Dopo il primo significativo confronto tra l’Eurogruppo e la Grecia, dopo il secondo in cui si prospettarono altri 6 mesi di proroga, dopo gli ultimi incontri che invece di avvicinare, allontanano le parti ecco che l’accordo appare ancora lontano quasi impossibile. Al momento Atene appare la sola tra le parti a offrire concretamente una certa malleabilità: «Il fatto che abbiamo un mandato non ci dà certo il diritto di fare tutto ciò che vogliamo -ha spiegato Varoufakis ai giornalisti all’uscita dal summit- ma ci dà quello di essere ascoltati», aggiungendo che «la Grecia non accetterà mai di stare in questo programma -la Troika- semplicemente perché per noi questo programma è stato catastrofico». Il ministro dell’economia greco ha accennato anche alle quantomeno incaute e approssimative notizie trapelate a fine anno su un’eventuale ripresa greca: «Le voci che l’economia greca sarebbe stata in ripresa nell’ultima parte del 2014 -continua Varoufakis- sono fortemente esagerate» perché «l’aumento del Pil reale è solo un miraggio. In realtà il Pil nominale, ossia i guadagni in euro, è diminuito» comportando l’innalzamento di quello reale: «l’unica ragione per cui il Pil reale è schizzato è perché i prezzi sono precipitati. Questo non è un segnale di ripresa, al contrario è un segnale di forte deflazione».
Insomma l’idea è quella di due parti ancora molto lontane ma vogliose di provare a capirsi. La durezza con cui alcuni vertici del gruppo Ue -Djisselbloem e Schaeuble su tutti- trattano le istanze di Atene appaiono più che altro come l’ultimo disperato tentativo di preservare un sistema che con sempre più totale evidenza sta mostrando le sue crepe a tutti, dopo un buon quinquennio di totale intoccabilità.
Basterebbe a esempio notare la scomparsa degli spot progresso che ti invitavano a parlare d’Europa, perché «di Europa si deve parlare», o meglio: fino a poco tempo fa ne dovevamo parlare tutti in piazza, ora se ne parla in concertazione riservata tra quattro mura. Questione mutata in pochi mesi.
L’assioma che invece è emerso sul territorio nazionale è quello secondo cui di Europa si può anche temporaneamente smettere, ma almeno «di Grecia si deve parlare», laddove poco importa conoscere nel dettaglio, ma è sufficiente metabolizzare l’assunto che i greci hanno il debito così vertiginoso perché “si sono mangiati tutto” e quindi “devono pagare”. Insomma, nonostante le premesse il dibattito non è molto lungo, tant’è che di solito si esaurisce con un grafico 2004-2010 in cui si evidenzia il debito pubblico e si conclude rapidamente con una richiesta di riscatto generica, perché i ladri sono stati “i greci”, chi ha falsificato i bilanci sono stati “i greci”, chi ci deve sei soldi sono “i greci”. Ma “i greci” chi?
Questa effettivamente è una specifica che non viene mai e poi mai affrontata, né da chi indica l’Ellade come origine di tutti i mali finanziari dell’Eurozona, né da chi difende la posizione di Atene attribuendole il ruolo di possibile via di fuga dalla palude fangosa dell’immobilismo economico e politico. La faccenda su cui nessuno credo possa dubitare è la dissennata gestione della cosa pubblica da parte dei precedenti governi greci -nel periodo che va dal 2002 al 2013- e in fondo è lì che vanno a puntare le accuse di chi sta dalla parte dell’intransigenza “troikiana”. In questo processo però il passaggio che manca è inquadrare il contesto in cui hanno operato i precedenti governi, troppo spesso denominati impropriamente come “Governo Centrale”, quasi per appiattire il tutto.
