dei diritti e battersi per ottenerli. Ma il voto non risolve tutti i problemi.

La donna moderna, sempre la stessa regina del nostro focolare virtuale domestico, non ha raggiunto una completa parità con l’uomo, no, la donna viene ancora oggi considerata un essere inferiore, un gradino sotto a quello dell’uomo inteso come maschio, inteso come padre padrone di tutte le cose, moglie evidentemente compresa, o figlia o sorella e la lista sarebbe lunga. 
E questa proprietà, badate non parità, proprietà come se fosse un oggetto, il maschio la esprime in vari modi, non ultimo quello della violenza domestica. Leggo sul sito del D.i.RE. (Donne in Rete) che solo in Italia la violenza sulla donna non ha mai cessato di esistere, non è morta e sopolta, no, ancora viva e vegeta e tende a moltiplicarsi e assumere contorni da guerra santa. Peccato che di santo ormai non ci sia nulla, se non la speranza che tutto questo abbia fine prima o poi. Mi scaglio, è perfino evidente, contro una certa parte di persone, benpensanti solo a parole ma non nei fatti che ancora oggi picchiano le proprie mogli. Nel 2012 sono state oltre 14 mila le donne che hanno chiesto aiuto per interrompere situazioni di violenza. Le donne che nel 2012, si sono rivolte per la prima volta ad un centro antiviolenza sono state 9 mila, un numero elevato che conferma la diffusione del fenomeno della violenza sulle donne. Delle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza la maggioranza erano italiane (68,69%) sfatando lo stereotipo che la violenza sia più diffusa tra le donne straniere. 

Le violenze in ambito familiare sono le più diffuse (88,66%); i maltrattamenti a opera del partner costituiscono il 60,42%, mentre gli ex partner risultano essere il 19,36%, un dato che evidenzia come al momento della separazione c’è necessità di strategie di prevenzione di atti di violenza. 
Il 73,13% delle donne ha subìto violenza di carattere psicologico, nel 59,9% delle situazioni rilevate, le donne hanno riportato episodi di violenza fisica, nel 33,54% si è trattato di violenza economica. Il 15,64% delle donne ha subìto almeno un tipo di violenza sessuale, stupro e rapporti sessuali imposti, e il 13,27% delle donne sono state vittime di stalking. 
Infine resta alto il dato sui femminicidi per cui in Italia viene uccisa una donna ogni 2,5 giorni. Sono state infatti 124 le donne uccise nel 2012, e almeno 10 nei primi 60 giorni del 2013. Gli assassini son sempre gli stessi, mariti, partners o ex, parenti, persone con cui le donne vivono tutti i giorni. Le vittime sono italiane nel 69% dei casi, così come gli assassini 73%. Il 60% dei delitti è avvenuto nel contesto di una relazione tra vittima e autore, in corso o conclusa. Nel 25% dei casi le donne stavano per porre fine alla relazione o l’avevano già fatto. 
Vi rendete conto? È un bollettino di guerra questo, non un semplice resoconto di un anno che è trascorso, un anno di pace e di speranza come diceva il Papa Benedetto XVI che pure ha pensato bene di toglier il disturbo forse spaventato da questo mondo che per quanto si predichi il bene continua a peggiorare. Quante saranno le donne che realmente sono oggetto di violenze domestiche o di lavoro che non denunciano il proprio partner o datore di lavoro per paura di perdere tutto? Pensate che festeggiare l’8 Marzo risolva il problema? Assolutamente no, le statistiche lo dicono, la violenza sulle donne continua imperterrita nonostante le campagna sociali, le manifestazioni, le leggi promulgate per combattere queste deprecabili abitudini.

Sissignori, abitudini. Sono abitudini che l’uomo, il maschio ha appreso fin dalla tenera età, che ha assimilato vivendo in una famiglia ove il padre era violento, oppure se lo porta dietro nel proprio DNA da sempre e per sempre non resisterà alla tentazione.

La violenza contro le donne non si estirpa con quattro leggi o venti congressi sull’argomento, nossignori, bisogna partire da molto più lontano, da noi stessi per trovare quelle giuste motivazioni affinché questi aberranti comportamenti trovino fine.

