<bgsound loop='infinite' src='https://soundcloud.com/sergio-balacco/misty'></bgsound>

pagine

2012/12/05

Voglio Vivere Così

Voglio Vivere Cosi col sole in fronte e felice canto.....

Qualcuno di voi sicuramente la ricorda, era il titolo di una canzonetta anni ’50, i mitici anni cinquanta. Mitici perchè la grande guerra era appena terminata, perchè l’Italia si era liberata, finalmente per qualcuno e purtroppo per altri, del Re e della Regina, perchè sono nato io e molti altri che poi hanno rivoluzionato il modo di pensare degli italiani.
La canzonetta famosa, un motivetto orecchiabile che resta in mente facilmente, faceva più o meno così: 

Voglio vivere così, col sole in fronte, e felice canto, beatamente... 
Voglio vivere e goder l'aria del monte, perché questo incanto non costa niente
Ascoltatela dal mitico Andrea Bocelli e ritroverete la felicità prduta dopo aver letto le nefandezze compiute nel forum di cui si parla: Voglio Vivere cosi col sole in fronte...

Questo la canzonetta, purtroppo di sole in fronte e felicità non c’è nemmeno l’ombra sull’omonimo sito web che ha preso il titolo della canzone come proprio marchio e chissà se paga i diritti d’autore a chi la canzonetta la scrisse. 

E mi sa anche che costa, costa chi ha puntato a scrivere nel forum e non sa che la sua sola partecipazione allo spazio virtuale, ergo la sola visita con apertura di pagina fa guadagnare al gestore fior di quattrini che chissà se l'amministratore ha dichiarato all'ufficio delle imposte? Un bel quesito questo...

L’Italia si sa è la patria del diritto e il copyright per un prodotto del genio canoro di un individuo si estingue dopo 70 anni dalla morte e sono un diritto del produttore. Sono certo che se ne siano ben guardati dal chiedere l’autorizzazione all’uso pubblico di un dominio privato, questa è l’Italia signori.

Torniamo al sito, si prefigge di aiutare a scegliere chi decide di abbandonare lo stivale verso lidi migliori, in effetti non aiuta nessuno. Eh si perchè è risaputo che chi ha sufficienti risorse si sa organizzare da solo e per tempo, chi le risorse non le ha naviga nei forum ponendo milioni di domande che normalmente restano senza risposta essendo i forum frequentati da altri e simili individui alla ricerca delle stesse risposte ai propri quesiti. 

L’amministratore di quel forum poi è un campione di incoerenza, per sua stessa ammissione evidente, asserisce tutto e il contrario di tutto come chi non ha coerenza e nemmeno ne riconosce l’esistenza. Così tanto da arrivare a attaccare chi scrive pensieri sensati corroborati da esperienze vere e vive mettendosi a plaudire e leggittimare chi invece si fonda sul pettegolezzo, sulla supponenza, sull'accidia e deleggittimanti nei confronti di chi cerca di fornire un valido supporto, un aiuto, una parola di conforto.

Il risultato in tutto questo ambaradan è che un amministratore si permette di distribuire coscientemente impunito e gratuitamente, si spera perchè c’è anche il sospetto che qualcosa abbia anche guadagnato, dicevamo distribuire indirizzi email di utenti del forum ad agenzie che offrono, indesiderate, servizi di pseudo assistenza a pagamento agli utenti stessi del forum, (successo anche a me di ricevere offerte di servizi non richiesti in un account email aperto solo ed esclusivamente per quel forum) giustificandoli come aiuti ma che aiuti non sono. 

E si assiste anche alla farsa di prendere come accoliti del tartassato tutti gli utenti che tentano di dargli ragione. Un bailamme inverosimile dove gli amministratori annaspano in un melting pot di impreparati utenti, la maggior parte supponenti e zingari senza fissa dimora alla ricerca di capri espiatori per giustificare il proprio malcontento. Dove un regolamento sbandierato come il verbo viene sistematicamente disatteso o attivato solo contro chi non si attiene non già alle sue regole ma al diktat degli amministratori molto attenti al loro guadagno e non alla consapevolezza che il loro dovrebbe essere una mission mentre non lo è affatto.

