<bgsound loop='infinite' src='https://soundcloud.com/sergio-balacco/misty'></bgsound>

pagine

2013/12/15

L'Italia si salva solo se lascia l'Euro


Li ha riuniti nella tana del lupo, il megacomplesso dell’Europarlamento a Bruxelles, l’eurodeputato Magdi Cristiano Allam, leader del movimento "Io amo l’Italia". Due insegnano all’università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara: Alberto Bagnai politica economica e Antonio Maria Rinaldi finanza aziendale. Il terzo, Claudio Borghi, è docente di mercati finanziari alla Cattolica di Milano. Ecco una sintesi di quanto hanno detto.

LA BUFALA DELL’INFLAZIONE

«Non è affatto vero che se l’Italia uscisse dall’euro e svalutasse del 20-30% ci sarebbe un’inflazione dello stesso livello», sostiene Bagnai. «Recentemente la Polonia ha svalutato lo zloty più del 20% e l’inflazione si è ridotta. E anche nel 1992, quando lo ha fatto l’Italia, l’inflazione è diminuita. Oltretutto all’epoca l’inflazione globale viaggiava al 4-5%, mentre oggi ci troviamo in uno scenario di deflazione e quindi l’impatto sarebbe ancora minore». «L’inflazione viene dipinta come il male assoluto», osserva Borghi, «ma non è affatto così. Negli anni 80 in Italia l’inflazione viaggiava a due cifre, ma il clima economico era nettamente migliore. Oggi invece abbiamo il deflazionato disoccupato».

NESSUNA DIFFERENZA PER I RISPARMIATORI

Ma i piccoli risparmiatori che hanno investito in Bot e altri titoli di Stato italiani non rischierebbero di trovarsi con un pugno di mosche? «Nessun problema, il debito pubblico verrebbe convertito nella nuova moneta. La stessa che utilizzerebbero i risparmiatori per la fare la spesa. Quindi per loro non cambierebbe niente», rispondono all’unisono Borghi e Bagnai.

IL PROBLEMA DELLA CRESCITA

Però l’Italia è un Paese di vecchi e i pensionati hanno paura del salto nel buio. «Adesso vengono anche loro torchiati dal fisco per poter rispettare i diktat europei», osserva Borghi, «e devono capire che le loro pensioni vengono pagate da chi lavora. Se tutti sono disoccupati chi le pagherà? Anche a loro conviene preoccuparsi soprattutto di ripristinare le condizioni per la crescita». Crescita economica che finché si resta nell’euro è una chimera. «Impossibile raggiungerla dovendo rispettare il Fiscal Compact», spiega Rinaldi, «che dal 1° gennaio 2015 obbligherà tutti i 25 Paesi firmatari e ratificatori del Trattato al pareggio di bilancio e alla riduzione sistematica del 5% annuo dell’eccedenza del 60% del rapporto debito pubblico/pil. Per l’Italia questo significherebbe trovare ogni anno risorse aggiuntive per 98 miliardi di euro. Una somma pari a più di quattro volte il gettito Imu complessivo».

LA GABBIA EUROPEA

Rinaldi tiene poi a sottolineare l’assurdità dell’attuale costruzione europea: «Il Trattato di Maastricht è stato firmato il 7 febbraio 1992 e da allora non hanno ancora uniformato le aliquote Iva. Ma che mercato comune è?». Che fare, allora? «Bisogna chiedere subito la moratoria del Fiscal Compact, altrimenti è la fine. Siamo ingabbiati in un meccanismo in cui è l’economia reale a doversi adeguare all’euro e non viceversa». L’alternativa è l’uscita dall’euro, che dovrebbe essere concordata per attutire al massimo gli impatti negativi. Ma è possibile? «Credo che sarà la Germania la prima a uscire», sostiene Borghi. «Ormai ha raccolto tutto quello che poteva da questo stato di cose. E quando si tratterà di dover dare nuovi finanziamenti alla Grecia o a qualche altro Stato, a Berlino decideranno di mettere la parola fine».

Articolo di Marcello Bussi uscito sull’ultimo numero del settimanale Milano Finanza

Siamo alla frutta?



Siamo alla frutta? 

