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2013/04/12

I/O


Io sono pesante? Forse si, o forse io non sono esattamente così, in linea di massima si, anche se esistono delle conflittualità. E’ vero che sono pesante, è anche vero che non lascio perdere ma non adesso, i tempi cambiano, le persone anche. Era così in un passato ormai vecchio, stantio, ammuffito. Tuttavia, posso affermare che anche a me sembra tutto-tutto-tutto troppo importante. Magari mi sbaglio, magari non è vero, magari niente è veramente degno di nota, degno di tempo, degno di attenzione. 

Avete mai pensato al significato del termine "io"?
Io è anche un linguaggio di programmazione, una sequenza breve di acceso e spento (In/Off). Un codice binario a semplice declinazione dove l'accensione precede lo spegnimento, allora tutta la nostra vita è costituita da continui in e off secondo le situazioni, gli animi, le consuetudini, la gente che ci circonda? Accendiamo questo termine e diciamo che "io" esiste anche se subito dopo, una milionesima frazione di secondo dopo non esiste più e allora viene da pensare "Chi sono io?". Forse è meglio scriverlo I/O?

Io a volte mi interrogo e mi chiedo perché, sono forse sono venuto al mondo per perdermi dietro a quei particolari che nessuno nota più? Affezzionato a quella cura del dettaglio che agli altri difetta enormemente, io sono per dare quelle spiegazioni che non interessano a nessuno, o forse si ma non nei modi e nei tempi e nelle parole e nei toni che io utilizzo e così va a finire che sembro petulante, indisponente, supponente. 

Invece no, io sono attento e disponibile sempre ai problemi altrui, cerco di far caso a mondi che per altri sembrano idiozie. Magari dovrei fare più attenzione al grande disegno, alla meta, all’obiettivo o come si dice oggi al target, quello del “grande” e non dell’insignificante. Oggi non interessa a nessuno se mentre stavi andando a lavorare hai visto un bambino giocare pericolosamente vicino alla strada, un prato di cui non ti eri mai accorto, un palazzo con la facciata dipinta di giallo canarino o uno stormo di fenicotteri rosa, un bimbo che piange, un miagolante gatto che vorrebbe averti vicino, ti promuove a suo compagno per la vita, no, per tutti l’importante è che tu arrivi in ufficio e lasci fuori quel gatto che ti ha dato tanto amore senza mai conoscerti.

Oggi non importa a nessuno se un giorno ti sei svegliato e hai sentito la necessità di indossare la camicia arancione, i pantaloni blu elettrico, le calze nere e la giacca verde solo per mostrarti più allegro, per non morire dentro. L’importante è che tu faccia quello che devi. Sono pesante, sono permaloso. Al contrario di qualcuno io ricordo le date, ricordo tutte le  capitali che ho visitato e anche quelle che non conosco ma ho letto da qualche parte sui libri, su internet, visto al cinema o alla tv. Al contrario di altri mi offendo, mi imbarazzo se loro non conoscono le capitali del mondo, se mi dicono che Londra è la capitale del Burundi e Johannesburg quella della Scozia. Sono pesante, voglio sembrare perfetto anche se nella vita reale... ebbene si, cerco di essere perfetto, con qualche peccatuccio ma reale.

Sfortunatamente non ricordo i nomi della gente che ho conosciuto ma ricordo perfettamente i volti di ognuno per cui se incontro qualcuno per strada che ricordo mi arrovello per cercare di appioppare un nome a quella faccia finché non approccio la persona per chiedergli “scusa ma dove ci siamo già visti?”. 

Non ricordo nemmeno i nomi dei più grandi artisti di tutti i tempi ma non rappresenta per me una grande perdita, quando mi servono apro le infinite pagine della conoscenza nel web e pesco a piene mani quello che mi serve e se mi serve mentre parlo con qualcuno ammetto candidamente di non conoscerlo. 

Sono pesante ma pensante, non ricordo i nomi delle strade ma se tu vuoi andare dal punto "x" al punto "y" di una città che conosco sappi per certo che sarò in grado di aiutarti a trovare quella strada, qualcuno non molto tempo fa a proposito di Copenhagen mi soprannominò Bal Bal con chiaro riferimento al navigatore gps Tom Tom (grazie Stefano).

Ma non ricordo mai che lavoro fa la gente. Ricordo bene se qualcuno mi ferisce, però ricordo bene anche se io ferisco qualcuno e quel ricordo mi perseguita per anni, ho nella memoria un cassetto specifico di questi dolori procurati e tutte le volte che metto in ordine i ricordi ecco che tornano in mente e fanno male. 

Ricordo bene se qualcuno ha gli occhi tristi, o se li ha pieni di gioia infinita. Ho sempre paura di essere frainteso, è vero. E’ che credo, credo fermamente, che tutto questo pressapochismo, tutta questa “leggerezza” di cui in tanti dicono di aver bisogno, tutto questo “ne riparleremo poi”, tutto questo “le cose stanno così, pace!” non faccia per me. 

Io sanguinerei, mi farei sanguinare le labbra pur di essere preciso in quello che dico e faccio. Io, perché io so che basta una parola, una piccola parola a far piangere una persona per notti e notti intere. Non io, io (non) lascio perdere. Io cerco di far piangere meno persone possibili, perché sono i particolari a uccidere. 
(liberamente tratto, corretto e adeguato al mio pensiero da uno scritto di Susanna Casciani.)



2013/04/11

Pedofilia: continuare a parlarne per sconfiggerla

Uno su cinque!
Un bambino o bambina ogni cinque subisce oggi violenze che vanno dalla pedofilia alla prostituzione. Non nascondiamo la testa sotto la sabbia come gli struzzi, il problema tocca tutti, sia chi ha figli che chi non li ha. Non dimenticatelo e non fate finta di nulla, il fenomeno va bloccato. 
La prossima volta potrebbe toccare ai tuoi figli, pensaci!


"La prostituzione infantile è un business più redditizio della droga. Costa poco e comporta molti meno rischi". Joseph Moyersoen dà la caccia ai pedofili. Responsabile internazionale dei diritti per l'infanzia nell'organizzazione Terre des Hommes Italia, è stato anche consulente legale per la legge contro lo sfruttamento sessuale dei minori approvata nel '98. Viene dal Belgio, patria di famosi pedofili. 