Prendiamo Costas Simitis, premier del paese dal 1996 al 2004 e leader del Pasok. Descrivendo il Πανελλήνιο Σοσιαλιστικό Κίνημα -Panellinio Sosialistiko Kinima, letteralmente Movimento Socialista Panellenico- possiamo inquadrarlo come un partito di estrazione liberale e socialdemocratica, improntato principalmente sulla dinastia Papandreou – prima il padre Georgios, poi il figlio Andreas, poi il nipote George. Provando invece a cercare un parallelismo comunque difficile con il nostro paese, ci limiteremo all’ampia definizione di “centro-sinistra”.
Simitis -che ha formato i suoi studi all’Università di Marburg, in Germania- divenne premier nel 1996 sostituendo proprio Andreas Papandreou, le cui precarie condizioni di salute si aggravarono a tal punto da portarlo alla morte in tre mesi. Al contrario di quel che si può pensare, Simitis -appartenente all’ala “modernizzatrice” e filoeuropeista del Pasok- non era il cavallo vincente del premier uscente: Papandreou aveva infatti indicato come suo successore Akis Tsohatzopoulos, che però venne superato da Simitis durante la riunione speciale di partito, avvenuta il 18 gennaio di quell’anno. Nel frattempo Papandreou rimase comunque presidente di partito fino alla morte, il 23 giugno 1996. Fu a quel punto che Simitis riuscì a ottenere anche la massima carica, il tutto dopo aver superato nuovamente Tsohatzopoulos durante l’assemblea -che noi potremmo chiamare “primarie interne”- del 30 giugno. Decisivo fu appunto il supporto delle nuove e incombenti politiche comunitarie, di cui Simitis era fervente sostenitore.
Simitis guidò il PASOK a vincere le elezioni anticipate del settembre 1996, anno in cui la sinistra nella sua versione post-muro provocò illusioni e disillusioni abbastanza diffuse, anche dalle nostre parti. Scrive Antonio Ferrari del Corriere della Sera alla vigilia del voto, il 19 settembre 1996:
L’uomo della svolta può essere il premier uscente Costas Simitis, 60 anni ben portati, un professore di economia che, pur avendo raccolto l’ingombrante eredità politica del prestigioso Andreas Papandreu, è in realtà il suo contrario. Incapace di retorica, metodico, poco incline al populismo. Simitis ha vinto la prima scommessa, sostituendo al timone del governo il vecchio leader malato. Ha vinto la seconda, guadagnandosi la presidenza del Pasok dopo la morte del patriarca. Avrebbe potuto vivere di rendita fino all’ottobre ’97, scadenza naturale della legislatura. Ha preferito invece rischiare subito la terza scommessa, chiedendo la legittimazione popolare e 4 anni di tempo per portare la Grecia alla laurea europea. Proprio questa determinazione, in un Paese facile alle emozioni, rischia di diventare il suo limite.
Certo, fa effetto sentir parlare di “laurea europea”, oggi. La laurea si sa vive nello stesso campo semantico del successo e del premio, della ricompensa, del riconoscimento e dell’incasso. Noi dopo vent’anni di laurea siamo costretti a parlare di debito, deflazione, fallimenti e bocciature. A ogni modo Simitis non solo vinse nel 1996, ma riuscì a confermarsi anche nel 2000.
L’esecutivo Simitis fu sicuramente il governo ellenico decisivo per l’accelerazione di Atene in direzione Bruxelles. L’opera politica di Eksynchronismos -“modernizzazione”- si impose su un vastissimo raggio di aree -dalle infrastrutture alla riforma del lavoro- attuando opere di investimento e di privatizzazione.
Interessante l’analisi del concetto Eksynchronismos offerta da Kostas Stafylakis, 38enne artista e intellettuale ateniese, esperto d’arte, filosofo e ricercatore presso la Facoltà di Scienze Politiche e Storia dell’Università di Atene:
Nel corso degli ultimi 15 anni lo slogan politico più dibattuto e controverso nella società greca è stato quello di “modernizzazione” (eksynchronismos). Il contesto sociale, politico e culturale del suo riemergere nella vita pubblica greca nel 1990 è attualmente sottoposto a studio rigoroso e analisi da parte della maggioranza degli approcci analitici nelle discipline accademiche. Qualsiasi definizione conclusiva del termine “modernizzazione” sembra essere rischioso, in quanto gli effetti complessivi dei processi che il termine descrive non possono essere ridotti al ritratto corrente o recente economica e di sviluppo della Grecia. Sotto la prima somministrazione del primo ministro Costas Simitis (1996-2000), la Grecia ha aderito all’Unione economica e monetaria europea e sperimentato un boom nella costruzione di infrastrutture pubbliche, una razionalizzazione della sua amministrazione, un inedito abbassamento dell’inflazione e una stabilizzazione della politica degli affari esteri. Lo slogan “modernizzazione” è diventato un efficace punto nodale ideologico ridefinire tutte le divisioni culturali, economici e politici nella società greca.