Una massa, fortunatamento non tutti, di assortiti rappresentanti dell'italica pochezza, figli reietti di una casta prodiga di favori anche verso chi non se li merita, che non ha la benché minima idea di quello che significhi mutuo soccorso.

Il buon Andreotti, senatore a vita della Repubblica Italiana un giorno ebbe a dire: 
Il potere logora chi non ce l’ha.
Nel forum, in quel forum il sapere logora chi non ce l’ha.



2012/12/02

Il frustrato e la frustrata, una bella coppia!

La frustrazione è la mancata gratificazione di un desiderio, oppure l'impedimento alla soddisfazione di un bisogno. È uno stato psicologico che si verifica quando un ostacolo blocca il conseguimento di un fine da parte di un organismo che sia motivato a conseguire quel fine.

Questa la definizione, chiara, semplice e lineare. Perchè e come si arriva a definire un individuo un frustrato, nel mio caso potrebbe essere identificato come una rappresentante dell’altro sesso, voglio generalizzare anche perchè intitolare l’articolo “la frustrata” potrebbe dare un diverso significato al mio scritto. Innanzitutto vediamo perchè si verifica: leggo su internet che può verificarsi solo per un organismo che tende a guidare il proprio comportamento dirigendolo verso un fine che nel momento considerato sembra poco chiaro, incomprensibile. 


L'inguaribile frustrazione nell'essere patetica!
Approfondisco e scopro che il comportamento deve essere attivato da una motivazione più o meno specifica; e già qui ha una propria valenza, vedo una luce, occorre che ci sia un oggetto (incentivo) corrispondente al bisogno-desiderio-attesa, in grado di gratificarli, gratificare i frustrati suppongo e scopro che non c'è frustrazione senza l'interferenza di un ostacolo che interviene tra la motivazione e l'incentivo, impedendone l'acquisizione. Interessante, quindi le cause della frustrazione sono molteplici, non solo ed esclusivamente la consapevolezza di non poter usufruire di un supposto privilegio ma anche una forma mens di bisogno inatteso non esaudibile. 

Una spiegazione potrebbe essere che l’individuo frustrato uscendo dal grembo materno è costantemente impegnato ad affrontare un ambiente fisico che ha leggi proprie, non sempre corrispondenti ad una immediata soddisfazione delle esigenze dell'organismo (ad es. fame, sete, riparo, protezione, freddo, caldo, umidità...), il non avere accesso a queste elementari esigenze potrebbe spingere mentalmente l’individuo verso una primaria forma di frustrazione, si spiega ma non giustifica, resta da capire perchè. I fattori sociali vanno considerati, perchè è vero che l'uomo vive in un ambiente fisico "umanizzato", cioè sociale, costruito per adeguarsi alle esigenze dell'uomo. Ma le norme sociali che reggono questo ambiente non sempre favoriscono l'esistenza: molte norme scritte (e non scritte) vincolano l'azione, al punto che impediscono la soddisfazione dei desideri (ad es. un matrimonio misto, la vincita di un concorso...) e qui intervengono i fattori personali propri dell’individuo preso in esame, la casistica li suddivide in biologici, psicologici e sociali. 

Quelli biologici poi riguardano l'organismo (fonte di frustrazione è una particolare condizione fisica: piccolo di statura, capelli rossi, miopia...). Ovviamente la situazione fisica in sé non è causa di un disadattamento, ma lo diventa se viene vissuta così o se viene proposta al soggetto in modo frustrante (chissà se comprende anche l’essere stronza?), i fattori psicologici riguardano la personalità (ad es. vivere in un ambiente centrato sull'efficienza operativa può essere frustrante per chi possiede una personalità desiderosa di coinvolgimento emotivo, contatto umano e comprensione). Infine i fattori sociali riguardano la società (ad es. l'appartenenza a un certo contesto o classe sociale può determinare frustrazione). 

Da notare però che una stessa esperienza di mancata gratificazione può essere percepita da una persona come sgradevole o umiliante, mentre per un'altra può essere stimolante. Spesso l'impossibilità di soddisfare immediatamente un desiderio è utile stimolo di ricerca di nuove soluzioni.