Festa della donna tra violenze e mimose. 
Che senso ha festeggiare l’8 marzo?





2012/12/02

Il frustrato e la frustrata, una bella coppia!

La frustrazione è la mancata gratificazione di un desiderio, oppure l'impedimento alla soddisfazione di un bisogno. È uno stato psicologico che si verifica quando un ostacolo blocca il conseguimento di un fine da parte di un organismo che sia motivato a conseguire quel fine.

Questa la definizione, chiara, semplice e lineare. Perchè e come si arriva a definire un individuo un frustrato, nel mio caso potrebbe essere identificato come una rappresentante dell’altro sesso, voglio generalizzare anche perchè intitolare l’articolo “la frustrata” potrebbe dare un diverso significato al mio scritto. Innanzitutto vediamo perchè si verifica: leggo su internet che può verificarsi solo per un organismo che tende a guidare il proprio comportamento dirigendolo verso un fine che nel momento considerato sembra poco chiaro, incomprensibile. 


L'inguaribile frustrazione nell'essere patetica!
Approfondisco e scopro che il comportamento deve essere attivato da una motivazione più o meno specifica; e già qui ha una propria valenza, vedo una luce, occorre che ci sia un oggetto (incentivo) corrispondente al bisogno-desiderio-attesa, in grado di gratificarli, gratificare i frustrati suppongo e scopro che non c'è frustrazione senza l'interferenza di un ostacolo che interviene tra la motivazione e l'incentivo, impedendone l'acquisizione. Interessante, quindi le cause della frustrazione sono molteplici, non solo ed esclusivamente la consapevolezza di non poter usufruire di un supposto privilegio ma anche una forma mens di bisogno inatteso non esaudibile. 

Una spiegazione potrebbe essere che l’individuo frustrato uscendo dal grembo materno è costantemente impegnato ad affrontare un ambiente fisico che ha leggi proprie, non sempre corrispondenti ad una immediata soddisfazione delle esigenze dell'organismo (ad es. fame, sete, riparo, protezione, freddo, caldo, umidità...), il non avere accesso a queste elementari esigenze potrebbe spingere mentalmente l’individuo verso una primaria forma di frustrazione, si spiega ma non giustifica, resta da capire perchè. I fattori sociali vanno considerati, perchè è vero che l'uomo vive in un ambiente fisico "umanizzato", cioè sociale, costruito per adeguarsi alle esigenze dell'uomo. Ma le norme sociali che reggono questo ambiente non sempre favoriscono l'esistenza: molte norme scritte (e non scritte) vincolano l'azione, al punto che impediscono la soddisfazione dei desideri (ad es. un matrimonio misto, la vincita di un concorso...) e qui intervengono i fattori personali propri dell’individuo preso in esame, la casistica li suddivide in biologici, psicologici e sociali. 

Quelli biologici poi riguardano l'organismo (fonte di frustrazione è una particolare condizione fisica: piccolo di statura, capelli rossi, miopia...). Ovviamente la situazione fisica in sé non è causa di un disadattamento, ma lo diventa se viene vissuta così o se viene proposta al soggetto in modo frustrante (chissà se comprende anche l’essere stronza?), i fattori psicologici riguardano la personalità (ad es. vivere in un ambiente centrato sull'efficienza operativa può essere frustrante per chi possiede una personalità desiderosa di coinvolgimento emotivo, contatto umano e comprensione). Infine i fattori sociali riguardano la società (ad es. l'appartenenza a un certo contesto o classe sociale può determinare frustrazione). 

Da notare però che una stessa esperienza di mancata gratificazione può essere percepita da una persona come sgradevole o umiliante, mentre per un'altra può essere stimolante. Spesso l'impossibilità di soddisfare immediatamente un desiderio è utile stimolo di ricerca di nuove soluzioni.