Dunque è grazie a Simitis che la Grecia entra nell’Unione monetaria, posizione consolidata grazie al doppio mandato sancito nelle successive elezioni dell’aprile 2000. Scrive sempre Ferrari e sempre sul Corsera, proprio in quel periodo, era il giorno 10:
«Qualunque cosa succeda, la Grecia entrerà nell’euro». Yannis Stournaras, 43 anni, architetto del piano che ha consentito a Atene di adeguarsi, con una maratona quasi trionfale, ai parametri di Maastricht, raccogliendo complimenti a Bruxelles e a Lisbona (che ha la presidenza di turno dell’Unione europea), non ha dubbi. Nonostante il suo cuore dica ovviamente Pasok, e nonostante – nelle ore in cui è ancora incerto l’esito del voto – partecipi con passione alle operazioni di spoglio delle schede, è uno che può essere comunque soddisfatto. Il compito che gli era stato affidato è stato brillantemente eseguito. Persino gli europei più critici nei confronti della Grecia, Olanda in testa, sono stati costretti a riconoscere che Atene ha compiuto il suo dovere. Stournaras, studi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, professore di macroeconomia all’Università di Atene, da sette anni consigliere economico del primo ministro, è appena rientrato dal Portogallo, dove ha partecipato a una nuova riunione comunitaria, in vista del vertice di giugno che ratificherà l’ingresso della Grecia in Eurolandia. Ieri mattina è andato a votare, in un seggio di Kyfissia, circoscrizione borghese a nord della capitale, e è rientrato a casa, preparandosi alla lunga notte di attesa, davanti alla tv. «Il risultato elettorale, qualunque esso sia, non potrà cambiare nulla di quanto abbiamo raggiunto. Il processo di convergenza è quasi concluso e ormai è irreversibile – racconta il giovane professore al Corriere della Sera -. Mancano ancora, prima dell’annuncio, due o tre incontri con la Commissione europea e la Banca centrale, ma ormai quel che si doveva fare è stato fatto. Tutti i parametri fissati sono stati raggiunti. L’inflazione è attorno al 2,5 per cento, la crescita si avvicina al 4 per cento. Un dato, quest’ ultimo, che ci colloca subito dietro l’Irlanda. L’ingresso della Grecia in Eurolandia è ormai sicuro, a partire dal 1° gennaio 2001».
Yannis Stournaras era allora membro della commissione economica e monetaria dell’Unione europea, ma lo ritroveremo più tardi come Ministro delle Finanze dell’esecutivo Samaras, a testimonianza del fatto che negli ultimi vent’anni il valzer dei politici greci sia stato estremamente esclusivo, riservando la partecipazione alla grande giostra di incarichi a nomi che si ripetono e si rincorrono. Come appunto Akis Tsohatzopoulos, formatosi anch’egli in un’università tedesca -quella di Monaco di Baviera- dapprima avversario interno di Simitis per la presidenza del PASOK e battuto con 86 voti a 75, e in seguito nominato dallo stesso Simitis prima Ministro della Difesa -fino al 2001- e poi Ministro per lo Sviluppo Economico dal 2001 al 2004.