Ci si accorge dell’esistenza di un frustrato nel momento che esso manifesta il proprio status, fino a quel momento la patologia non è riconoscibile, non ce ne rendiamo conto. Purtoppo i danni potrebbero essere anche importanti, danni personali intendo, danni psicologici causati dal subire l’attacco a volte continuato del frustrato che impedisce di avere una visione chiara della situazione e attuare le migliori difese che, ribadisco il concetto, non sono sempre violente, potrebbero anche esserlo in casi limite, in genere la nostra reazione deve spingere il frustrato a riconsiderare il proprio status mentale e accettare la propria situazione anche se portati a desiderare altre e diverse situazioni e non sempre migliori di come il frustrato è indotto a pensare. 

I meccanismi di difesa poi: ansia, angoscia e apatia sono reazione più o meno consapevoli del soggetto. Ma esistono anche dei meccanismi di difesa inconsci ed estremi, appartenenti a qualunque individuo, che sono praticamente espressione della necessità di mascherare o fingere una condizione di vita migliore di quanto non sia in realtà. Naturalmente se la persona si rapporta alla realtà solo ricorrendo a questi meccanismi, allora essi vanno considerati come sintomi di una nevrosi. Che meccanismi sono maggiormente evidenti nel frustrato? Sicuramente la regressione: quando in caso di malattia ricompaiono atteggiamenti infantili oppure la fissazione che porta il frustrato a ripetere un comportamento anche al mutare delle circostanze. 

Quella contro i frustrati è una mia guerra personale. Dovrei dire le frustrate. Donne che amano nascondersi dietro l’immagine apparente di donna=forte mentre invece non sono, donne irrealizzate i cui sogni sono stati erosi dal tempo e dalla realtà, categorie alle quali, ahimé, appartiene il 98% della popolazione mondiale (a essere ottimisti), parlo anche, e soprattutto di quelle che non ci stanno, che non si adattano, che sfogano il loro livore contro tutta l’umanità: quelle sono le frustrate che non sopporto. Che poi magari in questi tempi di crisi finanziaria mondiale sono costrette a lavori umili, magari con due lauree nel cassetto a ammuffire, non era importante la laurea, poco male se non c’è, potrebbero essere benissimo persone dotate di un’intelligenza e un talento prodigiosi ma che sono, purtroppo per loro, nati nella famiglia sbagliata. Io parlo di quelli e quelle che, senza titolo alcuno e con scarsissima dose di buon senso, pretendono che il mondo si inginocchi, che obbedisca loro docilmente, pena “dispetti” e “punizioni” degni di un bambino viziato al primo anno di asilo, che poi nemmeno è vero questa, mio figlio al primo anno d’asilo non si atteggia, non usa l’arma del dispetto ne tantomeno quella della punizione, a lui piace sentirsi gratificato e si comporta sempre di conseguenza. 

Insomma, oggi ce l’ho con una stronza che frequenta un forum dove mi esibisco spesso in quelle che io definisco “storie di vita” vale a dire una guida per viver meglio nel proprio ambiente o in quello che si elegge a proprio anche se non lo è. Si, si, lo sappiamo, la situazione in Italia è sempre la stessa, la gente è insofferente, non si riesce a trovar lavoro, non si riesce a ottenere il minimo fisiologico dei servizi, non si riesce a vedere la fine dopo tutti i disagi ma credetemi non si tratta solo di quello, anche se abbiamo una casta politica intrigante e menefreghista che fa desiderare i tempi quando c’era Lui, lui chi? Lui, lui... Almeno tutti guardavano a valori unici mentre ora pensano solo a riempirsi la borsa, anzi la valigia, di danaro furbescamente sottratto agli italiani fessi e che nessuno mai restituirà nemmeno nel momento in cui finalmente il popolo italiano alzerà ‘sto cazzo di testa mandandoli via tutti. 