Ha seguito il caso di John Stanford, il primo trafficante di bambini arrestato nella storia. Snocciola cifre sui piccoli schiavi del sesso, mostra sulla cartina i nuovi eldorado dei "coccodrilli", come vengono chiamati i clienti dei babybordelli. E' sconfortato, Moyersoen, adesso che deve fare il punto su questa battaglia, che da anni è la sua vita.

Purtroppo si tratta di un fenomeno in crescita che non conosce crisi. Anche se, va detto, i rischi sono elevati, secondo la legge italiana un turista che esercita il turismo sessuale all’estero per procurarsi piccole vittime rischia pene importanti anche se nel paese dove vengono scoperte riesce a cavarsela. Una volta rientrato in italia la legge prevede il carcere fino a 3 anni per i clienti e fino a 12 anni per chi organizza o propaganda questi viaggi. Questo dice la legge 269 del '98 che può essere applicata anche se il reato è commesso all'estero. E attenzione, riguarda chi compie atti sessuali in cambio di denaro con una persona che ha meno di 16 anni. Tuttavia nessun italiano è mai stato arrestato per questo tipo di reati, la cosa più grave è che non ci sono denunce.

Perché?

Difficile dirlo, forse gli italiani sono maggiormente attenti o verosimilmente le vittime, per la vergogna, evitano di denunciare l’accaduto sperando non abbia a ripetersi invece non fanno altro che acuire il proprio senso di disagio, come famiglia e come vittime, non rendendosi conto che simile atteggiamento protegge il pedofilo e lo rende immune alle azioni penali contro di se, quindi contro tutti i pedofili.

All’estero come funziona?

Le leggi in materia pedofilia sono tutte abbastanza recenti, quindi è normale che ci sia ancora un ritardo nella giustizia. Tuttavia i magistrati dei paesi presi in esame si stanno muovendo meglio degli italiani. Ci sono stati esposti in Germania ma anche in Francia. A Parigi un impiegato tedesco di 48 anni è stato condannato a sette anni per aver praticato sesso con una bambina thailandese. Il problema dell'Italia non è la legge ma la sua applicazione. Semplicemente da noi non c'è nessuno che è incaricato di farla funzionare. 

Manca il personale di polizia all'estero. Molte organizzazioni umanitarie, richiedono da tempo al ministero dell'Interno di distaccare agenti di polizia addestrati per effettuare indagini nelle località più frequentate dagli italiani. Potrebbero anche di affidare questo compito al personale che è già all'estero per occuparsi del traffico di droga, al momento tutto tace, nell’incertezza delle istituioni poi diventa tutto più difficile, non si conosce chi dovrebbe prendere una decisione, chi attuare un programma o mobilizzare il personale che pure esiste ma a volte resta immobile e impotente di fronte ai fatti per mancanza di coordinamento. 

Tenete presente che esiste da tempo, anche se i contorni non sono ancora ben definiti, una grande "pedofili srl" internazionale, per ora relativamente alla pornografia su Internet ma si teme una recrudescenza dei crimini nei confronti delle piccole schiave del sesso, provenienti per la maggior parte dal sud est asiatico, e questo anche se i paesi colpiti attuano vaste campagne di sensibilizzazione fra la popolazione. Purtroppo troppo spesso la povertà delle famiglie porta a uesta sorta di vendita del figlio o figlia ultima arrivata affinché permetta la sopravvivenza degli altri figli. Un piccolo sacrificio per salvaguardare la famiglia, e questo è abominevole. 

Esistono delle organizzazioni miranti a incrementare il portafoglio verso una larga fetta di utenti europei interessati. Tuttavia il mondo non è ancora organizzato per combattere questo tipo di crimini, non ancora, almeno. Per ora si tratta di mercati locali, che si basano su piccoli trafficanti e passaparola tra clienti. Trovare questi bordelli è facile, facilissimo, è tutto su Internet. Anche la stampa intesa come giornali e siti internet pubblicizzano involontariamente questi siti virtuali o reali quando parlano del fenomeno. Ma non parlarne è peggio, perché in questo modo si permette che un velo d’oblio e d’indifferenza scenda sul problema e nasconda ancora meglio i pedofili che così possono agire industurbati. 

Ci vorrebbe una taskforce transnazionale contro i pedofili. Una proposta in tal senso è già stata presentata al congresso mondiale contro lo sfruttamento minorile. I risultati ancora non sono arrivati, molte nazioni non sono attrezzate, altre temono un effetto domino sul turismo e si continua a procedere a tentoni. Qualcosa è stato fatto, altro lo sarà, si chiede una cooperazione giudiziaria internazionale magari sotto l’egida ONU. 

Bisogna mettere insieme nomi, denunce, per dare un volto a questi viaggiatori ancora invisibili.
Bisogna continuare a parlarne per rendere difficile la vita a questa gente, malata finché si vuole, palesemente pericolosa per i nostri figli.

Io denuncio per quanto mi è possibile, tu che stai facendo? 






2013/04/08

Risparmio energetico? No grazie!




Titolo emblematico che deve far riflettere. Sembrerebbe che agli italiani il risparmio energetico non interessi poi tanto. A parole forse si, non nei fatti.

Tutti parlano e straparlano di efficienza energetica, in Italia, ma i fatti sono ancora decisamente troppo pochi. Anzi, per l’ennesima volta siamo costretti a guardare a quei politici che ci rappresenteranno in Parlamento quando un governo verrà finalmente varato, affinché confermino e rendano davvero efficace il 55% di sgravio fiscale per l’efficienza energetica sugli edifici e non ridurlo come previsto dalla legge di bilancio al 36%. Il successo enorme degli sgravi fiscali del 55% per l’efficienza sugli edifici, per esempio, è sempre destinato ad autodistruggersi entro un certo periodo di tempo, ed è stato minato anche dall’innalzamento degli sgravi per le ristrutturazioni in generale: quale cittadino sceglierebbe di dover dimostrare i propri interventi di efficienza energetica per avere un 55% di sgravi fiscali quando può, molto più facilmente, accedere al 50%?