Questo fu il periodo della famosa falsificazione di bilancio emersa successivamente a seguito della denuncia presentata dall’esecutivo successivo al doppio mandato Simitis, quello dell’altro riesumato eccellente Kostantinos Karamanlis, leader dell’opposizione di centro-destra di Nea Dimokratia. In seguito all’inchiesta sull’operato dell’esecutivo Simitis emersero a carico del ministro Tsohatzopoulos varie inchieste giudiziarie: evasione fiscale, riciclaggio di denaro, corruzione.
Nel maggio del 2010 emersero rivelazioni su una costosissima casa -1.100.000 euro- acquistata dalla moglie di Tsohatzopoulos da una società off shore con sede negli Stati Uniti. Nel giro di pochi mesi l’ex ministro entrò nel registro di altre due torbide vicende, su cui emerge lo scandalo Siemens. A seguito di indagini avviate nel 2008 venne alla luce un abnorme giro di tangenti tra politici e dirigenti pubblici greci, con l’implicazione di grosse società come la OTE -il maggior gestore di telecomunicazioni sul suolo ellenico- e l’azienda tedesca Siemens, per la fornitura di materiali e servizi allo Stato greco. Scrive l’ANSA il 10 giugno del 2010:
Il direttore esecutivo della Siemens greca, Dionisio Dendrinos, è stato arrestato nell’ambito di un caso di corruzione che sta facendo tremare la politica greca. L’arresto di Dendrinos, avvenuto ieri sera, fa seguito a quello di altri due dirigenti della società e a un mandato d’arresto internazionale contro Mikhalis Crithoforakos, presidente della filiale greca della Siemens, che avrebbe pagato per anni tangenti per ottenere contratti e appalti. Un mandato d’arresto è stato spiccato anche contro il dirigente finanziario della Siemens, Christos Karavellas, mentre indagati sono anche membri della sua famiglia. Sia Crithoforakos che Karavellas si troverebbero in Germania. L’inchiesta della magistratura riguarda tangenti che sarebbero state pagate dall’impresa tedesca a politici greci nel corso di diversi anni e in particolare per i sistemi di sicurezza delle Olimpiadi del 2004. Lo scandalo coinvolgerebbe sia esponenti del partito socialista di opposizione Pasok, quando era al governo, che dell’attuale partito di maggioranza del premier Costas Karamanlis (ND). Il Pasok ha chiesto un’indagine parlamentare sul caso Siemens, respinta da Karamanlis che vuole prima attendere la fine dell’inchiesta giudiziaria.
La responsabilità è solo da attribuire ai politici greci, o da condividere con il colosso tedesco? Di certo anche da queste parti abbiamo avuto un’esperienza simile negli anni Settanta con lo scandalo Lockheed in cui vennero coinvolti ministri della difesa e illustri cariche istituzionali. In fondo anche in Italia abbiamo fatto i conti con la “modernizzazione”. Nella bufera Siemens finì il PASOK, ma non venne risparmiata neanche la coalizione di centro-destra del successivo premier Karamanlis, quella che contestava appunto quella falsificazione del bilancio pubblico con cui Berlino ora tenta di inchiodare Atene sulla questione debito.
Durante un’intervista rilasciata lo scorso novembre, Alekos Alavanos, leader politico di Piano B, presente nella coalizione di Syriza, così dichiara:
Atene fa parte della zona euro dal 2002. Ma, in realtà nel paese circolano due monete perché la Grecia aveva avuto la maggiore inflazione della zona euro. L’euro di un italiano ha un potere d’acquisto diverso rispetto a un greco. La seconda valuta è l’euro europeo, vicino all’euro tedesco per le transazioni finanziarie internazionali. Con nessun riferimento però concreto ai fondamentali del paese. Da quest’immagine possiamo capire come una delle radici più importanti della crisi è la mancanza di competitività. Gli stereotipi della corruzione sono fuori controllo, clientelismo, arretratezza, ma corruzione in Grecia in greco moderno è “Siemens”. E c’è un politico greco, uno dei leader del Pasok e ministro della Difesa, accusato di aver preso tangenti dalla Germania per sottomarini, aerei e tutto quello che. Se il problema delle due valute non viene risolto, la Grecia non può uscire dalla crisi.