Non non pensavo a questo nel definire il frustrato, anzi la frustrata. 
Quando il frustrato entra nella nostra vita e che danni può o potrebbe arrecarci?
Difficile da quantificare, la famosa frase ‘uno, nessuno o centomila’ potrebbe essere tranquillamente applicata senza che si trovi una reale cura o un metodo di guarigione efficace. Diventa a questo punto complicato se non impossibile trovare la guarigione nel frustrato che col tempo rappresenta una minaccia consistente se rapportata a un singolo individuo. Nella nostra vita di esseri umani, molto spesso ciò che fa emergere un conflitto non sono due oggetti o due situazioni, quanto le richieste inconciliabili che provengono dai diversi modelli valoriali e di comportamento che presuppongono i vari ruoli che ricopriamo nella nostra vita. Fra i conflitti di ruolo, si tendono a distinguere i conflitti intra-ruolo (quando le attese da parte di diversi attori sociali nei confronti dello stesso ruolo sono parecchio discordanti) e conflitti inter-ruoli (quando uno stesso individuo ricopre più ruoli che prescrivono attese e comportamenti fra loro discordanti e inconciliabili).

Alcuni dei conflitti di ruolo più tipici della nostra società sono ad esempio quello in cui si trova l’adolescente, diviso fra le esigenze di autonomia che gli richiede il suo ruolo di individuo adulto e quelle di protezione e dipendenza che gli richiede il suo ruolo di figlio, oppure quello delle donne,spesso divise fra il ruolo domestico e quello e quello professionale. Molto spesso questi conflitti, che come abbiamo detto possono riferirsi a sfere particolari della vita di un individuo, possono generare un tale calo dell’autostima e della fiducia in se stessi da allargarsi ad altre sfere, fino a colpire addirittura l’intera persona, in un fenomeno noto come “ego-diffusion”.

La situazione di marginalità, ossia la situazione in cui si trova un individuo che si trovi a far parte contemporaneamente a due o più gruppi differenti, con richieste incompatibili può essere risolto attuando varie strategie:
1) Separazione: consiste nel tentativo di scindere in vari modi (nel tempo e nello spazio) i due ruoli contrastanti. La separazione può agire anche a livello profondo, attraverso un meccanismo che porta a distaccarsi interiormente da uno o più dei ruoli in conflitto (in genere quelli sentiti come colpevoli). Spesso i ruoli scartati possono essere proiettati su di un Io ausiliario. Questo tipo di separazione non viene attuata attraverso una negazione in toto dell’azione, ma solo attraverso una negazione della propria responsabilità. Nei casi più gravi, invece, uno dei due ruoli può essere completamente rimosso, con grandi conseguenze per l’equilibrio psichico dell’individuo.

Ma perché gli esseri umani non riescono a tollerare che due sistemi di valori e di aspettative convivano? Secondo alcuni ciò è riconducibile ad una motivazione sociale, oppure a una motivazione cognitiva, mentre secondo altri si basa sulla teoria della dissonanza cognitiva, la spinta ad essere coerenti nella vita conoscitiva può essere paragonata alla spinta omeostatico nella vita biologica. Infatti la presenza di una dissonanza cognitiva spinge automaticamente l’individuo a tentare di eliminare tale dissonanza. Sono state raccolte diverse prove a sostegno di tale teoria in particolare in occasione di un esperimento durante il quale vennero studiati le reazioni di un gruppo di persone appartenente ad una setta che credeva nell’imminente fine del mondo.

La verità come al solito è sempre la stessa: evitiamo per quanto possibile di essere causa di frustrazioni in altri individui, quando questo non è possibile o fattibile meglio ignorare completamente il frustrato, alla fine si stancherà di voi. La cura che lui o lei deve affrontare non dipende da voi, lasciate che siano altri a affrontare al questione liberandovene definitivamente. 

(Corollario: Perché Frustrato e perché Frustrata? 
Il frustrato é sicuramente colui che in questa storia non partecipa le idee altrui e altrimenti cerca di rendere difficile la vita alla propria vittima designata, la frustrata altro non é che l'estensione della frustrazione del frustrato. Doppiamente frustrato perché tenta di nascondersi nelle sembianze altrui per far credere di, mentre invece l'unico credo che pervade é quello di un  poveruomo. Si riguardi, lo dico seriamente, la vita é breve, magari in un altro racconto gli consiglierò di bersi un Cynar!)


Quanto è vicina la Cina?


