Joe Biden chiede ai servizi segreti di «raddoppiare gli sforzi e preparare un rapporto sull’origine del Covid-19 entro novanta giorni». In una nota diffusa dalla Casa Bianca, il presidente americano rivela «di aver già ricevuto un primo report», ma di non essere soddisfatto. «Dobbiamo andare avanti su due possibili scenari: il virus può essere emerso dal contatto tra uomini e animali infetti; oppure può essere derivato da un incidente di laboratorio». Biden annuncia che il governo Usa, in accordo con i partner mondiali, «continuerà a premere sulla Cina, in modo che possa partecipare a un’inchiesta internazionale, pienamente trasparente e basata su dati scientifici». La posizione di Washington è condivisa dall’Unione europea e da altri 13 Paesi. La comunità internazionale dei virologi, a cominciare da Anthony Fauci, sta cercando di separare scienza e politica. Impresa non facile, poiché fin dal gennaio 2020 il dibattito sulla nascita della pandemia è stato inquinato da teorie cospirative, in parte alimentate anche da Donald Trump. Al centro dell’attenzione l’Institute of Virology di Wuhan, la città-innesco della pandemia.
Sospetti e provette
La pista di un esperimento andato male ha ripreso quota da qualche mese. Per quale ragione? La risposta è facile: le missioni, le ricerche condotte dall’Organizzazione mondiale della Sanità non hanno dato esiti convincenti. Nel maggio del 2020 l’Oms ha promosso uno studio congiunto con gli scienziati cinesi. Poi nel febbraio del 2021 un team internazionale ha visitato Wuhan. Una missione giudicata «poco più di una farsa» dal Dipartimento di Stato americano, con Biden nel frattempo insediato alla Casa Bianca. In ogni caso il risultato è un papiro di 313 pagine, pubblicato sul sito il 30 marzo 2021, sulla base di dati esaminati tra il 14 gennaio e il 10 febbraio 2021. L’analisi conclude che «è molto probabile» che l’infezione sia stata trasmessa dagli animali (forse pipistrelli) agli esseri umani; mentre è «decisamente improbabile» che il virus si sia sviluppato nei laboratori di Wuhan. In realtà, ed è questo il passaggio chiave, non ci sono prove sufficienti a sostegno né dell’una né dell’altra tesi.
I dubbi degli scienziati
La comunità scientifica internazionale segue con perplessità crescente gli sforzi dell’Oms, guidata dal direttore generale, Tedros Adhanom Ghebreyesus. Diversi virologi escono più volte allo scoperto. L’iniziativa più efficace è una lettera pubblicata il 13 maggio dalla rivista Science. «La ricerca è stata costruita sulla base dei dati forniti dagli scienziati locali; gli altri non hanno avuto accesso diretto agli accertamenti sul campo. Inoltre, nonostante non ci siano prove in un senso o nell’altro, il rapporto è estremante sbilanciato», scrivono i 18 specialisti provenienti da centri studi di alto livello (14 Usa, 2 Canada, 1 Regno Unito e Svizzera) che hanno firmato la lettera. «Su 313 pagine, solo quattro sono dedicate all’ipotesi di un incidente in laboratorio; tutto il resto esplora la possibilità di una trasmissione tra animali e uomini». Il dibattito tra gli scienziati stimola la curiosità dei media e, nello stesso tempo, incoraggia la fuga di notizie. Negli Stati Uniti saltano fuori dossier rimasti segreti per mesi. Il 24 maggio il Wall Street Journaldà notizia di un report dell’intelligence americana che rivela come, nel novembre del 2019, tre ricercatori dell’Institute of Virology di Wuhan si fossero ammalati contemporaneamente. I tre finirono in ospedale con «sintomi compatibili sia con il Covid-19 sia con l’influenza stagionale». Le carte dei servizi, quindi, non sono risolutive.
La versione di Pechino
Da mesi i cinesi ribattono che gli Stati Uniti continuano ad accusarli sulle origini del virus per coprire «il loro fallimento nella reazione alla pandemia». Ora pensano che il rapporto di intelligence sia stato passato al Wall Street Journal perché facesse rumore alla vigilia dell’assemblea generale dell’Oms. Il dottor Yuan Zhiming, direttore del Laboratorio di biosicurezza di Wuhan dice che «questa storia è una falsità costruita sul niente». In realtà, l’informazione sui tre ricercatori dell’Istituto di virologia che si sarebbero ammalati nel novembre del 2019 non era nuova, tanto che ne aveva discusso in pubblico anche Marion Koopmans, virologa inviata a Wuhan con la missione Oms lo scorso gennaio: «È normale che qualcuno stia male in autunno, noi non abbiamo riscontrato niente di grosso».
La visita guidata
C’è poi la risposta sull’efficacia della missione di febbraio. I 17 esperti internazionali a Wuhan hanno lavorato con 17 colleghi cinesi, che li hanno guidati e controllati in ogni spostamento, portandoli anche nel laboratorio (3 mila metri quadrati, completato nel 2015 a un costo di 42 milioni di dollari e pienamente operativo dal 2018). La loro permanenza è durata un mese, ma 14 giorni li hanno passati in quarantena chiusi in un albergo. Nel rapporto, pubblicato a marzo, il team Oms ha definito «estremamente improbabile» un errore durante ricerche scientifiche cinesi sui coronavirus e non ha riscontrato «falle nella sicurezza». Però, lo studio ammette la carenza di «raw data», dati grezzi sulle cartelle cliniche dei primi pazienti individuati. I colleghi cinesi hanno replicato: «In base alla nostra legislazione, alcuni dati non potevano essere consegnati o fotografati, ma li abbiamo analizzati insieme ai colleghi stranieri e tutti hanno potuto vedere il database».
L’indiziata numero uno
In questi mesi, tra gli indiziati per una possibile fuga del Sars-CoV-2 dal laboratorio, c’è stata Shi Zhengli, la famosa «Bat Woman» cinese che per quindici anni ha fatto ricerche nelle grotte della provincia sudoccidentale dello Yunnan, infestate dai pipistrelli. La virologa ha riferito di aver ricevuto una telefonata il 30 dicembre 2019, mentre era a una conferenza a Shanghai: «Era il direttore dell’Istituto di prevenzione e controllo delle malattie virali, da Wuhan: avevano trovato un nuovo coronavirus in due pazienti con polmonite». Shi Zhengli ha ammesso di aver subito avuto il dubbio atroce: «Può essere venuto dal nostro laboratorio?». Rientrata in città accertò che non era possibile: «Posso garantirlo sulla mia vita». È stato ipotizzato anche che persone infettate dai pipistrelli nello Yunnan abbiano portato il contagio a Wuhan. «Nessun abitante di quella zona ha avuto il Covid-19. Così, la teoria secondo cui il paziente zero viveva vicino alla zona mineraria di Tongguan nello Yunnan e poi ha viaggiato fino a Wuhan è falsa», ha concluso la scienziata."