Dovrei dire: il finanziamento pubblico dei partiti questo sconosciuto e invece dico che, anche in questo caso, la soluzione proposta non risolve il problema perché se non cambiano le condizioni i partiti avranno sempre la necessità di essere finanziati per sopravvivere.
Andiamo con ordine partendo dalla fine di questa storia infame.
Il finanziamento pubblico può essere annullato completamente, si deve, è possibile anche perché gli eletti percepiscono uno stipendio anche abbondante che permette loro di vivere più che dignitosamente e anche li ci sarebbe molto da dire ma ne parleremo in seguito.  Torniamo al finanziamento pubblico dei partiti.

Perché finanziamento?

Innanzitutto ci sono le spese dei partiti, pantagrueliche macchine politiche che ingurgitano quattrini non sempre utili alla politica, no, non sto pensando ai vari individui che nel corso degli anni recenti sono stati sorpresi con le mani in pasta, pasta d'oro naturalmente, no, parlo di segretarie, fattorini, impiegati, usceri, autisti, contabili, amministratori, managers dediti alla politica solo di facciata, di fatto dipendenti di quei partiti dove lavorano come molti altri italiani (quasi tutti) e non dedicano nemmeno un minuto alla politica se non per proprio tornaconto inteso come stipendio alla fine del mese. Questa pletora di individui costano ai partiti diversi milioni ogni anno. Solo il PD dispone (mi dicono) di 212 dipendenti nella sede romana di via delle Fratte. Pochi? Troppi!

Il M5S dispone di zero dipendenti e zero impiegati e mi sembra anche zero autisti al proprio servizio diretto, avvalendosi per tutte le necessità di partito dei propri eletti o fiancheggiatori anche se non eletti. 

Tutto questo ha un costo, anche notevole. Il vecchio PDL (di Forza Italia non ho i numeri) contava oltre 400 dipendenti in diverse sedi distaccate compresa quella di via dell'Umiltà (un centinaio), sedi, non fan club ecc. Tutta questa gente andava pagata, alla fine del mese era lo Stato che finanziava attraverso il finanziamento pubblico i partiti che spendevano anche troppo. Mi si dirà che le elezioni hanno un costo, che le campagne elettorali vanno organizzate con grandi mezzi e i fornitori pagati...

Grandi bugie (volevo scrivere balle ma non mi è sembrato pertinente). Ognuno si autofinanzia le campagne elettorali come può, non per questo lo Stato, e lo Stato siamo noi e non loro, deve essere costretto a pagare chi le fa.

Si immagini lo Stato Italiano come un'azienda, una qualsiasi, per comodità colloquiale paragoniamolo all'ENI e poi vi spiego il perché della scelta. L'ENI è un grande ente ormai privatizzato anche se non al 100%, che indice delle gare per realizzare dei progetti ovunque se ne presenti l'occasione. 

Se, poniamo, il Qatar decide di realizzare una raffineria ecco che l'ENI, attraverso una delle aziende che fanno parte della scuderia, richiede di partecipare alla sua costruzione. Facciamola breve altrimenti solo per spiegare come funziona devo scrivere un'enciclopedia. L'ENI quindi identifica i vari lavori da realizzare e propone un prezzo al cliente. Il cliente dello Stato Italiano siamo noi. Ma chi realizza i lavori? Non certo l'ENI, o meglio l'azienda facente parte dell'ENI. Per l’ENI saranno I vari fornitori e subappaltatori. Nel nostro caso sono i partiti. Il lavoro da realizzare solo le elezioni. Lo Stato indice una gara - le elezioni - le aziende partecipano ognuno pagando le proprie spese organizzative. 

Chi vince la commessa, governa e incassa i finanziamenti, chi non vince lecca le proprie ferite e va all'opposizione. Come poter quindi sopravvivere? Attraverso le donazioni che tuttavia in tempi di vacche magre diventano rare come i diamanti blu, l'unica via percorribile allora diventa alleggerire la struttura, autotassare i contendenti, gli eletti e anche chi eletto non è, ma partecipa al grande gioco della politica. Poi saranno loro stessi, gli eletti, che provvederanno al mantenimento volontario dell'organizzazione virtuale di cui fanno parte. Tutto il resto è solo spreco.