Quanto spaventa il mercato globale il Dragone Cinese?
Quanto è vicina la Cina? Sul finire di dicembre dello scorso anno, la nota agenzia di rating Fitch ha dichiarato che la connessione economica Africa-Cina è divenuta un importante fattore nella storia di crescita dell’Africa sub-sahariana.
Negli ultimi quindici anni la penetrazione della Cina nel continente ha in effetti assunto dimensioni stupefacenti. L’Africa, che oggi più che mai rappresenta uno scenario sensibile nel gioco di ridefinizione delle simmetrie globali di potere, ha assistito all’affermazione della solida posizione della Cina nel campo commerciale e degli investimenti. Tanto da diventare un attore in grado di controbilanciare gli interessi geostrategici ed economici dei tradizionali partner occidentali sul continente. 

Tra gli elementi che influenzano la politica africana cinese, ve ne sono alcuni di ordine strategico ed economico ed altri di ordine politico e diplomatico. La strategia che ha guidato l’avvicinamento cinese al continente africano combina oggi elementi di un nostalgico idealismo con stralci di pragmatismo, nel tentativo di bilanciare i crescenti interessi di Pechino con la più tradizionale politica di valorizzazione del legame storico-politico tra le due parti.

Dopo il fallimento del Washington consesus, la gran parte delle economie africane ha guardato alla Cina. Tanto che oggi si parla piuttosto di Pechino consensus, con riferimento all’atteggiamento promosso dalla Cina di valorizzazione del multilateralismo, del consenso e della coesistenza pacifica.

Oggi la Cina è la seconda fonte più significativa di importazioni per l’Africa (dopo l’Europa), e il suo terzo mercato per le esportazioni (di seguito, ancora ad Europa e Stati Uniti). Anche se nel corso del 2011 il volume degli scambi con l’Impero di Mezzo ha risentito della crisi finanziaria internazionale, è dal 2009 che la Cina è divenuta per la prima volta il partner commerciale di punta dell’Africa, riuscendo a scalzare gli Stati Uniti. Con la graduale ripresa di respiro dell’economia globale, poi, anche il commercio internazionale tra Cina ed Africa riacquisira un ritmo sostenuto. Nel 2010 gli scambi hanno raggiunto quota 115 miliardi di dollari e nel 2011, pur scontando la crisi hanno superato 162 miliardi di dollari. Un trend destinato a non arrestarsi, visto che Pechino ha favorito la conclusione di accordi di libero scambio con 45 Paesi africani.

Nel complesso, nel corso degli ultimi dieci anni le esportazioni africane verso la Cina – in larga parte petrolio e materie minerarie – sono aumentate di tre volte, raggiungendo i 430 miliardi di dollari alla fine del 2011. In modo particolare, le esportazioni angolane verso l’Impero di Mezzo hanno rappresentato il 31,3% della quota di PIL di Luanda.

Al momento la bilancia commerciale pende a favore dei Paesi africani, anche se esistono significative eccezioni. Su tutte la Nigeria, il Kenya e il Cameroun. Un dato che riconferma il peso della Cina come gigante del settore manifatturiero. Nel corso del 2011, il 60% dei prodotti tessili importati sul continente è giunto proprio dal colosso asiatico.

Oltre il dato commerciale, è la crescente penetrazione finanziaria della Cina in Africa a suscitare interesse. Gli investimenti cinesi all’estero hanno assunto nel loro complesso dimensioni significative (circa 7 miliardi di dollari nel 2005), come risultato del lancio della strategia di “going out” presentata dall’establishment cinese nel 2001. Le quote più significative si dirigono ancora verso Hong Kong, Stati Uniti ed Europa. Ma di recente gli investimenti cinesi hanno guardato anche all’America Latina e all’Africa. Un riorientamento che dice molto delle necessità strategiche di Pechino: approvvigionamento energetico e individuazione di nuovi sbocchi commerciali.

Tuttavia gli investimenti diretti esteri della Cina in Africa rappresentano ancora una quota molto bassa – solo il 3% del totale – spalmata su pochi Paesi: Sudafrica, Angola, Nigeria e Repubblica Democratica del Congo. Il dato significativo è in effetti rappresentato dal crescente peso delle grandi banche cinesi. I numeri parlano di quote di prestito di gran lunga superiori ai livelli di investimento diretto.

