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2020/07/03

Aiuti di Stato a un'azienda privata


Via libera del ministero dell'Economia alla garanzia pubblica sull' 80 per cento del prestito da 6,3 MILIARDI (miliardi, non milioni!) di euro accordato da Intesa Sanpaolo alle attività italiane del gruppo Fca. «E un'operazione di sistema con la quale si punta a preservare e rafforzare la filiera dell’automobile in Italia e a rilanciare gli investimenti, l'innovazione e l’occupazione in un settore strategico per il futuro economico e industriale del Paese», sostiene il ministro dell'Economia.
Prendo atto: a) che mentre le medie e grandi aziende italiane faticano come non mai – anche con Intesa Sanpaolo - ad accedere alle garanzie ministeriali l’ex Fiat con sede in Olanda è riuscita ad avere il tutto in pochi giorni b) I beneficiari sostengono che con questi fondi aiuteranno imprese italiane, però intanto la sede la tengono all’estero e nessuno li spinge a riportarle in Italia per pagarci le imposte c) E’ vero che la “filiera” dell’automobile è imponente, ma allora lo è anche quella di molte altre e diverse attività e le auto Fiat rappresentano solo una piccola parte del mercato automobilistico italiano.
Ragioniamo di singole aziende: l’ex Fiat in Italia ha ora circa 60.000 dipendenti (altri dicono 30.000, a seconda se si considerano o meno i suoi marchi secondari) ma anche considerano il primo caso 6,3 miliardi significano più di 100.000 euro A TESTA per ogni dipendente (addirittura 200.000 euro A TESTA secondo la versione più restrittiva). DOMANDONA: ma quante aziende italiane mai percepiranno GARANTITI ALL’80% DALLO STATO crediti di 100.000 euro per ogni dipendente? 
 
Fate i conti sulla vostra azienda od attività e pensate a quante imprese - italiane al 100% con sede fiscale in Italia e operanti in ogni settore, magari in gran parte tecnologiche o operative per per l'esportazione -  si potevano in alternativa finanziare con questa mega-somma. 
Se un libero professionista, un dipendente in cassa integrazione di un'azienda normale  “vale” meno di mille euro al mese perché un dipendente Fiat deve “valerne” CENTO VOLTE DI PIU?
 
Non sto sostenendo che l’intervento sia sbagliato, ma questi sono i veri temi strategici da “Stati Generali” e non le troppe chiacchiere autoreferenziate, tanto più che il gruppo Fiat 20 anni fa aveva più del doppio dei dipendenti in Italia (122.000) rispetto ad oggi e che questi dipendenti rappresentano ora meno del 25% del gruppo Fca (la cui maggioranza fa capo a Exor, la holding estera che controlla di tutto, anche testate come il giornale Repubblica).

IN QUESTI ANNI FIAT HA DISINVESTITO IN ITALIA NONOSTANTE UNA MAREA DI AIUTI DI STATO RICEVUTI NEI DECENNI SCORSI.

Tra l’altro il prestito di Intesa ha una durata di 33 mesi e il tasso d'interesse che pagherà Fca, e che comprende il costo della garanzia pubblica stabilito dal Decreto Liquidità, non è stato neppure rivelato. Fca Italia (beneficiaria ufficiale) non pagherà dividendi agli azionisti (se ne avrà), ma potrà comunque farlo Fca/Exor perché la sede è fuori Italia. Il portafoglio degli Agnelli, quindi, è assicurato.
Nel complesso tutto questo vi sembra trasparente? A me no, proprio per niente.


2020/06/28

I due Presidenti


Come spesso accade in momenti di ansia e incertezza, il popolo cerca figure di riferimento rassicuranti. L'Italia segnata dal Covid ne ha individuate due con chiarezza: una sta al Quirinale ed è già da prima dell'emergenza l'emblema stesso della fiducia. 

