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2015/06/14

Default Grecia, ci siamo!


Dopo il primo significativo confronto tra l’Eurogruppo e la Grecia, dopo il secondo in cui si prospettarono altri 6 mesi di proroga, dopo gli ultimi incontri che invece di avvicinare, allontanano le parti ecco che l’accordo appare ancora lontano quasi impossibile. Al momento Atene appare la sola tra le parti a offrire concretamente una certa malleabilità: «Il fatto che abbiamo un mandato non ci dà certo il diritto di fare tutto ciò che vogliamo -ha spiegato Varoufakis ai giornalisti all’uscita dal summit- ma ci dà quello di essere ascoltati», aggiungendo che «la Grecia non accetterà mai di stare in questo programma -la Troika- semplicemente perché per noi questo programma è stato catastrofico». Il ministro dell’economia greco ha accennato anche alle quantomeno incaute e approssimative notizie trapelate a fine anno su un’eventuale ripresa greca: «Le voci che l’economia greca sarebbe stata in ripresa nell’ultima parte del 2014 -continua Varoufakis- sono fortemente esagerate» perché «l’aumento del Pil reale è solo un miraggio. In realtà il Pil nominale, ossia i guadagni in euro, è diminuito» comportando l’innalzamento di quello reale: «l’unica ragione per cui il Pil reale è schizzato è perché i prezzi sono precipitati. Questo non è un segnale di ripresa, al contrario è un segnale di forte deflazione».

Insomma l’idea è quella di due parti ancora molto lontane ma vogliose di provare a capirsi. La durezza con cui alcuni vertici del gruppo Ue -Djisselbloem e Schaeuble su tutti- trattano le istanze di Atene appaiono più che altro come l’ultimo disperato tentativo di preservare un sistema che con sempre più totale evidenza sta mostrando le sue crepe a tutti, dopo un buon quinquennio di totale intoccabilità.

Basterebbe a esempio notare la scomparsa degli spot progresso che ti invitavano a parlare d’Europa, perché «di Europa si deve parlare», o meglio: fino a poco tempo fa ne dovevamo parlare tutti in piazza, ora se ne parla in concertazione riservata tra quattro mura. Questione mutata in pochi mesi.

L’assioma che invece è emerso sul territorio nazionale è quello secondo cui di Europa si può anche temporaneamente smettere, ma almeno «di Grecia si deve parlare», laddove poco importa conoscere nel dettaglio, ma è sufficiente metabolizzare l’assunto che i greci hanno il debito così vertiginoso perché “si sono mangiati tutto” e quindi “devono pagare”. Insomma, nonostante le premesse il dibattito non è molto lungo, tant’è che di solito si esaurisce con un grafico 2004-2010 in cui si evidenzia il debito pubblico e si conclude rapidamente con una richiesta di riscatto generica, perché i ladri sono stati “i greci”, chi ha falsificato i bilanci sono stati “i greci”, chi ci deve sei soldi sono “i greci”. Ma “i greci” chi?

Questa effettivamente è una specifica che non viene mai e poi mai affrontata, né da chi indica l’Ellade come origine di tutti i mali finanziari dell’Eurozona, né da chi difende la posizione di Atene attribuendole il ruolo di possibile via di fuga dalla palude fangosa dell’immobilismo economico e politico. La faccenda su cui nessuno credo possa dubitare è la dissennata gestione della cosa pubblica da parte dei precedenti governi greci -nel periodo che va dal 2002 al 2013- e in fondo è lì che vanno a puntare le accuse di chi sta dalla parte dell’intransigenza “troikiana”. In questo processo però il passaggio che manca è inquadrare il contesto in cui hanno operato i precedenti governi, troppo spesso denominati impropriamente come “Governo Centrale”, quasi per appiattire il tutto.

Prendiamo Costas Simitis, premier del paese dal 1996 al 2004 e leader del Pasok. Descrivendo il Πανελλήνιο Σοσιαλιστικό Κίνημα -Panellinio Sosialistiko Kinima, letteralmente Movimento Socialista Panellenico- possiamo inquadrarlo come un partito di estrazione liberale e socialdemocratica, improntato principalmente sulla dinastia Papandreou – prima il padre Georgios, poi il figlio Andreas, poi il nipote George. Provando invece a cercare un parallelismo comunque difficile con il nostro paese, ci limiteremo all’ampia definizione di “centro-sinistra”.

Simitis -che ha formato i suoi studi all’Università di Marburg, in Germania- divenne premier nel 1996 sostituendo proprio Andreas Papandreou, le cui precarie condizioni di salute si aggravarono a tal punto da portarlo alla morte in tre mesi. Al contrario di quel che si può pensare, Simitis -appartenente all’ala “modernizzatrice” e filoeuropeista del Pasok- non era il cavallo vincente del premier uscente: Papandreou aveva infatti indicato come suo successore Akis Tsohatzopoulos, che però venne superato da Simitis durante la riunione speciale di partito, avvenuta il 18 gennaio di quell’anno. Nel frattempo Papandreou rimase comunque presidente di partito fino alla morte, il 23 giugno 1996. Fu a quel punto che Simitis riuscì a ottenere anche la massima carica, il tutto dopo aver superato nuovamente Tsohatzopoulos durante l’assemblea -che noi potremmo chiamare “primarie interne”- del 30 giugno. Decisivo fu appunto il supporto delle nuove e incombenti politiche comunitarie, di cui Simitis era fervente sostenitore.