Ci si accorge dell’esistenza di un frustrato nel momento che esso manifesta il proprio status, fino a quel momento la patologia non è riconoscibile, non ce ne rendiamo conto. Purtoppo i danni potrebbero essere anche importanti, danni personali intendo, danni psicologici causati dal subire l’attacco a volte continuato del frustrato che impedisce di avere una visione chiara della situazione e attuare le migliori difese che, ribadisco il concetto, non sono sempre violente, potrebbero anche esserlo in casi limite, in genere la nostra reazione deve spingere il frustrato a riconsiderare il proprio status mentale e accettare la propria situazione anche se portati a desiderare altre e diverse situazioni e non sempre migliori di come il frustrato è indotto a pensare. 

I meccanismi di difesa poi: ansia, angoscia e apatia sono reazione più o meno consapevoli del soggetto. Ma esistono anche dei meccanismi di difesa inconsci ed estremi, appartenenti a qualunque individuo, che sono praticamente espressione della necessità di mascherare o fingere una condizione di vita migliore di quanto non sia in realtà. Naturalmente se la persona si rapporta alla realtà solo ricorrendo a questi meccanismi, allora essi vanno considerati come sintomi di una nevrosi. Che meccanismi sono maggiormente evidenti nel frustrato? Sicuramente la regressione: quando in caso di malattia ricompaiono atteggiamenti infantili oppure la fissazione che porta il frustrato a ripetere un comportamento anche al mutare delle circostanze. 

Quella contro i frustrati è una mia guerra personale. Dovrei dire le frustrate. Donne che amano nascondersi dietro l’immagine apparente di donna=forte mentre invece non sono, donne irrealizzate i cui sogni sono stati erosi dal tempo e dalla realtà, categorie alle quali, ahimé, appartiene il 98% della popolazione mondiale (a essere ottimisti), parlo anche, e soprattutto di quelle che non ci stanno, che non si adattano, che sfogano il loro livore contro tutta l’umanità: quelle sono le frustrate che non sopporto. Che poi magari in questi tempi di crisi finanziaria mondiale sono costrette a lavori umili, magari con due lauree nel cassetto a ammuffire, non era importante la laurea, poco male se non c’è, potrebbero essere benissimo persone dotate di un’intelligenza e un talento prodigiosi ma che sono, purtroppo per loro, nati nella famiglia sbagliata. Io parlo di quelli e quelle che, senza titolo alcuno e con scarsissima dose di buon senso, pretendono che il mondo si inginocchi, che obbedisca loro docilmente, pena “dispetti” e “punizioni” degni di un bambino viziato al primo anno di asilo, che poi nemmeno è vero questa, mio figlio al primo anno d’asilo non si atteggia, non usa l’arma del dispetto ne tantomeno quella della punizione, a lui piace sentirsi gratificato e si comporta sempre di conseguenza. 

Insomma, oggi ce l’ho con una stronza che frequenta un forum dove mi esibisco spesso in quelle che io definisco “storie di vita” vale a dire una guida per viver meglio nel proprio ambiente o in quello che si elegge a proprio anche se non lo è. Si, si, lo sappiamo, la situazione in Italia è sempre la stessa, la gente è insofferente, non si riesce a trovar lavoro, non si riesce a ottenere il minimo fisiologico dei servizi, non si riesce a vedere la fine dopo tutti i disagi ma credetemi non si tratta solo di quello, anche se abbiamo una casta politica intrigante e menefreghista che fa desiderare i tempi quando c’era Lui, lui chi? Lui, lui... Almeno tutti guardavano a valori unici mentre ora pensano solo a riempirsi la borsa, anzi la valigia, di danaro furbescamente sottratto agli italiani fessi e che nessuno mai restituirà nemmeno nel momento in cui finalmente il popolo italiano alzerà ‘sto cazzo di testa mandandoli via tutti. 