Insomma, il disavanzo greco è stato provocato dai greci. Ma quali greci? I politici greci, i corrotti. Dalla Siemens. Azienda tedesca. Riformuliamo: il disavanzo greco è stato provocato dai politici greci. E dai tedeschi. Scrive Marco Cobianchi su Panorama, è lo scorso 4 luglio: Ma l’anno nel quale i tedeschi sono scesi con i piedi per terra e si sono resi conto di non essere affatto immuni dal virus della tangente è stato il 2007 quando ben 6 grandi società sono state accusate di corruzione. Il caso più clamoroso riguarda la Siemens, multata per 600 milioni di euro per essere stata scoperta a pagare sistematicamente mazzette in tutto il mondo per accaparrarsi contratti pubblici usando un fondo nero alimentato da centinaia di milioni di euro ogni anno. Oltre ai 600 milioni alle autorità tedesche, la Siemens ha pagato altri 800 milioni alle autorità americane e ha versato altri 100 milioni a organizzazioni internazionali noprofit che combattono la corruzione negli affari.
E ancora: Poi ci sono le tangenti greche, quelle sulle quali Nikolaos Chountis ha chiesto, inutilmente, lumi a Martin Schulz. A guardare gli archivi dei giornali sembra che nessun affare concluso da aziende tedesche in Grecia sia esente dalla mazzetta. Il caso più importante riguarda l’affare dei sottomarini, una storia da 1,14 miliardi di euro che inizia una decina d’anni fa le cui indagini vennero subito interrotte a causa, secondo i giornali tedeschi, “della scarsa collaborazione da parte delle autorità greche”. All’inizio del 2014 lo scandalo è riemerso in seguito all’arresto di due dipendenti pubblici greci accusati di avere intascato mazzette per 23,5 milioni di euro. A pagare sarebbero state la Hdv e la Ferrostaal.
Non solo: per un altro affare di armi, a dicembre del 2013 è finito in carcere un ex alto dirigente del ministero della Difesa, Antonis Kantas, con l’accusa di aver ricevuto 1,7 milioni di tangenti dal rappresentante greco della società tedesca Krauss-Maffei Wegmann per la vendita di 170 carri armati Leopard. Una volta in carcere ha ammesso non solo questa tangente, ma anche altri 500-600mila euro provenienti sempre dall’affare dei sottomarini. Ma nel passato accusate di aver pagato tangenti a dipendenti pubblici greci sono state anche, oltre alla solita Siemens, anche la Deutsche Bahn e la Daimler. Quella stessa Daimler che, citata in un rapporto del 2010 del dipartimento della Giustizia Usa, viene definita come società con una “lunga tradizione in quanto al pagamento di tangenti”a dirigenti pubblici stranieri. I dirigenti della Daimler sono stati accusati di aver versato tangenti per decine di milioni di euro a dipendenti pubblici di 22 Paesi del mondo compresi quelli di tutto il Medio Oriente oltre a Cina e Russia. In Iraq avrebbe addirittura violato i vincoli del programma Oil for Food delle Nazioni Unite. E nonostante le indagini avessero fatto emergere violazioni anche di leggi tedesche, Daimler non è mai stata messa sotto inchiesta in Germania e se l’è cavata pagando 185 milioni di euro alle autorità americane.
Niente da dire, quella tra Grecia e Germania è una storia che si snoda dalla notte dei tempi, tuttavia, nonostante aziende tedesche abbiano notevolmente contribuito con il benestare di politici greci filoeuropeisti a dilapidare casse statali per 11 anni e 3 diversi premier, appare strano come allo stato attuale delle cose non solo venga scaricata ogni tipo di responsabilità “al popolo greco”, ma non si riconoscono neanche quelle gravi responsabilità esterne che dovrebbero portare a una politica decisamente più indulgente nei confronti di Atene.