Lo spreco in Italia è sempre andato di moda, basterebbe soffermarsi alle migliaia di auto blu a disposizione di quattro, dicasi, quattro pirla che non sanno difendersi nemmeno da una mosca. Chi vorrebbe per esempio ammazzare la Finocchiaro? Eppure gira con scorta, John Lennon non aveva la scorta e l'hanno fatto fuori,  qualcuno potrebbe obiettare, certo, ha ragione. 

Mio cugino che contabilizza i guadagni di un grande imprenditore in odore di mafia potrebbe essere minacciato se ne contabilizza troppi? Si deve dotare di auto blindata e scorta armata? Ma per favore... David Cameron, primo ministro inglese, è facile incontrarlo nella subway (metropolitana) mentre si reca in Parlamento, a volte in piedi se non ci sono posti a sedere, e nessuno si scomoda dal cedergli il posto solo perché è primo ministro.

Se vogliamo veramente un cambiamento la soluzione è cambiare il sistema dei partiti. Il M5S ha tracciato la strada, abbiamo visto che è possibile, che strutture partitiche anche complesse possano vivere riducendo al minimo i costi, rinunciando a sedi faraoniche e uffici con lustrini e cristalli. Gli eletti sono tutti professionisti della politica e ben remunerati e in grado di permettersi l'eventuale portaborse o contabile per la dichiarazione dei redditi, tutto il resto è superfluo. 

La situazione attuale italiana.

Grazie al governo Monti, è stata approvata la legge 96/2012, con la quale si è deciso di ridurre i contributi pubblici a 91 milioni di euro per l’anno 2013. Una cifra, tutto sommato, accettabile. La vera questione, il succo di tutto il discorso, è la differenza di controllo sull’uso dei fondi elargiti. I vari scandali degli ultimi anni dimostrano quanto non esistano meccanismi di garanzia efficaci per vigilare sull’effettivo uso dei fondi, nonostante questo occorre dire come sia stato previsto, secondo la legge emanata dal governo tecnico, un controllo sul bilancio (Consob) e una relazione successiva ad un’apposita Commissione per la Trasparenza incaricata di vigilare sui conti dei Partiti. 

Basterà a cambiare la situazione?

Prima parlare di abolizione dei finanziamenti pubblici, occorrerebbe concentrarsi sulla regolazione delle garanzie che i partiti devono rispettare per poter usufruire degli stessi. L'inganno altrimenti colpirebbe duramente. Trasparenza del bilancio, un controllo assiduo degli enti di vigilanza, modifica di alcune pratiche non proprio consone. Due esempi eloquenti? I partiti aventi diritto ai fondi visti i risultati conseguiti nelle elezioni del 2006 andarono avanti a goderne sino al 2011, anche se la legislazione terminò nel 2008. Nelle elezioni successive alla caduta del governo Prodi, poi, dei 475 milioni ricevuti complessivamente, ne sono stati spesi solo 1/5. Singolare, visto che si sarebbe dovuto trattare di rimborsi elettorali.

Un’abolizione totale, allora, non è così consona come sembra. Innanzi ad un controllo rigido e a delle regole ben precise l’Europa – con l'eccezione del Regno Unito – ci dimosta quanto tale strumento sia fondamentale per le democrazie moderne. L’unico modo per percorrere la strada sostenuta da Grillo sarebbe emulare la legislazione statunitense e, in parte quella tedesca, nella quale ogni donazione privata viene resa pubblica per legge. In questo modo, i cittadini, potrebbero capire quali gruppi di interesse sostengano i partiti. Insomma, una garanzia minima per evitare che la politica divenga un gioco manovrato occultamente ed interamente dai grandi interessi. Tale trasparenza sarebbe comunque necessaria anche oggi. Ingenuo, infatti, chi pensa il finanziamento pubblico abbia impedito ai Partiti di ricevere donazioni, all’insaputa degli elettori, dai grandi poteri economici. Ancora più ingenuo chi crede, in un Paese in cui la parola lobby è ancora considerata sinonimo del demonio, i cittadini possano accettare in silenzio un sistema partitico sostenuto pubblicamente dai grandi gruppi di interesse.
Se non si attua questo cambiamento, signori miei, non cambierà nulla e per vincere ci resterà solamente la ghigliottina.