L'altra invece sta a a Palazzo Chigi e si è costruita la propria reputazione giorno per giorno, passando attraverso alterne vicende ma alla fine ritrovandosi in una posizione molto più salda di quanto non fosse quella pre-coronavirus. Giuseppe Conte, l'uomo con la pochette, sta riuscendo - non solo per meriti propri - nell'impresa di diventare "l'avvocato degli italiani" che aveva promesso di essere nel giorno del suo insediamento (con un'altra maggioranza): secondo la rilevazione Demos di Ilvo Diamanti, 6 cittadini su 10 promuovono la sua azione di governo. Un po' meno rispetto a due mesi fa, ma comunque più del Conte 1, più di Gentiloni e più dell'ultimo Renzi. Non solo, ma gli italiani credono anche che l'attuale esecutivo durerà a lungo, mentre gli elettori dei 5 Stelle vedrebbero proprio Conte come nuovo leader del Movimento.

Sul gradimento e la fiducia in Sergio Mattarella invece non c'è bisogno di sondaggi né conferme. A Bergamo, in una serata di grande impatto emotivo, il Capo dello Stato ha chiuso simbolicamente la tragedia della città più colpita dal Covid, quella dei 6 mila morti e delle bare portate via dai camion militari. A loro Mattarella ha reso omaggio, ma non senza ricordare gli errori le carenze di sistema e la necessità di riflettere su quanto accaduto.

Quando si incontrarono per l'affidamento del primo incarico di governo, Mattarella e Conte sembravano due mondi lontani e con pochi punti di contatto. Oggi il destino li accomuna nel difficile compito di risollevare l'Italia. Buona fortuna, presidenti.

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2020/06/25

Gli Stati Generali di Villa Pamphili



Siamo nel 2020, Il Fondo Monetario Internazionale prevede per l’Italia il 12,5% in meno del PIL e l’incremento del debito pubblico al 166% del medesimo (ovvero una catastrofe) ma non preoccupatevi, non abbiamo fretta.  Se pensate che in 5 mesi il debito italiano è aumentato di QUINDICI VOLTE il tasso di aumento medio annuo sul quale per un decimale si consumavano settimane di diatribe con Bruxelles dovreste rendervi conto di cosa stia succedendo e dell’eredità che andrà a pesare sugli italiani e su chi in futuro avrà la ventura di tentare di governarli.

Non mi ripeto più su Conte, questo narciso dilettante allo sbaraglio che ci fa tutti fessi rinviando i problemi sine-die con la cancrena economica che ci divorerà e intanto tirando a campare, ma visto che bisogna anche PROPORRE, a Conte avrei detto che basterebbe cominciare a definire un primo punto strategico ovvero il rilancio “turistico” dell’Italia.
Non penso solo agli alberghi, ma a tutto ciò che è richiamo dall’estero e che nello stesso tempo rappresenti qualità della vita di tutti noi. 

E’ turismo aiutare chi assume nel settore, finanziare cooperative (di giovani e donne) che organizzino accoglienza, visite culturali e storiche, finanziando Enti e comuni per sistemazione delle aree, spiagge, sentieri di montagna, finanziando ricerche archeologiche, la sistemazione dei centri storici con rivitalizzazione dei mille borghi abbandonati.

E’ turismo pensare alle infrastrutture, ma anche pulire subito le strade, colpire durante chi getta rifiuti ovunque, curare i particolari nelle ristrutturazioni edilizie per mantenere il bello che abbiamo, incentivare i B & B, gli agriturismo, la vendita diretta di prodotti agricoli di qualità, dare “buoni sconti” sulle autostrade almeno per i turisti (sono le più care d’Europa!). 
Diffondere una “mentalità turistica” significa cura ed amore del territorio, con lo sfruttamento intelligente di decine di migliaia di risorse, luoghi, spazi abbandonati ma anche essere ospitali e non voler fregare l’ospite. L’Italia non sono per il mondo le acciaierie di Taranto che portano (poco) lavoro ma distruggono e inquinano, ma piuttosto posti bellissimi che vanno affidati e gestiti da milioni di imprese, artigiani e piccolo commercio, professionisti seri che erano stremati già da prima del virus.