Torniamo però indietro. Dopo il secondo governo Simitis, in cui la Grecia sottoscrisse formalmente la sua entrata nell’Unione europea grazie agli accordi firmati nel 2000, nel 2004 la guida del paese passò appunto alla coalizione di centro-destra guidata da Nea Dimokratia del premier Karamanlis. Come già accennato, durante questa legislatura emerse la questione dei dati truccati, ma emersero col tempo altre situazioni che non risparmiarono nemmeno questo esecutivo. Scrive Vittorio Da Rold su ilSole24Ore, è il gennaio del 2008 e della grave crisi ancora si sente solo l’odore:
Si allarga lo scandalo «Zachopoulos» in Grecia che sta facendo tremare il Governo Karamanlis di centro-destra con le ultime rivelazioni di un reporter Aris Spinos ai magistrati dell’esistenza di una importante conversazione di «eccezionale interesse politico» in un Dvd finora segreto. Si tratta di una storia di corruzione e ricatti nei palazzi del potere, due tentativi di suicidio e video osé: una intricata vicenda che da giorni tiene le prima pagine dei media greci e che ha già fortemente danneggiato l’immagine del Governo del premier Costas Karamanlis perché il protagonista è un suo stretto collaboratore da almeno 10 anni. Lo scandalo vede coinvolto Christos Zachopoulos, 54 anni e fino al 19 dicembre potente segretario generale del ministero della cultura di cui gestiva le finanze e i fondi Ue, e la sua ex-segretaria, Evi Tsekou, 34 anni. La storia ha inizio il 19 dicembre quando, adducendo motivi di salute, Zachopoulos misteriosamente si dimette. Ma la sera del giorno dopo si getta dal quarto piano del palazzo dove abita, nel centrale quartiere ateniese di Kolonnaki. Il funzionario è tuttora in gravi condizioni in ospedale e da allora non è in grado di parlare. La stampa greca si getta sul caso e indaga sui motivi del tentato suicidio che, in un primo tempo, vari giornali indicano nell’ampia disponibilità che Zachopoulos aveva dei fondi del ministero.
Dopo Karamanlis venne George Papandreou, la guida si sposto di qualche millimetro, da destra a sinistra, ma la situazione reale non cambiò molto, almeno quella interna alle istituzioni, perché in fondo quella esterna iniziò a precipitare trascinando il paese nel baratro. Neanche durante questa legislatura ci fu un’esenzione dagli scandali – anche se nella maggior parte dei casi bisogna aspettare quel galantuomo del tempo,che prima o poi arriva sempre a chiarire qualche punto oscuro, costringendoti a trasformare il passato remoto in presente, e viceversa. In questi giorni si parla infatti di Swissleaks e delle dichiarazioni presenti nel libro di Falciani, che stanno facendo tremare mezza Europa. Scrive Maria Antonietta Calabrò, lo scorso 10 febbraio sul Corriere della Sera:
Tra i clienti d’oro, Falciani nel libro fa i nomi di due persone, eminenti esponenti di due Paesi del «fronte Sud» della Ue: Spagna e Grecia. Dice: «L’uomo più ricco della Spagna, Emilio Botin del Banco Santander (di cui è stato proprietario fino alla morte, avvenuta il 10 settembre 2014), era uno dei clienti della Hsbc di Ginevra». Poi aggiunge un altro cognome e un altro conto importante, quello della madre dell’ex primo ministro greco George Papandreou, che «aveva un conto di 500 milioni di euro». Il fatto è che la lista degli «uomini d’oro» della Hsbc — in possesso di alcuni Paesi già da alcuni anni — sarebbe stata usata, secondo l’ex impiegato Falciani, per imporre politiche di austerity a altri Paesi. Questo, secondo lui, almeno il caso della Grecia. Falciani ricorda Papandreou e parla di «pressione e di ricatto». Rivelazioni destinate a deflagrare a poche ore dall’Eurogruppo che domani deciderà il destino del Paese guidato da Alexis Tsipras. «Nel 2011 la guida delle negoziazioni con la troika sul salvataggio della Grecia fu affidata a Sarkozy (l’ex presidente francese, ndr), che aveva quella lista e, conoscendone i nomi, poteva fare pressione su Papandreou», scrive Falciani.