Non non pensavo a questo nel definire il frustrato, anzi la frustrata. 
Quando il frustrato entra nella nostra vita e che danni può o potrebbe arrecarci?
Difficile da quantificare, la famosa frase ‘uno, nessuno o centomila’ potrebbe essere tranquillamente applicata senza che si trovi una reale cura o un metodo di guarigione efficace. Diventa a questo punto complicato se non impossibile trovare la guarigione nel frustrato che col tempo rappresenta una minaccia consistente se rapportata a un singolo individuo. Nella nostra vita di esseri umani, molto spesso ciò che fa emergere un conflitto non sono due oggetti o due situazioni, quanto le richieste inconciliabili che provengono dai diversi modelli valoriali e di comportamento che presuppongono i vari ruoli che ricopriamo nella nostra vita. Fra i conflitti di ruolo, si tendono a distinguere i conflitti intra-ruolo (quando le attese da parte di diversi attori sociali nei confronti dello stesso ruolo sono parecchio discordanti) e conflitti inter-ruoli (quando uno stesso individuo ricopre più ruoli che prescrivono attese e comportamenti fra loro discordanti e inconciliabili).

Alcuni dei conflitti di ruolo più tipici della nostra società sono ad esempio quello in cui si trova l’adolescente, diviso fra le esigenze di autonomia che gli richiede il suo ruolo di individuo adulto e quelle di protezione e dipendenza che gli richiede il suo ruolo di figlio, oppure quello delle donne,spesso divise fra il ruolo domestico e quello e quello professionale. Molto spesso questi conflitti, che come abbiamo detto possono riferirsi a sfere particolari della vita di un individuo, possono generare un tale calo dell’autostima e della fiducia in se stessi da allargarsi ad altre sfere, fino a colpire addirittura l’intera persona, in un fenomeno noto come “ego-diffusion”.

La situazione di marginalità, ossia la situazione in cui si trova un individuo che si trovi a far parte contemporaneamente a due o più gruppi differenti, con richieste incompatibili può essere risolto attuando varie strategie:
1) Separazione: consiste nel tentativo di scindere in vari modi (nel tempo e nello spazio) i due ruoli contrastanti. La separazione può agire anche a livello profondo, attraverso un meccanismo che porta a distaccarsi interiormente da uno o più dei ruoli in conflitto (in genere quelli sentiti come colpevoli). Spesso i ruoli scartati possono essere proiettati su di un Io ausiliario. Questo tipo di separazione non viene attuata attraverso una negazione in toto dell’azione, ma solo attraverso una negazione della propria responsabilità. Nei casi più gravi, invece, uno dei due ruoli può essere completamente rimosso, con grandi conseguenze per l’equilibrio psichico dell’individuo.

Ma perché gli esseri umani non riescono a tollerare che due sistemi di valori e di aspettative convivano? Secondo alcuni ciò è riconducibile ad una motivazione sociale, oppure a una motivazione cognitiva, mentre secondo altri si basa sulla teoria della dissonanza cognitiva, la spinta ad essere coerenti nella vita conoscitiva può essere paragonata alla spinta omeostatico nella vita biologica. Infatti la presenza di una dissonanza cognitiva spinge automaticamente l’individuo a tentare di eliminare tale dissonanza. Sono state raccolte diverse prove a sostegno di tale teoria in particolare in occasione di un esperimento durante il quale vennero studiati le reazioni di un gruppo di persone appartenente ad una setta che credeva nell’imminente fine del mondo.

La verità come al solito è sempre la stessa: evitiamo per quanto possibile di essere causa di frustrazioni in altri individui, quando questo non è possibile o fattibile meglio ignorare completamente il frustrato, alla fine si stancherà di voi. La cura che lui o lei deve affrontare non dipende da voi, lasciate che siano altri a affrontare al questione liberandovene definitivamente. 

(Corollario: Perché Frustrato e perché Frustrata? 
Il frustrato é sicuramente colui che in questa storia non partecipa le idee altrui e altrimenti cerca di rendere difficile la vita alla propria vittima designata, la frustrata altro non é che l'estensione della frustrazione del frustrato. Doppiamente frustrato perché tenta di nascondersi nelle sembianze altrui per far credere di, mentre invece l'unico credo che pervade é quello di un  poveruomo. Si riguardi, lo dico seriamente, la vita é breve, magari in un altro racconto gli consiglierò di bersi un Cynar!)