Ma torniamo alla miniera d’oro che può essere la difesa del territorio: ci sono milioni potenziali posti di lavoro che possono “rendere” subito e far circolare ricchezza. L’Italia era “Il giardino d’Europa” ma siamo precipitati per presenze turistiche in un progressivo degrado assurdo. C’è un Sud che potrebbe fare invidia a Spagna, Grecia, Portogallo…eppure tutti ci hanno bagnato il naso, con milioni di disoccupati e il paese si sbriciola in una triste sciatteria. 

Cucina italiana, vini italiani, musica italiana, clima invidiabile: abbiamo tutto e nessuno vuole pensarci. Un tema così si può rilanciare con decreti veloci, semplici, pratici, attuali… possibile che nessuno a Villa Pamphili – occupandosi di massimi sistemi e con tanta demagogia -  ne abbia parlato?

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2020/05/09

La Cina si allontana



Dobbiamo affrontare seriamente il problema dei rapporti con la Cina sia per quanto riguarda gli aspetti commerciali e strategici sia per capire come sia nato ed evoluto il Coronavirus. Questo non solo per delineare le eventuali responsabilità cinesi, ma soprattutto per il nostro futuro visto che è l’ennesima epidemia che “parte” dalla Cina, segno evidente che qualcosa lì non funziona.

Non mi interessano le spy story ma i fatti, ed è per questo che la comunità internazionale dovrebbe avviare una indagine seria su cosa sia successo e sui protocolli esistenti per capire perché eventualmente non siano stati osservati.

Un’indagine che cominciano a chiedere con sempre più insistenza non solo gli USA ma anche India, Australia, Francia, Gran Bretagna, Giappone, Germania ma non l’Italia che – soprattutto da quando comanda il M5S – sembra nutrire un inspiegabile sudditanza psicologica nei confronti di Pechino.

Non si può andare avanti con il silenzio: com’è possibile che Wuhan abbia visto migliaia di morti e praticamente nessuno sia stato invece registrato nelle altre megalopoli cinesi, a cominciare dalla capitale? Il virus girava già dall'autunno come sembra e perchè comunque poi due mesi di silenzio, con settimane cruciali perse per allertare il mondo nel tentativo di minimizzare se non di nascondere tutto, addirittura arrestando i medici che denunciavano l’epidemia?

Se il 27 dicembre in Cina era già stato sequenziato il genoma del virus, perché Pechino ha allora fornito successivamente dati falsati e fuorvianti, perché è stato ignorato dall’OMS l’allarme ufficialmente lanciato da Taiwan già a dicembre?

La realtà è che nessuno sa cosa effettivamente sia successo in Cina, quanti siano stati veramente i morti e i contagiasti, la nostra TV mostra solo immagine “concesse”, la corrispondente Rai da Pechino, l’ineffabile Giovanna Botteri (quella tutta scarmigliata che sembra non si cambi mai il solito golfino nero da settimane)  sproloquia di tutto – comprese le polemiche con Trump - ma non può (o non vuole) girare nelle strade. E’ questa la nostra libertà di informazione o siamo succubi di quel che vuole "passi" Pechino?

Non credo all’ipotesi del virus “voluto” e non so se sia credibile la sua volontaria nascita in laboratorio, ma ho visto di persona le condizioni igieniche schifose nei mercati cinesi in una promiscuità agghiacciante e tollerata.

Che Pechino non voglia ispezioni e controlli non va bene, dovrebbe essere l’OMS a pretenderle con forza, ma qui salta fuori l’altro aspetto della medaglia ovvero l’infiltrazione pesante della Cina comunista in tutte le organizzazioni internazionali. L’Occidente scopre solo ora che da anni Pechino semina, sfrutta, convince, compra cariche e interi paesi approfittando della tacita distrazione mondiale.