Lo spreco energetico costa al nostro Paese almeno 20 miliardi di euro in un anno, cioè 516 euro a famiglia. Lo dicono le agenzie per l'energia e associazioni delle imprese. In particolare un rapporto di fine 2012 indica che non solo siamo i primi importatori di elettricità al mondo, con la conseguenza che il costo per l'utente italiano è il doppio di quello sostenuto da un francese e il triplo degli svedesi, ma che deteniamo anche la maglia nera europea per la poca attenzione riservata a riciclaggio e fonti alternative.

Come se non bastasse deteniamo anche il record europeo della tassazione sui consumi energetici. "La spremitura di famiglie e imprese tocca la ragguardevole cifra di 31 miliardi di euro l'anno, la più alta d'Europa. E il risparmio energetico pur con grandi passi verso l'efficienza ancora fatica a essere considerato in particolare dalle famiglie italiane.

Sembra un controsenso, lo capisco, se da una parte si ricorre maggiormente alle energie rinnovabili com'è possibile che tutto sommato il divario non si riduce? Perchè gli sprechi sono ancora troppi, va cambiato il sistema, vanno cambiate le forme di produzione e vanno cambiate certe regole di certe amministrazioni pubbliche. Parlo di Comuni, di Province, di Regioni. In particolare quelle amministrazioni di piccoli comuni, con evidenti problemi di bilancio, tendono a non mettere in pratica le azioni di base per arrivare al risparmio. 

Un esempio su tutti: La spesa annuale dei comuni italiani per l’illuminazione pubblica ha superato il miliardo di euro. Più le manutenzioni. Il 95% delle luci utilizza sistemi inadeguati che disperdono inutilmente verso l'alto il 45% della luce erogata, mentre i nostri lampioni, da soli, ne disperdono circa il 30%. I sistemi sono ancora vecchi, molto energivori. I Comuni che utilizzano illuminazioni a led sono ancora pochi, nemmeno le grandi città ne fanno un uso generalizzato, ma lì incidono anche bilanci mostruosamente in perdita, grandi problemi da risolvere prima di modificare l'illuminazione stradale. I piccoli comuni invece sarebbe favoriti in questo ma non si adeguano. Adeguate misure di ammodernamento degli impianti, farebbero risparmiare fino al 40% dell'energia. 

Poi ci sono i paradossi: il fabbisogno energetico è di 198 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, mentre il consumo effettivo e di 146". Secondo il rapporto l'80% delle famiglie italiane lascia regolarmente sei elettrodomestici in standby, con sprechi che riguardano soprattutto lo scaldabagno (20%), il frigorifero (18%) e l'illuminazione (15%). Solo il 5% delle case e dei negozi infatti utilizza lampade a risparmio energetico, che permettono un risparmio fino al 73% della spesa elettrica. Che senso ha invocare le energie rinnovabili come panacea per ridurre i costi se poi gli sprechi sono costanti e non accennano a diminuire? Sono indice di cattive abitudini che gli italiani, pur nella crisi finanziaria che grava sul paese, non accennano a perdere.

Se a queste accortezze si aggiunge anche il riciclaggio di carta e plastica, la bilancia italiana degli sprechi si alleggerirebbe di altri 60 milioni di euro all'anno: "produciamo 300.000 tonnellate di plastica con 430.000 di petrolio ovvero circa 3 milioni di barili, eppure potremmo arginare queste spese se risparmiassimo energia.

Per questo si chiede un'azione concreta ai politici "per estendere solare e fotovoltaico, geotermia e mini idro, lasciando gli incentivi al 55% per le piccole e medie imprese senza ridurlo al programmato 36% e magari incrementarlo fino all'80% per le famiglie”.

Nonostante sia sia fatto molto ancora siamo lontani dai livelli di risparmio programmati secondo un piano che prevede una riduzione dei consumi nell'ordine di 14 miliardi di euro annui entro il 2016. 

Ma questa Italia ancora non ha ancora capito dove sta andando?


2013/04/06

Questa notte ho fatto un sogno

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Questa notte ho fatto un sogno,



ho sognato che camminavo sulla sabbia accompagnato dal Signore, e sullo schermo della notte erano proiettati tutti i giorni della mia vita.
Ho guardato indietro e ho visto che ad ogni giorno della mia vita proiettato nel film apparivano orme sulla sabbia: 
una mia e una del Signore.

Così sono andato avanti,
finchè‚ tutti i miei giorni si esaurirono.
Allora mi fermai guardando indietro,
notando che in certi posti c'era solo un'orma...
Questi posti coincidevano con i giorni più difficili della mia vita: i giorni di maggior angustia,
di maggiore paura e di maggior dolore...

Ho domandato allora:
"Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me in tutti i giorni della mia vita, ed io ho accettato di vivere con Te, ma perché‚ mi hai lasciato solo proprio nei momenti peggiori della mia vita?".

E il Signore mi ha risposto:
"Figlio mio, io ti amo e ti dissi che sarei stato con te
durante tutto il cammino e che non ti avrei lasciato solo
neppure per un attimo, ebbene non ti ho lasciato...
I giorni in cui tu hai visto solo un'orma sulla sabbia,
sono stati i giorni in cui io ti ho portato in braccio".

2013/04/05

Scrivere per vivere o vivere per scrivere?

Scrivere per vivere o Vivere per scrivere?






















Scrivo su questo blog da quasi otto mesi, ho totalizzato oltre 15,642 visite (fotografia al momento di scrivere questo articolo, 6 Aprile 2013). Da qualche settimana mi interrogo sul senso della mia attività online, su questo spazio virtuale che evidenzia quella necessaria voglia di esternare i miei pensieri verso un prossimo che legge e approva e anche se non approva vorrebbe leggere e godere dei miei pensieri a volte paranoici e non so nemmeno io se sono in linea o completamente fuori registro.

Ho sempre fatto il possibile per mantenere una certa regolarità nella produzione di contenuti: volevo provare a dire la mia ogni volta su temi che mi interessavano maggiormente. Io non sono un giornalista, ho un altro lavoro e lo scrivere è una passione, quasi totalmente gratuita. Per cui è bastato ritrovarmi davanti a un’immensa mole di lavoro ‘tradizionale’ per dover riconsiderare la mia costanza. In queste condizioni è impossibile dire sempre qualcosa di intelligente, utile e di qualità. Sono quasi ossessionato da questi due concetti: utilità e qualità. Se non hai qualcosa che serve a qualcuno o a qualcosa forse è meglio non dire nulla.