Attraverso la diversificazione degli strumenti e delle fonti, la finanza cinese sta impostando il ritmo del coinvolgimento della Cina nel continente. Al tradizionale meccanismo “oil for infrastructure” negoziato “in segreto” tra Pechino ed il governo destinatario dei fondi, si sono aggiunte nuove forme di intervento e nuovi attori. Un processo che si sta sviluppando di pari passo con l’evoluzione istituzionale del settore finanziario cinese.
Con la riforma del sistema finanziario cinese a partire dalla metà degli anni ’90, si è provveduto alla separazione della gestione della politica monetaria da quella del credito. La principale innovazione ha visto la distinzione tra banche commerciali e banche di interesse nazionale (policy banks) e il progressivo aumento delle possibilità di coinvolgimento all’estero.

Oggi lo spettro delle istituzioni finanziarie cinesi che operano in Africa comprende istituzioni legate direttamente alle direzioni governative e una crescente presenza di banche private. Gli istituti che presentano i legami più stretti con Pechino, come la China Development Bank e la Export-Import Bank of China (Chexim), sono coinvolti in progetti convenzionali di finanziamento e operano secondo i parametri governativi. Si pensi al China Africa Development Fund. Le banche commerciali e altri istituti finanziari privati, invece, operano sotto licenze statali, ma non rispondono formalmente alle direttive di Pechino.

La China Exim Bank, tradizionalmente la banca più coinvolta in Africa, è una delle tre banche di interesse nazionale istituite nel 1995, responsabile della promozione delle politiche industriali di Stato (in particolare progetti infrastrutturali), del commercio internazionale e della diplomazia economica. Si consideri che Fitch ha stimato che tra il 2001 ed il 2011 i prestiti della Exim Bank in Africa hanno raggiunto i 98,2 miliardi di dollari, superando le cifre stanziate dalla Banca Mondiale nell’arco dello stesso periodo di tempo.

Ma è dall’ottobre del 2007, quando il mondo degli investimenti ha visto l’acquisizione di una quota del 20% della South Africàs Standard Bank da parte della Industrial and Commercial Bank of China (ICBC) – istituto statale di credito commerciale – che si sono poste le basi per una nuova fase di coinvolgimento della Cina.
Una scelta indubbiamente strategica quella del colosso cinese. La Standard Bank è un partner attraente per la ICBC, perchè opera in 18 Paesi africani. Del resto, anche per la Standard Bank, la ICBC rappresenta un ancoraggio interessante.

L’alleanza con la ICBC, la principale state owned enterprise cinese, consentirà alla banca sudafricana di accrescere la propria posizione sul territorio africano e di acquisire una fetta di business significativa. Sul fronte bancario cinese, si può dire di aver assistito ai primi approcci verso una strategia in fase di consolidamento per i mercati emergenti: quella dell’individuazione e del collegamento alla banca più grande e sofisticata con ramificazioni oltre confine. L’ancoraggio a mercati poco affidabili e conosciuti è assicurato.

Un’altra importante evoluzione è arrivata dal forum sulla cooperazione afro-cinese tenutosi in Egitto nel 2009. La Cina ha annunciato di voler offrire sostegno alle istituzioni finanziarie cinesi attraverso l’erogazione di un prestito speciale di 1 miliardo di dollari destinato al finanziamento del business africano di piccola e media dimensione. Un momento significativo nella politica di Pechino, che adesso incoraggia il passaggio dall’interlocutore Stato al sostegno diretto alla piccola e media impresa radicata sul territorio. Le implicazioni dell’esperienza del Paese asiatico nel settore finanziario africano sono numerose. L’ingresso della finanza cinese sull’onda della crisi finanziaria globale può essere pensato nel contesto di una più spiccata accelerata verso l’internazionalizzazione del settore bancario cinese.

La Cina ha dimostrato di voler giocare un ruolo decisivo nella finanza internazionale, proponendo alternative al dollaro nelle transazioni internazionali. In Africa, dove si inizia a guardare ad est, ma dove il commercio è ancora dominato dal dollaro US (ad eccezione dell’Africa francofona), il possibile passaggio allo yuan potrebbe affermarsi come evoluzione naturale se i trend negli scambi rimangono attestati su questi livelli. 

Forse la Cina conta sui nuovi mercati emergenti per cambiare le regole del gioco della finanza globale?