Simitis guidò il PASOK a vincere le elezioni anticipate del settembre 1996, anno in cui la sinistra nella sua versione post-muro provocò illusioni e disillusioni abbastanza diffuse, anche dalle nostre parti. Scrive Antonio Ferrari del Corriere della Sera alla vigilia del voto, il 19 settembre 1996:

L’uomo della svolta può essere il premier uscente Costas Simitis, 60 anni ben portati, un professore di economia che, pur avendo raccolto l’ingombrante eredità politica del prestigioso Andreas Papandreu, è in realtà il suo contrario. Incapace di retorica, metodico, poco incline al populismo. Simitis ha vinto la prima scommessa, sostituendo al timone del governo il vecchio leader malato. Ha vinto la seconda, guadagnandosi la presidenza del Pasok dopo la morte del patriarca. Avrebbe potuto vivere di rendita fino all’ottobre ’97, scadenza naturale della legislatura. Ha preferito invece rischiare subito la terza scommessa, chiedendo la legittimazione popolare e 4 anni di tempo per portare la Grecia alla laurea europea. Proprio questa determinazione, in un Paese facile alle emozioni, rischia di diventare il suo limite.

Certo, fa effetto sentir parlare di “laurea europea”, oggi. La laurea si sa vive nello stesso campo semantico del successo e del premio, della ricompensa, del riconoscimento e dell’incasso. Noi dopo vent’anni di laurea siamo costretti a parlare di debito, deflazione, fallimenti e bocciature. A ogni modo Simitis non solo vinse nel 1996, ma riuscì a confermarsi anche nel 2000.

L’esecutivo Simitis fu sicuramente il governo ellenico decisivo per l’accelerazione di Atene in direzione Bruxelles. L’opera politica di Eksynchronismos -“modernizzazione”- si impose su un vastissimo raggio di aree -dalle infrastrutture alla riforma del lavoro- attuando opere di investimento e di privatizzazione.

Interessante l’analisi del concetto Eksynchronismos offerta da Kostas Stafylakis, 38enne artista e intellettuale ateniese, esperto d’arte, filosofo e ricercatore presso la Facoltà di Scienze Politiche e Storia dell’Università di Atene:

Nel corso degli ultimi 15 anni lo slogan politico più dibattuto e controverso nella società greca è stato quello di “modernizzazione” (eksynchronismos). Il contesto sociale, politico e culturale del suo riemergere nella vita pubblica greca nel 1990 è attualmente sottoposto a studio rigoroso e analisi da parte della maggioranza degli approcci analitici nelle discipline accademiche. Qualsiasi definizione conclusiva del termine “modernizzazione” sembra essere rischioso, in quanto gli effetti complessivi dei processi che il termine descrive non possono essere ridotti al ritratto corrente o recente economica e di sviluppo della Grecia. Sotto la prima somministrazione del primo ministro Costas Simitis (1996-2000), la Grecia ha aderito all’Unione economica e monetaria europea e sperimentato un boom nella costruzione di infrastrutture pubbliche, una razionalizzazione della sua amministrazione, un inedito abbassamento dell’inflazione e una stabilizzazione della politica degli affari esteri. Lo slogan “modernizzazione” è diventato un efficace punto nodale ideologico ridefinire tutte le divisioni culturali, economici e politici nella società greca.

Dunque è grazie a Simitis che la Grecia entra nell’Unione monetaria, posizione consolidata grazie al doppio mandato sancito nelle successive elezioni dell’aprile 2000. Scrive sempre Ferrari e sempre sul Corsera, proprio in quel periodo, era il giorno 10:

«Qualunque cosa succeda, la Grecia entrerà nell’euro». Yannis Stournaras, 43 anni, architetto del piano che ha consentito a Atene di adeguarsi, con una maratona quasi trionfale, ai parametri di Maastricht, raccogliendo complimenti a Bruxelles e a Lisbona (che ha la presidenza di turno dell’Unione europea), non ha dubbi. Nonostante il suo cuore dica ovviamente Pasok, e nonostante – nelle ore in cui è ancora incerto l’esito del voto – partecipi con passione alle operazioni di spoglio delle schede, è uno che può essere comunque soddisfatto. Il compito che gli era stato affidato è stato brillantemente eseguito. Persino gli europei più critici nei confronti della Grecia, Olanda in testa, sono stati costretti a riconoscere che Atene ha compiuto il suo dovere. Stournaras, studi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, professore di macroeconomia all’Università di Atene, da sette anni consigliere economico del primo ministro, è appena rientrato dal Portogallo, dove ha partecipato a una nuova riunione comunitaria, in vista del vertice di giugno che ratificherà l’ingresso della Grecia in Eurolandia. Ieri mattina è andato a votare, in un seggio di Kyfissia, circoscrizione borghese a nord della capitale, e è rientrato a casa, preparandosi alla lunga notte di attesa, davanti alla tv. «Il risultato elettorale, qualunque esso sia, non potrà cambiare nulla di quanto abbiamo raggiunto. Il processo di convergenza è quasi concluso e ormai è irreversibile – racconta il giovane professore al Corriere della Sera -. Mancano ancora, prima dell’annuncio, due o tre incontri con la Commissione europea e la Banca centrale, ma ormai quel che si doveva fare è stato fatto. Tutti i parametri fissati sono stati raggiunti. L’inflazione è attorno al 2,5 per cento, la crescita si avvicina al 4 per cento. Un dato, quest’ ultimo, che ci colloca subito dietro l’Irlanda. L’ingresso della Grecia in Eurolandia è ormai sicuro, a partire dal 1° gennaio 2001».

Yannis Stournaras era allora membro della commissione economica e monetaria dell’Unione europea, ma lo ritroveremo più tardi come Ministro delle Finanze dell’esecutivo Samaras, a testimonianza del fatto che negli ultimi vent’anni il valzer dei politici greci sia stato estremamente esclusivo, riservando la partecipazione alla grande giostra di incarichi a nomi che si ripetono e si rincorrono. Come appunto Akis Tsohatzopoulos, formatosi anch’egli in un’università tedesca -quella di Monaco di Baviera- dapprima avversario interno di Simitis per la presidenza del PASOK e battuto con 86 voti a 75, e in seguito nominato dallo stesso Simitis prima Ministro della Difesa -fino al 2001- e poi Ministro per lo Sviluppo Economico dal 2001 al 2004.