Insomma la Troika usata come un’imposizione tramite ricatto, manco fossimo nella Roma della Banda della Magliana. Affermazioni queste tutte da verificare, anche se Sarkozy non è certo stato il politico migliore che l’Eurozona abbia avuto nella sua storia, e in fondo l’attuale crisi libica è lì a confermarlo ulteriormente.
Proseguendo il breve viaggio low cost attraverso il “disavanzo pubblico del Governo Centrale greco”, arriviamo agli anni in cui la morsa della povertà si fa davvero feroce, in cui il nazismo di Alba Dorata prende sempre più piede, e in cui Antonis Samaras tra le speranze di tutta l’Europa che conta vinse le elezioni del 2012, trovandosi a governare il paese nell’apice della crisi e senza la maggioranza assoluta, ma con il costante appoggio di Berlino. Berlino con cui Samaras concordò un secondo piano di assistenza, dopo il fallimento del primo. In realtà i tentativi di formare il nuovo esecutivo furono faticosi, tant’è che il primo non andò a buon fine. Al secondo tentativo si formò il governo “di coalizione” tra Pasok e Nea Dimokratia -ricorda qualcosa di famigliare- che si impegna a rispettare i patti con la Troika. Angela Merkel andò direttamente a Atene a mostrare il suo sostegno -ultima visita in Grecia-, mentre in piazza i manifestanti protestavano, e Syriza decise di non partecipare alla coalizione, venendo accusata di non preoccuparsi per la sorte del paese
Scrive sempre Vittorio da Rold e sempre su ilSole24Ore, ma nel 2012:
Da segnalare che il Pasok, intanto, non sceglierà nessun deputato o proprio ex ministro per ricoprire incarichi nel prossimo governo, hanno riferito questa mattina i media greci, spiegando che il gruppo paralmentare socialista ha accettato la linea proposta di Venizelos. Questa mattina alcuni esponenti socialisti avevano contestato la proposta. Il partito ha anche accettato di sostenere tecnocrati per gli incarichi ministeriali, come l’ex ministro degli Interni Tassos Giannitsis e il ministro dello Sviluppo, Yiannis Stournaras.
Ed ecco qui che ricompare Stournaras, accusato nello scorso gennaio da Tsipras di essere “dipendente da Schaeuble”. Stournaras è il polivalente ex ministro per lo Sviluppo, ex ministro delle Finanze e attuale Governatore della banca centrale greca, chiamato in sostituzione di un altro eccellentissimo dell’Ellade, George Provopoulos, al quale si imputano non poche responsabilità durante il suo mandato di Governatore, durato dal 2008 al 2014. Il New York Times ha scritto che pochi uomini come lui sono stati capaci di accentrare così tanto potere nel proprio paese. I giornalisti Nikolas Leontopoulos e Pavlos Zafiropoulos, scrivendo nel 2012 a proposito dello scandalo “Proton Bank” in cui è coinvolto l’uomo d’affari Laurentis Lavrentiadis, così analizzano il ruolo di Provopoulos:
Se lo scandalo Proton Bank è stato scioccante per alcuni, è ragionevole obiettare che non avrebbe dovuto invece essere una sorpresa per il signor Provopoulos. Questo perché quando la commissione competente del Consiglio superiore sotto il signor Provopoulos ha approvato l’acquisto di Proton Bank dal sig Lavrentiadis da Piraeus Bank, all’inizio del 2010, è filato tutto liscio nonostante le numerose gravi bandiere rosse che erano state sollevate dai controllori del consiglio superiore circa le finanze del sig Lavrentiadis e rapporti d’affari. Bandiere rosse che alcuni hanno sostenuto (compresi i pubblici ministeri) inseriscono la decisione del sig Provopoulos in un’accezione penale, dato il ruolo del Consiglio Superiore nella supervisione del sistema bancario greco – e come tale dovrebbe essere ulteriormente approfondito.