Non ho rinunciato, però, alla scrittura, scrivo quando posso e quando sento delle emozioni che mi impongono di esternare il mio pensiero. Leggo e scrivo e in questo ho trovato ulteriore conforto a supporto delle mie sensazioni: ci sono molti concetti che è inutile ri-scrivere.  Lì fuori, tra media tradizionali, giornali e online, ci sarà sempre qualcuno che ne saprà più di te su qualsiasi argomento. 

Bisognerebbe scrivere qualcosa solo quando è un valore aggiunto nella discussione pubblica. E allora sempre più spesso mi chiedo: che senso ha scrivere? Non sarebbe meglio condividere i contenuti di altri? Non c’è già troppo rumore nella Rete?
La ‘semplice’ condivisione, allo stesso tempo, non risolve il problema: non per il gesto, che di per sè ha un elemento meraviglioso di generosità, quanto per la sua utilità relativa. Ha senso, ad esempio, retweetare qualcosa di cui già hanno parlato tutti, specie se non si ha nulla (di originale) da aggiungere?

A me pare che la websfera italiana al momento non funzioni così. Tutti noi, blogger, giornalisti, opinion leader digitali tendiamo a pendere dalle labbra dell’attualità, del quotidiano, del ‘tempo reale’. Quando c’è una notizia che ‘fa opinione’ non è difficile leggere decine, centinaia di post e commenti, spesso uniformi in modo stucchevole. Davanti agli occhi del lettore medio, spesso stanco o comunque poco desideroso di leggersi intere bibliografie ogni volta, si presenta un muro di opinioni indifferenziate che spesso provengono da illustri sconosciuti. Il risultato, verosimilmente, è l’adozione di un atteggiamento conservativo da parte del pubblico: meglio leggere chi già conosco.

L’altro pericolo che io sto riscontrando è ‘la corsa al click‘: quando succede qualcosa, qualsiasi cosa che possa essere considerata notizia, assistiamo alla produzione di post già pochi minuti dopo la prima agenzia o il primo tweet che ne parla. Questi post, spesso, sono poco più che fotografie dell’accaduto, senza analisi. Un esempio di metanarrativa dell’agenzia di stampa: ne avevamo davvero bisogno?
Credo che tutto ciò sia naturale e largamente comprensibile: si fa per poter essere rilanciati per prima online, per costruirsi una propria popolarità, per poter dire di aver dato la notizia, salvo poi lamentarsi se il grande giornale ne parla in modo più diffuso due ore dopo, magari con annessa e spesso inverosimile accusa di essere stato copiato.

Più passerà il tempo, più ognuno di noi dovrà porsi un problema: scrivere sempre per essere visibili o scrivere solo quando si ha qualcosa di interessante da dire, con il rischio di finire dimenticati e perdere parte del proprio pubblico?
Io, nel mio piccolo, proverò a seguire la mia strada, aggiungendo una terza via: scrivere di più nei weekend, d’estate, quando gli altri sono in vacanza: quando ci sono meno voci a parlare forse si è più utili anche quando non si è straordinariamente brillanti. Scrivere delle mie idee, sogni o emozioni, scrollandomi di dosso le consuetudini, le mode e le richieste della gente, scrivere quello che sento e non necessariamente quello che vorrebbero sentirsi dire i miei lettori.

Perché c’è sempre un pubblico che ha voglia di informarsi e ha la possibilità di farlo online. E che merita di essere informato con la stessa qualità sette giorni su sette, 24 ore su 24.


Gli animali soffrono

Un lontano ricordo di libertà, la voglia di correre senza imposizioni,
senza catene, senza torture è tutto ciò che tiene questi animali vivi.
È giusto costringere animali in circhi e zoo o sagre popolari solo per potersi divertire?

Animali tenuti imprigionati, lontani dal loro habitat naturale, obbligati a compiere perfomance assurde, con l’unico scopo di strappare un sorriso (e qualche euro) a qualcuno. Circhi, sagre e zoo rientrano nell’idea, inculcataci sin dalla nascita, che gli esseri umani abbiano il diritto di appropriarsi della vita di un individuo, strapparlo alla sua famiglia e alla sua casa, manipolarlo, imprigionarlo, torturarlo e infine ucciderlo, per ottenerne il miglior tornaconto, che si tratti di cibo, divertimento, moda o qualche finanziamento a scopo “scientifico”.
L'addestramento degli animali del circo comincia fin da piccolissimi
e è mirato a strappare da loro ogni comportamento naturale,
per piegarli alla volontà dei circensi, tramite la costante minaccia
della morte da percosse

Si tratta forse proprio di una delle più eclatanti forme di sfruttamento degli animali, proprio perchè stravolge l’intera vita di esseri viventi solo per soddisfare la curiosità di qualcuno di osservarli, avvicinarli, divertirsi vedendoli fare cose “ridicole” o pericolose performance.



Chi davanti a un orso che balla, una tigre che si getta in un cerchio infuocato o un elefante che fa la verticale riesce davvero a fingere di non sapere che questo non può essere che il risultato di un ammaestramento crudele?
Obbligati a compiere esercizi contro natura, costretti a “recitare” anche se stanchi o malati, abbagliati dai riflettori, frastornati dal clamore della folla: ciò accade solo perché gli animali sono impauriti dalla frusta e dalla presenza del pungolo d’acciaio che ricordano loro il dolore subito durante l’addestramento.

Il terrore, il dolore, la prigionia e la noia sono le costanti che accompagnano la vita di ogni animale prigioniero del circo fino alla morte

Numerose testimonianze raccontano di cani chiusi in minuscole gabbie per tutta la giornata; elefanti legati costantemente per due zampe e “svuotati” prima di ogni spettacolo perchè non evaquino in pista; cavalli costretti a lavorare anche se malati o feriti; leopardi legati ai due lati della gabbia e pungolati alla gola per ore e ore con un forcone finchè non imparano a stare seduti sulle zampe posteriori; animali vecchi e logori che, dopo un’eternità trascorsa a servire l’uomo, vengono ceduti ai laboratori di vivisezione.