In alto i cuori, possiamo farcela, dobbiamo insistere e resistere.

2013/12/14

Tributo a Nelson Mandela


La notizia che Nelson "Madiba" Mandela, primo presidente nero del Sud Africa, era morto, l’ho appresa attraverso internet. Non guardo da diverso tempo programmi televisivi, sia perché non condivido la cultura televisiva della nazione che mi ospita, troppo simile a quella italica dalla quale ho preferito andar via, sia perché i soliti programmi televisivi non mi appagano a sufficienza, preferisco un buon film o documentario oppure leggere le news online. 

La mia reazione è stata di incredulità. Ho allora cercato la notizia su altri media, quasi sperando in una smentita. Il primo sentimento che ho provato è stato, a sorpresa, di risentimento. Ho sempre considerato positivamente la sua esperienza, già quando fu rilasciato dal carcere e anche durante la successiva e ovvia presidenza, anche durante poi il pensionamento forzoso, non era sua volontà ritirarsi ma gli fu imposto e comunque mi era sembrato giusto che facesse spazio ai giovani, nuove idee, nuove proposte e poi durante i suoi ultimi anni, tutto veniva a formare un quadro molto positivo di lui. Eppure ho provato un forte senso di risentimento. Mi chiedevo perché.

Dopo qualche introspezione, ho capito. Tutti i media elogiavano Mandela. Era diventato un santo. La stragrande maggioranza di coloro che in quei giorni hanno ricordato l’ex-presidente sudafricano lo ha eretto ad una sorta di “eroe planetario”. Un quotidiano di sinistra portoghese lo ha perfino paragonato a Gesù Cristo. Sicuramente ha vissuto per gli altri, ha anche perdonato coloro che lo avevano imprigionato, ha combattuto un regime brutale con parole di pace; ha ispirato molti sudafricani a unirsi, diventando un'icona per il mondo, e così via. Una lettura puramente agiografica della vicenda umana e politica di Nelson Mandela presenta, senza dubbio, un notevole fascino, ma rappresenta al tempo stesso un approccio non soddisfacente, perché non rende giustizia alla complessità della storia politica sudafricana. Eppoi certe notizie sembravano solo la ripetizione di un testo scritto da altri. Chi fa del proprio mestiere l’informazione dovrebbe essere obiettivo, dovrebbe fornire notizie corrette e non edulcorate per vendere più pagine di carta o abbonamenti internet o tv. Queste dovrebbero essere imparziali. È necessaria una visione più equilibrata.


Con Nelson Mandela se n’è andata una delle figure più importanti, conosciute e “simboliche” del ventesimo secolo. In primo luogo, Nelson Mandela è stato qualcuno che per davvero doveva essere ammirato, dato che fin dall'inizio la sua vita era piuttosto privilegiata (non sono pazzo, era una predestinato anche prima di essere imprigionato), decise di vivere e lavorare per il suo popolo, per farlo uscire da quello stato di schiavitù mascherata da libertà. Era un popolo libero solo a parole, nella realtà costretto a lavorare e servire quello dominante per poi essere ricambiato con la violenza e l’odio. Mandela combatteva contro quel destino avverso. Ciò non di meno era davvero un privilegiato. Il suo clan era quello di Madiba, un clan che ha fornito molti re per la sua Aba Thembu (Thembu=persone, regno di persone). Queste persone, a causa della loro lingua, furono chiamati "Xhosa", il popolo Thembu erano un popolo indipendente fino a poco tempo fa. Per chi ha sempre pensato al popolo bianco usurpatore delle terre africane vorrei aggiungere che contrariamente alla credenza popolare, la stragrande maggioranza dei neri in Sud Africa non sono nativi, ma sono arrivati a milioni dai paesi limitrofi solo dopo che i boeri crearono una nazione con una fiorente economia, vaste opportunità di istruzione e notevoli benefici medici. Era quindi sbagliato considerare il popolo nero indigeno dell’estremo territorio africano del sud e estraneo il popolo dei bianchi europei. In questa visione realistica l’unico popolo che avrebbe potuto vantare diritti territoriali fu quello dei boscimani, praticamente scomparso poche decine di anni dopo l’insediamento delle colonie boere nelle province del Capo di Buona Speranza. 