Questo fu il periodo della famosa falsificazione di bilancio emersa successivamente a seguito della denuncia presentata dall’esecutivo successivo al doppio mandato Simitis, quello dell’altro riesumato eccellente Kostantinos Karamanlis, leader dell’opposizione di centro-destra di Nea Dimokratia. In seguito all’inchiesta sull’operato dell’esecutivo Simitis emersero a carico del ministro Tsohatzopoulos varie inchieste giudiziarie: evasione fiscale, riciclaggio di denaro, corruzione.

Nel maggio del 2010 emersero rivelazioni su una costosissima casa -1.100.000 euro- acquistata dalla moglie di Tsohatzopoulos da una società off shore con sede negli Stati Uniti. Nel giro di pochi mesi l’ex ministro entrò nel registro di altre due torbide vicende, su cui emerge lo scandalo Siemens. A seguito di indagini avviate nel 2008 venne alla luce un abnorme giro di tangenti tra politici e dirigenti pubblici greci, con l’implicazione di grosse società come la OTE -il maggior gestore di telecomunicazioni sul suolo ellenico- e l’azienda tedesca Siemens, per la fornitura di materiali e servizi allo Stato greco. Scrive l’ANSA il 10 giugno del 2010:

Il direttore esecutivo della Siemens greca, Dionisio Dendrinos, è stato arrestato nell’ambito di un caso di corruzione che sta facendo tremare la politica greca. L’arresto di Dendrinos, avvenuto ieri sera, fa seguito a quello di altri due dirigenti della società e a un mandato d’arresto internazionale contro Mikhalis Crithoforakos, presidente della filiale greca della Siemens, che avrebbe pagato per anni tangenti per ottenere contratti e appalti. Un mandato d’arresto è stato spiccato anche contro il dirigente finanziario della Siemens, Christos Karavellas, mentre indagati sono anche membri della sua famiglia. Sia Crithoforakos che Karavellas si troverebbero in Germania. L’inchiesta della magistratura riguarda tangenti che sarebbero state pagate dall’impresa tedesca a politici greci nel corso di diversi anni e in particolare per i sistemi di sicurezza delle Olimpiadi del 2004. Lo scandalo coinvolgerebbe sia esponenti del partito socialista di opposizione Pasok, quando era al governo, che dell’attuale partito di maggioranza del premier Costas Karamanlis (ND). Il Pasok ha chiesto un’indagine parlamentare sul caso Siemens, respinta da Karamanlis che vuole prima attendere la fine dell’inchiesta giudiziaria.

La responsabilità è solo da attribuire ai politici greci, o da condividere con il colosso tedesco? Di certo anche da queste parti abbiamo avuto un’esperienza simile negli anni Settanta con lo scandalo Lockheed in cui vennero coinvolti ministri della difesa e illustri cariche istituzionali. In fondo anche in Italia abbiamo fatto i conti con la “modernizzazione”. Nella bufera Siemens finì il PASOK, ma non venne risparmiata neanche la coalizione di centro-destra del successivo premier Karamanlis, quella che contestava appunto quella falsificazione del bilancio pubblico con cui Berlino ora tenta di inchiodare Atene sulla questione debito.

Durante un’intervista rilasciata lo scorso novembre, Alekos Alavanos, leader politico di Piano B, presente nella coalizione di Syriza, così dichiara:

Atene fa parte della zona euro dal 2002. Ma, in realtà nel paese circolano due monete perché la Grecia aveva avuto la maggiore inflazione della zona euro. L’euro di un italiano ha un potere d’acquisto diverso rispetto a un greco. La seconda valuta è l’euro europeo, vicino all’euro tedesco per le transazioni finanziarie internazionali. Con nessun riferimento però concreto ai fondamentali del paese. Da quest’immagine possiamo capire come una delle radici più importanti della crisi è la mancanza di competitività. Gli stereotipi della corruzione sono fuori controllo, clientelismo, arretratezza, ma corruzione in Grecia in greco moderno è “Siemens”. E c’è un politico greco, uno dei leader del Pasok e ministro della Difesa, accusato di aver preso tangenti dalla Germania per sottomarini, aerei e tutto quello che. Se il problema delle due valute non viene risolto, la Grecia non può uscire dalla crisi.

Insomma, il disavanzo greco è stato provocato dai greci. Ma quali greci? I politici greci, i corrotti. Dalla Siemens. Azienda tedesca. Riformuliamo: il disavanzo greco è stato provocato dai politici greci. E dai tedeschi. Scrive Marco Cobianchi su Panorama, è lo scorso 4 luglio: Ma l’anno nel quale i tedeschi sono scesi con i piedi per terra e si sono resi conto di non essere affatto immuni dal virus della tangente è stato il 2007 quando ben 6 grandi società sono state accusate di corruzione. Il caso più clamoroso riguarda la Siemens, multata per 600 milioni di euro per essere stata scoperta a pagare sistematicamente mazzette in tutto il mondo per accaparrarsi contratti pubblici usando un fondo nero alimentato da centinaia di milioni di euro ogni anno. Oltre ai 600 milioni alle autorità tedesche, la Siemens ha pagato altri 800 milioni alle autorità americane e ha versato altri 100 milioni a organizzazioni internazionali noprofit che combattono la corruzione negli affari.

E ancora: Poi ci sono le tangenti greche, quelle sulle quali Nikolaos Chountis ha chiesto, inutilmente, lumi a Martin Schulz. A guardare gli archivi dei giornali sembra che nessun affare concluso da aziende tedesche in Grecia sia esente dalla mazzetta. Il caso più importante riguarda l’affare dei sottomarini, una storia da 1,14 miliardi di euro che inizia una decina d’anni fa le cui indagini vennero subito interrotte a causa, secondo i giornali tedeschi, “della scarsa collaborazione da parte delle autorità greche”. All’inizio del 2014 lo scandalo è riemerso in seguito all’arresto di due dipendenti pubblici greci accusati di avere intascato mazzette per 23,5 milioni di euro. A pagare sarebbero state la Hdv e la Ferrostaal.