Anche le "innocenti" ricorrenze popolari e religiose sono spesso l'occasione per organizzare sagre, palii e altre manifestazioni crudeli durante le quali cavalli, asini, anatre, oche, tori, mucche, buoi, capre, e altre specie animali sono sottoposte a crudeltà e abusi. Al riparo della tradizione, gli animali si frustano, si sovraccaricano, si usano come bersagli, si obbligano a correre su percorsi accidentati e pericolosi, si forzano a trascinare carretti. 


Nessuna tradizione può giustificare lo sfruttamento e il dolore dei più deboli, né le torture o le sevizie possono essere considerate un patrimonio culturale da tramandare alle generazioni future. Costituisce un passo fondamentale ed indispensabile giungere a considerare gli animali come in realtà sono: esseri senzienti e consapevoli, capaci di provare, come noi, emozioni e dolore. 

L'abitudine al considerare gli animali degli oggetti e non esseri viventi
che soffrono innaturalmente, accresce, nei bambini che assistono
al circo, l'abitudine a non prendere in considerazione il dolore altrui

Ogni anno, si svolgono in molte parti del mondo, anche in Italia, fiere e palii che sfruttano gli animali per fare spettacolo. Per una ragione che mi è sconosciuta, l'uomo crede di far ridere se nello spettacolo si aggiunge un animale che non gradisce determinate situazioni, non gradisce i giochi a cui viene sottoposto suo malgrado, non gradisce di essere ridicolizzato in virtù di uno spettacolo a solo uso e consumo di altri bipedi che urlano, picchiano, insultano.


Il cosiddetto Palio vale a dire una manifestazione popolare "di amicizia, solidarietà e incontro"; trasforma gli animali in veicoli di divertimento, nella fattispecie a cadere nelle braci sono spesso gli asini. E non mi limito a criticare solo le corse degli asini, ma tutto il sistema di fiere e spettacoli, lo stesso che porta a tramandare le corse dei cavalli in un anello in una nota piazza, con il fondo lastricato di pietre, scivoloso come il marmo bagnato dove le povere bestie spesso rompono zampe e zoccoli se non di peggio.

Non credo che i quadrupedi protagonisti di queste presunte "feste" si divertano molto: li abbiamo visti anche alla tv, nervosi, irrequieti, chiaramente a disagio nel bel mezzo della folla urlante alla quale non sono abituati. Come si sentono questo animali condotti contro la loro volontà a misurarsi in una corsa che non li vede protagonisti. Lo sappiamo benissimo, il protagonista sarà sempre il fantino o cavaliero o gonzo di turno che le cavalca, per far ridere, piangere o sognare, non importa se tutto questo sia ragionevolmente lecito, l'importante sembra sia lo spettacolo a discapito dei nostri poveri animali che non apprezzano affatto.

Posizioni innaturali e dolorose, suoni e luci frastornanti, la costante minaccia
della frusta e del bastone. Il circo, per gli animali, è un incubo che nemmeno
possiamo arrivare a capire

È giusto, in nome della tradizione e del divertimento, sottoporre gli animali a simili crudeltà e abusi? Ci siamo mai chiesti che senso ha ridicolizzare, deridere, sfruttare, malmenare, sopraffarre, obbligare a azioni che vanno contro la loro natura con la solita prepotenza tipica della specie umana gli aimali che non condividono questa nostra attitudine?


Il mio cane, un Fila Brasileiro di dieci anni, tutte le volte che dobbiamo partire per andare in qualche Paese diverso dal solito, si nasconde, cerca un luogo dove difficilmente, crede lei, possiamo vederla, aborrisce i viaggi, gli spostamenti, questo sradicarla dalle sue abitudini, dal calore di una famiglia e di una casa che ama. E purtroppo siamo costretti a volte a questa violenza, facciamo sacrifici per non privarla del nostro affetto che, almeno inizialmente, lei non comprende.

Oltre agli spettacoli, la vita degli animali nel circo si riduce a questo: una prigionia forzata senza nemmeno la possibilità di muoversi

Anche i cani, gli asini, i cavalli, le mucche, i leoni, gli elefanti, i coccodrilli, le pantere, gli agnelli e finanche gli uccelli che noi costringiamo in gabbie anguste sono esseri senzienti e consapevoli, con le loro emozioni, i loro sentimenti, le loro paure, capaci come noi di provare dolore e sconforto. E non dimentichiamoci di quegli animali costretti a esercizi cruenti nei circhi, a quelli ridicolizzati a eseguire esercizi per far ridere i bambini, e sono anche contro certi zoo dove gli animali sono costretti in gabbie, fiere da condannare a una vota da reclusi solo per mostrare al mondo "l'effetto che fa" come cantava il grande Jannacci scomparso recentemente.


No cari signori, non s'ha da fare, dobbiamo metterci in testa che il pianeta non è tutto nostro ma anche loro, che sono la maggioranza, che sono sulla terra da milioni di anni prima di noi, che hanno saputo adattarsi all'ambiente e anche all'uomo per vivere al suo fianco, per convivere, non per essere maltrattati o uccisi in nome non già di un sacro bisogno di vivere, di nutrimento, ma solo in quello del divertimento.

La tigre, animale fiero e maestoso, oppone una strenua resistenza all'addomesticamento. Per questo, nei suoi confronti, si usa una violenza particolarmente truce, fino a far sì che non possa far altro che essere umiliata davanti a una manciata di spettatori incapaci di provare la minima empatia

Sono consapevole che la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica non la pensa come me, anzi mi prenderà per fanatico e estremista quando evidenzio questi deplorevoli atti di violenza contro il mondo degli animali, qualcuno potrebbe anche dire che "con tutti i bambini che muoiono di fame nel mondo" stai a pensare agli animali, l'ultimo nostro problema.

E invece no, non si tratta dell'ultimo nostro problema ma del primo. Io non ci stò gridava un vecchio presidente della repubblica pescato con le mani nel sacco delle mazzette che giornalmente riceveva, e neppure io ci sto (non le mazzette che per conto mio non so nemmeno cosa siano, nel senso che non ne ricevo) ma in quello del voler maltrattare gli animali e trarne felicità

Non riesco proprio a stare zitto, non tacerò mai fin quando gli animali saranno sottoposti a crudeltà e abusi, a torture e angherie, di qualunque natura essi siano.

È ora di dire basta a queste cose, è ora di smetterla di pensare che l'uomo può tutto sulla natura e sugli animali. Dal canto mio sarò sempre pronti a difendere i più deboli, sarò sempre schierato dalla loro parte; loro sono i senza voce, possono contare solo sulla nostra per guadagnarsi un minimo di dignità.

E per finire non potevo che parlare di Violenza.
Come si può lottare per rimuovere la violenza insita negli individui se questa la si trasmette attraverso manifestazioni solo all'apparenza non violente? Con i circhi in particolare, ma anche con gli zoo noi non ci rendiamo conto che eduzhiamo i nostri figli alla violenza.

Un argomento da non sottovalutare è il fatto che il pubblico privilegiato dei circhi è chiaramente rappresentato dai bambini, accompagnati dai loro genitori ad assistere ad uno spettacolo di molestie e abusi. L'abitudine al considerare gli animali degli oggetti e non esseri viventi che soffrono innaturalmente, accresce, nei bambini che assistono al circo, l'abitudine a non prendere in considerazione il dolore altrui.
Il terrore, il dolore, la prigionia e la noia sono le costanti che accompagnano la vita di ogni animale prigioniero del circo fino alla morte

Se le loro naturali emozioni di disagio in risposta alla vista di un animale in difficoltà si scontrano con l’allegria dell’adulto di riferimento, i bambini saranno letteralmente educati a rimuovere le loro istintive reazioni e adeguarsi a quelle “richieste”. Ne consegue un apprendimento graduale dell’insensibilità, della rimozione dell’empatia, del non riconoscere nell’animale un altro essere vivente che prova dolore ed emozioni esattamente come l’animale umano. Si insegna a ritenere normale il dominio del più forte sul più debole.

Nella mente del bambino si crea una sovrapposizione tra ciò che vede e l’atmosfera di allegria che lo circonda. E così impara che evidentemente quello che sta vedendo deve essere divertente, si abitua a non cogliere la sofferenza degli animali anche laddove i segnali di irrequietezza, tristezza, noia o terrore sono evidenti. Si abitua a rispondere con la gioia e il divertimento alla vista dell’altrui disagio: viene messo in atto un vero e proprio processo di negazione di ciò che si vede.

Lo sviluppo dell’empatia è invece fondamentale per il bambino sin dalla prima infanzia: la capacità di individuare e riconoscere i sentimenti propri e altrui gli permette di apprendere a strutturare il proprio comportamento rispettando le esigenze dell’altro.

Tali spettacoli hanno la responsabilità di indurre nei bambini la formazione di atteggiamenti antiempatici o indifferenti, durante una fase evolutiva in cui l’educazione alla comprensione e al rispetto del sentire dell’altro dovrebbe essere un momento formativo essenziale.


Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno animali torturati, meno vagoni piombati che trasportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura, se non avessimo fatto l'abitudine ai furgoni dove gli animali agonizzano senza cibo e senz'acqua diretti al macello.
      (M. Yourcenar)



2013/04/04

L'angolo dell'amore


Qui ti amo.

Negli oscuri pini si districa il vento.
Brilla la luna sulle acque erranti.
Trascorrono giorni uguali che s'inseguono.

La nebbia si scioglie in figure danzanti.

Un gabbiano d'argento si stacca dal tramonto.
A volte una vela. Alte, alte stelle.

O la croce nera di una nave.

Solo.
A volte albeggio, ed è umida persino la mia anima.
Suona, risuona il mare lontano.
Questo è un porto.
Qui ti amo.

Qui ti amo e invano l'orizzonte ti nasconde.

Ti sto amando anche tra queste fredde cose.
A volte i miei baci vanno su quelle navi gravi,
che corrono per il mare verso dove non giungono.
Mi vedo già dimenticato come queste vecchie àncore.
I moli sono più tristi quando attracca la sera.

La mia vita s'affatica invano affamata.

Amo ciò che non ho. Tu sei cosi distante.
La mia noia combatte con i lenti crepuscoli.
Ma la notte giunge e incomincia a cantarmi.
La luna fa girare la sua pellicola di sogno.

Le stelle più grandi mi guardano con i tuoi occhi.

E poiché io ti amo, i pini nel vento
vogliono cantare il tuo nome con le loro foglie di filo metallico.

(Pablo Neruda)
da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-d-autore/poesia-171385?f=a:698>

2013/03/30

... e venne Pasqua!

Parafrasando una nota pubblicità verrebbe da dire “Toglietemi tutto ma non (toglietemi) la mia Pasqua.”
Ci hanno tolto la serenita', i risparmi, il futuro, la speranza.
La Pasqua no, quella e' tutta nostra.


È crisi, crisi feroce, da far paura. I dati delle ultime ore confermano quello che ormai tutti sapevano: gli italiani che andranno via per le feste pasquali saranno il 14.1% in meno dello scorso anno. Una flessione ampia, direi quasi enorme, inaspettata nelle dimensioni. Secondo gli addetti al settore alberghiero i dati previsionali di questa Pasqua sono l’ennesima conferma di come l’Italia stia purtroppo vivendo una crisi epocale, che rischia di far tornare l’economia turistica ai livelli post Seconda Guerra Mondiale. Siamo messi proprio male, malissimo. 
Ringraziamo tutti sia Monti che la Merkel, curiosamente il cognome inizia con la emme, la stessa di m***a, ma si tratta giusto di una curiosità. 

Per dilettarvi un po’, ecco le origini della Pasqua nella cultura nostra, caattolica, e in quella delle religioni a noi vicine. Forse non lo sapete ma anche quella araba, l’Eid Mubarak, ha origini che si perdono nella notte dei tempi che fanno risalire l’evento primoridale come condiviso da entrambe le religioni. Curioso vero?

Una volta la Pasqua era detta anche Pasqua dell’Uovo, poiché era tradizione festeggiare l’evento con uova sode colorate e benedette in chiesa. Altre uova realizzate in materiali diversi: smalto, ceramica, lapislazzuli, vetro o addirittura materiali preziosi, venivano regalate. L’usanza sopravvive anche oggi, sotto forma di torte farcite con uova sode e le uova di cioccolata.

La simbologia dell’uovo è semplice: in tutte le religioni ed in ogni tempo è sempre stato il simbolo della fecondità, della rinascita e della resurrezione.
Per un mito indiano, Colui che sussiste volle creare il cosmo dalla propria sostanza: fece prima le acque in cui depose un uovo splendente. Nell’uovo si formò Brahma che vi rimase per un anno. Poi il dio divise l’uovo in due parti creando il cielo e la terra, con nel mezzo le acque.
Anche gli ebrei avevano una festa che veniva celebrata all’inizio della primavera, secondo un calendario che era basato sulle fasi della luna. Era la festa di Pesah, al plenilunio del primo mese lunare dopo l’equinozio di primavera. Una festa che viene celebrata ancora oggi e che ricorda l’intervento di Dio liberatore nel passato e pone le basi per la salvezza futura.

La parola Pesah significa «saltare oltre», a memoria perenne della piaga per la quale l’Angelo del Signore uccise tutti i primi nati delle famiglie egiziane, dopo di che il faraone concesse agli Ebrei di lasciare per sempre l’Egitto.
Inizialmente questa ricorrenza era legata ai pastori che festeggiavano l’inizio della bella stagione la notte di plenilunio precedente la partenza verso i pascoli estivi, immolando i piccoli del gregge e spargendone il sangue su capanne, familiari ed animali per proteggerli dalle disgrazie e renderli fecondi. Poi si mangiava la carne e si eseguiva una danza rituale che comprendeva anche tutta una serie di salti, una sorta di «saltar oltre».

Allorché ci fu la strage dei primogeniti egiziani, si seguirono gli stessi dettami della festa, cospargendo gli stipiti delle case degli Ebrei con il sangue di agnelli o capretti appena nati, mangiando le loro carni abbigliati in maniera rituale e bruciando i resti all’indomani mattina. Era la partenza per la nuova Terra.

Collegata alla Pesah, era la settimana delle Mazzoth, o degli azzimi. Derivava da una festa in ricordo dell’arrivo degli Ebrei nella terra di Canaan, dopo la fuga dall’Egitto. Era l’inizio della mietitura con l’offerta del primo covone e la regola di cibarsi di pane non lievitato (quindi azzimo), a perenne ricordo della veloce partenza dall’Egitto e del viaggio, durante il quale non era stato possibile far lievitare il pane. Il tutto accompagnato da erbe amare per ricordare l’amarezza della schiavitù in Egitto.

Quella ebraica è la Pasqua della memoria, del ricordo infinito della bontà di Dio nel liberare dal terrore e dalla fame il popolo d’Israele: è il compendio e la ricapitolazione di tutta la storia della salvezza, degli interventi di Dio in favore del suo popolo, in un percorso che è una sorta di rinascita degli Ebrei.

L’analogia è evidente nella lettura dei Vangeli, ove Gesù viene detto Agnello di Dio. Quando Dio ordinò a Mosè di far cospargere le case degli Ebrei con il sangue di agnelli, precisò che le ossa degli agnelli non venissero rotte, ma fossero lasciate intatte. Allo stesso modo, quando Gesù venne crocefisso era venerdì e al sabato non si poteva far rimanere in croce i condannati: infatti, Gesù fu l’unico crocefisso, gli altri due erano solo legati. I giudei chiesero quindi a Pilato di poter spezzare le gambe dei crocefissi, cosicché potessero essere portati via. Pilato acconsentì e vennero spezzate le gambe dei due ladroni: ma quando venne la volta di Gesù, questi era già morto, e venne solo ferito nel costato. Come per gli agnelli degli Ebrei, anche all’Agnello di Dio non venne spezzato alcun osso.

Secondo la tradizione, fu durante la celebrazione della Pasqua che Gesù Cristo istituì il sacramento dell’Eucarestia: dal pane e dal vino il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di Dio. Ma la differenza sostanziale fra la Pasqua ebraica e quella cristiana sta nel fatto che l’Agnello cristiano è risorto e di questo viene dato annuncio subito. E la Resurrezione di Cristo (che vuol dire l’Unto) è per i Cristiani l’evento nuovo e divino che offre agi uomini il dono della nuova Vita, veicolata dal battesimo. Infatti, in origine si battezzava una sola volta l’anno, nella notte di Pasqua, perché momento di morte e nascita a nuova vita in Cristo e con Cristo.

Inizialmente la Pasqua cristiana era celebrata ogni domenica, poi, in età apostolica, si giunse alla celebrazione annuale, ma vi fu disaccordo sulla data. Una corrente orientale celebrava la Pasqua secondo il calendario ebraico al 14 di Nisan o alla domenica successiva, mentre quella occidentale nella domenica successiva al primo plenilunio di primavera.

La questione fu a lungo dibattuta e si cercò per diversi anni di risolverla, ma fu solo con il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., che si stabilì di festeggiare la Pasqua nello stesso giorno per tutta la cristianità. Di stabilire di volta in volta la data fu incaricata la chiesa di Alessandria. Dal 525, per il computo di Dionigi il Piccolo, la Pasqua venne fissata fra il 22 marzo e il 25 aprile.

La Pasqua ortodossa non coincide con quella cattolica poiché la chiesa ortodossa non ha ancora accettato la riforma gregoriana del calendario, quindi, il più delle volte, cade successivamente.
Per un mito greco, la Notte, con le sembianze di un uccello, venne fecondata dal Vento. Depose un uovo d’argento, dal quale nacque Eros dalle ali d’oro, che portò con sé quel che vi era nascosto: il cosmo intero con le sue creature.

L’uovo è come un sepolcro da cui risorge la vita, è il Cristo stesso: una volta era usanza, il giovedì santo, deporre nelle cattedrali uova di struzzo, per toglierle poi il giorno di Pasqua, allorché la Vita era rinata. Ancora nel medioevo, i reliquiari contenevano uova.
Per secoli si sono benedette le uova il sabato di Pasqua e ancora i parroci benedicevano le uova quando benedicevano le case dei fedeli. Molto antica è anche la tradizione di regalare uova di materiali più o meno preziosi a seconda dell’estrazione del donatore (uova vere, d’oro o d’argento). Di poco successiva l’usanza di inserirvi una sorpresa all’interno.

In occidente l’usanza è andata scemando, al contrario dell’oriente dove, invece, viene associato alla scrittura: l’assimilazione si deve al fatto che la sera prima sul guscio vengono tracciati dei simboli, in un ambiente pervaso da canti e preghiere. Forse l’origine può essere collegata al risveglio della primavera e ad una successiva cristianizzazione del rito.

Un altro simbolo pasquale è la colomba, che può simboleggiare sia il Cristo sia lo Spirito Santo. Per alcuni è il Cristo che porta la pace agli uomini di buona volontà, per altri è lo Spirito Santo che scende sui fedeli grazie al sacrificio del Redentore. A complicare l’identificazione sono il brindellone e la colombina fiorentini: infatti, la colombina viene lanciata a far scoppiare i fuochi d’artificio posti sul brindellone e se i fuochi si accendono allora ci sarà un buon raccolto. La colomba è lo Spirito Santo che accende il fuoco divino suo fedeli? Oppure, è il Cristo che, risorto, porta fuoco e luce ai fedeli?

In linea generale, il suo carattere pacifico ne ha fatto l’espressione della mitezza e dell’amore: per la medicina antica, le colombe non avevano bile e la loro carne aveva un particolare effetto terapeutico, poiché si cibavano di piante medicinali quali il vilucchio e la verbena. 

E’ l’uccello dell’anima del giusto, della sublimazione degli istinti e del predominio dello spirito, ed è anche il simbolo della virtù della moderazione, della semplicità: le ali rappresentano il distacco da ciò che è terreno, in rapporto con la Grazia dello Spirito Santo, indicando la partecipazione alla Natura Divina. In Asia occidentale la figura della colomba è legata alla dea della fertilità, Ishtar, passata ai greci e ai romani come Afrodite-Venere a cui era sacra la colomba, mentre nel mondo musulmano era sacra perché secondo la tradizione aveva protetto Maometto durante la fuga.

Simbolo della Pasqua è anche la campana. Il nome le deriva dal tardo latino campana (vasa), vaso di bronzo prodotto in Campania poiché, secondo la tradizione, il loro uso religioso si fa risalire a San Paolino vescovo di Nola all’inizio del quarto secolo d.C., e in Campania furono fuse le prime. Le prime campane di cui si ha traccia scritta si trovano nella Bibbia: Aronne, fratello di Mosè, sommo sacerdote, durante i riti indossava un mantello ornato di campanelle, più verosimilmente sonagli, d’oro il cui suono gli permetteva di entrare nel Santo dei Santi alla presenza del Signore e uscirne vivo. In Cina le campane erano presenti fin dal 1500 a.C., anche se diverse dalle nostre, non nella forma, ma per la mancanza del batacchio. Infatti, il suono era prodotto percuotendole con mazzuoli di legno.

La campana è identificata con il riflesso della vibrazione primordiale, simbolo dell’unione fra cielo e terra, le è riconosciuto il potere di purificare e di esorcizzare, può entrare in relazione con il mondo dei morti, chiama i fedeli alla preghiera e ricorda l’ubbidienza alle leggi divine più o meno con le stesse valenze in molte religioni. In alcune, come la cristiana e l’indiana, la campana simboleggia la “voce di Dio”, udendo la quale l’anima va al di là delle limitazioni della vita terrena. Come tale, la campana ha anche la facoltà di allontanare gli esseri soprannaturali maligni: sant’Antonio aveva una campana attaccata al  bastone per scacciare i diavoli tentatori del deserto, san Patrizio ne portava sempre una con sé mentre evangelizzava l’Irlanda. Si racconta che fu sepolto con la sua campana e che questa, trecento anni dopo, suonando salvò il paese presso cui era la tomba, che stava per essere devastato da un furioso incendio. 

Molte sono le credenze legate alle campane, nel Medioevo si pensava che avessero un’anima e che agissero autonomamente per annunciare qualcosa di gioioso o una disgrazia. Prima di collocarle erano benedette con una sorta di battesimo, avevano un padrino e una madrina ed erano dedicate a un santo. Tracce delle antiche credenze sono arrivate ai nostri giorni grazie alle iscrizioni sulle più antiche: “Fulgura frango, dissipo vento”, ricorda che al suono delle campane era attribuito il potere di prevedere i disastri e  scongiurarli, oppure di propiziare il favore divino salvando il raccolto dalla siccità. Nel Meridione si credeva che la campana avrebbe avuto un suono più argentino con l’aggiunta del sangue di una vergine al metallo della fusione. Un detto popolare racconta che durante la Settimana Santa le campane non suonano perché “si recano in pellegrinaggio a Roma”.

La campana è considerata simbolo delle virtù femminili, la sua forma la ricollega alla volta del cielo e il batacchio rappresenta ciò che è sospeso tra cielo e terra. Insieme simboleggiano gli organi riproduttivi. Perciò anche le campane sono un simbolo di fertilità che ben si addice alla primavera.

Come colorare le uova per Pasqua (il contenuto, non il guscio, per quello vale ancora il vecchio metodo).

È un modo facile per avere uova colorate senza imbrattare di colore mani e tovaglie.
Le uova debbono essere a temperatura ambiente, foratele delicatamente su una delle due punte con uno spillo, per evitare che in cottura fuoriesca l’albume. Mettetele in una casseruola, copritele d’acqua fredda e portatele lentamente ad ebollizione. Cuocetele per 5 minuti, scolatele e con delicatezza incrinatene i gusci picchiettandole su di un piano. I gusci debbono essere rotti, ma non staccarsi.

Per colorarle:

bollite dell’acqua con un cucchiaio di te nero e un cucchiaio di salsa di soia, immergetevi le uova, che debbono esserne coperte, cuocetele per altri 3 minuti, spegnete, lasciatele raffreddare nel liquido, scolatele e sbucciatele poco prima di servire: avrete uova colorate in modo variegato, dall’aspetto di porcellana.
Potete usare acqua nella quale avete lessato qualche foglia di bieta per avere uova verdi.
Potete usare acqua nella quale avete bollito una barbabietola rossa per avere uova rosse.
Potete usare acqua nella quale avete sciolto dello zafferano per averle gialle.