Trump potrà esservi antipatico e sembrare a volte un fuori di testa, ma ha capito bene che il silenzio generale permette alla Cina di continuare ad espandersi senza regole e senza freni in tutti i campi – compreso lo sfruttamento ambientale, guarda caso così dimenticato dalle Greta di turno - e questo grazie al completo controllo interno e l' incredibile connubio tra comunismo, statalismo e sfrenato capitalismo da libero mercato.

Per esempio è assurdo che Taiwan resti fuori dall’OMS nonostante i suoi avanzati risultati medici e la sua importanza: Non solo gli USA ma ora anche Canada, Australia, Giappone e tanti altri stati (ovviamente non l’Italia) ne chiedono il ritorno (ne faceva parte fino al 2016), ma è Pechino che evidentemente comanda.

Anziché prendere in giro Trump chiediamoci perché gli USA abbiano taciuto per anni – per esempio durante le presidenze Obama - nei confronti della Cina e vedremo che, alla fine, il grande business economico e finanziario è accentrato in poche mani, con solide radici nei Democratici USA ovvero quelli che sono direttamente collegati ai grandi poteri finanziari che controllano il mondo, Soros e multinazionali  in testa.

Ma torniamo all’Italia: perché questo silenzio, perché quell’ ochetta di Di Maio non vuole capire la pericolosità del gioco? Comincio a pensare che sotto sotto ci siano interessi economici molto stretti tra Cina, Casaleggio, M5S che ci rendono sempre di più una colonia diplomatica cinese, una testa di ponte di Pechino in Europa e questo non va bene, non è logico, è davvero pericoloso.

Uscendo dalla superficialità il dibattito politico dovrebbe incentrarsi anche su questo aspetto strategico con atteggiamenti chiari e concordati.

Certo bisognerebbe però per lo meno capire i rischi queste politiche: Di Maio ne è in grado? Sintetizzava bene Marcello Veneziani nei giorni scorsi:

“Nella cupola mondiale che detiene il potere mediatico e tecno-finanziario, prevale una priorità: sollevare la Cina dalle sue colpe sul contagio e puntare sul crollo di Trump. È un messaggio continuo che si compiace di sottolineare le difficoltà degli USA e collegarle a ogni gaffe di Trump. In lui si avversa non solo l’egemonia americana quanto il modello populista-sovranista. Abbattendo lui, si pensa, si abbatte il sovranismo diffuso.

Ma oltre Trump le valutazioni poi si dividono: perché una parte vorrebbe restare ancorata al mondo liberal d’Occidente, agli USA politically correct, alla Obama, per capirci. Mentre un’altra parte confida nella Cina o perlomeno giudica utile che il potere globale della Cina bilanci quello statunitense e tenga sotto scacco quello di Putin. Da noi, il partito grillino coincide col partito cinese, da Di Maio a Di Battista, a Grillo; e una parte della sinistra lo segue, in odio a Trump, per amor di capitalismo di stato, ma anche perché filocinese dai tempi di Prodi, poi i gesti di Zingaretti & C, per aprire ai cinesi nonostante l’epidemia. Sullo sfondo risale la tentazione di un comunismo 2.0, un comunismo 5G, maocapitalista, tecnologicamente evoluto, dal controllo capillare e dal reddito universale di cittadinanza per i servi della gleba, anzi servi della global, intesa come globalizzazione. “Il modello italiano” sbandierato per affrontare il virus è in realtà il modello cinese gestito all’italiana.”


2020/05/06

Italia all'ultima spiaggia



Sennò finiamo male… Altrimenti rischiamo di… Siamo sull’orlo del baratro… With all due respect, come si direbbe in un inglese politically correct, tutte chiacchiere di chi dovrebbe sapere che mentre il medico studia, il malato muore. La verità è che siamo già finiti male, che non c’è un “altrimenti”, e che nel baratro ci stiamo già, e da tempo. E quindi, o ci tiriamo fuori da soli, e subito, oppure ci tiriamo fuori da soli subito. 