Stephen Grey di Reuters, in un articolo del gennaio 2012:
La presunta generosità di Proton si è verificata nel momento in cui il sistema finanziario della Grecia doveva essere sotto il microscopio europeo.Funzionari greci ritengono che la banca ha emesso più di 664.000.000 € di nuovi prestiti alle società collegate a Lavrentiadis nel 2010. A quel tempo, le banche del paese cominciavano a cimentarsi con una crisi del debito che stava seriamente minacciando la stessa sopravvivenza della zona euro.[...]“Si può pensare a questo paese come un grande lago oscuro”, ha detto Tasos Telloglou, un presentatore televisivo e giornalista senior per il quotidiano greco Kathimerini. “Lì sono sepolti molti vecchie auto e spazzatura e anche alcuni corpi. Ora l’acqua si sta ritirando, è possibile vedere ciò che è stato nascosto per tanto tempo.”
In ogni modo, ce ne sarebbe da cercare, tra questi detriti lasciati in dote dal tempo, prima di arrivare al debito greco. Ce ne sarebbe da approfondire, prima di capire che i greci intesi come popolo, quelli che chiudono i negozi e che fanno la fame tra rabbia e speranza, non hanno mangiato poi così tanto. Gli hanno mangiato sulla testa, quello sì. Chi? I politici greci incaricati di accelerare l’entrata nell’Unione monetaria, i banchieri incaricati di salvaguardare i propri interessi, le multinazionali di servizi tedesche, le costrizioni d’approvvigionamento bellico, i funzionari pubblici e privati legati a doppio filo col Governo Centrale, quello greco di denominazione impropria, e quello europeo di denominazione calzante.
Intanto siamo arrivati al 2015 e al governo Tsipras, l’unico esecutivo con nessun legame evidente con la centralità dell’Eurozona, l’unico esecutivo che rifiuta la Troika sì, ma non rifiuta di pagare. Chiede semplicemente di calcolare nuovamente, settando nuovi parametri e tentando di ridisegnare un progetto macchiato da varie responsabilità condivise. Dall’altra parte per ora nessuna ammissione, nessun cedimento, nessun passo indietro nel riconoscere errori. Si guardano i detriti ma si fa finta di niente, perché “la Grecia deve rispettare i patti”, che patti non sembrano. La stampa lo chiama un “muro contro muro”, la realtà ci dice che qui il muro è uno solo, neanche tanto solido come un tempo, che gioca a fare il ruolo del comandante, mentre le truppe non sembrano più troppo convinte. Eppure un’alternativa ci sarebbe, e passa attraverso l’ascolto. Una virtù troppo spesso sottovalutata, in questa Europa dall’imperativo preponderante. Intanto l’attuale ministro delle finanze Varoufakis, in un pezzo pubblicato in concomitanza con il secondo incontro tra Grecia e Ue e uscito sul New York Times del 16 febbraio, si discosta dalle recenti notizie che vedrebbero l’esecutivo Tsipras calarsi armonicamente nella cosidetta “teoria dei giochi”, quel tanto avvezzo modo di concertare in cui le trattative prendono le sembianze di un gioco di ruolo:
Il problema della teoria dei giochi -scrive Varoufakis-, come ho sempre tentato di spiegare ai miei studenti, è che essa considera le motivazioni dei giocatori come un dato prestabilito a priori. Se si sta pensando a una partita di poker o di blackjack questa assunzione non è particolarmente problematica. Ma nell’attuale negoziato tra la Grecia e i suoi partners il punto centrale è esattamente quello di costruire delle nuove motivazioni. Si tratta di costruire una nuova mentalità che vada oltre le divisioni nazionali, che sostituisca una prospettiva pan-europea alla dicotomia creditore-debitore, in grado di porre il bene comune Europa al di sopra di politiche futili e di dogmi di comprovata tossicità se resi universali e una logica del “noi” a sostituire quella del “loro”.
Loro chi? I greci?
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Testo tratto da una libera interpretazione di uno scritto di Nicola Mente.
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Testo tratto da una libera interpretazione di uno scritto di Nicola Mente.