Mandela era un appartenente al popolo Thembu, di origine Bantu e provenienti dall’Africa centrale e non uno Zulu come molti media nostrani hanno indicato. Mandela è andato alle scuole private a pagamento, e frequentò Fort Hare, che era l'unica università per i neri in Sud Africa a quel tempo. Davvero un privilegiato.

E anche questo è parte del risentimento. I genitori di molti miei amici sudafricani bianchi erano rifugiati. Non avevano privilegi, i bambini dei rifugiati non andavano nelle scuole private ne tantomeno ammessi alle università di prestigio anche se di casta e certamente essi non avevano ne potevano vantare nessuna origine nobile di fantasia, reale o altro. Torniamo dunque a Mandela senza dimenticare che il rischio di una analisi affrettata è quello di sacrificare tanto l’analisi storica, quanto quella politica al bisogno collettivo (e mediatico) di costruire eroi e di evidenziare contrapposizioni manichee. 
Mandela presenta, nei fatti, non solo momenti “alti”, ma anche passaggi più controversi, incluso il ricorso a mezzi non sempre giustificati dai fini. E parlo della violenza. Naturalmente, quando una persona scompare, è buona regola parlare innanzitutto dei suoi meriti, almeno quando ciò è possibile, e nel caso di Nelson Mandela ciò è sicuramente possibile. Il più grande merito di Nelson Mandela è quello di aver gestito con notevole maturità la riconciliazione sudafricana, negli anni immediatamente seguenti alla fine dell’apartheid.


Mandela arrivò a un punto, comprensibile, dove decise di creare un movimento rivoluzionario comunista, per rovesciare il sistema con la violenza. Perché è meglio che si sappia. L’ANC e il suo braccio violento contro l’Apartheid era stato creato e voluto da Mandela, per rovesciare i dominatori bianchi boeri con gli stessi mezzi usati da questi contro la sua gente. Questa è la verità, lo stesso vincitore del Premio Nobel per la Pace e leader del Congresso Nazionale Africano (ANC) Albert Luthuli inorridì quando si seppe che alla base della campagna di violenze contro il regime c’era Nelson Mandela!(2)(3)

In seguito, e a malincuore, Luthuli diede una benedizione qualificata per la "Lotta di classe" (modificata per essere più appetibile per i sostenitori occidentali in "lotta per la libertà"). Luthuli era prima di tutto e sempre un cristiano e quindi comprensibilmente non entusiasta di fondare un'organizzazione di guerriglia marxista. Più tardi, diede la sua benedizione, ma non fu mai un sostenitore attivo della politica dell’ANC.

Nella cultura tradizionale africana esiste un complesso sistema di obblighi a incastro che vanno d’accordo con l'appartenenza a un clan o a una famiglia allargata. Questi includono legami matrimoniali, ma anche la spiritualità e l'organizzazione sociale. Luthuli, come cristiano, avrebbe messo se stesso al di fuori di questi legami, mentre Mandela è rimasto nel "sistema". Questo gli diede il tipo di influenza che non avrebbe altrimenti avuto.


In contrasto con Luthuli, Mandela sentì che la violenza era necessaria. Sentiva che tutte le altre vie per trattare con il governo dell'apartheid si erano esaurite, non era realmente così, fu portato a credere che fosse così, quindi creò Umkhonto we Sizwe (Lancia della Nazione), un'organizzazione guerrigliera di stampo comunista. Non è vero, quindi, che Mandela era un pacifista e poneva innanzitutto una resistenza pacifica contro l'apartheid. All’apparenza si, ma dietro le quinte, in una realtà che doveva restare nascosta fu tutto il contrario e lo scrivo qui senza il timore di essere smentito, queste informazioni derivano dai fatti, da fatti, concreti(1). Il Mandela di quel tempo era tutto a favore della rivoluzione armata. La domanda che sorge spontanea è: qual era lo scopo di questa rivoluzione? Era la democrazia? Ne dubito fortemente. Le loro parole a quel tempo (e che ora negano di averle mai pronunciate) erano pura terminologia comunista. Nessuno ha mai citato gente come Edmund Burke, Jean Jacques Rousseau e Thomas Jefferson. Hanno solo citato Marx, Lenin, Mao e gli altri killer professionisti. Tutti ideologi nei loro paesi, molti di loro ricusati dai loro stessi concittadini e morti in miseria. Lo stesso Lenin e poi Mao, leader acclamati da vivi e mal considerati una volta trapassati. Alcuni dei leader di ANC ancora citano queste mummie comuniste come la soluzione di tutti i mali non accorgendosi che il mondo cambia, è cambiato tanto rapidamente da permettere l’abbattimento dei muri veri, o virtuali, di divisione fra il mondo comunista e quello capitalista. 