Cioè a dire, non ci sono alternative. Chiedere i soldi all’Unione europea, invocando una solidarietà che non esiste e che non ci può essere nei confronti di un Paese che ha il risparmio privato tra i più alti al mondo (è quasi il doppio del debito pubblico) è tempo perso; da questo punto di vista, purtroppo, non ha tutti i torti chi ci rinfaccia questa nostra caratteristica dicendoci prendete i soldi a casa vostra. 

Ma c’è di più: chiedere i soldi in prestito, ammesso che ce li diano (e non ce li daranno) significa fare altri debiti. Niente di peggio per chi sta già messo molto male. Se poi li chiedi a chi sai che non te li dà, allora sei poco lungimirante, perdi tempo, e fai anche la figura del pezzente.

I temi sono tanti, vediamo di riassumerli in poche righe.

1) Liquidità subito
2) La Ue che non consente di crearla, perlomeno nell’immediato
3) L’accumulo di altri debiti su un debito stratosferico
4) Il sistema bancario italiano

Parto da quest’ultimo punto: se i soldi vengono dati alle banche, chi ne ha veramente bisogno li vedrà con il cannocchiale. Il perché lo sappiamo tutti ed è inutile dilungarsi su cose conosciute. Chiaro, quindi, che chiedersi queste cose non serve a nulla e che bisogna proporre invece di attendere. Cosa? Una patrimoniale o “reddimoniale”? Per carità di Dio, rischieremmo di far fallire le banche e le assicurazioni in cui sono investiti i risparmi dei giusti, e di incentivare il nero. Facciamo qualche considerazione semplice.

1) L’Italia ha avuto il suo boom economico negli anni ’50 e ’60 non per la (relativa) bravura di una miriade di governi che si sono avvicendati alla guida di questo Paese, ma prevalentemente grazie ai soldi che gli americani hanno investito in Italia.
2) Le multinazionali, che piaccia o no al più accanito comunista, hanno creato aziende e posti di lavoro.
3) L’Italia è il Paese geograficamente, e non solo, più importante del Mediterraneo.
4) L’Italia è parte (essenziale) della Nato.
5) Gli Stati Uniti sono la più grande democrazia occidentale, e hanno un senso del business senza pari. Mi verrebbe da dire che se proprio dovessimo avere un creditore, meglio loro che altri; e certamente, with all due respect, non la Cina o altri Paesi ex comunisti. Non perché non ci possano stare simpatici, senza offesa per Di Battista, ma semplicemente perché sarebbe la scelta meno attenta da parte di un Paese membro dell’Ue e parte della Nato.

E allora? Prima riflessione, scontata. I soldi li prendi da chi ce li ha e sai che te li può dare. Seconda. Se possibile, non li prendi a debito, ma con formule più intelligenti. Bene. Dove stanno i soldi? In Italia, a parte la solita Cassa Depositi e Prestiti, che non è un pozzo senza fondo, nei Fondi Pensione e negli istituzionali, cioè nelle Casse di Previdenza; e, in parte, nei fondi di private equity, molti dei quali stanno aspettando che il mercato crolli completamente per comprare a prezzi di realizzo. Negli ultimi anni in molti hanno parlato di investimenti da parte di questi enti nell’economia reale, soprattutto dei Fondi Pensione. Tanti convegni (io stesso ne ho organizzato più di uno), tante parole, e pochi risultati, perché la normativa è ancora troppo limitativa per consentire che i soldi dei lavoratori vadano ai lavoratori. In America, i soldi (quelli veri) stanno in quegli stessi enti e in realtà più o meno simili nella sostanza operativa. I grandi fondi di private equity sono americani, a parte quelli sovrani che sono una cosa diversa.

