E’ bello poter donare una piccola parte delle imposte che siamo obbligati a pagare a qualche Ente benemerito, ma ormai sia arrivati vicini all’assurdo.
In questo periodo siamo infatti sommersi da decine di richieste, mail, lettere e stampati, spot pubblicitari e fascicoli illustrativi, telefonate, inserzioni, deliziosi caroselli e pubblicità in TV tutti che ci invitano a sottoscrivere e dare.
Dall’Unicef che garantisce “la più fantastica dichiarazione fiscale del mondo” (ma non pubblica i suoi bilanci) a decine di enti no profit, benemerite iniziative assistenziali, Caritas diocesane fino a tutto un campionario di enti di assistenza a malati di ogni ordine e grado.
Una mobilitazione di visi famosi, cantanti e medici, tutti che invitano a donare. Se i politici non osano più apparire per pubblica decenza non c’è un attore che non abbia doverosamente scelto una nobile causa e ce lo comunichi a suon di spot: sembra una campagna elettorale!.
Tutti vogliono il nostro cinque per mille, ma un contribuente normale non può stabilire se abbia più ragione e necessità l'associazione del malato di sclerosi multipla rispetto a quella che promuove la ricerca sul cancro, oppure chi combatte la fame nel mondo, difende il clima o il territorio.
Certo va aiutata la ricerca, ma in quale direzione se tutte le sigle sembrano bisognose di affetto e soprattutto si dichiarano indistintamente nei guai per una cronica mancanza di fondi?
Ma è un concetto corretto che per tenerle in piedi diventi indispensabile il nostro 5 x 1000 e non debba invece intervenire un metodo di aiuto pubblico che sleghi gli enti no-profit da questa incessante e un po’ imbarazzante richiesta di elemosine senza poter determinare classifiche di merito?
Come scegliere d'altronde tra l'arte e i senzatetto, il museo o la squadra di calcio della città e gli immigrati, il fondo missionario o l’assistenza ai bambini malati o con handicap?
Forse, per cominciare, tutti quelli che chiedono dovrebbero depositare e pubblicare i propri bilanci e il ministero verificarli prima di ammetterli alla questua (vi sono note filiali umanitarie dell'ONU - quelle che vanno per la maggiore in TV - che consumano in strutture, stipendi, uffici e spese di organizzazione l'80% dei fondi raccolti), ma soprattutto non è più tollerabile questa incontrollata “caccia al 5” che costa cifre spaventose visto che cartiere, emittenti, giornali, "testimonial" e vetrine internet non lavorano gratis e forse alla fine costano di più per essere attivate che non gli introiti, somme che vengono accreditate – fra l’altro - con anni di ritardo.
Nessuno sa quanto si incassi rispetto a quanto costano le campagne pubblicitarie e soprattutto come siano poi spesi i fondi raccolti, detratte le percentuali che - appunto - finanziano la pubblicità. Al peso di dover pagare le imposte si contrapponeva almeno il pensiero di fare un’opera buona, ma adesso c’è soprattutto l’angoscia di non poter ovviamente arrivare ovunque e con il dubbio se il nostro contributo sia destinato alla fine a essere speso bene.