Non solo: per un altro affare di armi, a dicembre del 2013 è finito in carcere un ex alto dirigente del ministero della Difesa, Antonis Kantas, con l’accusa di aver ricevuto 1,7 milioni di tangenti dal rappresentante greco della società tedesca Krauss-Maffei Wegmann per la vendita di 170 carri armati Leopard. Una volta in carcere ha ammesso non solo questa tangente, ma anche altri 500-600mila euro provenienti sempre dall’affare dei sottomarini. Ma nel passato accusate di aver pagato tangenti a dipendenti pubblici greci sono state anche, oltre alla solita Siemens, anche la Deutsche Bahn e la Daimler. Quella stessa Daimler che, citata in un rapporto del 2010 del dipartimento della Giustizia Usa, viene definita come società con una “lunga tradizione in quanto al pagamento di tangenti”a dirigenti pubblici stranieri. I dirigenti della Daimler sono stati accusati di aver versato tangenti per decine di milioni di euro a dipendenti pubblici di 22 Paesi del mondo compresi quelli di tutto il Medio Oriente oltre a Cina e Russia. In Iraq avrebbe addirittura violato i vincoli del programma Oil for Food delle Nazioni Unite. E nonostante le indagini avessero fatto emergere violazioni anche di leggi tedesche, Daimler non è mai stata messa sotto inchiesta in Germania e se l’è cavata pagando 185 milioni di euro alle autorità americane.

Niente da dire, quella tra Grecia e Germania è una storia che si snoda dalla notte dei tempi, tuttavia, nonostante aziende tedesche abbiano notevolmente contribuito con il benestare di politici greci filoeuropeisti a dilapidare casse statali per 11 anni e 3 diversi premier, appare strano come allo stato attuale delle cose non solo venga scaricata ogni tipo di responsabilità “al popolo greco”, ma non si riconoscono neanche quelle gravi responsabilità esterne che dovrebbero portare a una politica decisamente più indulgente nei confronti di Atene.

Torniamo però indietro. Dopo il secondo governo Simitis, in cui la Grecia sottoscrisse formalmente la sua entrata nell’Unione europea grazie agli accordi firmati nel 2000, nel 2004 la guida del paese passò appunto alla coalizione di centro-destra guidata da Nea Dimokratia del premier Karamanlis. Come già accennato, durante questa legislatura emerse la questione dei dati truccati, ma emersero col tempo altre situazioni che non risparmiarono nemmeno questo esecutivo. Scrive Vittorio Da Rold su ilSole24Ore, è il gennaio del 2008 e della grave crisi ancora si sente solo l’odore:

Si allarga lo scandalo «Zachopoulos» in Grecia che sta facendo tremare il Governo Karamanlis di centro-destra con le ultime rivelazioni di un reporter Aris Spinos ai magistrati dell’esistenza di una importante conversazione di «eccezionale interesse politico» in un Dvd finora segreto. Si tratta di una storia di corruzione e ricatti nei palazzi del potere, due tentativi di suicidio e video osé: una intricata vicenda che da giorni tiene le prima pagine dei media greci e che ha già fortemente danneggiato l’immagine del Governo del premier Costas Karamanlis perché il protagonista è un suo stretto collaboratore da almeno 10 anni. Lo scandalo vede coinvolto Christos Zachopoulos, 54 anni e fino al 19 dicembre potente segretario generale del ministero della cultura di cui gestiva le finanze e i fondi Ue, e la sua ex-segretaria, Evi Tsekou, 34 anni. La storia ha inizio il 19 dicembre quando, adducendo motivi di salute, Zachopoulos misteriosamente si dimette. Ma la sera del giorno dopo si getta dal quarto piano del palazzo dove abita, nel centrale quartiere ateniese di Kolonnaki. Il funzionario è tuttora in gravi condizioni in ospedale e da allora non è in grado di parlare. La stampa greca si getta sul caso e indaga sui motivi del tentato suicidio che, in un primo tempo, vari giornali indicano nell’ampia disponibilità che Zachopoulos aveva dei fondi del ministero.

Dopo Karamanlis venne George Papandreou, la guida si sposto di qualche millimetro, da destra a sinistra, ma la situazione reale non cambiò molto, almeno quella interna alle istituzioni, perché in fondo quella esterna iniziò a precipitare trascinando il paese nel baratro. Neanche durante questa legislatura ci fu un’esenzione dagli scandali – anche se nella maggior parte dei casi bisogna aspettare quel galantuomo del tempo,che prima o poi arriva sempre a chiarire qualche punto oscuro, costringendoti a trasformare il passato remoto in presente, e viceversa. In questi giorni si parla infatti di Swissleaks e delle dichiarazioni presenti nel libro di Falciani, che stanno facendo tremare mezza Europa. Scrive Maria Antonietta Calabrò, lo scorso 10 febbraio sul Corriere della Sera:

Tra i clienti d’oro, Falciani nel libro fa i nomi di due persone, eminenti esponenti di due Paesi del «fronte Sud» della Ue: Spagna e Grecia. Dice: «L’uomo più ricco della Spagna, Emilio Botin del Banco Santander (di cui è stato proprietario fino alla morte, avvenuta il 10 settembre 2014), era uno dei clienti della Hsbc di Ginevra». Poi aggiunge un altro cognome e un altro conto importante, quello della madre dell’ex primo ministro greco George Papandreou, che «aveva un conto di 500 milioni di euro». Il fatto è che la lista degli «uomini d’oro» della Hsbc — in possesso di alcuni Paesi già da alcuni anni — sarebbe stata usata, secondo l’ex impiegato Falciani, per imporre politiche di austerity a altri Paesi. Questo, secondo lui, almeno il caso della Grecia. Falciani ricorda Papandreou e parla di «pressione e di ricatto». Rivelazioni destinate a deflagrare a poche ore dall’Eurogruppo che domani deciderà il destino del Paese guidato da Alexis Tsipras. «Nel 2011 la guida delle negoziazioni con la troika sul salvataggio della Grecia fu affidata a Sarkozy (l’ex presidente francese, ndr), che aveva quella lista e, conoscendone i nomi, poteva fare pressione su Papandreou», scrive Falciani.

Insomma la Troika usata come un’imposizione tramite ricatto, manco fossimo nella Roma della Banda della Magliana. Affermazioni queste tutte da verificare, anche se Sarkozy non è certo stato il politico migliore che l’Eurozona abbia avuto nella sua storia, e in fondo l’attuale crisi libica è lì a confermarlo ulteriormente.

Proseguendo il breve viaggio low cost attraverso il “disavanzo pubblico del Governo Centrale greco”, arriviamo agli anni in cui la morsa della povertà si fa davvero feroce, in cui il nazismo di Alba Dorata prende sempre più piede, e in cui Antonis Samaras tra le speranze di tutta l’Europa che conta vinse le elezioni del 2012, trovandosi a governare il paese nell’apice della crisi e senza la maggioranza assoluta, ma con il costante appoggio di Berlino. Berlino con cui Samaras concordò un secondo piano di assistenza, dopo il fallimento del primo. In realtà i tentativi di formare il nuovo esecutivo furono faticosi, tant’è che il primo non andò a buon fine. Al secondo tentativo si formò il governo “di coalizione” tra Pasok e Nea Dimokratia -ricorda qualcosa di famigliare- che si impegna a rispettare i patti con la Troika. Angela Merkel andò direttamente a Atene a mostrare il suo sostegno -ultima visita in Grecia-, mentre in piazza i manifestanti protestavano, e Syriza decise di non partecipare alla coalizione, venendo accusata di non preoccuparsi per la sorte del paese

Scrive sempre Vittorio da Rold e sempre su ilSole24Ore, ma nel 2012:

Da segnalare che il Pasok, intanto, non sceglierà nessun deputato o proprio ex ministro per ricoprire incarichi nel prossimo governo, hanno riferito questa mattina i media greci, spiegando che il gruppo paralmentare socialista ha accettato la linea proposta di Venizelos. Questa mattina alcuni esponenti socialisti avevano contestato la proposta. Il partito ha anche accettato di sostenere tecnocrati per gli incarichi ministeriali, come l’ex ministro degli Interni Tassos Giannitsis e il ministro dello Sviluppo, Yiannis Stournaras.

Ed ecco qui che ricompare Stournaras, accusato nello scorso gennaio da Tsipras di essere “dipendente da Schaeuble”. Stournaras è il polivalente ex ministro per lo Sviluppo, ex ministro delle Finanze e attuale Governatore della banca centrale greca, chiamato in sostituzione di un altro eccellentissimo dell’Ellade, George Provopoulos, al quale si imputano non poche responsabilità durante il suo mandato di Governatore, durato dal 2008 al 2014. Il New York Times ha scritto che pochi uomini come lui sono stati capaci di accentrare così tanto potere nel proprio paese. I giornalisti Nikolas Leontopoulos e Pavlos Zafiropoulos, scrivendo nel 2012 a proposito dello scandalo “Proton Bank” in cui è coinvolto l’uomo d’affari Laurentis Lavrentiadis, così analizzano il ruolo di Provopoulos:

Se lo scandalo Proton Bank è stato scioccante per alcuni, è ragionevole obiettare che non avrebbe dovuto invece essere una sorpresa per il signor Provopoulos. Questo perché quando la commissione competente del Consiglio superiore sotto il signor Provopoulos ha approvato l’acquisto di Proton Bank dal sig Lavrentiadis da Piraeus Bank, all’inizio del 2010, è filato tutto liscio nonostante le numerose gravi bandiere rosse che erano state sollevate dai controllori del consiglio superiore circa le finanze del sig Lavrentiadis e rapporti d’affari. Bandiere rosse che alcuni hanno sostenuto (compresi i pubblici ministeri) inseriscono la decisione del sig Provopoulos in un’accezione penale, dato il ruolo del Consiglio Superiore nella supervisione del sistema bancario greco – e come tale dovrebbe essere ulteriormente approfondito.

Stephen Grey di Reuters, in un articolo del gennaio 2012:

La presunta generosità di Proton si è verificata nel momento in cui il sistema finanziario della Grecia doveva essere sotto il microscopio europeo.Funzionari greci ritengono che la banca ha emesso più di 664.000.000 € di nuovi prestiti alle società collegate a Lavrentiadis nel 2010. A quel tempo, le banche del paese cominciavano a cimentarsi con una crisi del debito che stava seriamente minacciando la stessa sopravvivenza della zona euro.[...]“Si può pensare a questo paese come un grande lago oscuro”, ha detto Tasos Telloglou, un presentatore televisivo e giornalista senior per il quotidiano greco Kathimerini. “Lì sono sepolti molti vecchie auto e spazzatura e anche alcuni corpi. Ora l’acqua si sta ritirando, è possibile vedere ciò che è stato nascosto per tanto tempo.”

In ogni modo, ce ne sarebbe da cercare, tra questi detriti lasciati in dote dal tempo, prima di arrivare al debito greco. Ce ne sarebbe da approfondire, prima di capire che i greci intesi come popolo, quelli che chiudono i negozi e che fanno la fame tra rabbia e speranza, non hanno mangiato poi così tanto. Gli hanno mangiato sulla testa, quello sì. Chi? I politici greci incaricati di accelerare l’entrata nell’Unione monetaria, i banchieri incaricati di salvaguardare i propri interessi, le multinazionali di servizi tedesche, le costrizioni d’approvvigionamento bellico, i funzionari pubblici e privati legati a doppio filo col Governo Centrale, quello greco di denominazione impropria, e quello europeo di denominazione calzante.

Intanto siamo arrivati al 2015 e al governo Tsipras, l’unico esecutivo con nessun legame evidente con la centralità dell’Eurozona, l’unico esecutivo che rifiuta la Troika sì, ma non rifiuta di pagare. Chiede semplicemente di calcolare nuovamente, settando nuovi parametri e tentando di ridisegnare un progetto macchiato da varie responsabilità condivise. Dall’altra parte per ora nessuna ammissione, nessun cedimento, nessun passo indietro nel riconoscere errori. Si guardano i detriti ma si fa finta di niente, perché “la Grecia deve rispettare i patti”, che patti non sembrano. La stampa lo chiama un “muro contro muro”, la realtà ci dice che qui il muro è uno solo, neanche tanto solido come un tempo, che gioca a fare il ruolo del comandante, mentre le truppe non sembrano più troppo convinte. Eppure un’alternativa ci sarebbe, e passa attraverso l’ascolto. Una virtù troppo spesso sottovalutata, in questa Europa dall’imperativo preponderante. Intanto l’attuale ministro delle finanze Varoufakis, in un pezzo pubblicato in concomitanza con il secondo incontro tra Grecia e Ue e uscito sul New York Times del 16 febbraio, si discosta dalle recenti notizie che vedrebbero l’esecutivo Tsipras calarsi armonicamente nella cosidetta “teoria dei giochi”, quel tanto avvezzo modo di concertare in cui le trattative prendono le sembianze di un gioco di ruolo:

Il problema della teoria dei giochi -scrive Varoufakis-, come ho sempre tentato di spiegare ai miei studenti, è che essa considera le motivazioni dei giocatori come un dato prestabilito a priori. Se si sta pensando a una partita di poker o di blackjack questa assunzione non è particolarmente problematica. Ma nell’attuale negoziato tra la Grecia e i suoi partners il punto centrale è esattamente quello di costruire delle nuove motivazioni. Si tratta di costruire una nuova mentalità che vada oltre le divisioni nazionali, che sostituisca una prospettiva pan-europea alla dicotomia creditore-debitore, in grado di porre il bene comune Europa al di sopra di politiche futili e di dogmi di comprovata tossicità se resi universali e una logica del “noi” a sostituire quella del “loro”.

Loro chi? I greci?

TAG: debito greco, grecia, default, papandreu, pasok, samaras, Sarkozy, Siemens, troika, Banche e Assicurazioni, economia sommersa, Euro e BCE, Politiche comunitarie

Testo tratto da una libera interpretazione di uno scritto di Nicola Mente.

2015/06/13

Migranti


Chi ha attraversato nei giorni scorsi i piazzali davanti alla stazione Centrale di Milano e di Roma Termini ha trovato lunghe file di persone incolonnate o distese per terra, sporcizia, tensione. Vedo, anche se da molto lontano, le immagini quotidiane in TV degli sbarchi e – sulla carta geografica – i punti sempre più vicini alla costa libica dove le navi europee intercettano i naviganti per fare poi la spola verso le nostre coste.

Prendo atto che purtroppo la questione dei profughi salvati in mare è finita nel tritacarne della politica: è ovvio, ma è un male perché so che queste tematiche sono importanti dal punto di vista elettorale, ma qui si parla soprattutto della vita di migliaia di persone.

Uomini, donne, bambini: se sono un cristiano minimamente coerente devo pensare prima di tutto alla dignità dei miei simili, all’aiuto disinteressato, alla solidarietà.

Questo aspetto per me è fondamentale e non negoziabile ma – partecipando a un consorzio civile – ho anche l’obbligo come persona responsabile di sottolineare il metodo assurdo di come si stia affrontando questa emergenza e i guai sempre più grandi che ne nascono per i preconcetti di molti ma anche per insipienza, demagogia, incapacità dimostrata da chi sarebbe tenuto a affrontarla. 

Perché il problema non sono tanto o solo quei 500, 1.000, 3.000 profughi che stanno sbarcando oggi (siamo arrivati a circa 10.000 la settimana) ma i 10.000 della settimana prossima e così via in una progressiva escalation. 

L’Italia intanto si sta facendo prendere in giro in Europa, è irrisa da tutti, non conta assolutamente nulla. Renzi e la Mogherini dimostrano tutta la loro pochezza internazionale senza dimostrare il coraggio di prendere decisioni strategiche (compresa la denuncia dei trattati UE, magari creando un asse con la Grecia, pure invasa dai profughi) sperando che passi in qualche modo un fenomeno che non passerà, ma anzi peggiorerà perché si autoalimenta proprio per nostra irresponsabilità.

Da mesi si dice che 1,000,000 di potenziali migranti stanno arrivando e non si è fatto NULLA, anzi, si è irriso chi denunciava questo stato di cose! 

Da mesi si sottolinea il mostruoso business dei mercanti di carne umana ma non si è fatto NULLA, come non si riesce a capire che un conto è l’emergenza umanitaria di intervento e un altro la programmazione e la strategia su cosa fare (e “far fare”) poi a queste persone. 

Chi è sbarcato un anno fa è ancora lì, a vivere (male) di sussidi e non ha avuto uno sbocco di vita, uno straccio di opportunità per essere messo alla prova.

Mischiati onesti e delinquenti decine di migliaia di uomini e donne restano inutili con le mani in mano, è facile poi cadere nel peggio. Forse che si sono sveltite le pratiche per utilizzi specifici di manodopera, per inserimenti? Provate a verificare le difficoltà che incontra un privato o una amministrazione pubblica che solo volesse utilizzare queste persone per qualche lavoretto (che peraltro poi mancherà a qualcun altro).

Diciamocelo chiaro: il governo sperava – come in passato - di rifilare il problema a altri e infatti fino a qualche tempo fa il fenomeno in parte si svuotava da sé perché migliaia di migranti sparivano come un fiume carsico oltre frontiera, ma da quando la Francia, la Svizzera, l’Austria di fatto respingono quasi tutti il tubo collettore italiano (e quello greco) si è intasato e la gran parte dei migranti non sparisce più, quindi ce li troviamo e ce li troveremo tutti in casa con problemi progressivi e catastrofici.

Da una parte non bisogna umanamente negare l’aiuto, ma è evidente che oltre un certo limite le strutture di accoglienza non possono più bastare, a parte gli sciacallaggi, la malavita e tutto quel mondo che vive sopra queste emergenze strafottendosene del valore delle persone. Su questo fronte, per esempio, servirebbero decisioni drastiche di condanna e di pene immediate: le avete viste?

Ha senso così continuare a non intervenire in Libia bloccando le partenze per ripescare la gente poco più al largo con gioiosa soddisfazione delle organizzazioni scafiste che hanno rapporti e basi anche in Italia? Ha senso non distruggere (vuoti) i natanti sulle coste libiche pur sapendo che verranno presto utilizzati? 

Il tam-tam che gira in tutta l’Africa dice che chi arriva in Italia è a posto, quindi è durissima riuscire a partire ma può essere la fortuna della vita…avanti quindi e il fiume si ingrossa.

Ci rendiamo conto poi che, per bene che vada, l’Europa assorbirà solo migranti “politicamente corretti” ovvero gente che scappa per motivi politici, ma che sul totale sono una piccola minoranza? E gli altri cosa fanno e dove andranno una volta sbarcati? 

Eppure il fenomeno è stato per mesi minimizzato e irriso e si parla ancora di demagogia antiaccoglienza accusando Zaia o Maroni quando si rischia invece soprattutto la demagogia contraria (ma a parole, poi pochi di chi discetta di aiuti apre davvero la porta di casa sua) che scarica sugli altri i problemi di una nazione dove l’opinione pubblica è sempre più esasperata.

La settimana scorsa in Lussemburgo (commentato da nessuno) si è tenuto un referendum su cosa fare su questa materia e l’80% dei cittadini ha risposto “no” a qualsivoglia nuova accoglienza. Da noi ci sarebbe un risultato molto diverso? Non credo, e certo i contrari non sarebbero tutti leghisti.

E’ deludente e insensata la politica di un governo che salva tutti e poi tutti abbandona, che non ha il coraggio di bloccare le partenze e non sa imporre all’Europa senso di responsabilità. 

Il metro con cui si tratta il problema sottolinea tutte le contraddizioni, i limiti, la superficialità della politica italiana ma soprattutto – obiettivamente – di questo governo.

Io, cittadino che voglio accogliere, devo aiutare, devo comprendere, ho anche il diritto di pretendere che queste cose vengano gestite meglio e non solo con le circolari prefettizie, anche perché il reato di immigrazione clandestina c’era ma è stato tolto scrivendo le premesse di quanto sta accadendo. 

Non solo: i numeri qualche anno fa erano molto inferiori eppure non si è lavorato per ridurre gli afflussi e oggi si usano gli stessi metri di valutazione e tempi ancora più lunghi per i riconoscimenti degli asili “veri” davanti a situazioni ben più diverse e caotiche. 

E quello che fa più ribrezzo è vedere poi il ghigno di chi specula sul fenomeno, chi si fa pagare per i trasporti, gli scafisti che restano impuniti, chi lucra e ruba sul business sul profugo.

Il fenomeno va quindi gestito meglio, non è possibile continuare così e chi è incapace di prendere decisioni deve essere inchiodato alle proprie responsabilità dall’opinione pubblica: è il primo passo per prendere atto della realtà.

2015/06/08

Crisi Greca


Ci sono molto modi per illustrare la crisi finanziaria greca. Uno sarebbe spiegare chiaramente alla gente che per i “tagli” già apportati al bilancio della sanità ellenica in pratica non si fanno più trapianti, non si possono più pagare ai cittadini - e ormai da molti mesi - i farmaci salvavita, i cocktail chemioterapici, spesso neppure gli interventi sanitari d’urgenza. Vale di più la pelle delle persone o il debito pubblico?

Questa Europa ha fatto dell’economia (malata) il suo idolo e del pareggio di bilancio il suo feticcio ma non riesce più a dare risposte ai cittadini e infatti non conta per l’Unione il migrare più o meno legale di centinaia di migliaia di persone. 

Soldi, soldi, soldi: contano solo i soldi perché quel 3% massimo di deficit di bilancio è un mostro ineffabile, uno spauracchio inumano. 

Quei limiti non erano pensati per un continente sostanzialmente in recessione e comunque che arretra rispetto al resto del mondo. L’Euro non riesce a armonizzare economie differenti o lo sta facendo in modo sbagliato. 

Il diritto alla salute di un banchiere europeo che può curarsi in una ottima clinica è diversa da quella di un cittadino greco che non può sopravvivere? 

Ma dove è finita l’Europa dei Popoli, delle idee, del progresso sociale illuminato? Non era questo tipo di Europa che sta alla base della Carta costituzionale europea e poi qualcuno si lamenta che crescano gli “Euroscettici”!

2015/06/03

Fortunati si diventa!


Per alcune persone sembra un fatto normale: ai cosiddetti “fortunati” agli occhi degli altri capitano sempre le cose giuste al momento più opportuno. In realtà, la fortuna è una questione complessa, strettamente collegata anche alla capacità di decifrare i segnali attorno a noi e direttamente connessa al grado di sintonia con i nostri desideri più profondi. Perché le buone occasioni sono ovunque: imparare a vederle è il primo passo per essere un pizzico più fortunati.

LAMENTARSI FA MALE - Una recente ricerca nell'ambito delle neuroscienze ha evidenziato che passare troppo tempo esposti alle lamentele continue influisce negativamente sull'ippocampo, la parte del cervello nel sistema limbico fondamentale per la memoria a lungo termine e con un ruolo importante nello sviluppo della capacità di risoluzione dei problemi. Bastano 30 minuti passati fra persone con tendenze a lamentarsi per avere una ricaduta negativa a livello celebrale.

IMPARA DAI FALLIMENTI - Ogni persona nell'arco dell'esistenza è costretta a confrontarsi con insuccessi e senso di fallimento: la vera questione è imparare a rapportarsi positivamente anche a eventi che portano scompiglio e dolore. Il concetto di “positivo” e “negativo” è strettamente collegato alle nostre reazioni di fronte a un certo evento ma in assoluto non esiste. Entrambi i poli sono due facce differenti di un'unica realtà e fanno parte di una carica vitale in cui l'attore umano si trova costantemente immerso.

OSSERVA LE TUE REAZIONI - Chi agli occhi degli altri sembra ottimista ha semplicemente saputo coltivare la propensione a guardare più il lato positivo delle cose rispetto al negativo. Inizia a esercitare ogni giorno uno sguardo consapevole, segui lo stesso principio su cui si fonda la meditazione. Le difficoltà esistono, ma è l'insegnamento che ne puoi trarre ciò che può trasformare la tua quotidianità. Di fronte a un ostacolo impara a chiederti: “Quale lezione posso imparare?”. Arrabbiarsi è poco utile, invece scoprire le potenzialità di un fatto in apparenza negativo può condurre verso strade nuove.

TI ASPETTI IL PEGGIO? LO AVRAI - Hai mai notato che quando si prospettano le previsioni più nere molto spesso capita davvero che si realizzino? Le neuroscienze si stanno occupando di questi temi ancora in gran parte sconosciuti. Angosciarsi eccessivamente risulta in effetti un catalizzatore di esperienze negative. In realtà il quotidiano è fatto di opportunità continue, a cui spesso non si presta attenzione perché si cerca altro. Impara innanzitutto a vivere con pienezza ciò che ti circonda: essere concentrati su un unico obiettivo qualche volta non permette di vedere tutto il resto. Al contrario trovare il lato positivo anche nei fallimenti e insuccessi ti aiuta a conquistare più fiducia nelle tue potenzialità e a puntare su ciò in cui credi.

ATTENZIONE AI DESIDERI - Nutrire i propri desideri è fondamentale per avere un atteggiamento entusiasta e costruttivo nei confronti della vita. Tuttavia, può capitare di desiderare qualcosa che a livello profondo non è in sintonia con ciò che si è. Accade anche nella vita di ogni giorno, quando ci focalizziamo su un obiettivo che comporta un grande dispendio di energia e fatica ma non ha a che fare realmente con le nostre abilità. Per esempio, un corso di studi scelto senza prestare attenzione alle nostre reali attitudini può condurre verso continue dosi di veleno e infelicità. Inizia a vedere con obiettività i tuoi bisogni, desideri e abilità.

NUTRI LA TUA FIDUCIA - Fidati del tuo istinto: la voce profonda che è in ognuno di noi sa sempre ciò di cui abbiamo bisogno davvero. Guarda con orgoglio le tue cicatrici e gli insuccessi perché sono lezioni di vita. Circondati di persone positive con le quali imparare a vedere le tue potenzialità e abilità. La vita riserva infinite sorprese quando ci permettiamo di nutrire il coraggio di discostarci dalla strada tracciata per vedere altro. Abbandona per un attimo la rotta e fermati a guardare il mondo intorno a te: aprirsi con fiducia alla realtà è la chiave per vivere in maniera differente. La vera fortuna è la capacità di rimanere attenti a quanto succede e afferrare gli eventi trasformando le possibilità in un'occasione.

2015/05/25

Vietnam VISA


Vietnam Updates Visa Categories, Expands Visa-Free Access

Vietnam’s Law on Entry, Exit, Transit, and Residence of Foreigners in Vietnam came into effect on January 1, 2015, doubling the number of visa categories to 20.

Of particular note, foreigners are no longer permitted to change their visa category once inside Vietnam. Therefore, the option of arriving on a tourist visa, applying for a work permit and changing visa categories is no longer available. Rather, the work permit should be applied for according to the Labor Code, and the appropriate visa obtained outside of Vietnam, in a process expected to take one to two weeks. Depending on the nationality of the work permit applicant, this may mean applying in the country or territory which issues their travel documents.

Vietnam Visa Work Permit Procedures

Relevant categories for foreign workers are the ĐT visa for foreign investors and lawyers, the NN1, 2, and 3 visas for those in representative offices or projects of foreign non-governmental organizations (NGOs) or international organizations (IOs), or other foreign cultural, economic of professional organizations, and the DN and LD visas for those working in Vietnam.

Ambiguity remains around the distinction between the DN visas for those “who come to work with companies in Vietnam” and the LĐ visa for those “who come to work”. DN visas are valid for up to 12 months, LD visas for up to two years, and DT visas for up to five years. LD visa holders would also be eligible for temporary residence permits. The law provides for five year residency cards to be issued to foreigners, as opposed to the previous three. Individuals with such residency cards would be permitted to sponsor foreigners to enter the country.

Those with residences in which foreigners may stay are now obliged to be connected to the internet and to declare the presence of foreigners to the Vietnamese government electronically.

Visa free access granted to additional countries

In related news, visa-free access to Vietnam has been granted for tourists from Denmark, Finland, Japan, Norway, Russia, South Korea, and Sweden for stays of up to 15 days according to Resolution No.99/NQ-CP issued on December 29 of last year and applying from January 1, 2015 until December 31, 2019.

Vietnam already has similar visa waiver policies in place for ASEAN member states. Separate visa waiver policies also apply to those visiting the island of Phu Quoc.

The new law mandates a 30 day minimum gap between visits of those entering Vietnam via visa-free access. Those visiting special administrative or economic zones in border areas would no longer be required to obtain a visa.

Expansion of visa-free access was proposed by the Ministry of Transport in September 2014 to citizens of Australia, France, Germany, India, and the UK. Such access had been proposed for Taiwanese (ROC) citizens, but the inclusion of “diplomatic relations with Vietnam” as a criterion for granting visa-free access to residents may preclude this.

In December 2014, the Vietnam Immigration Department held training sessions in Hanoi and Ho Chi Minh City in order to ensure the proper implementation of the new laws. In addition, Director Le Thanh Dung and Deputy Director Tran Van Du of the Immigration Department have provided instructions and answered questions on the law from interested parties.

The new law is expected to support the government’s goal of welcoming 8.3-8.5 million foreign tourists to the country in 2015, up from 7.9 million in 2014. This influx of tourists has attracted many foreign investors to the country who are seeking to set up travel related businesses.