È per questo che mi permetto, con umiltà, ma senso pratico, di immaginare una soluzione. Immaginiamo di creare un veicolo ad hoc (in gergo SPV), nel quale i grandi investitori istituzionali americani e, sperabilmente, anche quegli italiani, mettano i soldi di cui abbiamo bisogno. Questo veicolo dovrebbe operare in proprio, e non attraverso le banche. Come? In due modi. Facendo “credito di filiera” e in parallelo sottoscrivendo “bonds di filiera”, o emessi dalle aziende che possono, a tassi agevolati e a scadenze temporali tipiche di un periodo drammatico come quello che stiamo vivendo. Con un’ulteriore caratteristica: i bonds dovrebbero essere convertibili, a un certo punto, in capitale di rischio. Cioè: mi indebito oggi, ma prima o poi quel debito lo porto a capitale, dando un pezzetto della mia azienda a un investitore istituzionale. Il principio è semplice: meglio avere un socio di minoranza che non interferisce nella gestione aziendale quotidiana, che un creditore che prima o poi mi chiede di rientrare.

Il credito di filiera. Altra storia, altrettanto semplice. Se ho una fattura da mettere all’incasso, devo aspettare 30, 60, 90, 120 giorni o forse Godot, che per dirla con Beckett non arriva mai. Non necessariamente perché il mio debitore è un cattivone, ma perché è più che probabile che non abbia i soldi per pagarmi. Se invece di aspettare Godot, mi faccio liquidare il credito a vista da un soggetto partecipato da investitori istituzionali, prendo danaro e lo metto in circolo. E oltre a incentivare chi lavora, perché se lavora fattura e se fattura viene pagato, faccio emergere anche il nero, che tanti criticano ma tanti continuano a fare. Troppo semplice? A parte l’ironia, dovrebbe funzionare.

Una facile domanda: perché un investitore o una moltitudine di investitori dovrebbero mettere i soldi in un veicolo del genere? Perché in cambio potrebbero emettere carta commerciale e venderla, facendola girare sul mercato. Come si fa con le cartolarizzazioni, salvo che in questo caso il sottostante non sarebbe “junk”, cioè robaccia come i crediti deteriorati, ma roba buona. Il punto è: chi può garantire gli investimenti nel veicolo di liquidità fatti dagli istituzionali? La risposta è, gli stessi soggetti italiani che oggi garantiscono quei finanziamenti che “dovrebbero” poi erogare le banche. E, se non è una bestemmia, ma in periodi di guerra ci sta tutto come concetto, magari anche in larga parte un terzo stato sovrano. Cioè, tra tutti, non la Ue, che stato non è; ma si potrebbe immaginare che siano proprio gli Stati Uniti. Meglio chiedere una garanzia, che i soldi direttamente. E meglio gli americani che altri. Non per uno, seppur sacrosanto, spirito occidentalistico, ma perché in passato i soldi in Italia ce li hanno messi loro, perché siamo parte dell’alleanza Nato e perché è più facile parlare inglese che decifrare un ideogramma o un carattere cirillico, in tutti i sensi e non solo in quello linguistico. Dicendo quindi alla Ue: grazie, mi sono organizzato diversamente. Con il rischio, per la Ue, che magari questo schema venga ripreso anche dalla Spagna o vivaddio dalla Francia, dando scacco matto in modo educato e tecnico a chi oggi ci tratta come pezzenti. Forse in futuro potrebbero anche darsi una regolata, preso atto di qualcosa che oggi né a Berlino né altrove nessuno si aspetta. 

È chiaro che una soluzione di questo genere postula, anzi presuppone, un intervento legislativo ad hoc, e per certi aspetti dirompente, per far sì che le norme ne consentano l’adozione. È altrettanto vero, però, che in tempi di guerra (l’espressione non è mia ma fin troppo usata ed abusata dai politici in questi giorni) si fanno leggi speciali e si adattano le normative alle circostanze che la guerra comporta. 

Un’ultima considerazione: il problema, e quindi il dramma, non lo vivremo a maggio o giugno, perché qualche soldo ci sarà ancora in giro, ma a ottobre e nei mesi successivi, perché la vera stagnazione si creerà allora, non essendo stati messi in circolo soldi nei mesi precedenti. A meno che non ci si muova subito. Il tema va approfondito, perché gli aspetti tecnici non sono pochi, ma a condizione che ci sia qualcuno che ascolti, invece di parlare.

Intervento dell’avvocato professor Alessandro Varrenti (fonte Atlanticoquotidiano.it)