Torniamo per un momento a Mandela e a quel 1993. Io c’ero, ero li, a Johannesburg e poi a Cape Town. Io vidi con i miei occhi tutto e posso affermare con certezza e riportare al mondo quello che vidi e ho avuto modo di vivere. Nel 1993 il Sud Africa era un paese lacerato e quindi erano presenti tutti gli ingredienti per uno scenario di guerra civile. Gruppi paramilitari bianchi ben organizzati e pronti all’azione, una popolazione nera esasperata ed ideologizzata e violente contrapposizioni tra African National Congress e Inkhata nella provincia del Kwazulu-Natal. In questo delicato contesto si inserì Nelson Mandela, canalizzando i sentimenti rivoluzionari dei neri in un progetto gradualista ed al tempo stesso a conquistare presso l’elettorato bianco quel tanto di fiducia che bastava per legittimare il nuovo assetto politico. 

Parole, apparenza, fumo negli occhi, un camaleontismo collaudato. Il Mandela buonista volto di Giano bifronte che sorrideva al nemico bianco, mentre dall’altra l’MK e il Mandela reazionario girato dall'altra parte. L’ANC aveva aderito alla guerra fredda al fianco dell’Unione Sovietica, della Cina comunista che passavano loro le armi e gli esplosivi per uccidere innocenti, bianchi certo e boeri, ma sempre innocenti. Era una guerra contro un sistema, non solo ideologico ma totale. Bianco contro nero per l’annientamento finale. Che poi annientamento non ci fu, anche a causa di forti pressioni da parte di altre potenze schierate all’altro lato della barricata, gli Stati Uniti d’America in primo luogo. Si disse che a soffiare sul fuoco di liberazione sudafricano ci fossero gli USA. Niente di più falso. Era vero che agli americani il regime non faceva più comodo, era anche vero che cercarono in diverse occasioni di “scippare” il grande business dell’oro e dei diamanti ancora saldamente in mano a organizzazioni boere, ma era anche evidente che entrare come un elefante in una cristalleria nel fragile momento sudafricano equivaleva a distruggere quelle possibili opportunità di poter metter mano un giorno sulle grandi ricchezze della nazione arcobaleno come Desmond Tutu ebbe a chiamarla.


In quegli anni non tutti furono contrari al nuovo sistema che pensavano dovesse venire instaurato. Durante la fine dell’era coloniale, di cui una parte ha coinciso con la guerra fredda, molte persone altrimenti decenti erano disposte a tollerare i crimini del comunismo al fine di contrastare più efficacemente la Gran Bretagna, la Francia o il Belgio nelle loro lotte per l'indipendenza. In altre parole, coloro che hanno combattuto per i loro fondamentali diritti umani, della democrazia multipartitica e la libertà di parola, hanno combattuto idealmente a fianco dell’URSS che schiacciava i sogni di libertà e indipendenza del popolo ungherese! Quello non era il comportamento di un uomo di pace! Mandela e la sua organizzazione non erano nello stesso campionato come Mahatma Gandhi o il Dalai Lama!

Tuttavia Nelson Mandela non fu solamente un pacifista e pacificatore. Fu anche, nei fatti, il leader di un movimento che a lungo ha seguito strade politiche violente e aderito a visioni politiche marxiste e filosovietiche. Nella delicata questione sudafricana, l’African National Congress è stato per decenni parte del problema, non parte della soluzione. L’ideologia comunista dell’ANC e il ricorso alla violenza come strumento di lotta politica rappresentavano un elemento di assoluta incomunicabilità con l’opinione pubblica bianca che negli anni si compattava sempre di più a sostegno del National Party al governo come pure di partiti alla sua destra. Tanto più i neri erano visti come rivoluzionari, tanto più nel dibattito politico bianco si indebolivano le posizioni dei verligtes (riformatori) a favore dei verkramptes (conservatori) e tanto più il Sud Africa bianco percepiva di trovarsi di fronte alla scelta binaria tra comunismo e apartheid.

Andando quindi in ordine cronologico, quando nel 1942 Mandela si unì all’ANC un partito “gemello” di quello di Gandhi, ma dallo stile decisamente diverso, fondò al suo interno la Youth League; e qualche anno dopo diventa comandante dell’ala armata del partito, la Umkhonto we Sizwe, o Lancia della Nazione come detto precedentemente. Mi seguite? Non ci siamo persi nulla nella disanima dell’uomo Mandela. Mi si dirà che le persone cambiano, che adesso è troppo facile sparare sull’uomo Mandela che non può difendersi, che forse non sono informato a sufficienza o di parte. Nel 1962 Mandela viene arrestato a causa delle sue attività, e sommando due processi gli viene comminato l’ergastolo. Sulla base di un processo giusto, riuscì a evitare la condanna a morte. Questo è quanto ci dicono i media “ufficiali”. Ma nessuno ci dice il perché. Forse la commissione Amnesty International che rifiutò di appoggiare il suo caso sbagliò, ritenendo che Mandela non fosse un prigioniero politico ma un “terrorista violento, condannato nell’ambito di un giusto processo”?

Mandela fu arrestato e trovato colpevole non di volere la democrazia e la libertà, anzi di aver cercato di rovesciare il governo legalmente costituito e eletto dal popolo sudafricano seppur format dai soli bianchi. Senza dubbio egli aveva delle buone ragioni per volerlo. Nessun governo, democratico o meno, può tollerare chi cerca di rovesciare il sistema con la violenza. Quindi, Nelson Mandela trascorse 18 anni a Robben Island. Poi fu trasferito in condizioni molto più confortevoli nella prigione di Polsmoor e in seguito agli arresti domiciliari presso la prigione Victor Verster. Non meravigliatevi. Nelson Mandela un domicilio reale non l’aveva più da quasi trentanni, l’ultimo conosciuto era quello di una prigione, dorata rispetto alle precedenti dove aveva trascorso I suoi anni peggiori, sempre un luogo di detenzione.

Quando Mandela fu rilasciato, il mondo era cambiato e lui era abbastanza grande per cambiare con esso. Fu capace quindi di scavare in profondità nella cultura africana tradizionale, dove esisteva un concetto che meritava di essere ampiamente pubblicizzato. Si chiamava Ubuntu. Significa "umanità". Mandela, a differenza del suo predecessore Luthuli non era Cristiano, era stato battezzato ma non aveva abbracciato mai la religion Cristiana, non si riconosceva in essa, invece aveva utilizzato l'antico concetto di umanità. Come Gesù Cristo 2000 anni prima era pronto a riconciliarsi con i suoi ex nemici e aguzzini. Era pronto a mettere da parte qualunque sentimento personale che potesse aver avuto e considerare il bene comune di tutto il popolo del Sud Africa. E così Nelson Mandela spostato dall'essere solo un altro rivoluzionario comunista/socialista del Terzo Mondo cominciò a essere considerato uno statista. Lui stesso sentiva che poteva diventarlo, anzi agiva come se lo fosse. Il passo fu breve. Dopo la sua elezione, nel 1994, lavorò instancabilmente per unire i sudafricani, e vorrei dire che è riuscito in questa sua opera immane.

Rispetto profondamente Madiba e ora che è morto, posso senza remore salutare un uomo rispettabile che, attraverso la riconciliazione e la visione, ha contribuito a iniziare un nuovo capitolo nella storia del South Africa.

Ma si dice spesso che era una visione viziata e lo era veramente. 

Non voglio tuttavia costruire un santuario per il presunto santo. 
Saluto lo statista. Onore delle armi.

Riposa in pace, Madiba!

Note: